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Legislatura 17ª – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 569 del 02/02/2016

SENATO DELLA REPUBBLICA—— XVII LEGISLATURA ——

569a SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO STENOGRAFICO

MARTEDÌ 2 FEBBRAIO 2016

 

 

RESOCONTO STENOGRAFICO

Presidenza del presidente GRASSO

PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 16,33).

Seguito della discussione dei disegni di legge:

(2081) CIRINNA’ ed altri. – Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze

(14) MANCONI e CORSINI. – Disciplina delle unioni civili

(197) ALBERTI CASELLATI ed altri. – Modifica al codice civile in materia di disciplina del patto di convivenza

(239) GIOVANARDI. – Introduzione nel codice civile del contratto di convivenza e solidarietà

(314) BARANI e MUSSOLINI. – Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi

(909) PETRAGLIA ed altri. – Normativa sulle unioni civili e sulle unioni di mutuo aiuto

(1211) MARCUCCI ed altri. – Modifiche al codice civile in materia di disciplina delle unioni civili e dei patti di convivenza

(1231) LUMIA ed altri. – Unione civile tra persone dello stesso sesso

(1316) SACCONI ed altri. – Disposizioni in materia di unioni civili

(1360) FATTORINI ed altri. – Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso

(1745) SACCONI ed altri. – Testo unico dei diritti riconosciuti ai componenti di una unione di fatto

(1763) ROMANO ed altri. – Disposizioni in materia di istituzione del registro delle stabili convivenze

(2069) MALAN e BONFRISCO. – Disciplina delle unioni registrate

(2084) CALIENDO ed altri. – Disciplina delle unioni civili

(ore 16,37)

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge nn. 2081, 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763, 2069 e 2084.

Ricordo che nella seduta antimeridiana del 28 gennaio sono state illustrate le questioni pregiudiziali e sospensive e ne ha avuto inizio la discussione.

D’ALI’ (FI-PdL XVII). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ALI’ (FI-PdL XVII). Signor Presidente, ho chiesto d’intervenire per segnalare a lei e all’Assemblea che sarà assai difficile poter valutare alcune questioni pregiudiziali e votarle, quindi ne chiedo lo slittamento, in quanto la Commissione bilancio non ha ancora espresso il parere neanche sul testo. Ciò in conseguenza del fatto che lo stesso Governo ci ha comunicato che è assolutamente indispensabile controllare che i fondi cui il disegno di legge fa riferimento per la copertura delle previsioni previdenziali, soprattutto legate alle conseguenze dell’eventuale approvazione del disegno di legge in esame, potrebbero già essere stati utilizzati e quindi potrebbero non avere più la capienza. Siamo quindi in attesa della relazione tecnica da parte del Governo sul testo, signor Presidente.

Siccome, tra le questioni pregiudiziali presentate, alcune fanno riferimento anche all’articolo 81 della Costituzione, quindi alla congruità della copertura economica e finanziaria prevista dalla Costituzione, credo che noi non possiamo procedere alla votazione di queste pregiudiziali se prima non abbiamo la certezza che la Commissione bilancio possa aver esitato il testo. Poi naturalmente ci sarà il parere sugli emendamenti, ma sappiamo che può essere reso in un secondo momento.

PRESIDENTE. Come è noto, anche per i numerosissimi precedenti in materia, nulla osta a che si proceda all’esame delle questioni pregiudiziali e alle relative votazioni. Per informare l’Assemblea, comunico che sono iscritti a parlare senatori per circa ventuno ore di discussione, che forse non consentiranno nemmeno di concludere la discussione generale questa settimana. Naturalmente, prima di iniziare qualsiasi votazione sugli emendamenti, sarà necessario acquisire il parere da lei richiesto. Possiamo quindi procedere.

GIOVANARDI (GAL (GS, PpI, M, MBI, Id, E-E)). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIOVANARDI (GAL (GS, PpI, M, MBI, Id, E-E)). Signor Presidente, intervengo sulle nostre quattro questioni pregiudiziali e per esprimere il mio giudizio sulle altre.

Il primo problema è che il testo arriva all’esame dell’Aula dopo che l’articolo 72 della Costituzione è stato stracciato dalla Presidenza. Il testo in discussione è stato presentato al Senato il 6 ottobre, assegnato alla Commissione giustizia; il 12 ottobre la relatrice Cirinnà ha svolto la relazione; ci siamo iscritti a parlare come senatori, ma nessuno di noi è potuto intervenire, quindi l’esame in Commissione non è neanche cominciato. Il giorno dopo la Conferenza dei Capigruppo lo ha calendarizzato per l’Assemblea e dal 14 ottobre la Commissione giustizia è stata esautorata, tanto che il Presidente ha dovuto comunicare che il provvedimento sarebbe andato all’esame dell’Aula senza relatore. Poi dal 14 ottobre fino al 28 gennaio il testo non è stato esaminato dalla Commissione, che non poteva più farlo.

Ho ricordato in precedenza che la cosiddetta legge Fini-Giovanardi è stata abrogata per violazione dell’articolo 72 della Costituzione, perché la Corte costituzionale ha scritto che, quando un testo coinvolge delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica, a nulla vale che per tre anni sia stato discusso in Commissione al Senato, perché poi è stato inserito frettolosamente in un disegno di legge di conversione, violando l’articolo 72 della Costituzione, che rende obbligatorio l’esame in Commissione. Ho scritto una lettera al Presidente, ricordandogli tutte queste cose, ma non ho avuto risposta.

Vi leggo allora quello che disse il senatore Angius, a proposito della cosiddetta legge Cirami, che dopo un mese era stata richiamata in Assemblea. In quel caso il Regolamento era stato applicato correttamente, perché si erano abbreviati, ma non cancellati i tempi. Il senatore Angius, a nome del PD, disse: «Quando si imbroglia sulle regole»… (Brusio). Vorrei essere ascoltato, signor Presidente.

PRESIDENTE. Senatore Giovanardi, si interrompa un momento e recupereremo questo tempo. Prego i senatori di fare silenzio o di accomodarsi fuori per perseguire le loro conversioni. Per favore, colleghi, non sostate al centro dell’emiciclo. Prego gli assistenti di invitare i senatori a prendere posto o ad uscire dall’Aula.

GIOVANARDI (GAL (GS, PpI, M, MBI, Id, E-E)). Grazie, signor Presidente.

Dunque, disse il presidente Angius: «Quando si imbroglia sulle regole, quando si gioca a nascondino con le norme che la maggioranza e il Governo intendono approvare, non si può più avere fiducia e noi non la possiamo avere in chi ha la responsabilità istituzionale del Senato della Repubblica». In quel caso erano stati abbreviati i termini e, dopo un mese di discussione in Commissione, era stato richiamato il provvedimento in Assemblea. Qui i termini sono stati azzerati e non c’è stato neanche un minuto di tempo in Commissione per esaminare il provvedimento, come impone l’articolo 72 della Costituzione. Se verrà respinta la nostra richiesta di far tornare il provvedimento in Commissione, presenteremo nei prossimi giorni un conflitto d’attribuzione presso la Corte costituzionale, per la lesione senza precedenti, in sessanta anni di storia del Senato, delle prerogative costituzionalmente garantite dalla Commissione. Questa è dunque il primo motivo che poniamo all’attenzione dell’Assemblea.

