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12. Antigone, fra diritto naturale e diritto positivo

12. Antigone, fra diritto naturale e diritto positivo

Antigone, figura mitologica audace e risoluta, sventurata ma appassionata e volitiva, è la protagonista dell’omonima tragedia di Sofocle. Appartenente alla funesta stirpe dei Labdacidi; incestuosa e malaugurata prole di Edipo e di sua madre, Giocasta, con la quale il sovrano tebano condivise involontariamente il talamo matrimoniale, dopo l’inconsapevole parricidio del suo predecessore, Laio, il suo crimine è quello di dare sepoltura al fratello Polinice dopo che Creonte, suo zio e re, aveva pubblicato un editto che la proibiva. Polinice, al comando di un esercito nemico, aveva attaccato Tebe, che era retta dall’altro fratello Eteocle, per conquistare quel che, a suo avviso, gli spettava in quanto erede del regno. Polinice e il fratello muoiono, mentre Creonte, zio materno dei fratelli morti, considera Polinice un traditore e gli nega l’onore del funerale: ordina che il suo cadavere sia abbandonato nudo, oggetto di disprezzo ed esposto alle fiere. L’etica e la coscienza individuale vengono idealmente contrapposte alla legge, all’autorità, alle norme sociali. Antigone diviene detentrice della propria verità, che decide stoicamente di concretizzare; sceglierà di mantenersi conforme a se stessa, trasgredendo l’editto imposto alla “pólis” cadmea dal despota vigente, che rappresenta il «diritto dello stato». Ella accetta con indignato e rassegnato fatalismo – ma temerariamente – la solitaria catabasi verso l’Ade «senza compianto e senza amici», ineludibile conseguenza delle proprie azioni.

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11. Insegnamenti giuridici nelle favole di Fedro

11. Insegnamenti giuridici nelle favole di Fedro

Se il diritto ha ragione di essere in quanto comunichi e promuova valori condivisi o largamente condivisibili, le fiabe di Fedro sono dense ricca di contenuto etico, la cui ripetibilità nel tempo e nello spazio diventa regola giuridica. La narrazione immaginifica fedriana può contenere più sostanza di giustizia di quanta pandette, codici e rituali procedurali non siano capaci di esprimere.

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10. Esopo, c’era una volta… la giustizia

10. Esopo, c’era una volta… la giustizia

Fra i generi letterari dell’antichità, la favola era il più “umile”, non preso tanto sul serio dai letterati e dagli uomini colti, che lo consideravano al più un intrattenimento. Ma è stato un genere che, a partire da Esopo, conobbe una diffusione vastissima: di esso restano testimonianze scritte relativamente recenti, probabilmente risalenti alla più tarda età ellenistica.

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9. Esiodo e “i Giudici divoratori di doni”

9. Esiodo e “i Giudici divoratori di doni”

Perfino Esiodo ebbe a che fare con i giudici in una contesa col fratello, e non ne ebbe una buona opinione; l’episodio non è chiaro nei dettagli, ma il disappunto fu sia verso il fratello Perse, che lo aveva condotto in giudizio per l’acquisizione dei beni paterni, sia verso i giudici, che egli definiva senza giri di parole ‘mangiatori di doni’. Dall’esperienza personale Esiodo prese spunto per riflettere sulla giustizia in termini più generali, e costruisce versi in cui spiega il senso della vita, la legge di giustizia che ne sta a fondamento e perché questa legge va seguita.

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8. La saga di Njall, faide e processi nell’Islanda dell’anno Mille

8. La saga di Njall, faide e processi nell’Islanda dell’anno Mille

Perfino nella letteratura islandese del XIII secolo il diritto e la giustizia hanno un peso centrale: le persone accusate di un crimine venivano portate davanti all’assemblea e lì il caso veniva esposto alla presenza di una giuria la cui composizione era proporzionata all’importanza del caso. Conosciuti i fatti, la giuria emetteva il verdetto e il Lögsögumaður, l’uomo che conosceva a memoria tutte le leggi della comunità, diceva alla giuria che cosa prevedesse la legge nel caso specifico.

