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Su questo sito si è già illustrato (qui, qui e qui) come l’intervento dello Stato delineato dal D.L. n. 23/2020, il c.d. decreto Liquidità, è centrato su un sistema di garanzia a prestiti che saranno erogati dal sistema bancario: in quanto tali, essi a) saranno soggetti a valutazione e analisi di merito creditizio che ne fanno prevedere la connessione in tempi, nella migliore della ipotesi, di svariate settimane dalla richiesta, e b) dovranno essere restituiti, con interessi e commissioni, se pure di modesta entità, nel breve termine di sei anni, con preammortamento fino a 24 mesi.

  1. Banche sicure beneficiarie del D.L. 23. Chi senza ombra di dubbio beneficerà di questo sistema sono le banche, che potranno smobilizzare il denaro attualmente da loro detenuto a tasso negativo, e ribaltarne i costi sui clienti percependo un tasso di interesse, allo stato ignoto e presumibilmente da concordarsi in misura modesta con ogni singolo istituto di credito o intermediario finanziario. Si ripete, cioè, il meccanismo di vantaggio per gli istituti di credito di cui all’art. 49 lett. d del D.L. n. 18/2020, c.d. decreto Cura Italia: le banche possono rifinanziare alle imprese il residuo ammortamento quinquennale dei prestiti pendenti, mutuando loro fino al 10% del debito residuo, ma con l’opportunità di assumere garanzia statale anche per il finanziamento precedente, non assistito. Il che rappresenta un obiettivo miglioramento della qualità del credito in virtù della nuova garanzia statale: l’intervento di sostegno alle imprese, indicato dal Governo del valore di 220 miliardi, vede in realtà corrispondere questa cifra all’entità della garanzia statale; se si tiene conto dell’entità del debito residuo, esso corrisponde alla somma di 1,73 mld a beneficio effettivo delle imprese stesse. Va ricordato che i finanziamenti gestiti da Mediocredito Centrale, l’istituto cui è deputata la concessione dei finanziamenti in base al D.L. Cura Italia, è rotativo, per cui la percentuale prevista del 14% è automaticamente non superiore al 11%.

 

  1. Certum quando (longe), incertum an. La previsione di tempi lunghi per l’erogazione dei finanziamenti deriva dalla considerazione che, se vi è una percentuale di mutuo non garantito dallo Stato – il 10% per le imprese con meno di 5000 dipendenti e meno di 1,5 miliardi di fatturato, il 20 % per quelle con più di 5000 dipendenti ma con fatturato fino a 5 milioni, il 30% per quelle con fatturato superiore a 5 miliardi -, per tale differenza le banche valuteranno il merito creditizio: e questo avverrà in tempi non brevi, soprattutto se le domande di prestito saranno numerose. A ciò deve sommarsi il tempo che trascorrerà fra la delibera di approvazione del mutuo e le incombenze in carico a SACE SpA, che è chiamata a identificare la posizione del richiedente in quanto garantita dalla Stato, e quindi a trasmettere il numero identificativo alla banca: se nel frattempo l’impresa non avrà già chiuso i battenti, la banca potrà finalmente erogare il prestito.
    Non solo, quanto all’allungamento dei tempi necessari, va aggiunto che sono ammessi al finanziamento, in base all’art. 1 co. 1 lett. b) del D.L. 23/2020, solo le imprese non “deteriorate”, nell’accezione dei regolamenti UE, al 31.12.2019, ovvero non in condizioni di default bancario (annotazione in CRIF o divieto di emissione assegni) al 29.2.2020. Una verifica iniziale in tali sensi andrà, quindi, comunque svolta, e financo per i prestiti garantiti al 100% per le piccole imprese e per i professionisti, egualmente la banca dovrà acquisire i dati sul fatturato e sui costi del personale, fino a concorrenza del 25% del primo, ovvero del doppio dei secondi, dei quali è concedibile il prestito: il tutto in un momento in cui il sistema bancario nel suo insieme, a causa delle misure di contenimento, lavora a ranghi ridotti, con una consistente aliquota di agenzie e di filiali chiuse. La conclusione dell’istruttoria bancaria non è poi obbligatoriamente positiva: la valutazione di segno opposto non trova nel D.L. alcuno strumento che forzi per ottenere il finanziamento!

