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Tra i passaggi controversi della riforma Bonafede-Cartabia va senz’altro annoverato anche il testo del nuovo comma 1-bis dell’articolo 578 cod. proc. pen., che regolamenta l’ipotesi dell’azione civile esperita nel giudizio penale, cui sia seguita in primo grado la condanna, anche generica, in favore della parte civile alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato e, poi, l’improcedibilità ex articolo 344-bis cod. proc. pen.. La riforma non sembra offrire alla parte civile adeguate certezze, anzitutto sotto il profilo della ragionevole durata del processo, che per la posta risarcitoria dovrebbe essere riassunto nella sede civile.

1.Nella notte tra il 2 ed il 3 agosto 2021 la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge recante la “delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”, meglio noto come riforma Bonafede-Cartabia.

In attesa dell’esame da parte del Senato, i primi commentatori hanno sollevato perplessità sulla tenuta costituzionale degli istituti che il d.d.l. introduce, e più in generale sulla valenza complessiva della riforma e sulla sua idoneità a raggiungere gli obiettivi dichiarati, coniugando le esigenze di efficientamento del sistema con i diritti e le garanzie delle parti del processo penale.

Uno dei nodi più complessi è quello relativo alla nuova improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione – istituto in ragione del quale il processo penale si conclude ex abrupto con la declaratoria di improcedibilità se il giudizio d’appello o quello di cassazione non vengono definiti nel termine massimo indicato dal nuovo articolo 344-bis cod. proc. pen. – in relazione alla quale si rimanda, per una più articolata disamina, ai contributi presenti su questo sito (v., da ultimo, https://www.centrostudilivatino.it/improcedibilita-e-prescrizione-perche-il-rimedio-e-peggiore-del-male/).

La riforma interessa profili più propriamente civilistici, poiché le modifiche riguardano anche il testo dell’art. 578 cod. proc. pen. Nella formulazione attuale[1] esso ha per oggetto gli effetti civili della decisione con cui il giudice penale dichiara l’estinzione del reato per amnistia o prescrizione; lo si riforma inserendo un nuovo comma 1-bis, a mezzo del quale si prevede che “Quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare improcedibile l’azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 344-bis,rinviano per la prosecuzione al giudice civile competente per valore in grado di appello, che decide valutando le prove acquisite nel processo penale[2].

2. Un primo dato balza agli occhi: mentre nel caso di declaratoria di estinzione del reato per amnistia o prescrizione al giudice penale è comunque riservata la decisione sull’impugnazione, se pure ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili (art. 578, co. 1, cod. proc. pen.), ciò non avviene nel caso di declaratoria di improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione (nuovo art. 578, co. 1-bis, cod. proc. pen.).

Tale scelta sembra conseguire al fatto che gli istituti di cui al comma 1 dell’art. 578 cod. proc. pen. hanno natura sostanziale[3], mentre l’improcedibilità di cui al comma 1-bis avrebbe natura strettamente processuale[4]. Probabilmente è tale considerazione che ha indotto gli estensori del d.d.l. a optare per una formulazione del testo della novella diverso da quello esteso nel comma 1 dell’articolo 578 cod. proc. pen. e molto più simile a quello contenuto nell’articolo 622 cod. proc. pen[5], relativo al diverso caso di annullamento della sentenza ai soli effetti civili da parte della Corte di Cassazione.

Viene così sancita una netta separazione delle posizioni processuali dell’imputato e della parte civile: al primo (l’imputato) – nella più generale cornice delle finalità deflattive del processo penale tracciata dal d.d.l. – viene assicurato l’immediato accesso a un istituto (l’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione) che chiude all’istante la vicenda penale e che è, peraltro, in netta ed evidente controtendenza rispetto alla pur recente riforma della prescrizione operata con la legge 9 gennaio 2019 n. 3; alla seconda (la parte civile) viene invece preclusa la facoltà di veder decisa in via definitiva la pretesa risarcitoria legittimamente avanzata nella sede penale, che dovrà giocoforza migrare nella differente sede civile.

3. La distonia ha destato condivisibili perplessità, per le pregiudizievoli ricadute sulla posizione della parte civile; perplessità ben sintetizzate nel parere reso dal CSM lo scorso 29 luglio 2021, quando il d.d.l. ancora doveva essere approvato alla Camera dei Deputati: “A parte l’equivoca disposizione in cui è previsto che il giudice civile decida “valutando le prove acquisite nel processo penale” di cui non è chiara la assoluta intangibilità delle prove assunte in altro giudizio, si può paventare un effetto paradossale dalla riforma, ossia che la ragionevole durata del processo sia assicurata solo agli imputati, mentre per le parti civili vi sarebbe una disciplina deteriore rispetto a quanto ad oggi previsto dall’art. 578 cod. proc. pen. in caso di dichiarazione di prescrizione del reato pronunciata nel giudizio di gravame.

