Pubblichiamo la traduzione, curata in esclusiva per il nostro sito dall’avv. Stefano Nitoglia, della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – sez. V del 9 giugno 2016 Chapin e Charpentier vs Francia sulla non obbligatorietà, alla stregua della Convenzione europea per il diritti dell’uomo, di introdurre nella legislazione interna dei singoli Stati il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Al più presto faremo seguire un commento.
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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
Sezione Quinta
Causa Chapin e Charpentier c. Francia
(Ricorso n. 40183/07)
Sentenza
Strasburgo
9 giugno 2016
La sentenza diverrà definitiva secondo le condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Essa può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Chapin e Charpentier c. Francia.
La Corte europea dei diritti dell’uomo (quinta sezione), nel collegio composto da:
Angelika Nussberger, presidente
Khanlar Hajiyev,
Erik Mose,
André Potocki,
Faris Vehabovic,
Siofra O’Leary,
Martins Mits, giudici
e da Claudia Westerdiek, cancelliere di sezione
Dopo averne deliberato nella camera di consiglio del 10 maggio 2016
Emana la seguente sentenza adottata in questa data:
Procedimento
- All’origine della causa si trova un ricorso (n. 40183/07) rivolto contro la Repubblica francese, nel quale due ricorrenti di questo Stato, Signori Stéphan Chapin e Bertrand Charpentier (“i ricorrenti”), hanno adito la Corte il 6 settembre 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione della salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“ la Convenzione”).
- I ricorrenti sono stati rappresentati dal Sig. C. Mécary, avvocato a Parigi. Il governo francese (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, Signora E. Belliard, direttrice degli affari giuridici al ministero degli Affari esteri, alla quale è succeduto M. F. Alabrune.
- I ricorrenti allegano in particolare la violazione dell’articolo 14 combinato con gli articoli 8 e 12 della Convenzione in ragione dell’annullamento del matrimonio.
- Il 7 aprile 2009, il ricorso è stato comunicato al Governo. Le parti hanno presentato delle osservazioni sulla ammissibilità e il merito della questione.
- Il 31 agosto 2010 il Collegio ha deciso di aggiornare la decisione sulla tenuta di un’udienza in attesa della sentenza nella causa Shalk e Kopf c. Austria (n. 30141/04), CEDH 2010).
- L’8 aprile 2011, il presidente del Collegio ha deciso, secondo l’articolo 29 § 3 della Convenzione, che il Collegio si pronuncerà contemporaneamente sulla ammissibilità e il merito. Le parti hanno presentato delle osservazioni aggiuntive.
- Il 24 ottobre 2012, il presidente ha deciso di aggiornare l’esame del ricorso nell’attesa dell’adozione del disegno di legge che permette il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
- In seguito alla promulgazione della legge del 17 maggio 2013 “che apre il matrimonio alle coppie dello stesso sesso”, le parti hanno presentato delle nuove osservazioni aggiuntive.
- Sono state, altresì, ricevute delle osservazioni comuni da parte della FIDH (Federazione internazionale delle leghe dei diritti dell’uomo), della CIJ (Commissione internazionale dei giuristi), del Centro AIRE (Advice on Individuale Rights in Europe) e dall’ILGA-Europe (European Region of the International Lesbian and Gay Association), rappresentate da M.R. Wintermute, che il presidente aveva autorizzato ad intervenire nella procedura scritta in quanto terzi intervenuti ( articoli 36 § 2 della Convenzione e 44 § 3a) del regolamento).
In fatto
- Le circostanze del caso
- I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1970 e nel 1973 e sono residenti a Plassac (Gironda).
- Nel mese di maggio 2004, i ricorrenti depositarono una richiesta di matrimonio presso l’ufficio dello stato civile del comune di Bègles (Gironda). Il 25 maggio 2004, l’ufficiale di stato civile del comune fece le pubblicazioni di matrimonio.
- Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di grande istanza di Bordeaux fece notificare, rispettivamente il 27 maggio e il 3 giugno 2004, per mezzo dell’ufficiale giudiziario, la sua opposizione al matrimonio all’ufficiale dello stato civile del comune di Beglès e ai ricorrenti.