 

  1. Perché non il sistema helicopter money? Resti in piedi l’interrogativo: perché puntare sull’accesso al prestito (coi limiti appena indicati) invece di intervenire direttamente con elargizioni a fondo perduto? Quest’ultima è la strada che percorrono gli USA, col sistema del c.d. helicopter money, consistente nell’accredito sui conti correnti dei cittadini di cifre fino a $ 2.000 USD, se pure eventualmente vincolate al mantenimento dei livelli occupazionali, o la Germania, col sistema della Cassa Integrazione in deroga attraverso l’intervento diretto della KWF, la banca di Stato corrispondente alla nostra Cassa Depositi e Prestiti, che però Berlino utilizza come propria leva monetaria e finanziaria in modo autonomo rispetto alle restrizioni comunitarie.
    A chi obietta la non ammissibilità del paragone con gli USA e con lo Stato primo in Europa per capacità finanziaria, va ricordato che la perdita di sovranità monetaria nazionale a seguito dell’ingresso nell’area euro – cui, come è noto, non hanno aderito tutti gli Stati UE – non è stata equilibrata dalla devoluzione delle relative prerogative a nessun organo autenticamente sovrano, seppur comunitario: la BCE non può prestare soldi ai singoli Stati, e la stessa Commissione UE può operare sulla leva finanziaria solo se col consenso unanime di tutti gli Stati, come il recentissimo flop dell’Eurogruppo attesta, grazie alla resistenza palese dell’Olanda, e meno scoperta di altri Paesi del Nord. La crisi determinata dalla pandemia avrebbe potuto indirizzare verso tale riequilibrio; e invece, se, da un lato, il singolo Stato non può più – per buona sorte, visti gli effetti inflazionistici e di incremento del debito pubblico – stampare moneta svalutandone il valore di cambio, dall’altro, deve attendere le paralizzanti decisioni comunitarie, ovvero almeno il prolungamento del quantitative easing della BCE “whatever it takes” (Draghi dixit) per l’acquisto dei propri titoli di Stato, tale da rendere lo spread tra il loro valore e quello dei titoli tedeschi (di riferimento) non troppo alto ai fini del pagamento del tasso d’interesse a debito degli stessi.
    Qui si manifesta il limite più forte del D.L. liquidità, costituito dalla previsione (art. 1 co. 12, anticipata dall’art. 1 co. 1) della necessaria “conformità con la normativa europea in tema di aiuti di Stato, richiamata nel prologo della norma alla “Comunicazione della Commissione europea del 19 marzo  2020 recante un “Quadro temporaneo per le  misure  di  aiuto  di  Stato  a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19””): “L’efficacia dei commi da 1 a 9 è subordinata all’approvazione della Commissione Europea ai sensi dell’articolo 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”.
    Con quale potere contrattuale si può affrontare il tavolo dell’Eurogruppo se ci si è autolimitati ponendo l’aiuto al proprio sistema produttivo alla mercè dell’approvazione della Commissione UE, composta dai rappresentanti dei medesimi Stati che compongono l’Eurogruppo? Quale è il senso di dichiarare – come ha fatto il Governo italiano – NO al MES, SI’ ai coronabond, per poi rinunciare integralmente al proprio potere decisionale sulle fonti finanziarie di aiuto alla nazione, a beneficio degli stessi organi europei, la cui scarsa attenzione pure lo stesso Governo a parole lamenta? Quale efficacia può avere l’ampliamento – pure previsto dagli artt. 15, 16 e 17 del D.L. – del golden power di contrasto all’acquisto straniero di partecipazioni societarie rilevanti in settori di interesse strategico, se sarà tutto il sistema delle imprese e dei servizi ad essere drasticamente ridimensionato dalla incapacità di riprendersi dal fermo produttivo per l’epidemia?

 

  1. D.L. liquidità o liquidazione? Questo, per tacere del minuetto normativo di cui all’art. 3 del D.L., sui rapporti fra Cassa Depositi e Prestiti e SACE, esito del compromesso al ribasso raggiunto fra le due componenti della maggioranza di governo: il PD, teso al controllo diretto di SACE SpA, che è partecipata da Cassa Depositi e Prestiti, da parte del MEF, guidato dal Ministro Gualtieri, e il M5S, volto a mantenere la tradizionale vocazione di SACE SpA di organo deputato alle garanzie per il commercio con l’estero, il cui dicastero ha alla guida Di Maio. Si profila all’orizzonte con sempre maggiore concretezza, come effetto dell’irreparabile compromissione delle nostre imprese e del nostro tessuto produttivo, la cessione ai terzi migliori offerenti, restando la sola opzione se diventare la testa di ponte della presenza cinese in Europa ovvero l’ancora più dequalificata colonia della Germania. Una indicazione del dove si andrà a parare pare fornirla la nomina del dott. Vittorio Colao a capo della task force governativa per la fase 2 dell’emergenza: da ottobre scorso il dott. Colao è il CEO – nomina per la quale ha rinunciato a diventare presidente del Comitato Olimpico Milano-Cortina 2026 – della General Atlantic, fondo di private equity, attualmente impegnato nel sostegno al progetto del governo cinese del 5G, che prevede un un investimento di $ 36 mld USD.

 

avv. Renato Veneruso

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