Infatti in tali ultimi casi la norma fa salva la decisione di primo grado di condanna al risarcimento del danno anche con un’eventuale provvisionale, a volte con la provvisoria esecutività di tali statuizioni (artt. 539-540 c.p.p.), che diverrebbero invece inefficaci a seguito della declaratoria di improcedibilità”[6].

I punti controversi sembrano essere sostanzialmente tre: 1) la riforma assicura la ragionevole durata del processo penale, ma pregiudica la posizione della parte civile, in quanto la sua pretesa risarcitoria non è definita nella sede prescelta (penale) ma reindirizzata al giudice civile, con inevitabile dilatazione dei tempi processuali; 2) le prove verrebbero acquisite nel primo grado di un processo penale che si concluderebbe poi, in appello (o in cassazione), con una declaratoria di improcedibilità, con successiva valutazione delle prove assunte in sede penale da parte del giudice civile; 3) la parte civile subirebbe l’ulteriore pregiudizio per il fatto che le statuizioni civili contenute nella sentenza penale di condanna resa nel primo grado di giudizio (il riconoscimento della c.d. provvisionale, etc.) risulterebbero inefficaci a seguito della sentenza di improcedibilità pronunciata dal giudice dell’impugnazione.

4. Quello della ragionevole durata del processo è un tema la cui portata non è limitata alla posizione dell’imputato; si tratta di un diritto di valenza e carattere generali, che l’articolo 111 Cost. e l’articolo 6 della Convenzione EDU assicurano a tutte le parti del processo, civile o penale che esso sia.

Le Corti internazionali – in particolare la Corte EDU – sono sempre più tese a valorizzare il diritto della vittima di reato alla ragionevole durata del processo: basti ricordare la recente sentenza della Corte EDU, Sez. I, 18 marzo 2021, Petrella c. Italia, ric. n. 24340/07, con cui l’Italia è stata condannata per l’ingiustificata inerzia dell’autorità giudiziaria, che in un caso di non particolare complessità, e senza che fossero compiuti atti istruttori, aveva concluso le indagini preliminari dopo ben cinque anni e mezzo con un provvedimento di archiviazione per prescrizione del reato, che aveva precluso alla persona offesa di agire per il risarcimento del danno da reato, mediante l’esercizio dell’azione civile nel tipo di procedimento (penale) che egli aveva scelto di avviare in conformità alle vigenti disposizioni di legge.

5. Vi è inoltre da considerare che la decisione della vittima di reato di azionare la pretesa risarcitoria davanti al giudice penale piuttosto che di introdurla in un autonomo giudizio civile, deve ritenersi il risultato di una scelta consapevole operata dalla persona offesa, che si prende i vantaggi indubbiamente connessi all’economia processuale del simultaneus processus, rinunciando però alle specificità del processo civile, consapevole del fatto che “al di fuori di quanto attiene alla natura “civilistica” dell’azione, i poteri ed i comportamenti processuali della parte civile sono disciplinati dal codice di procedura penale[7].

La persona offesa potrebbe inoltre decidere di esperire l’azione civile nel processo penale in considerazione di specifiche valutazioni legate alle diverse modalità di introduzione della prova nel processo, che caratterizzano e differenziano la sede penale da quella civile. E’ noto infatti che nel processo penale, per effetto di quanto disposto dall’articolo 191 cod. proc. pen., “le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate”. Non così nel processo civile, ove “la categoria dell’inutilizzabilità prevista ex art. 191 c.p.p. in ambito penale non rileva” in quanto le c.d. prove atipiche sono comunque ammissibili, nonostante siano state assunte in un diverso processo in violazione delle regole a quello esclusivamente applicabili, e questo è possibile perché il contraddittorio è comunque assicurato dalle modalità tipizzate di introduzione della prova, tipiche del giudizio civile[8].

Il citato parere del Consiglio Superiore della Magistratura richiama l’equivoca disposizione che rimette al giudice civile la valutazione di prove acquisite nel processo penale. Il CSM dubita della “assoluta intangibilità” nella sede civiledelle prove assuntenel giudizio penale e il dubbio appare non scevro di fondamento, perché il comma 1-bis dell’articolo 578 cod. proc. pen. sembra autorizzare il giudice civile a valutare in quella specifica sede le risultanze dell’istruttoria risalente al processo penale di primo grado, secondo un meccanismo non dissimile da quello previsto nell’ambito del giudizio di rinvio ex 622 cod. proc. pen., rispetto al quale la Corte di Cassazione ha più volte chiarito che “la corte di appello competente per valore, alla quale la Corte di cassazione in sede penale abbia rinviato il procedimento ai soli effetti civili, può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte nel precedente giudizio penale e ricavate direttamente dalla sentenza rescindente”[9], e sottoporle – al pari di qualsiasi altra prova atipica – ad autonoma valutazione, specificamente rivolta ad accertare la responsabilità civile del soggetto agente.