- Il 5 giugno 2004, nonostante questa opposizione, il sindaco di Bègles, nella sua qualità di ufficiale di stato civile, celebrò il matrimonio dei ricorrenti e lo trascrisse sui registri dello stato civile.
- Il 22 giugno 2004, il Procuratore della Repubblica citò i ricorrenti davanti il Tribunale di grande istanza di Bordeaux onde ottenere la pronuncia di nullità del matrimonio.
- Con decisione del 27 luglio 2004, il Tribunale accolse la domanda del procuratore. Esso constatò che secondo il diritto francese la differenza dei sessi era una condizione del matrimonio, stimò che questa condizione non costituiva una violazione degli articoli 12, 8 e 14 della Convenzione così come interpretati dalla Corte e concluse che, se l’evoluzione dei costumi o il rispetto del principio di uguaglianza poteva condurre a una ridefinizione del matrimonio, questa questione doveva essere oggetto di un dibattito e necessitava dell’intervento del legislatore. Conseguentemente, il Tribunale annullò il matrimonio dei ricorrenti e ordinò la trascrizione della sentenza a margine dei loro atti di nascita e dell’atto di matrimonio.
- Con sentenza del 19 aprile 2005, la Corte di Appello di Bordeaux, confermò il giudizio di primo grado. Essa constatò, in primo luogo, analogamente al Tribunale, che nel diritto francese la differenza di sesso era una condizione di esistenza del matrimonio. Esaminando in seguito questa condizione in relazione agli articoli 12, 8 e 14 della Convenzione, la Corte di Appello rilevò innanzitutto che la legislazione francese permetteva, segnatamente attraverso la convivenza e il patto civile di solidarietà, aperti alle persone dello stesso sesso o di sesso differente, “molteplici possibilità di vita in coppia, con o senza figli, la legge e la giurisprudenza assicurando un’uguale protezione per tutti e diritti uguali per i figli”, di modo che essa non rilevava “nessuna discriminazione nel diritto di costituire una coppia, di vivere in coppia, sia dello stesso sesso o di sesso differente, né di fondare una famiglia liberamente scelta naturale o legittima, con possibilità di adozione”.
- La Corte aggiunse ciò che segue:
“La specificità, e non discriminazione, proviene dal fatto che la natura non ha reso potenzialmente feconde che le coppie di sesso differente e che il legislatore (…) ha voluto prendere in considerazione questa realtà biologica e “determinare le sue forme” inglobando la coppia e la sua conseguenza prevedibile, i figli nati da essa, in un’istituzione specifica chiamata matrimonio, scelta legislativa mantenuta nei tempi (…)
Tutte le coppie sessualmente differenziate, costituite per una eventualità di filiazione comune, sono trattate ugualmente dal momento che esse hanno libera scelta e libero accesso al matrimonio. E’ certo che le coppie dello stesso sesso, che la natura non ha creato potenzialmente feconde, non sono, in conseguenza, ricomprese in questa istituzione. In ciò il loro trattamento giuridico è differente, perché la loro situazione non è analoga.
Ma esse hanno peraltro il diritto di veder riconoscere la loro unione alle stesse condizioni di tutte le coppie di sesso differente che non desiderano sposarsi, cosicché la distinzione risultante da questa specificità è obiettivamente fondata, giustificata da uno scopo legittimo e rispetta un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo che si vuole raggiungere”.
- Infine, la Corte d’Appello ha esaminato le conseguenze prevedibili – in particolare su più disposizioni del codice civile – della eventuale riforma della sentenza di primo grado, che porterebbe, senza preparazione legislativa, a uno “ sconvolgimento dei principi” che reggono le regole della filiazione ed ha reputato, analogamente al Tribunale, che non aveva la competenza di decidere un problema sociale che non poteva che essere oggetto di un dibattito politico e di un intervento del legislatore.
- Gli appellanti hanno ricorso in cassazione. Nella loro memoria aggiuntiva, hanno invocato gli articoli 8, 12 e 14 della Convenzione e si sono fondati sulla pertinente giurisprudenza della Corte.
