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Pubblichiamo l’articolo di Alfredo Mantovano apparso su Tempi l’1 giugno 2016.

Nel percorso parlamentare che ha condotto all’approvazione della legge Cirinnà la parte dell’attuale maggioranza dichiaratasi “pro family” ha vantato come straordinario risultato l’eliminazione dell’obbligo di fedeltà dal catalogo dei doveri dei civiluniti dello stesso sesso: su questa eliminazione ha puntato per mostrare quanto il nuovo regime delle convivenze sia diverso da quello delle famiglie fondate sul matrimonio.

Sulla quasi totale sovrapponibilità delle due discipline ci siamo già soffermati in passato: la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha sempre affermato che ogni Stato – fra quelli che aderiscono al Consiglio d’Europa – può scegliere, fatti salvi i diritti più elementari (dall’assistenza sanitaria alla successione nella locazione), se disciplinare le unioni civili in modo eguale o in modo distinto rispetto all’unione matrimoniale. Se però il singolo Stato opta per un regime sostanzialmente eguale, far restare fuori qualcosa dal regime delle unioni costituisce una discriminazione, secondo i parametri della stessa Cedu, che va “sanata” con la completa equiparazione.

La legge appena firmata dal capo dello Stato individua un regime delle unioni civili identico a quello del matrimonio quanto al rito, ai diritti e ai doveri reciproci, fino alla legittima nella successione e alla reversibilità della pensione: è lecito nutrire qualche dubbio, alla luce della giurisprudenza europea, che la facoltà di cornificare il partner rappresenti elemento di così radicale differenza da far parlare di regimi diversi.

A distanza di pochi giorni dal voto finale, il traguardo raggiunto da Alleanza popolare nella legge Cirinnà rischia di dare slancio verso la più completa parificazione fra i due istituti. Nelle stesse ore in cui il Senato era impegnato a esaminare la legge, un gruppo di senatori – prima firmataria Laura Cantini (Pd), ma con Cirinnà e Lo Giudice fra i sottoscrittori – ha depositato il disegno di legge n. 2253, coincidente con un solo articolo: con esso si elimina la fedeltà dal novero dei doveri matrimoniali, e quindi dal testo dell’articolo 143 del codice civile (insieme col 144 e col 147 esso viene letto al momento della celebrazione delle nozze). Nella relazione che accompagna la proposta si spiega che bisogna tener conto della “trasformazione della realtà” e non penalizzare il coniuge infedele quanto alla regolamentazione degli alimenti o ad altre ricadute di tipo patrimoniale.

Sono ben consapevole che c’è una bella differenza fra un progetto di legge e una legge approvata, e che aver proposto l’eliminazione dell’obbligo di fedeltà coniugale non vuol dire necessariamente che si giunga a una norma che lo sancisca. Sono altrettanto consapevole che la previsione di un dovere non fornisce garanzia in ordine al suo adempimento: l’elenco della casistica di tradimenti fra marito e moglie è più lungo dell’Equatore.

Mi limito a osservare che, seguendo questa logica, si potrebbe eliminare pure il dovere di reciproca assistenza morale e materiale, contenuto nella stessa disposizione del codice civile: è osservato da tutti nella pratica? E perché farne carico al poveretto che perde il lavoro e, senza cercarne un altro, scarica l’intero peso della sussistenza della famiglia sull’altro coniuge? O l’obbligo di coabitazione: di notte mio marito russa, per questo dormo nella casa di fianco. O i doveri nei confronti dei figli.

Il compito del legislatore
Se il metro della previsione normativa di obblighi importanti fosse quello della loro ottemperanza, da tempo il furto sarebbe scomparso dal codice penale; invece continua a esserci: perché? Perché spetta al legislatore indicare le regole fondamentali per il corpo sociale: eliminarle col pretesto che molti non le osservano equivale a rendere indifferente un comportamento naturalmente illecito. Tutto ciò risponde a logica. Ma sappiamo bene che la logica è tenuta rigorosamente fuori dalla legge sulle unioni civili, da chi l’ha imposta senza consentire che se ne discutesse e da chi l’ha votata nonostante cianci di tutela della famiglia. Perché mai se ne dovrebbe riscoprire la necessità?

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