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Pubblichiamo un interessante commento alla recente sentenza n. 3416/2016 della Corte di Cassazione, già riportata per esteso sul nostro sito, redatto dall’Avv. Daniela Bianchini, Dottore di ricerca in diritto canonico ed ecclesiastico, componente del Consiglio Direttivo del Centro Studi Rosario Livatino.

Riposo domenicale e festività civili e religiose. Breve commento a due sentenze della Cassazione

A distanza di circa sei mesi, la corte di Cassazione ha pronunciato due sentenze in materia di diritto del lavoro che presentano alcuni interessanti spunti di riflessione circa l’obbligatorietà o meno del lavoro domenicale, e in particolare circa la possibilità di applicare alla domenica la disciplina prevista per le festività civili e religiose. Si tratta della sentenza n. 16592 e della sentenza n. 3416, rispettivamente pubblicate il 7 agosto 2015 e il 22 febbraio 2016.

Nel primo caso, i giudici di legittimità hanno affermato che nessun lavoratore dipendente può essere obbligato a lavorare nei giorni festivi infrasettimanali, intendendo per essi quelli stabiliti dalla legge ed indicati come celebrativi di festività civile e religiose. Nella fattispecie, una lavoratrice era stata sanzionata dall’azienda per cui lavorava perché non si era presentata al lavoro il giorno dell’Epifania. La sanzione era stata giudicata illegittima in entrambi i giudizi di merito e la Cassazione lo scorso agosto, richiamando un principio già espresso nel 2005 (Cass. n. 16634/2005), ha affermato che il lavoratore ha il diritto di astenersi dal lavoro nei giorni indicati dalla legge come festivi, con l’unica eccezione per il personale dipendente di istituzioni sanitarie pubbliche o private, per cui sussiste l’obbligo della prestazione lavorativa durante le festività su ordine datoriale, in presenza di esigenze di servizio. Non solo, la Cassazione ha altresì precisato che, trattandosi di un diritto soggettivo, “la rinunciabilità al riposo nelle festività infrasettimanali non è rimessa né alla volontà esclusiva del datore di lavoro, né a quella del lavoratore, ma al loro accordo”, sfuggendo altresì alla contrattazione collettiva, in quanto diritto non disponibile per le organizzazioni sindacali (Cass. 9176/1997). Nella sentenza viene inoltre fatto riferimento al riposo domenicale, di cui in particolare si sottolinea la differente disciplina rispetto a quella delle festività civili e religiose, con la indiretta affermazione per cui, al contrario di quanto previsto per queste ultime, non vi sarebbe un diritto del lavoratore ad astenersi, potendo il riposo settimanale essere legittimamente previsto dal datore di lavoro in giorno diverso dalla domenica. 

Su tale ultimo aspetto è poi tornata la Cassazione, con la sopra citata sentenza n. 3416, respingendo il ricorso di Poste Italiane S.p.a., in una vicenda che ha visto coinvolto un dipendente che nel 2004 si era rifiutato di lavorare la domenica e che per tale motivo era stato sanzionato dall’azienda con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per un giorno, malgrado il lavoratore avesse recuperato le ore di lavoro durante i giorni di riposo.

A ben vedere, la Cassazione sul punto, in linea generale, conferma l’orientamento secondo cui il datore di lavoro avrebbe il diritto di esigere la prestazione lavorativa del dipendente anche di domenica, potendo individuare un giorno infrasettimanale per la fruizione del riposo previsto dalla legge. Tuttavia –ed è questa la ragione per cui la sentenza n. 3416/2016 desta particolare interesse– la Cassazione ha altresì individuato un limite all’assoluta obbligatorietà del lavoro domenicale: il diritto di libertà religiosa e, più precisamente –perché nella fattispecie concreta di questo si tratta– il diritto di esercitare il proprio culto. Il dipendente delle Poste, prima ancora di astenersi dal lavoro nei giorni contestati, aveva infatti manifestato la propria esigenza, in quanto cattolico, di non lavorare la domenica per poter partecipare alle prescritte funzioni religiose. La stessa Corte d’Appello di Milano, nel valutare la condotta del lavoratore ai sensi dell’art. 2104 c.c. di cui Poste italiane lamentava la violazione, ha ritenuto che la mancata disponibilità del lavoratore al turno domenicale fosse giustificata dalle esigenze di culto, affermando che “non può essere ignorato il diritto dei lavoratori ad astenersi dal lavoro il giorno di domenica, destinato alle pratiche religiose, che connota di particolare rilievo il rifiuto della prestazione”. È proprio questo il punto centrale della questione, come è stato giustamente messo in evidenza dalla Corte d’ Appello di Milano e poi ripreso dalla Corte di Cassazione. Se da una parte appare ormai superata la concezione per cui il riposo settimanale debba coincidere necessariamente con la domenica, dall’altra, tuttavia, non può essere trascurato che per alcuni lavoratori, come ad esempio per i cattolici, la domenica non è un giorno come un altro.