- Con sentenza del 13 marzo 2007, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, rilevando in particolare che “secondo la legge francese, il matrimonio è l’unione di un uomo e di una donna” e che questo principio non era contraddetto da alcuna delle disposizioni della Convenzione e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la quale, ha sottolineato la Cassazione, non aveva in Francia forza obbligatoria.
- IL DIRITTO E LA PROCEDURA INTERNI E INTERNAZIONALI PERTINENTI
- All’epoca dei fatti, l’articolo 144 del codice civile era così redatto:
“L’uomo prima dei diciotto anni compiuti e la donna prima dei quindici anni compiuti, non possono contrarre matrimonio.”
- Peraltro, l’articolo 75 dello stesso codice, relativo alla celebrazione del matrimonio, disponeva nel suo ultimo paragrafo che l’ufficiale di stato civile doveva ricevere da ciascuna parte “la dichiarazione che esse vogliono prendersi per marito e moglie.”
- Adito il 16 novembre 2010 dalla Corte di Cassazione su una questione preliminare di costituzionalità su quelle disposizioni del codice civile, il Consiglio costituzionale le ha dichiarate conformi alla Costituzione con decisione del 28 gennaio 2011. Esso ha in particolare considerato che il diritto di condurre una vita familiare normale non implicava il diritto di sposarsi per le coppie dello stesso sesso, che mantenendo il principio secondo il quale il matrimonio è l’unione di un uomo di una donna, il legislatore aveva reputato che la differenza di situazione tra le coppie dello stesso sesso e le coppie composte da un uomo ed una donna poteva giustificare una differenza di trattamento quanto alle regole del diritto di famiglia e che non era di sua competenza (del Consiglio) sostituire la sua valutazione a quella del legislatore.
- Dopo l’adozione della legge n. 2013-404 del 17 maggio 2013 che ha concesso il matrimonio alle coppie di persone dello stesso sesso, il nuovo articolo 143 del codice civile si legge così: “Il matrimonio è contratto da due persone di sesso differente o dello stesso sesso.”
- Secondo l’articolo 515-1 del codice civile, il patto civile di solidarietà (Pacs), istituito dalla legge 15 novembre 1999, è “un contratto concluso da due persone fisiche maggiorenni, di sesso differente o dello stesso sesso, per organizzare la loro vita comune.” Il Pacs implica per i partner un certo numero di obblighi, tra i quali quelli di mantenere una vita comune e di apportarsi un aiuto materiale e un’assistenza reciproci.
Il Pacs conferisce ugualmente ai partner taluni diritti in materia fiscale, patrimoniale e sociale. I partner costituiscono così un solo nucleo fiscale; essi sono peraltro assimilati agli sposati per l’esercizio di alcuni diritti, specialmente nel campo delle assicurazione di malattia e maternità e delle assicurazione sui rischi di morte. Alcuni effetti propri del matrimonio restano inapplicabili ai partner del Pacs, la legge non creando, in particolare, legami di unione o di vocazione ereditaria tra i partner. In particolare lo scioglimento del Pacs sfugge alle procedure giudiziarie di divorzio e può intervenire su semplice dichiarazione congiunta dei partner o decisione unilaterale di uno di essi portata a conoscenza della sua controparte (articolo 515-7 del codice civile). Di più, il Pacs non ha alcuna incidenza sulle disposizioni del codice civile relative alla filiazione adottiva e alla potestà genitoriale (Gas et Dubois c. France, n. 25951/07, § 24, CEDH 2012).
- Quanto alla convivenza, essa è definita dall’articolo 515-8 dello stesso codice come “ una unione di fatto, caratterizzata da una vita comune che presenta un carattere di stabilità e di continuità, tra due persone di sesso differente o dello stesso sesso, che vivono insieme.”
- Una esposizione di diritto comparato in materia, così come dei relativi testi del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea, si trova nella sentenza Oliari e altri c. Italia (n. 18766/11 e 36030/11, §§ 53-64, 21 luglio 2015).