Il secondo riguarda la lesione dell’articolo 29 della Costituzione. Ora sta parlando il senatore Giovanardi, ma nei giorni scorsi i Presidenti o Vice Presidenti emeriti della Corte costituzionale Flick, Mirabelli, Chieppa, Santosuosso, De Siervo, Maddalena e Napolitano hanno tutti autorevolmente firmato appelli o rilasciato interviste, in cui si dice che il testo presentato in Assemblea confligge direttamente con l’articolo 29 della Costituzione, perché le unioni civili tra uomo e uomo o tra donna e donna si sovrappongono, richiamando le norme del codice civile, al matrimonio previsto dalla Costituzione (Applausi del senatore D’Ambrosio Lettieri). La Corte costituzionale ci ha chiesto di applicare l’articolo 2 della Costituzione, sulle formazioni sociali, e non di creare un matrimonio di serie B. Quindi, i maggiori costituzionalisti italiani hanno bollato questo testo come incostituzionale.

Passo dunque al terzo motivo di incostituzionalità, che abbiamo presentato: se passa questa legge avremo il matrimonio tra uomo e donna, regolato dall’articolo 29 della Costituzione, avremo le unioni civili, esclusivamente tra uomo e uomo o tra donna e donna, con la reversibilità e tutti i privilegi del matrimonio, avremo le convivenze eterosessuali, regolate dalla seconda parte della legge Cirinnà, che valgono solo per gli eterosessuali non sposati. Quindi i due uomini o le due donne avranno diritto alla pensione di reversibilità, ma la famiglia di fatto, magari con due figli, non avrà tale diritto, che è previsto solo per le coppie omosessuali. Esiste poi una quarta categoria, costituita dalle coppie di fatto, che non fanno le convenzioni, né le unioni civili, e che avranno la protezione che la giurisprudenza già assegna a quel tipo di coppie. Avremo poi le coppie che vivono in una situazione di solidarietà, ma non sulla base di un rapporto d’amore, prendiamo ad esempio il caso della convivenza tra due vedove, che pure hanno diritto a veder regolati tali rapporti, e poi avremo i single. Dunque avremo creato un codice civile a fette, diviso in sei parti, e i magistrati dovranno districarsi in questo ginepraio di norme. Dunque, invece di parificare i diritti di tutti, invece di dare a tutti i non sposati la possibilità di fruire di diritti per l’assistenza, l’ospedale, l’affitto, la casa o la successione nell’impresa, si stabiliscono diverse categorie, l’una diversa dall’altra, in base alla situazione in cui si trovano.

Un’ultima cosa, forse la più importante di tutte, che attiene alla pregiudiziale di costituzionalità è che questo disegno di legge apre la strada alla compravendita di bambini e noi diciamo che i bambini non si comprano. Oggi una coppia uomo-uomo, può andare all’estero e portarsi a casa un bambino fatto con l’utero in affitto, e se il padre vero, quello biologico, muore, il tribunale, secondo l’articolo 44, lettera a), in vigore, può dare in adozione il bambino al partner superstite, anche se non è il padre, perché si può accertare che ci sia un carattere stabile di affetto fra i due. Se passa invece il disegno di legge presentato dalla senatrice Cirinnà, chiunque, spendendo 80.000, 100.000 o 120.000 euro, va a procurarsi l’ovocita con una selezione eugenetica in alcuni Paesi che garantiscono che la persona sia bianca, bella, alta, sana, naturalmente con contratti che prevedono l’aborto se le cose vanno male. Poi si prende una donna del terzo mondo o in Ucraina, che per disperazione e per povertà è costretta a vendersi, e dopo nove mesi questo bambino viene strappato alla madre, programmato come orfano, portato in Italia da due uomini che, se passa il disegno di legge Cirinnà, un minuto dopo chiedono l’adozione e diventano genitore 1 e genitore 2: un’infamia nei confronti delle donne che vengono sfruttate; un’infamia nei confronti dei bambini privati del diritto che il Comune di Roma, su iniziativa della senatrice Cirinnà, ha dato ai cani e ai gatti dei canili, a cui non possono essere portati via i cuccioli per almeno quattro mesi perché mancherebbe loro l’affetto della madre. Questo e quanto capiterà con questo testo.

Quindi, le nostre quattro proposte, una di metodo e le altre di merito, danno il nostro segno di come sia stato assolutamente folle e affrettato portare un tema così delicato all’attenzione dell’Aula senza un minimo di approfondimento dei temi giuridici complessi, che sono alla base di questo provvedimento, creando nuovamente figli e figliastri, e senza nessuna informazione. Ho dovuto telefonare a Oscar Giannino e ad Alessandro Milan a «Radio24», una delle maggiori radio italiane, perché stavano spiegando a tutti che le unioni civili sono sia per gli omosessuali che per gli eterosessuali, e valgono per tutti. Ho dovuto chiamare per dire loro: ma cosa state dicendo? Le unioni civili sono una categoria solamente per gli omosessuali. Le coppie di fatto uomo-donna hanno invece un trattamento inferiore e diverso da quello che viene dato a loro: una cosa, dal punto di vista costituzionale, totalmente ingiustificabile.

Allora se ne avessimo avuto tempo, avremmo potuto fare magari quello che ha fatto la Grecia. Ricordo all’Assemblea che le ultime leggi in Europa sulla materia sono state quella della Slovenia, che con il 64 per cento dei voti ha bocciato la legge sul matrimonio gay, e quella della Croazia, che con un referendum popolare l’ha anch’essa bocciato. Inoltre, la Grecia ha presentato un disegno di legge su cui tutte, le associazioni LGBT hanno espresso il loro consenso, tanto che io ne ho riproposto il contenuto sotto forma di emendamento. Cosa dice la legge greca così lodata di Tsipras? Dice che si va da un notaio e chiunque (uomo-uomo, donna-donna, donna-uomo) può fare un contratto di solidarietà che viene poi depositato presso il Comune, e con quel contratto si garantiscono tutta una serie di diritti individuali.

Vorrei ricordare Aldo Moro e Amendola, e qui c’è il presidente Napolitano che ha conosciuto Amendola e la Iotti personalmente. All’Assemblea costituente, quando l’articolo 2 prevedeva che si garantivano i diritti dei singoli e delle formazioni sociali, Moro, Amendola, la Iotti e Fanfani presentarono un emendamento che diceva: non i diritti dei singoli e delle formazioni; loro sostenevano di non riconoscere il diritto del sindacato o del patronato o del partito, bensì i diritti dei singoli nelle associazioni; quindi i diritti di due soggetti che vogliono fare un’unione civile o di un uomo e di una donna che vogliono fare queste convenzioni, i diritti dei due singoli nella formazione sociale; non c’è il diritto della formazione sociale. L’articolo 2 venne emendato, la Costituente approvò la modifica e le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’individuo.

E questo ci ha chiesto di fare la Corte costituzionale con la sentenza n. 10, affermando che, neanche con la più grande fantasia del mondo un Parlamento, se non si modifica l’articolo 29, può attribuire il matrimonio se non esclusivamente a un uomo e a una donna. Purtroppo il disegno di legge Cirinnà sconvolge la Costituzione e quello che la Corte costituzionale ci ha detto di fare.

