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Pubblichiamo la sentenza della Corte di appello di Napoli del 30 marzo 2016 e del Tribunale per i minorenni di Bologna del 17 maggio 2016, che a sua volta fa seguito alla declaratoria di inammissibilità da parte della Corte costituzionale della questione di legittimità in precedenza sollevata dallo stesso TM di Bologna, in materia di adozione da parte di una
coppia same sex. Le pronunce sono commentate dalla nota dell’avv. Daniela Bianchini, del foro di Roma, aderente al Centro studi Livatino.

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È automatico il riconoscimento della sentenza straniera di adozione del figlio del partner omosessuale. Breve commento a due recenti provvedimenti del Tribunale per i minorenni di Bologna e della Corte d’Appello di Napoli.

Si è concluso con il rigetto del ricorso da parte del Tribunale per i minorenni di Bologna il procedimento iniziato da una donna avente la doppia cittadinanza americana ed italiana, teso al riconoscimento in Italia dell’adozione della figlia della partner, ossia della sentenza straniera di adozione pronunciata dal Tribunale di Prima Istanza dello Stato dell’Oregon.

Negli USA, la ricorrente si è sposata con una donna americana ed entrambe hanno partorito un figlio a seguito di inseminazione artificiale da donatore anonimo, per poi adottare l’una il figlio dell’altra. Dopo qualche anno, le due donne si sono trasferite a Bologna e la ricorrente ha deciso di adire il Tribunale per essere riconosciuta anche in Italia, a tutti gli effetti, madre della bambina adottata negli USA. Il Tribunale di Bologna, dopo varie considerazioni circa la conformità o meno all’ordine pubblico delle adozioni da parte delle coppie omosessuali e del matrimonio fra le stesse, con ordinanza n. 4701 del 10 novembre 2014, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge 184/1983, ritenendo necessario chiarire, in base al “diritto vivente”, se possa ritenersi o meno rispondente all’interesse del minore il riconoscimento di una sentenza straniera di adozione in favore del coniuge dello stesso sesso.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 76 del 7 aprile 2016, ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni sollevate, ritenendo che il Tribunale per i minorenni di Bologna non abbia correttamente individuato il contesto normativo ed abbia dunque qualificato erroneamente i fatti sottoposti al suo giudizio, laddove ha ritenuto applicabile la disciplina concernente il riconoscimento delle sentenze straniere di adozione internazionale di minori, anziché quella relativa al riconoscimento automatico ex art. 41 della legge 218/1995 (e di conseguenza dei successivi artt. 64, 65 e 66). La questione è dunque tornata innanzi al Tribunale bolognese che, con decreto del 5 maggio 2016, sulla scorta di quanto indicato dalla Corte costituzionale, ha respinto il ricorso suggerendo implicitamente alla ricorrente la procedura di cui all’art. 41 L 218/1995.

Il caso in esame è molto simile per certi aspetti ad un altro caso di recente esaminato dalla Corte d’Appello di Napoli che, con ordinanza del 30 marzo 2016, ha ordinato le trascrizioni delle adozioni legittimanti pronunciate in favore di due donne francesi (di cui una anche italiana) unite in matrimonio, l’ una genitore adottante del figlio dell’altra (figli anche qui nati in seguito a fecondazioni artificiali da donatori anonimi), trascrizioni che erano state rifiutate dall’ufficiale di stato civile italiano in quanto ritenute contrarie all’ordine pubblico, dal momento che “le sentenze di adozione richiamavano come evento relativo alla filiazione il matrimonio dei genitori, improduttivo di effetti in Italia perché contratto fra persone dello stesso sesso”. Queste le motivazioni della Corte d’Appello a sostegno della trascrivibilità del provvedimento straniero di adozione: “non vi è alcuna ragione per ritenere in linea generale contrario all’ordine pubblico un provvedimento straniero che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra persone coniugate e i rispettivi figli riconosciuti dei coniugi, anche dello stesso sesso, una volta valutato in concreto che il riconoscimento dell’adozione, e quindi il riconoscimento di tutti i diritti e doveri scaturenti da tale rapporto, corrispondono all’interesse superiore del minore al mantenimento della vita familiare costruita con ambedue le figure genitoriali e al mantenimento delle positive relazioni affettive ed educative che con loro si sono consolidate, in forza della protratta convivenza con ambedue e dei provvedimenti di adozione”. La stessa Corte d’Appello ha poi sottolineato che la valutazione circa i presupposti dell’adozione di cui si è chiesto il riconoscimento in Italia spetta unicamente al giudice straniero che ha emesso la sentenza, mentre all’autorità italiana competente spetta il compito di verificare la non contrarietà all’ordine pubblico. Un concetto, quest’ultimo, che la giurisprudenza tende ormai ad interpretare in maniera diversa rispetto al passato, con una maggiore attenzione ai cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi anni, soprattutto in alcuni Paesi europei. Il concetto di ordine pubblico, si legge nell’ordinanza del 10 novembre 2014 del Tribunale per i minorenni di Bologna, va interpretato “alla luce del mutato quadro sociale ed europeo”, così che non può più essere considerato contrario ad esso un “legame familiare tra un minore e due genitori omosessuali”. Dello stesso avviso i giudici della Corte d’Appello di Napoli, che nell’ordinanza in esame hanno approfondito il tema, offrendo una sintetica rassegna della giurisprudenza di legittimità tesa ad avvalorare il superamento di un modo di intendere l’ordine pubblico ormai considerato non più rispondente alla situazione attuale e a quella “vocazione internazionalista della nostra Carta Fondamentale”, per usare un’espressione degli stessi giudici napoletani. Un concetto di ordine pubblico, sempre per i giudici napoletani, non più enucleabile esclusivamente sulla base dell’assetto ordinamentale interno, dal momento che in un “sistema plurale”non può ignorarsi la sinergia che proviene dall’interazione delle fonti sovranazionali con quelle nazionali”, con la conseguenza che le norme straniere possono trovare ingresso nel nostro ordinamento laddove ciò risponda all’esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo.