In diritto
- Sull’allegata violazione del combinato disposto dell’articolo 12 e dell’articolo 14 della Convenzione
- I ricorrenti reputano che il fatto di limitare il matrimonio alle persone di sesso differente costituisce una violazione discriminatoria al diritto di sposarsi. Essi invocano gli articoli 12 e 14 combinati della Convenzione, che si leggono così:
Articolo 12
“ A partire dall’età nubile, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di questo diritto.”
Articolo 14
“ Il godimento dei diritti e libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato, senza alcuna distinzione, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza religiosa, il patrimonio, la nascita o qualsiasi altra situazione.”
- Il Governo si oppone a questa tesi.
- Sull’ammissibilità
- Nelle sue osservazioni iniziali il Governo ha sollevato l’incompatibilità ratione materiae di questo gravame con le disposizioni della Convenzione.
31 La Corte ricorda che, nella sentenza Schalk e Kopf c. Austria (n. 30141/04, § 61, CEDH 2010) essa ha ammesso, riferendosi in particolare all’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che l’articolo 12 si applicava al gravame dei ricorrenti (v. anche Hàmalainen c. Finlandia (GC), n. 37359/09, § 110, CEDH 2014 e Oliari e altri citato, § 191). Essa non vede alcuna ragione per concludere differentemente nella presente causa.
- Pertanto, l’eccezione del Governo deve essere rigettata. La Corte constata inoltre che questo gravame non è manifestamente infondato, ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e che esso non contrasta peraltro con alcun altro motivo di inammissibilità. Essa Corte lo dichiara dunque ammissibile.
- Sul merito
- 1. Argomenti delle parti e dei terzi intervenuti
- a) Le parti
- I ricorrenti reputano di essere stati oggetto di una discriminazione fondata sui loro orientamenti sessuali per interdire loro il beneficio del diritto al matrimonio garantito dall’articolo 12. Essi fanno valere che, se avessero avuto un orientamento eterosessuale, essi avrebbero avuto accesso a tre regimi di protezione della coppia ( la convivenza, il Pacs e il matrimonio) e sottolineano che la protezione giuridica offerta dal Pacs è inferiore a quella del matrimonio. Essi considerano che questa discriminazione non mira ad alcuno scopo legittimo ( e che in particolare la protezione dell’equilibrio giuridico relativo alla famiglia e alla filiazione, citata dal Governo non costituisce un tale scopo) e che essa non è proporzionata.
- Fondandosi sulla sentenza Schalk e Kopf citata, e sull’affermazione che fa la Corte che “l’articolo 12 non impone al Governo resistente l’obbligo di aprire il matrimonio a una coppia omosessuale come quella dei ricorrenti”, il Governo ne deduce che i ricorrenti non possono approfittarsi di una qualsiasi discriminazione nei loro confronti per il fatto che la legislazione francese riserva il matrimonio alle coppie costituite da un uomo e da una donna. Nelle sue ultime osservazioni, esso sottolinea che in seguito all’entrata in vigore della legge 17 maggio 2013, i resistenti possono ormai concludere un matrimonio conformemente alle leggi della Repubblica.
- a) I terzi intervenuti
- Le quattro organizzazioni terze intervenute hanno fatto pervenire delle osservazioni identiche a quelle che sono state depositate nell’affare Schalk e Kopf citato (§§ 47-48).
- Decisione della Corte
- Nella sentenza Schalk e Kopf (§§ 58-63), la Corte ha detto che, se l’istituzione del matrimonio era stata profondamente sconvolta dall’evoluzione della società dopo l’adozione della Convenzione, non esisteva un consenso europeo sulla questione del matrimonio omosessuale. Essa ha considerato che l’articolo 12 della Convenzione s’applicava al gravame dei ricorrenti, ma che l’autorizzazione o il divieto al matrimonio omosessuale era regolato dalle leggi nazionali degli Stati contraenti. Essa ha ritenuto che il matrimonio possedeva delle connotazioni sociali e culturali profondamente radicate suscettibili di differire notevolmente da una società a un’altra ed ha ricordato che essa non doveva affrettarsi a sostituire la sua valutazione a quella delle autorità nazionali, meglio collocate per apprezzare i bisogni della società e rispondervi. Essa ha dunque concluso che l’articolo 12 non imponeva al governo resistente l’obbligo di aprire il matrimonio a una coppia omosessuale come quella dei ricorrenti (v. ugualmente Gas e Dubois c. France, n. 25951/07, § 66 CEDH 2012).