In effetti, sulla coincidenza del riposo settimanale con la domenica si è spesso dibattuto da quando le esigenze di mercato hanno indotto numerose aziende, soprattutto commerciali, a prolungare le attività anche nel giorno tradizionalmente dedicato al riposo, prevedendo l’assolvimento delle funzioni di ristoro e di fruizione di tempo libero qualificato in giorni feriali. Sul punto, oltre ad essere state organizzate diverse manifestazioni a tutela della domenica come giorno di festa e di socializzazione, sono stati altresì espressi alcuni pareri dalla Direzione Generale per l’attività ispettiva del Ministero del Lavoro a sostegno della non necessaria coincidenza del riposo settimanale con la domenica (cfr. l’interpello n. 60/2009 e n. 26 del 2011 ad istanza, rispettivamente, della Confcommercio e di Confindustria).

Esigenze di mercato e della flessibilità nell’organizzazione del lavoro hanno quindi progressivamente indotto la collettività a considerare la domenica alla stregua di qualunque altro giorno della settimana. Sotto il profilo normativo, del resto, va detto che la stessa Costituzione, pur riconoscendo espressamente il diritto irrinunciabile al riposo settimanale, tuttavia non stabilisce che esso debba coincidere con la domenica, così come l’art. 9 del D.Lgs. n. 66/2003 (e successive modifiche) si limita a parlare di tendenziale coincidenza. A tal proposito è stata molto chiara, già nel 1996, la Corte di Giustizia che, nella sentenza n. 84, dopo aver messo in luce l’importanza del riposo per la salute e la sicurezza dei lavoratori, ha comunque ritenuto non giustificabile la preferenza della coincidenza del riposo settimanale con la domenica rispetto ad un diverso giorno. Tutto ciò spiega perché nel nostro ordinamento, complice anche la globalizzazione, non sembrerebbero sussistere particolari ostacoli alla derogabilità del riposo domenicale, benchè da più parti siano state messe in evidenza le ripercussioni negative che il superamento di quella coincidenza può portare a livello di relazioni sociali, come peraltro dimostra l’entusiasmo con cui è stata accolta la sentenza n. 3416/2016.

Ad onor del vero, questa sentenza non contiene l’enunciazione di un vero e proprio principio sull’argomento, però pone le basi per successivi approfondimenti e risponde a quelle esigenze più volte manifestate dai lavoratori, anche non cattolici, di non considerare la domenica come un giorno qualsiasi, a testimonianza del fatto che, forse, la posizione della Corte di Giustizia e quelle ad essa analoghe richiederebbero maggiori riflessioni. La sentenza n. 3416/2016, seppur nella sua laconicità, ha dunque l’innegabile pregio di aver aperto una strada, di aver superato le barriere imposte dalle logiche dell’economia e che di fatto, in nome della flessibilità e del profitto, avevano finito per attribuire al datore di lavoro il potere di imporre al dipendente il turno domenicale.

Per assecondare le ragioni di mercato, si è infatti progressivamente perso il senso del giorno di riposo, che non va considerato tanto e solo come un giorno in cui non si lavora per recuperare le forze fisiche e mentali (e lavorare così in maniera più proficua dopo), ma piuttosto, in positivo, come un giorno in cui si ha la possibilità di dedicarsi ai rapporti interpersonali, siano essi amicali o familiari, di esprimere, in pienezza, attraverso il riposo e la celebrazione della festa, la libertà umana. È evidente che questa funzione è suscettibile di compressione laddove i lavoratori si trovino a fruire del riposo in giorni diversi e questo è tanto più evidente se avviene nell’ambito della famiglia. È innegabile che la non coincidenza del riposo con un giorno in particolare, come era un tempo, quando si trattava indiscutibilmente della domenica, non può che avere delle ripercussioni sulla vita delle persone, delle famiglie e della società in generale, come sembra del resto suggerire quella giurisprudenza che ha sempre riconosciuto al lavoratore le maggiorazioni retributive per il lavoro festivo.