Pertanto, in considerazione dei mutamenti sociali avvenuti ed essendo i principi di ordine pubblico mutevoli nel tempo e in continua evoluzione, la giurisprudenza, nazionale ed europea, ha adeguato alcuni principi fondamentali. Nel caso di specie, i mutamenti riguardano la presenza sempre più numerosa di coppie omosessuali, di matrimoni same sex e, da ultimo, di coppie omosessuali che, ricorrendo alle diverse pratiche di fecondazione artificiale, hanno utilizzato lo strumento dell’adozione o dell’adozione del figlio del partner per realizzare il desiderio di formare una famiglia.

Nei due casi in esame i giudici si sono trovati di fronte al quesito se poter riconoscere o meno, nel nostro ordinamento, efficacia alle sentenze di adozione del figlio del partner omosessuale e, più in generale, se poter riconoscere come famiglie i nuclei omogenitoriali formatisi all’estero. La risposta in entrambi i casi è stata affermativa, sia sulla base dei nuovi principi di ordine pubblico, sia sulla base della giurisprudenza europea che ha esteso il concetto di famiglia alle relazioni omosessuali, esigendo anche per queste il rispetto del mantenimento della propria vita familiare ex art. 8 CEDU e, quindi, il riconoscimento dello status di famiglia ai nuclei omogenitoriali formatisi all’estero, anche nel rispetto del principio della libera circolazione delle persone. Sul punto, il Tribunale per i minorenni di Bologna, nell’ordinanza del 10 novembre 2014, ricordando proprio la giurisprudenza europea, ha affermato che “quando si sia già formata di fatto una famiglia, è inammissibile un rigetto della richiesta di exequatur che contrasti con l’interesse del minore”, con la conseguenza che “l’impossibilità di riconoscere il provvedimento adottivo, formato all’estero, in favore di famiglia omogenitoriale, si palesa in contrasto con gli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”. Ancora più esplicita la Corte d’Appello di Napoli che, citando testualmente precedenti della Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 601/2013) e della Corte EDU (cfr. sentenza Menesson c. Francia; Labassee c. Francia ecc.), ha affermato non solo che non deve essere considerato pregiudizievole per l’equilibrato sviluppo di un bambino vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale, ma che, nel superiore interesse del bambino, debba essere garantito il mantenimento della propria vita familiare ai sensi dell’art. 8 CEDU, muovendo dal sopra citato principio secondo cui “anche le relazioni omosessuali rientrano nella nozione di vita familiare”.

Ciò che, in sintesi, emerge dai provvedimenti in esame è l’idea secondo cui, nel rispetto dell’eguaglianza e delle libertà fondamentali, non sia più lecito operare alcuna distinzione fra le coppie eterosessuali e le coppie omosessuali, ritenute indifferentemente idonee a formare nuclei familiari.