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7. Medea (di Seneca): colpevole o giustificata?

7. Medea (di Seneca): colpevole o giustificata?

Medea è stata protagonista non soltanto della tragedia greca, bensì pure di quella latina. Seneca, filosofo ma pur sempre uomo romano, non poteva rappresentare asetticamente un mito inaccettabile per il mos maiorum: una donna capace di azione, e anche omicida! Attraverso il coro, l’Autore condanna Medea  senza appello: è una donna fuori controllo, un animo che ha ceduto alle passioni, al rancore e alla gelosia, abbandonando quell’atarassia che della filosofia stoica è il centro focale. Al di là delle interpretazioni degli autori greci e latini sul mito di Medea, agli occhi moderni l’attenzione dovrebbe essere posta su un altro aspetto: Medea, colpevole o giustificata? Perché ha agito in quel modo, che cosa abbia fatto scaturire tanto odio o passione o ira? Quali sono i retroscena?

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6. Le Vespe di Aristofane quale rappresentazione del rapporto tra giustizia e politica

6. Le Vespe di Aristofane quale rappresentazione del rapporto tra giustizia e politica

Nella commedia Le Vespe Aristofane prende di mira la proliferazione dei processi dell’Atene dei suoi tempi (V sec. a. C.). A fronte di Ateniesi assai litigiosi, che per questo e ricorrevano spesso alla giustizia di Stato, l’interminabile guerra del Peloponneso aveva reso le giurie popolari composte quasi esclusivamente da persone anziane, che si illudevano di “pungolare” come le vespe, ovvero svolgere ancora una funzione sociale importante. Per Aristofane essi sono invece soltanto uno strumento nelle mani del potere, in particolare di Cleone, uomo politico ateniese bersaglio dei suoi strali. Cleone aveva portato da due a tre oboli il compenso per i giudici popolari, oltre la metà dello stipendio mensile di un operaio, e questo accresceva il desiderio degli Ateniesi d far parte delle giurie e di moltiplicare i processi.

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5. Terenzio e la Heautontimorùmenos: la commedia alle radici dell’idea dei diritti umani

5. Terenzio e la Heautontimorùmenos: la commedia alle radici dell’idea dei diritti umani

A parte alcune esegesi riduttive, la nota battuta con la quale Cremete risponde a Menedemo agli inizi del primo atto del Heautontimorumenos di Terenzio: “Homo sum: humani nihil a me alienum puto “(v. 77), viene concordemente considerata il primo esplicito manifesto di un ideale di humanitas in ambiente romano. Un ideale che, partendo da radici elleniche (la philanthropìa), in particolare quella insegnata da Epicuro), attraverso Roma transiterà nel mondo cristiano e poi nel corso dei secoli in larga parte delle civiltà europee ed extraeuropee.

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4. Plauto: la compravendita nellE commedie Mostellaria e Curculio

4. Plauto: la compravendita nellE commedie Mostellaria e Curculio

L’intreccio di alcune commedie di Plauto costituisce un punto di partenza per avviare una rilettura delle fonti giuridiche e letterarie, con l’intento di proporre una nuova e rinnovata riflessione, a proposito della compravendita. Nelle commedie Mostellaria e nel Curculo si attesterebbe il superamento, nella prassi, della necessità dell’atto traslativo ai fini dell’esecuzione della compravendita e alla conseguente sufficienza, per l’adempimento degli obblighi del venditore, del trasferimento al compratore non piú del dominium ma solo dell’habere licere della cosa venduta.

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3. Eumenidi, se il favor rei ha 25 secoli

3. Eumenidi, se il favor rei ha 25 secoli

Con questo contributo del prof. avv. Vincenzo Vitale prosegue la riflessione a puntate sulla relazione fra il diritto, la letteratura e il teatro, tesa a individuare insegnamenti giuridici in grandi opere letterarie, antiche e moderne aperta dagli interventi sui testi di Omero https://www.centrostudilivatino.it/iliade-e-odissea-fonti-del-diritto-nellantica-grecia/ e su Edipo re https://www.centrostudilivatino.it/2-edipo-re-e-il-processo-penale/

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