- La Corte ha reiterato questa conclusione nelle recenti sentenze Hamalainen e Oliari citate. Nella sentenza Hamalainen (§ 96), essa ha ricordato che l’articolo 12 consacrava il concetto tradizionale di matrimonio, vale a dire l’unione di un uomo e di una donna e che, se era vero che un certo numero di Stati membri avevano permesso il matrimonio ai partner dello stesso sesso, questo articolo non poteva essere considerato come imponente un pari obbligo agli Stati contraenti.
- Nella sentenza Oliari e altri (§§ 192-194), essa ha affermato che queste conclusioni restavano valide malgrado l’evoluzione graduale degli Stati nella materia, 11 Stati membri del Consiglio d’Europa avendo autorizzato ormai il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Essa ha ricordato di aver stabilito nella sentenza Scalk e Kopf, che, tanto quanto l’articolo 12, l’articolo 14 combinato con l’articolo 8, il cui scopo e la cui portata sono più generali, non poteva interpretarsi come imponente agli Stati contraenti l’obbligo di consentire il matrimonio alle coppie omosessuali. Essa ne ha dedotto che lo stesso approccio era valido per l’articolo 12 combinato con l’articolo 14 ed ha rigettato questo gravame come manifestamente infondato (§ 194).
- La Corte non vede alcuna ragione di arrivare ad una conclusione differente della presente causa, visto il breve lasso di tempo trascorso dalla sentenza che essa ha reso nelle cause Hamalainen e Oliari e altri. Essa inoltre nota che, dall’introduzione del ricorso, la legge 17 maggio 2013 ha aperto il matrimonio alle coppie omosessuali (paragrafo 24 sopra) e che i ricorrenti sono ormai liberi di sposarsi.
- Ne consegue che non c’è stata, nella specie, violazione dell’articolo 12 combinato con l’articolo 14 della Convenzione.
- Sull’allegata violazione dell’articolo 8 combinato con l’articolo 14 della Convenzione
- I ricorrenti reputano di essere stati vittime, nell’esercizio del loro diritto al rispetto della loro vita privata e familiare, di una discriminazione fondata sul loro orientamento sessuale. Essi invocano articolo 8 combinato con l’articolo 14 della Convenzione. L’articolo 8 è così redatto:
“ 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
- Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto che per quanto questa ingerenza è prevista dalla legge e che essa costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui.”
- Il Governo contesta questa tesi
- Sull’ammissibilità
- Nelle sue osservazioni iniziali il Governo ha sollevato l’incompatibilità ratione materiae di questo gravame con le disposizioni della Convenzione.
- Sulla base della sua giurisprudenza in materia, la Corte reputa certo che i fatti della causa rientrano nel campo d’applicazione della nozione di “vita privata” come di quella di “vita familiare” ai sensi dell’articolo 8 e che, pertanto, l’articolo 14 combinato con l’articolo 8 trova applicazione (Schalk e Kopf, § 95, Vallianatos e altri c. Grecia (GC), n. 29381/09 e 32684/09, 71, CEDH 2013 (estratti) e Oliari e altri, citato, § 103). Vi è dunque luogo a rigettare l’eccezione sollevata dal Governo.
La Corte constata inoltre che questo gravame non è manifestamente infondato, ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e che non contrasta peraltro con alcun altro motivo di inammissibilità.
Essa lo dichiara quindi ammissibile.
- Sul merito
- Argomenti delle parti e dei terzi intervenuti
- a) Le parti
- I ricorrenti reputano di essere stati oggetto di una discriminazione fondata sul loro orientamento sessuale nella misura in cui il matrimonio non è per loro possibile. Essi ammettono di aver accesso al Pacs, ma fanno valere che la protezione giuridica che esso offre è largamente inferiore a quella risultante dal matrimonio. Essi enumerano le differenze tra i due regimi, specialmente in materia di diritto al soggiorno, di nazionalità, di pensione di reversibilità o di regime dei beni acquistati durante l’unione. Essi reputano che la differenza di trattamento che essi hanno subito non ha alcuno scopo legittimo e non è proporzionata.