La differenza sostanziale tra i due procedimenti sta però nel fatto che il giudizio di rinvio previsto dal comma 1-bis dell’articolo 578 cod. proc. pen. – contrariamente a quanto avviene nel giudizio di rinvio conseguente all’annullamento in Cassazione della sentenza ai soli effetti civilisi innesterebbe su un processo penale travolto in appello dalla declaratoria di improcedibilità.

Sotto questo profilo il comma 1-bis che la riforma Bonafede-Cartabia inserisce nell’art. 578 cod. proc. pen. sembra spalancare il campo a problemi concernenti i profili, fra loro connessi, della intangibilità delle prove acquisite nella sede penale (e nell’ambito di un processo poi concluso con pronuncia di improcedibilità) e della valutazione da parte del giudice civile di tali prove. Esso non premia – anzi, al contrario, ingiustificatamente penalizza – la scelta della persona offesa di esercitare l’azione civile nella sede penale, perché la priva del carattere di ragionevole stabilità, e la connota di una nuova precarietà e ambulatorietà, dovute al sempre possibile ritorno alla sede civile che consegue alla pronuncia di improcedibilità in appello ex articolo 344-bis cod. proc. pen., con buona pace per la precedentemente scelta della via penale da parte della persona offesa dal reato.

Angelo Salvi


[1] Art. 578 – Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione: «1. Quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili».

[2] Viene riscritta – per evidenti ragioni di allineamento al nuovo testo – anche la rubrica dell’art. 578 cod. proc. civ.: «Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione e nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione».

[3] Per un rapido riscontro si rinvia al contributo a firma di Matteo Bertelli Motta, in https://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2020/01/08/prescrizione-penale: «diversamente da quanto accade in altri paesi, anche europei, nell’ordinamento italiano la prescrizione è istituto di natura non processuale, bensì sostanziale: ad esso sono quindi applicabili le fondamentali garanzie che tradizionalmente caratterizzano la materia penale, e cioè il principio di legalità ed il divieto di applicazione retroattiva di eventuali modifiche normative sfavorevoli per il reo. La natura sostanziale della prescrizione è stata più volte affermata anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale la quale – chiamata a confrontarsi con la diversa impostazione adottata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso “Taricco” – ha chiaramente affermato che “la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità” (C. Cost., ord. n. 24 del 23.11.2016, dep. 26.01.2017, seguita poi, in termini analoghi, da C. Cost., sent. n. 115 del 10.04.2018, dep. 31.05.2018)».

[4] Seppur in altro contesto (quello relativo all’interesse della parte civile a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento dell’imputato per improcedibilità dell’azione penale dovuta a difetto di querela), le Sezioni Unite hanno già tracciato i termini dell’interesse azionabile dalla parte civile nel processo penale, strettamente connesso ad una specifica ed esclusiva finalità, che è quella di preservare e perseguire la responsabilità civile dell’imputato; in questo senso, afferma la Corte, «la partecipazione di detta parte al giudizio penale in tanto è giustificata ed ammessa processualmente in quanto si riconnetta alla giurisdizione limitata spettante, come detto, al giudice penale sulla domande di risarcimento e restituzione formulate dalla parte civile nei confronti dell’imputato: cognizione che presuppone appunto l’accertamento del fatto reato con effetti diretti ovvero incidentali nei confronti del prevenuto» (così Cass. pen. Sez. Unite Sent., 21-06-2012, n. 35599).

[5] Art. 622 – Annullamento della sentenza ai soli effetti civili «1. Fermi gli effetti penali della sentenza, la corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l’annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile».

[6] Documento reperibile sul sito istituzionale del Consiglio Superiore della Magistratura al seguente link: https://www.csm.it/documents/21768/92150/parere+riforma+processo+penale+I+parte+%28improcedibilit%C3%A0%29+%28delibera+29+luglio+2021%29/aa1f1906-4a7c-830d-75ac-24bac868bd6d.

[7] Così Cass. pen. Sez. Unite Sent., 21-06-2012, n. 35599.

[8] Così Cass. civ. Sez. III Sent., 05-05-2020, n. 8459, che peraltro ribadisce come, anche nel processo civile, «resta precluso l’accesso alle prove la cui acquisizione concreti una diretta lesione di interessi costituzionalmente garantiti della parte contro la quale esse siano usate».

[9] Così Cass. civ. Sez. III Sent., 15-01-2020, n. 517.

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