Tuttavia, a ben vedere, quei discorsi tesi a riconoscere l’assoluta equiparazione suscitano qualche perplessità, in quanto non tengono conto delle diverse esigenze e problematiche che possono sorgere, soprattutto in tema di filiazione. Nei due casi esaminati, infatti, i figli adottati sono tutti frutto di inseminazione artificiale da donatore anonimo, come peraltro accade sovente nel caso di coppie formate da due donne, mentre nel caso di coppie formate da due uomini è sempre necessario ricorrere all’intervento della “gestazione per altri”, ossia all’intervento di una donna che, per spirito di liberalità o dietro compenso, presta il suo corpo alla fecondazione, posto che il concepimento di un essere umano esige sempre l’unione del maschile e del femminile, benchè con le tecniche di procreazione artificiale sia stato disgiunto l’atto unitivo dall’atto generativo. Qualche distinzione, forse, allora, sarebbe il caso di farla, se non altro per una corretta applicazione del principio di eguaglianza, che impone trattamenti razionalmente diversificati a situazioni diverse.

L’impressione, infatti, è che molto spesso, in questi casi, la pretesa tutela dell’interesse del minore sia in realtà strumentale o comunque subordinata alla soddisfazione delle esigenze degli adulti, come è confermato dall’attenzione riservata al rispetto dei diritti e libertà fondamentali di questi ultimi, a fronte di una minore considerazione degli effetti che certe situazioni potrebbero avere sull’equilibrio psico-fisico del bambino. È innegabile che il minore, nel suo preminente interesse, non debba essere sradicato dal contesto familiare in cui si è trovato fin dalla nascita e in cui è cresciuto, anche laddove detto contesto sia di carattere omogenitoriale. È altrettanto innegabile che la capacità genitoriale e la capacità di offrire amore, cura e sostegno prescinda dall’orientamento sessuale. Ciò che invece è opinabile è la risolutezza con cui si asserisce che “non sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”, peraltro nonostante nella letteratura scientifica vi siano, come noto, studi che attestano l’esatto contrario. Ad ogni modo, chiunque abbia avuto a che fare con dei minori sa perfettamente che ogni bambino è a sé e che ogni bambino manifesta caratteristiche ed esigenze diverse, persino nell’ambito della stessa famiglia e di fronte alla medesima educazione ricevuta. Di conseguenza, non è possibile prevedere in modo assoluto e generale quali saranno le reazioni concrete del singolo bambino a determinati fattori, come appunto quello di nascere in un contesto omogenitoriale.

Provvedimenti quali quelli citati impongono allora di riflettere su cosa significhi davvero tutelare i minori, su quali siano i loro bisogni reali e soprattutto sul fatto che la loro tutela, visto il crescente ricorso alla fecondazione artificiale, esigerebbe oggi un’anticipazione, anche al fine di evitare che i figli, da soggetti di diritti propri finiscano col diventare oggetto di diritti altrui. é troppo tardi – e i tanti provvedimenti giurisprudenziali lo dimostrano- preoccuparsi del minore quando ormai è già stato fatto oggetto di tecniche procreative, e si trova già inserito in un contesto relazionale: in questo caso, per il bene del minore, non si può fare altro che accettare la situazione che si è creata, onde evitare possibili traumi da distacco dalle figure di riferimento. Si tratta, quindi, di una scelta obbligata, quella più rispondente all’interesse del minore una volta aperta la strada alla fecondazione artificiale eterologa, ma non necessariamente la migliore, in quanto si tratterà comunque di un minore che con ogni probabilità non conoscerà mai le sue origini biologiche (con tutti i problemi che questo può comportare) e che sicuramente -crescendo con due padri o con due madri- dovrà rinunciare alla diversità e complementarietà dei sessi delle sue figure di riferimento. Per alcuni questa privazione non sarebbe importante. Per altri, al contrario, sarebbe in grado di incidere sull’equilibrato sviluppo psico-fisico del bambino.

Nel dubbio, forse, sarebbe auspicabile, proprio per la salvaguardia e la tutela dei fanciulli, una maggiore prudenza. Così come sarebbe altrettanto auspicabile domandarsi se sia davvero opportuno abbandonare completamente il criterio della imitatio naturae, per cui la diversità dei sessi rappresenta un presupposto implicito alla genitorialità e all’adozione.

Daniela Bianchini

Tribunale dei Minori di Bologna. Ordinanza del 10 novembre 2014

Tribunale dei Minori di Bologna. Decreto del 17 maggio 2016

Corte di Appello di Napoli. Sentenze straniere sui minori. 30 marzo2016

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