Per fortuna tantissimi omosessuali e transessuali la pensano esattamente come noi. Tutti gli omosessuali hanno avuto una madre e un padre e magari, come Pasolini o Zeffirelli, anche un rapporto di affetto privilegiato con la madre. Tutte queste cose sono state sconvolte invece da un testo che, secondo quello che alcune associazioni vogliono, punta direttamente al matrimonio, perché vogliono avere i figli. Ebbene, sul diritto di un bambino di nascere e di avere un padre e una madre noi non transigiamo. Purtroppo, con il disegno di legge Cirinnà capiterà esattamente l’opposto. (Applausi dal Gruppo GAL (GS, PpI, FV, M, MBI, Id, E-E)).

FORMIGONI (AP (NCD-UDC)). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FORMIGONI (AP (NCD-UDC)). Signor Presidente, colleghi, il Gruppo di Area Popolare ha presentato la questione pregiudiziale di costituzionalità QP1 e la questione sospensiva QS2. Vorrei brevemente ricordarne i termini fondamentali per chiedere all’Aula di appoggiarle.

Presidente, partirò dalla questione sospensiva, che abbiamo presentato non con un intento dilatorio, tant’è vero che indichiamo tempi certi di lavoro per la Commissione giustizia. Il nostro intento è esattamente l’opposto: è dare la possibilità a tutti noi, senatrice e senatori, di portare a termine e di varare una legge che abbia la certezza di essere tale, che non sia revocabile in nullità per un errore grave che noi possiamo commettere e che stiamo commettendo. Presidente e colleghi, credo che sia chiaro a tutti che la procedura che stiamo seguendo non è prevista né dal nostro Regolamento del Senato né dalla Costituzione. È una procedura scorretta che non potrà che essere sanzionata dalla Corte. È già stato ricordato da diversi colleghi che mi hanno preceduto nel dibattito della settimana scorsa e anche appena pochi istanti fa dal senatore Giovanardi: c’è il precedente di grande rilievo dell’abrogazione e della dichiarazione di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi, proprio perché questa non fu varata dal Parlamento di allora seguendo la procedura corretta.

Colleghi, sappiamo tutti, al di là delle posizioni che ciascuno di noi è spinto ad assumere nei dibattiti pubblici, che questo disegno di legge è in Assemblea senza che la Commissione di merito abbia mai potuto approfondirlo e neanche sostanzialmente trattarlo; eppure, si tratta di un tema che riguarda una materia assolutamente delicata che tocca rilevanti beni costituzionali. Per cui, torno a dire, colleghe e colleghi, che il mio è un invito al buonsenso e alla razionalità. Il Senato si prenda un tempo limitato supplementare di ritorno in Commissione giustizia perché la procedura possa essere corretta. La procedura – ricordo – è chiaramente esplicitata nell’articolo 72, comma 1, della Costituzione, laddove essa prescrive che ogni disegno di legge è esaminato da ciascuna delle Camere, da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo con votazione finale. L’articolo 72, comma 1, della Costituzione è ripreso integralmente dall’articolo 44 del nostro Regolamento che prevede che le relazioni delle Commissioni siano presentate nel termine massimo di due mesi dopo un esame da parte della Commissione stessa. Noi tutti, invece, sappiamo – torno a dirlo, colleghe e colleghi – che il testo sulle unioni civili attualmente in esame è stato posto all’ordine del giorno dei lavori dell’Assemblea del Senato senza che su di esso sia mai nemmeno formalmente iniziato l’esame nella competente Commissione permanente di merito. Non solo: non è mai stato sentito il parere della Commissione bicamerale per l’infanzia, la Commissione istituzionalmente abilitata a fornire un suo contributo alla materia. Ove questo parere non fosse acquisito, questo configurerebbe un ulteriore motivo di incostituzionalità e di revoca da parte della Corte costituzionale. Allo stesso modo, si è omesso di sentire in audizione altri soggetti istituzionalmente rilevanti, come i rappresentanti della Commissione per le adozioni internazionali della Presidenza del Consiglio dei ministri, ma anche soggetti privati da tempo impegnati sul terreno delle adozioni.

Signor Presidente, colleghi, questa mattina il presidente del nostro partito, il ministro Angelino Alfano, ha avanzato una proposta pubblica affinché il Senato si prenda un tempo limitato – ripeto, nessun ostruzionismo – per la ricerca del massimo accordo possibile. Stiamo trattando un tema non soltanto delicatissimo, ma anche divisivo, non solo della nostra Assemblea, ma anche dell’opinione pubblica, del Paese.

Si tratta di un disegno che non potrà e non dovrà essere approvato a colpi di maggioranza o, per meglio dire, a colpi di maggioranze, perché le maggioranze potrebbero anche essere variabili, casuali; un tema così delicato non potrebbe essere approvato da maggioranze casuali. Torno, quindi, a dire che il mio e il nostro è un invito alla ragionevolezza, al ragionamento, alla razionalità.

Brevemente, nel poco tempo che mi rimane, ricordo, come ho già accennato, che abbiamo presentato la questione pregiudiziale di incostituzionalità QP1, perché anche sotto questo profilo il disegno di legge presenta numerose incongruenze.

Innanzitutto, è l’insieme del provvedimento, soprattutto nella sua prima parte, ad essere in contrasto con gli articoli 29 e 31 della Costituzione; un contrasto patente, un contrasto forte, che non può che essere riconosciuto, laddove la Costituzione sottolinea che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio ed è chiamata ad agevolare «con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi».

Non solo: c’è una violazione chiara dell’articolo 3, laddove viene assimilato al regime della famiglia quello di una formazione sociale diversa, mentre l’articolo 3 impone al legislatore di trattare fattispecie eguali in modo eguale e fattispecie diverse in modo diverso.

Poi, colleghi, è manifestamente violato l’articolo 81 della Costituzione, poiché c’è un’insufficiente copertura di bilancio, riferita alle norme sull’estensione della pensione di reversibilità. È chiaro ed è detto con chiarezza che il calcolo deve essere fatto su un periodo di tempo di almeno dieci anni; invece, il testo in esame assume a riferimento un periodo largamente inferiore. Se si fosse agito in termini coerenti con quanto la Costituzione impone, ci saremmo resi conto di essere di fronte ad una spesa obbligatoria di ben altra dimensione, molto più rilevante, e quindi il Senato sarebbe spinto a pronunciarsi di fronte ad un aumento delle spese dello Stato previste per una somma decisamente superiore: secondo calcoli che trovano il consenso di molti esperti, stiamo parlando di una cifra largamente superiore al miliardo di euro.

Infine – ma si potrebbe proseguire per lungo tempo – c’è una contraddizione sul piano dello stretto diritto nell’articolo 1 del disegno di legge, che appare insanabile, poiché quando si afferma che l’unione civile è una «specifica formazione sociale» se ne riserva, poi, l’accesso a coppie dello stesso sesso, escludendone le coppie di sesso diverso.

E ancora, viene violato il principio di uguaglianza, ad esempio all’articolo 3 del disegno di legge, che rappresenta una violazione patente di tale principio. E infine, il disegno di legge è in contrasto con l’articolo 31 della Costituzione, che obbliga a proteggere l’infanzia.