A queste considerazioni di ordine generale, deve poi aggiungersi il particolare valore che la domenica assume per alcuni lavoratori, come è stato messo in evidenza nel corso del procedimento riguardante il dipendente delle Poste Italiane S.p.a. Il riferimento è ai fedeli cattolici che, per ragioni di esercizio del culto, hanno l’esigenza di non lavorare la domenica. Ecco allora che qui si pone un ulteriore interrogativo, lo stesso che si trova alla base della sentenza n. 3416/2016. Fermo restando quanto detto sopra circa la flessibilità nell’individuazione del giorno settimanale di riposo, rimane però da chiedersi se, nell’ottica del bilanciamento dei diritti, il datore di lavoro possa imporre a tutti i lavoratori, compresi quelli di fede cattolica, il lavoro domenicale o se, piuttosto, debba prevalere la tutela della libertà religiosa del lavoratore che, in questi casi, trova la sua esplicazione concreta nel partecipare ai riti e alle funzioni religiose previste per la domenica. Certamente, laddove vi fosse l’imposizione del lavoro domenicale, questa si tradurrebbe in una lesione del diritto fondamentale ex art. 19 cost., una lesione che per giunta avrebbe quale presupposto meri motivi economici, che indurrebbero a ritenere, laddove posti su un piano superiore rispetto alla tutela della libertà religiosa, che le ragioni economiche abbiano un valore prevalente rispetto alle libertà fondamentali. Ma non solo. Lo Stato italiano, in virtù dell’Accordo stipulato con la Santa Sede il 18 febbraio 1984, ratificato e reso esecutivo con la Legge 25 marzo 1985 n. 121, si è impegnato a riconoscere “come giorni festivi tutte le domeniche e le altre festività religiose determinate d’intesa fra le Parti”. Il DPR 28 dicembre 1985 n. 792, inoltre, all’art. 1, ribadisce testualmente che sono festività religiose tutte le domeniche.

Ne deriva che se la domenica deve essere considerata dallo Stato quale giorno festivo, ad essa, almeno per i cattolici, deve applicarsi la medesima disciplina prevista per le festività civili e religiose. In altri termini, per i lavoratori di fede cattolica, il riposo domenicale deve essere considerato quale diritto soggettivo del lavoratore, secondo l’orientamento espresso da ultimo dalla Cassazione con la sopra citata sentenza n. 16593/2015, senza possibilità per il datore di lavoro di avanzare pretese in nome della flessibilità e della derogabilità del riposo settimanale, potendo semmai essere superato soltanto sulla base di un accordo con il lavoratore. Lo stesso principio dovrebbe inoltre applicarsi al riposo sabbatico riconosciuto dallo Stato per i lavoratori appartenenti alle Chiese cristiane avventiste e per quelli di fede ebraica, stando a quanto previsto dalle intese stipulate rispettivamente con l’Unione delle Chiese cristiane avventiste del settimo giorno (cfr. L. 22 novembre 1988 n. 516, art. 17) e con l’Unione delle Comunità ebraiche italiane (cfr. L. 8 marzo 1989, n. 101, artt. 4 e 5).

Pertanto, con riferimento alla questione dell’obbligatorietà del lavoro domenicale, come ha dimostrato la Cassazione con la sentenza 3416/2016, nel rispetto del principio di eguaglianza ex art. 3 cost., occorre tener conto di alcune specificità che impongono considerazioni diverse rispetto alla disciplina generale. In questo caso concreto, si trattava della tutela della libertà religiosa del lavoratore.

In assenza di specificità quali quella indicata, allo stato attuale, nel nostro ordinamento, deve ritenersi sussistente la possibilità del datore di lavoro di esigere dal dipendente la prestazione anche durante gli eventuali turni domenicali, come confermato più volte anche dalla Corte di Cassazione e da ultimo nelle stesse sentenze n. 16592/2015 e n. 3416/2016. E qui, semmai, possono essere avanzati tutti quei dubbi circa gli effetti del lavoro domenicale sulle persone e sulle famiglie e, più in generale, sulle relazioni sociali, dal momento che le scelte operate in tal senso sembrano non considerare che il riposo festivo ha altresì l’importante funzione di liberare l’uomo dalle degenerazioni antisociali che il lavoro può avere in alcuni contesti.

Diversamente, invece, deve essere considerata la domenica per i lavoratori cattolici, non solo per ragioni di rispetto della libertà religiosa ma, prima ancora, perché vi sono delle norme che espressamente riconoscono la domenica quale festività e, pertanto, in questi casi, deve trovare applicazione non già la normativa riguardo al riposo settimanale, bensì quella relativa alle festività civili e religiose che, come si è detto, garantisce al lavoratore il diritto di astenersi dal lavoro, fatte salve le imprescindibili esigenze dei servizi essenziali previsti dall’ordinamento. Se così non fosse, non si comprenderebbe la ratio né dell’art. 6 dell’Accordo di Villa Madama, né dell’art. 1 del DPR 792/1985.

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