- Il Governo cita la sentenza Schalk e Kopf (§ 101, nella quale la Corte ha concluso che l’articolo 14 combinato con l’articolo 8 non poteva essere inteso come imponente agli Stati contraenti l’obbligo di aprire il matrimonio alle coppie omosessuali. Esso fa valere peraltro che la legislazione francese, lungi dal portare attentato alla vita privata dei ricorrenti, la favorisce. In effetti, le coppie omosessuali possono essere legate da un Pacs, il cui regime giuridico permette di assicurare loro un riconoscimento in tanto che coppie e ha delle conseguenze molto simili o identiche a quelle del matrimonio in differenti campi della loro vita (fisco, diritto locatizio, liberalità, regime patrimoniale, diritto del lavoro). Nelle sue ultime osservazioni, il Governo precisa che in seguito all’adozione della legge di 17 maggio 2013, i ricorrenti possono sposarsi.
- b) I terzi intervenuti
- Le quattro organizzazioni terze intervenute hanno fatto pervenire delle osservazioni identiche a quelle che sono state depositate nell’affare Schalk e Kopf citato (§§ 84-86).
- Decisione della Corte
- La Corte ricorda che gli Stati restano liberi al riguardo dell’articolo 14 combinato con l’articolo 8 di non permettere il matrimonio che alle coppie eterosessuali e che essi beneficiano di un certo margine di discrezionalità per decidere della natura esatta dello statuto accordato attraverso gli altri modi di riconoscimento giuridico (Shalk e Kopf, citato, 108 e Gas e Dubois, citato, § 66).
- Essa rileva che, se all’epoca dei fatti il matrimonio non era aperto nel diritto francese ai ricorrenti, essi potevano nondimeno concludere un patto civile di solidarietà, previsto dall’articolo 515-1 del codice civile, che accorda ai partner un certo numero di diritti e obblighi in materia fiscale, patrimoniale e sociale (v. paragrafo 25 sopra).
- In ciò, la situazione si distingue da quella delle altre cause nelle quali la Corte ha deciso in favore della violazione degli articoli 8 e 14 combinati, cioè la causa Vallianatos citata, nella quale il patto di vita comune non era aperto per la legge greca che alle coppie di sesso opposto e la causa Oliari e altri, del quale il diritto italiano non prevedeva alcun modo di riconoscimento giuridico delle coppie dello stesso sesso.
- Circa quanto i ricorrenti reclamano sulle le differenze esistenti tra il regime del matrimonio e quello del patto civile di solidarietà, la Corte reitera che essa non può pronunciarsi nella specie in maniera dettagliata su ciascuna di queste differenze (Schalk e Kopf citato, § 109). Essa nota in ogni caso, come ha rilevato in questa sentenza, che queste differenze corrispondono nell’insieme alla tendenza osservata negli altri Stati membri e non ravvisa nessun segno indicante che lo Stato resistente avrebbe oltrepassato il suo margine di discrezionalità nella scelta che esso ha fatto dei diritti e obblighi conferiti attraverso il patto civile di solidarietà (ibidem).
Inoltre, come ricordato sopra (paragrafo 39), la legge 17 maggio 2013 ha aperto il matrimonio alle coppie omosessuali e i resistenti sono ormai liberi di sposarsi.
- Pertanto, la Corte reputa che non c’è stata nella specie violazione dell’articolo 8 combinato con l’articolo 14 della Convenzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’
- Dichiara ammissibile il ricorso;
- Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 12 combinato con l’articolo 14 della Convenzione;
- Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 8 combinato con l’articolo 14 della Convenzione.
Scritto in francese, poi comunicato per iscritto il 9 giugno 2016, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.
Claudia Westerdiek Angelica Nussberger
Cancelliere Presidente