Vi sarebbero altri rilievi da fare, sui quali però non voglio soffermarmi perché il tempo che mi è riservato è scaduto. Invito però i colleghi e le colleghe a voler procedere con un voto di libertà, che tenga conto della reale sostanza delle questioni che poniamo e possa mettere tutti noi, qualunque sia la nostra opinione, nella condizione di dare, dopo un esame adeguato, un voto libero e costituzionalmente valido. (Applausi dal Gruppo AP (NCD-UDC). Congratulazioni).

CALIENDO (FI-PdL XVII). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALIENDO (FI-PdL XVII). Signor Presidente, è stato già ricordato come questo disegno di legge arrivi in Assemblea senza che siano stati rispettati l’articolo 72 della Costituzione e l’articolo 44 del Regolamento e in violazione dell’articolo 81 della Costituzione. Io mi auguro che il Presidente della Repubblica possa bloccare questo disegno di legge, perché, signor Presidente, quello che è stato raggiunto per l’Assemblea, come possibilità di chiudere in quindici giorni la discussione e la votazione, poteva essere fatto in Commissione.

La Commissione è stata invece espropriata della possibilità di discutere. Eppure, signor Presidente, avevamo dato la nostra disponibilità. Lei tenga conto del fatto che lo stesso disegno di legge Cirinnà stabilisce, all’articolo 1, che le unioni civili sono formazioni sociali. Ricorderà il Sottosegretario, che era presente in Commissione, che questa è stata una mia indicazione: una specifica formazione sociale. Ma probabilmente il Gruppo del Partito Democratico non l’ha capito, visto che ha dovuto accettarlo dopo quaranta minuti di sospensione dei lavori. E lei mi insegna che, dopo l’approvazione della Costituzione, da quando vi sono i commenti sulla Costituzione, quelle che sono le coppie di fatto, siano esse omosessuali o eterosessuali, rientrano nell’articolo 2 della Costituzione. Signor Ministro, io ho dedicato quarantacinque anni della mia vita al diritto delle persone e della famiglia. Ebbene: ovunque, in qualsiasi testo, le formazioni sociali sono le coppie di fatto, siano esse eterosessuali o omosessuali. Chiunque abbia letto un po’ di diritto sa che le formazioni sociali si distinguono per la libertà di accedervi e per la libertà di uscirne, cosa che invece non si realizza con questo disegno di legge.

Si tratta di un disegno di legge che introduce una discriminazione forte, signor Presidente. Secondo il censimento del 2011, noi abbiamo 1.242.000 coppie di fatto. Di queste, 571.000 sono composte da cittadini mai coniugati, e le restanti da cittadini che non hanno avuto il divorzio, salvo le coppie omosessuali che sono 7.523. Questo vuol dire che stiamo realizzando una discriminazione forte nel nostro Paese. Sono passati trent’anni – il ministro Orlando lo saprà – dalla presentazione, da parte delle donne comuniste nel 1986, del primo disegno di legge che finalmente tentava di realizzare una disciplina delle coppie di fatto, una disciplina che la Corte costituzionale ha richiamato con la sentenza n. 138 del 2010. Tale disciplina, signor Presidente, richiama direttamente l’articolo 29 della Costituzione. Questo non lo dico io, ma lo dicono i costituzionalisti e la Corte costituzionale, che ha specificamente detto che, nella disciplina delle unioni civili, il Parlamento dovrà stabilire un istituto generale di diritti e doveri, che non è realizzabile solo ed esclusivamente con l’unione con accostamento al matrimonio. Anzi, la Corte nel 2014 ha ribadito che non ci può essere omogeneità tra unioni civili e coppie matrimoniali. L’ha detto facendo un richiamo esplicito.

Quale è la realtà invece? È una realtà che è denunciata innanzitutto da un Governo che dice di essere assente, di non interessarsi della questione e di rimettersi al Parlamento. Invece, in un’intervista rilasciata al quotidiano «la Repubblica» nel 2014, il sottosegretario, anzi oggi vice ministro, Scalfarotto diceva testualmente: «L’unione civile non è un matrimonio più basso, ma la stessa cosa. Con un altro nome per una questione di Realpolitik». Ma forse non ha capito, l’onorevole Scalfarotto, che non è una questione di Realpolitik. Il nome ha un suo significato.

Le formazioni sociali sono una grande intuizione dovuta a Moro, dovuta ai Costituenti che individuarono in quell’articolo 2, che si distingue dall’articolo 29, anche la famiglia come formazione sociale. Non glielo devo insegnare, signor Presidente, però lei sa bene che per la famiglia fu istituito l’articolo 29 per garantirne una specificità che non può essere realizzata con una specie di gioco delle tre carte, truffaldino, nel senso che si scrive «unioni civili» come se si trattasse di una formazione sociale ex articolo 2 della Costituzione, una cosa estranea all’articolo 29. No, perché nel testo Cirinnà si conferma quanto ha detto l’onorevole Scalfarotto: le disposizioni che si riferiscono al matrimonio devono essere applicate alle unioni civili. È ridicolo perché l’articolo 116 del codice civile, ad esempio, stabilisce, che lo straniero che vuole contrarre matrimonio deve avere il nulla osta al matrimonio stesso secondo le leggi del proprio Paese. Quindi non stiamo parlando di unioni civili.

Allo stesso modo, all’articolo 160 del codice civile si parla di diritti e doveri dei coniugi e infine, quando si parla di Titolo XIII, degli alimenti, anche in questo caso si mostra ignoranza perché obbligazione degli alimenti non significa richiamarli, occorre individuare quale sia l’ordine e sapete tutti perché esiste un ordine: è l’ordine progressivo che obbliga al versamento degli alimenti.

Per quanto riguarda l’adozione, qualcuno ha tentato di fuorviare l’attenzione dalla gravità degli errori che si stanno commettendo. Si tratta di errori gravi dal punto di vista costituzionale sulla parificazione dell’unione civile al matrimonio. E allora hanno parlato di stepchild adoption. In effetti, se lei legge l’articolo 3 del disegno di legge, nelle ultime due righe si esclude l’applicabilità alle unioni civili del Titolo II della legge sull’adozione ma non si esclude il Titolo III e non si esclude il Titolo IV. Il Titolo III riguarda le adozioni internazionali ma siccome si fa riferimento alle condizioni di cui all’articolo 6 si può ritenere escluso. Il Titolo IV, invece, riguarda l’adozione in casi particolari e cioè quella stessa adozione che viene quindi estesa in tutta la sua dimensione alle coppie omosessuali e poi la si corregge all’articolo 5. Perché? Perché si vuole rendere la coppia omosessuale uguale alla coppia matrimoniale.

Vede, signor Presidente, credo che tutti sappiano – o mi auguro che sia così perché molte volte mi sono trovato ad interrogare coloro che partecipano a programmi televisivi oppure i giornalisti e non lo dicono mai – che questa normativa non si applica agli eterosessuali. Cioè, un cittadino eterosessuale che ha avuto un figlio da madre che non intende essere nominata e convive con un’altra donna non può far adottare suo figlio dalla sua convivente in base alla lettera b). Potrà adottarlo in base alla lettera a). Perché? Perché è figlio del coniuge, di cui alla lettera b). Quando si introduce questa ulteriore discriminazione, lo si fa soltanto per rendere ulteriormente omologabile al matrimonio l’unione civile. Ed è un errore.

Signor Presidente, se lei ha il potere, rinvii innanzitutto in Commissione il provvedimento, perché quegli errori non riusciremo mai a correggerli in questa sede, e comunque sarebbe un atto di conformità alla Costituzione. Nello stesso tempo, se non si dovesse pensare a questo, sarà responsabilità di tutti escludere qualsiasi riferimento all’adozione in questo provvedimento, perché ne parleremo nel provvedimento sull’adozione, già in discussione in Parlamento. E sarebbe un errore grave stralciarlo in questo momento, facendone soltanto oggetto di una riflessione sugli omosessuali.

Io credo nelle unioni civili di tutti i cittadini, eterosessuali o omosessuali, ma che siano distinte dal matrimonio. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

CRIMI (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRIMI (M5S). Signor Presidente, intervengo brevemente solo per annunciare il voto contrario da parte del Gruppo alle questioni pregiudiziali. (Applausi dal Gruppo M5S).

PALERMO (Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALERMO (Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE). Signor Presidente, in effetti è strano parlare di questioni di legittimità costituzionale all’interno di una assemblea politica. Infatti, le varie questioni sono state illustrate in modo squisitamente politico.

Del merito politico si parlerà e, quindi, provo ora a stare sul piano strettamente costituzionale.

Su questo piano non ci sono dubbi che il provvedimento in esame non sia affatto costituzionalmente illegittimo; e provo ad illustrare molto rapidamente alcuni dei principali motivi per cui non c’è alcuna illegittimità costituzionale.

Il primo motivo è di natura giurisprudenziale. Sappiamo che la Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti dell’uomo hanno ripetutamente stabilito che potrebbe essere incostituzionale non disciplinare queste fattispecie. E ciò emerge molto chiaramente dalla giurisprudenza.

Cito solo un passaggio della sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale: «Nell’ambito applicativo dell’articolo 2 della Costituzione, spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette». Si tratta, tecnicamente, di una sentenza non soltanto interpretativa di rigetto ma di una sentenza che contiene un monito, per cui, alla lunga, potrebbe risultare illegittimo se il Parlamento non approvasse questa legge.

Secondo motivo: ci vuole cautela quando si parla di diritti. Parliamo in continuazione di diritti, ma non si capisce bene i diritti di chi e di cosa. Molti hanno ripetuto che deve esserci un diritto del bambino ad avere una mamma e un papà. Suona molto bene, ma in realtà è un argomento capzioso. Cosa significa? Qual è la situazione per tutti coloro che, invece, non hanno una mamma e un papà? Essere orfani, essere abbandonati, avere un solo genitore è la violazione di un diritto? (Applausi dal Gruppo PD).

Posta così, la questione, cioè il diritto ad avere una mamma e un papà, diventa non un diritto, ma un obbligo, una scelta etica imposta dallo Stato, dal legislatore, contro l’interesse dei figli. Si tratta di una scelta come minimo illiberale, e sicuramente contraria al principio individualista di cui all’articolo 2 della Costituzione.

Se poi si nega, sempre parlando di diritti, il diritto di una coppia a formare una unione, ciò significa seguire una impostazione pericolosa di una presunta (e sottolineo presunta) maggioranza che nega diritti a delle minoranze e che non può certamente essere l’impostazione voluta dalla Costituzione.

Ancora, le pregiudiziali parlano di equiparazione al matrimonio e di utero in affitto. Sono evidentemente argomentazioni strumentali e non meritevoli di particolari considerazioni: non si parla nel testo di utero in affitto, che resta vietato in base all’ordinamento, e poi il disegno di legge è tutto basato sulla rigida – secondo me anche troppo – separazione tra le unioni civili, le convivenze di fatto e il matrimonio.

Quanto all’analogia con il matrimonio, il disegno di legge disciplina – lo sappiamo – due istituti: le unioni civili tra persone dello stesso sesso, riservato alle coppie omosessuali (con l’introduzione di tutta una serie di disposizioni), e la convivenza di fatto aperta a tutti (con una serie di garanzie minori).

Si è detto che così si discriminano gli eterosessuali, un argomento che apparentemente potrebbe anche sembrare fondato, ma che è la conseguenza della scelta – a mio parere opinabile, ma certamente non incostituzionale – di non avere alcun punto di contatto tra l’istituto dell’unione civile e quello del matrimonio: l’uno resta aperto solo agli omosessuali, l’altro solo agli eterosessuali; quindi, se questa disposizione dovesse violare il principio di eguaglianza, se ne dovrebbe ricavare che la viola anche il mancato accesso al matrimonio. Tuttavia, poiché la Corte costituzionale ha stabilito che non è questo il caso, la previsione di un istituto apposito per i soli omosessuali, così come il matrimonio riservato solo agli eterosessuali, è una soluzione a rime costituzionalmente obbligate; è esattamente ciò che la Corte costituzionale ha stabilito in diverse sentenze.

L’ultimo punto su cui mi soffermo sono le adozioni. Come sappiamo, si tratta di casi solo eccezionalmente previsti, e il criterio, come per le adozioni da parte di coppie eterosessuali, è solo l’interesse del minore; in sostanza, si verificano i requisiti nel caso specifico e concreto, e questi non possono certo riguardare l’orientamento sessuale degli adottanti, altrimenti significherebbe implicitamente ritenere l’omosessualità una condizione di inadeguatezza (e mi pare che nemmeno i più estremi sostenitori dell’incostituzionalità di questa legge siano arrivati a sostenere tanto). Quindi, se motivi di incostituzionalità esistono, sono semmai l’esclusione dell’adozione per le coppie omosessuali, salvi i casi particolari. Tuttavia, questa cautela deriva proprio dall’impostazione, seguita da questo disegno di legge, di tenere totalmente – ripeto, anche troppo – distinti l’istituto dell’unione civile e quello della famiglia.

Per questi motivi, dichiaro il voto contrario alle questioni pregiudiziali da parte del Gruppo Per le Autonomie. (Applausi dai Gruppi Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE), PD e Misto. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Metto ai voti la questione pregiudiziale presentata, con diverse motivazioni, dal senatore Sacconi e da altri senatori (QP1), dal senatore Giovanardi e da altri senatori (QP2), dal senatore Gasparri e da altri senatori (QP3), dal senatore Quagliariello e da altri senatori (QP4), dal senatore Compagna e da altri senatori (QP5), dal senatore Augello e da altri senatori (QP6), dai senatori Bonfrisco e Bruni (QP7) e dalla senatrice Stefani e da altri senatori (QP8).

Non è approvata.

PALMA (FI-PdL XVII). Chiediamo la controprova.

PRESIDENTE. Ordino la chiusura delle porte. Procediamo alla controprova mediante procedimento elettronico.

Non è approvata.

Poiché le questioni sospensive sono tutte volte a rinviare l’esame dei disegni di legge con l’indicazione di diversi termini per riferire nuovamente in Assemblea, avverto che sarà posto in votazione in primo luogo il principio del rinvio in Commissione. In caso di accoglimento, saranno successivamente posti in votazione i diversi termini per riferire all’Assemblea.

Metto ai voti la questione sospensiva, avanzata, con diverse motivazioni, dal senatore Giovanardi e da altri senatori (QS1), dal senatore Sacconi e da altri senatori (QS2), e dalla senatrice Stefani e da altri senatori (QS3), volta a rinviare in Commissione i disegni di legge in titolo.

Non è approvata.

GASPARRI (FI-PdL XVII). Chiediamo la controprova.

PRESIDENTE. Ordino la chiusura delle porte. Procediamo alla controprova mediante procedimento elettronico.

Non è approvata.

Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritta a parlare la senatrice Cirinnà. (Brusio).

AIROLA (M5S). Vediamo quanti sono interessati!

PRESIDENTE. Senatrice Cirinnà, la discussione non può avere inizio perché vedo che tanti senatori non hanno interesse a seguire e quindi si allontanano dall’Aula. Prego chi non è interessato di accomodarsi fuori dall’Aula e di farlo in silenzio.

Prego, senatrice Cirinnà, ha facoltà di parlare.

CIRINNA’ (PD). Signor Presidente, colleghi, è per me molto difficile raccontare in pochi minuti la straordinaria avventura che ho vissuto in questi due anni di lavoro. È difficile perché, più che questioni di diritto e giurisprudenza, vorrei comunicarvi le emozioni che ho provato girando l’Italia, da Aosta a Barletta, incontrando migliaia di coppie, famiglie, militanti di tutti i partiti e attivisti LGBT, tutti cittadini interessati a cambiare – e in meglio – questo Paese.

La gran parte degli italiani sa che il contrario della parola discriminazione è uguaglianza. Attenzione: questa non è ideologia, è semplicemente giustizia. Tenetelo a mente, colleghi: ogni qualvolta violeremo il principio di uguaglianza avremo prodotto una discriminazione e ci esporremo al vaglio di ragionevolezza della Corte costituzionale.

Un diritto può essere riconosciuto o negato ed è su questo che giuristi e magistrati si esprimono, poiché i diritti incidono sull’ordine costituito. Se un diritto è riconosciuto senza limiti costrittivi ad alcuni ed ingiustamente negato ad altri c’è discriminazione.

Un altro motivo di difficoltà, che ho affrontato nel corso del duro lavoro svolto, è stata la costruzione di un nuovo istituto giuridico quale, appunto, quello delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, pur essendo personalmente favorevole, come molti tra di noi, all’estensione del matrimonio egualitario. (Applausi dal Gruppo PD).

È per questo motivo – vi chiedo davvero scusa se qualche volta sono stata un po’ brusca durante le nostre discussioni – che ho cercato di spiegare che il nuovo istituto delle unioni civili nell’attuale quarta versione è già una sintesi moderata ed ogni tentativo di mediazione sui diritti può produrre nuove disuguaglianze.

A lungo mi sono posta la domanda se questo testo sia effettivamente ciò di cui le famiglie arcobaleno hanno bisogno e se sia all’altezza delle loro legittime richieste. È stato difficile perché ho vissuto sulla mia pelle i risvolti di un dibattito avvelenato fin dalla lunghissima discussione in Commissione, che ha appesantito un iter parlamentare di per sé molto complicato.

Abbiamo scelto la via delle unioni civili per rispondere a criteri di prudenza, nella convinzione che alla piena eguaglianza si potrà arrivare passo dopo passo. Allo stesso tempo, questa è una scelta che non pregiudica né misconosce la richiesta di riconoscimento che proviene dalle coppie omosessuali ed assicura un adeguato livello di tutela a loro e sopratutto ai loro figli. (Applausi dal Gruppo).

A proposito delle questioni di incostituzionalità sollevate attorno a questa proposta, pensando al provvedimento e alla nostra Carta costituzionale ho voluto rivolgere il pensiero alle grandi donne della nostra Repubblica come Nilde lotti, Teresa Noce, Lina Merlin, esempi chiari e limpidi di una vera e propria politica di umanità. Penso alla loro profonda sensibilità verso le mille sfumature dell’universo familiare che chiedevano riconoscimento costituzionale; penso alle battaglie per l’eguaglianza tra coniugi e l’eguaglianza tra figli, concetti oggi ancora dall’attualità esplosiva, quando sembrano passati secoli dal lavoro dei Padri costituenti. Ora, nel 2016 – a quasi trent’anni dalla prima proposta di riconoscimento per coppie dello stesso sesso – ci apprestiamo a dare all’Italia una legge tanto attesa.

Guardo all’articolo 2 della Costituzione, su cui si fonda il provvedimento in discussione; guardo all’articolo 29, indiscutibilmente al centro di questo nostro confronto parlamentare. Penso alla loro correlazione indissolubile, alla doppia dimensione individualista e pluralista per la lotta contro il totalitarismo di Stato, il quale intacca, come dice Aldo Moro, innanzitutto la famiglia, per poter, attraverso questa via, più facilmente intaccare la libertà della persona. Per questo, l’istituto di diritto pubblico dell’unione civile è in maniera cristallina in linea con l’articolo 2 della nostra Carta, per cui lo Stato, ricordando le parole di La Pira, non fa che riconoscere e tutelare dei diritti anteriori alla Costituzione dello Stato, che sono diritti dei singoli, diritti delle società o comunità naturali, laddove la parola «naturale», lungi dal cristallizzare una determinata accezione culturale o religiosa, voleva semplicemente affermarne il carattere pregiuridico, come reazione all’impostazione autoritaria del diritto di famiglia che aveva caratterizzato lo Stato fascista.

La Costituzione è un processo di liberazione della persona umana naturalmente inconcluso e da rinnovare continuamente con spirito di cooperazione solidale. La Costituzione è stata scritta avendo in mente il passato, il presente e il futuro, considerando chi aveva già la voce per farsi sentire e chi ancora non aveva trovato spazio nella comunità politica, come le persone omosessuali, oggetto di un pervasivo e doloroso stigma sociale. Queste persone per troppo tempo assenti e taciute, oggi le rendiamo finalmente presenti al resto della comunità politica, riconosciamo la loro esperienza di vita familiare come una realtà meritevole di tutela, perché attinente alla loro dignità personale. Così, concretamente, realizziamo quella parte di Costituzione scritta per gli assenti, quegli assenti (individui adulti, bambini, famiglie) che finalmente diventano presenti, con pari diritti e dignità già riconosciuti agli altri cittadini.

Colleghi, vi chiedo: da che parte vorremo farci trovare dai nostri figli e dai nostri nipoti, quando fra trent’anni torneranno a leggere i Resoconti di questa seduta? Dalla parte di chi ha creduto possibile far muovere all’Italia il primo e tanto atteso passo verso l’eguaglianza, o dalla parte di chi ha visto nella Costituzione il patrimonio di pochi privilegiati e nell’estensione dei diritti un pericolo?

Rifletto però su quanta disinformazione e strumentalizzazione politica hanno fuorviato il dibattito pubblico. La frase che ritengo più falsa è che in Italia stiamo introducendo il matrimonio e l’adozione gay. Questo non è vero: stiamo dando semplicemente tutela giuridica alla vita privata e familiare di coppie omosessuali, attraverso le unioni civili, fondate sull’articolo 2 della Costituzione, come indicato dalla stessa Corte costituzionale, nelle sentenze del 2010 e del 2014, e stiamo, poi, riconoscendo soltanto ad una delle parti dell’unione civile di chiedere al giudice la possibilità di estendere la responsabilità genitoriale sul figlio minore del partner, attraverso l’applicazione della legge sulle adozioni, già applicata dai tribunali dei minori, poiché ritenuta quella che consente la maggior tutela del bambino, anche in caso di morte del genitore naturale.

Su questo punto, colleghi, si sono agitati i fantasmi più spaventosi. Sono settimane che leggiamo sui giornali che, così facendo, si rischia di aprire la strada in Italia all’istituto della gestazione per altri. Non devo ricordare qui, in Parlamento, che una delle nostre leggi, la n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita, quasi interamente riscritta dalla Consulta, vieta e punisce espressamente la pratica della gestazione per altri. Questo divieto è e resterà in vigore e in nessun modo il testo di cui discutiamo oggi interferisce con tale divieto. Si tratta quindi di un argomento fuorviante e strumentale.

Il punto è uno: il nostro ordinamento non ammette discriminazioni tra i figli, basate sulla cornice giuridica del rapporto tra i genitori, e non ammette la discriminazione tra eterosessuali ed omosessuali in relazione alla valutazione della loro capacità di essere genitori, né ammette discriminazioni tra figli, in ragione del modo in cui sono venuti al mondo. In ragione di tutto ciò, è evidente che deve sempre prevalere l’interesse del bambino alla stabilità e alla continuità degli affetti. Sono bambini, sono cittadini di questo Paese e oggi decideremo del loro futuro: meritano di essere riconosciuti e tutelati. Con l’articolo 5 facciamo un primo decisivo passo per la loro tutela, nella concreta situazione in cui si trovano a vivere, sulla base del buonsenso e dell’imperativo costituzionale di eguaglianza e senza togliere diritti a nessuno.

Mi avvio alla conclusione, signor Presidente e passo rapidamente ad illustrare il secondo obiettivo ambizioso del provvedimento in esame: la codificazione dei diritti delle coppie conviventi, omosessuali o eterosessuali che siano. Il capo II del testo intende per conviventi due persone, non parenti, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale. A tutti coloro che convivono more uxorio, senza distinzioni basate sull’orientamento sessuale dei componenti della coppia, vengono riconosciuti alcuni diritti e doveri, già ampiamente sanciti da giurisprudenze consolidate.

In conclusione, nei prossimi giorni, colleghi, saremo chiamati, come senatori della Repubblica, a rispondere come rappresentanti di un’Italia che lavora, che fa progetti, che ama, che vuole tornare alla modernità di un’Europa da costruire sulle basi dell’inclusione e della parità di trattamento dei cittadini. Come senatori della Repubblica siamo dunque chiamati a dare tutela a tutti i figli di un’Italia che non può più tollerare una discriminazione generata dal modo in cui una vita viene al mondo.

Presidenza del vice presidente CALDEROLI (ore 17,34)

(Segue CIRINNÀ). Dobbiamo rispondere ai giovani LGBT, che nelle nostre scuole si preparano ed essere gli italiani e gli europei del domani. Siamo obbligati a dare a ciascuno di loro una risposta, prima che il peso oppressivo della discriminazione spinga altri di loro alla fuga all’estero o al suicidio. Per questo porterò per sempre nel cuore le parole di due giovani amici, per i quali il riconoscimento dello Stato ai loro progetti di vita rappresenterebbe la possibilità di esistere per la prima volta. «Esistere per il mio Paese» – dice uno di loro – «esistere, come se stessi per nascere», «esistere, senza pensare di aver fatto un torto alla mia famiglia».

Colleghi senatori, saremo chiamati a fare una scelta e non ci saranno sondaggi che potranno giustificare un altro giorno di ritardo, non ci saranno motivazioni abbastanza esaustive da consentire la perpetrazione dell’illegalità del nostro Paese davanti al resto d’Europa. Non ci saranno scuse per l’ennesima porta chiusa davanti a chi chiede solo di entrare a far parte della grande comunità delle famiglie italiane, senza nulla sottrarre a tutte le altre famiglie del nostro Paese.

Come ormai è ben chiaro, stiamo esaminando un testo che affronta in modo ampio ed inclusivo tutte le forme di relazioni affettive, siano esse eterosessuali o omosessuali, puntando a riconoscere diritti e anche obblighi a realtà sociali fino ad oggi rimaste nell’ombra del nostro ordinamento giuridico, pur essendo presenti nel diritto vivente.

Vorrei concludere questo mio intervento con il ricordo di un grandissimo italiano, mancato da pochi giorni, il regista di «Una giornata particolare», Ettore Scola, che era solito dire: «Bisogna credere ai miracoli, soprattutto quelli fatti dall’uomo e impegnarsi perché i sogni e le utopie si realizzino». Per fare questo, colleghi, ci vuole un’assunzione di responsabilità totale e collettiva. Noi certo non faremo miracoli, ma abbiamo il compito di fare una buona legge. In questo modo daremo dignità e tutela alla vita di tanti nostri cittadini, perché i diritti non possono e non devono rimanere sogni. (Applausi dai Gruppi PD, Misto e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE. Congratulazioni).

Signor Presidente, chiedo di poter allegare al Resoconto della seduta odierna il testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza la autorizza in tal senso.

È iscritto a parlare il senatore Palma. Ne ha facoltà.

PALMA (FI-PdL XVII). Signor Presidente, premetto subito che sono e sarò del tutto indifferente se all’esito del mio discorso qualcuno intenderà individuare me, che ho una visione assolutamente laica della vita, come un bigotto, ovvero se qualche generale da operetta intenderà chiedere al mio partito sanzioni nei miei confronti, così come ha fatto nei confronti dell’onorevole Calabria, responsabile solo di aver espresso, legittimamente, il suo pensiero.

Ho ascoltato con attenzione l’intervento della senatrice Cirinnà, la quale ha affermato con notevole sicumera che è assolutamente falso che le unioni civili costituiscano nella realtà un matrimonio tra gay sotto falso nome. È un problema, questo, che riguarderà il presidente Mattarella, il quale evidentemente non dimenticherà i suoi studi e principalmente non dimenticherà di aver fatto parte di quell’alto consesso che è la Corte costituzionale, la quale si è espressa nel senso di riconoscere alle coppie di fatto, in quanto formazioni sociali, dei diritti, ma la Cassazione ha altresì aggiunto che la relativa disciplina non può essere sovrapponibile al matrimonio.

La senatrice Cirinnà afferma quindi che è falso che la disciplina delle unioni civili sia sovrapponibile a quella del matrimonio. E allora, con molta tranquillità, cito il suo disegno di legge: «Due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni», identica alla norma per la costituzione del matrimonio: andate a vedere il codice civile.

Quanto allo scioglimento dell’unione civile, esso avviene attraverso le leggi sulla separazione e il divorzio, cioè le stesse che portano alla definizione conclusiva del matrimonio. Non solo, ma al di là di questa identità tra l’atto costitutivo e l’atto finale delle unioni civili con il matrimonio, nel testo del disegno di legge della senatrice Cirinnà leggiamo, all’articolo 3, comma 3, che si applicano alle unioni civili le stesse identiche disposizioni che regolamentano il matrimonio. E, al comma 4, che tutte le disposizioni che si riferiscono al coniuge, a coniugi o termini equivalenti, cioè quella moglie e quel marito che erano oggetto dell’articolo 1 del disegno di legge Lo Giudice sul matrimonio egualitario, si applicano al partner dell’unione civile. Ancora, alpartner delle unioni civili si applica il diritto successorio che prevede la legittima al coniuge. So bene che non sono state previste le pubblicazioni, ma queste non mi sembra appartengano al mondo dei diritti e, conseguentemente, credo che il presidente Mattarella dovrà riflettere a lungo prima di firmare questa legge, essendo palese la sua incostituzionalità, che non può essere superata da un voto parlamentare. In ogni caso, se ciò non dovesse accadere, la Corte costituzionale avrà molto da lavorare e così, quando verrà il tempo, capiremo se è falso o no che le unioni civili sono una sovrapposizione con il matrimonio.

Il senatore Caliendo poco fa ha ricordato come questa legge sulle unioni civili riguardi 7.100 coppie omosessuali e ha ricordato come in questa legge vi sia una disciplina retrocedente per le coppie eterosessuali che in questo Paese sono 1.422.000 e hanno 150.000 bambini. Allora, la prima domanda che mi verrebbe da fare è la seguente: se le unioni civili omosessuali sono una formazione sociale, non lo sono anche le coppie di fatto eterosessuali? Quando la Costituzione richiama le formazioni sociali e i diritti dei componenti di quelle formazione sociali omosessuali o eterosessuali, che dir si voglia, individua in quel momento la discriminazione che è propria di questa legge, un trattamento per le unioni civili omosessuali e un trattamento completamente diverso per le coppie di fatto eterosessuali.

Signor Presidente, signori senatori, questa è la dimostrazione che le unioni civili sono esattamente un matrimonio tra gay perché, se così non fosse, non vi sarebbe davvero senso nel prevedere e nell’aver previsto un trattamento diverso per le coppie di fatto che sono, secondo la Corte costituzionale, formazioni sociali e godono, sempre secondo la stessa, degli stessi diritti e delle stesse aspettative, a meno che furbescamente non si sia voluto immaginare – non so per quale ragione – un trattamento retrocessivo per le coppie di fatto eterosessuali al fine di indurle al matrimonio. Spesso mi sento dire che le coppie eterosessuali possono sposarsi. È vero, ma a condizione che si modifichi quel diritto civile del 1975, che ormai è assolutamente lontano dalla realtà di tutti i giorni. Quel diritto civile nasceva con l’idea che il matrimonio fosse sostanzialmente indissolubile e, nel modificare, ad esempio, i diritti successori, immaginava un trattamento di maggior favore del coniuge che si immaginava essere il genitore dei figli. La situazione di oggi è completamente diversa: abbiamo tre o quattro matrimoni. Credo che questi ragionamenti spesso possano accompagnare i componenti delle coppie di fatto eterosessuali. E se ciò è vero – perché immagino che all’interno di questo insieme di quasi un milione e mezzo di coppie eterosessuali ve ne saranno almeno 7.100 che fanno questi ragionamenti – sarebbe stato necessario avere particolare attenzione anche per le coppie di fatto eterosessuali.

Ma anche su questo interverrà la Corte costituzionale: inevitabilmente, quando la convivente di fatto eterosessuale testimonierà – o non testimonierà – o favoreggerà il suo compagno, non potrà che richiamare la normativa della senatrice Cirinnà e chiedere conto alla Corte costituzionale del perché il partner dell’unione civile può astenersi dal testimoniare, mentre il componente di una coppia di fatto eterosessuale non lo può fare; perché il partner dell’unione civile potrà commettere il reato di favoreggiamento personale restando non punibile e la compagna del convivente di fatto non lo potrà fare perché sarà punibile. Ma, come ho detto prima, di questo si vedrà.

Il secondo punto è quello trattato dall’articolo 5. Diciamo, intanto, per prima cosa, che il bambino del padre biologico o della madre biologica non è destinato a restare solo e privo di tutela; chi afferma questo dice una cosa non vera e in malafede. L’articolo 44, lettera a), della legge n. 184 del 1983, infatti, prevede che, in caso di morte del genitore biologico, chi con quel bambino ha avuto una consuetudine di vita perdurante nel tempo può procedere all’adozione. Evitiamo quindi di fare emendamenti che chiamino in causa la decisione del giudice. Senatore Lumia, decide sempre il giudice nelle adozioni, non c’è bisogno che lei lo scriva in un emendamento. E il giudice deciderà sempre facendo attenzione all’interesse del minore; non esistono procedure automatiche.

Qual è il difetto dell’articolo 5, almeno dal mio punto di vista? Una generalizzazione di situazioni molto diverse tra di loro, con un’unicità di disciplina. Il figlio del partner avuto da un precedente matrimonio o da una precedente storia è un’ipotesi; il figlio del partner avuto con la fecondazione eterologa è un’altra ipotesi; il figlio avuto con la maternità surrogata è un’altra ipotesi ancora. Queste tre ipotesi si differenziano sostanzialmente per un concetto di non poco conto: le prime due nascono da un presupposto legittimo e legale; la terza nasce da un presupposto illegittimo e illegale, contrario alle normative di ordine pubblico di questo Paese (e su questo tornerò).

Credo, allora, che, se il problema dell’articolo 5 è votare l’adozione del figlio del partner avuto da un precedente matrimonio o da una precedente storia o avuto secondo le pratiche della fecondazione eterologa, assolutamente legittime in Italia all’esito della sentenza della Corte costituzionale, immagino che ciascuno di noi potrà votare secondo il proprio progetto di società, ben sapendo che questa legge è destinata ad avere un impatto sociale molto, molto forte. Ma se, per ipotesi, il problema è, invece, consentire l’adozione del figlio avuto attraverso la maternità surrogata, a chi spesso richiama l’Europa e il mondo occidentale mi permetto di ricordare che, fatta eccezione per l’Ucraina e la Russia (che non mi pare appartengano a questo mondo), per il Canada, per taluni Stati degli Stati Uniti, per l’Inghilterra e per la Grecia, tutto il mondo occidentale vieta la maternità surrogata. In molti di questi Stati – vi potrei fare l’elenco, ricordo a memoria l’Austria – essa è considerata reato. Quindi, il mondo occidentale ha un giudizio di disvalore in ordine alla maternità surrogata del tutto simile al nostro e non può davvero portare acqua al mulino di chi intende affermare che l’Europa ce lo chiede o che il mondo occidentale ce lo chiede e che, come diceva Don Alfonso: “Così fan tutte”.

Non solo. Vi rendete conto – sebbene per una parte residuale, può avvenire – che, rendendo possibile l’adozione del figlio di una maternità surrogata – donne e uomini della sinistra, per anni avete parlato di questo – consentite a chi è ricco – occorrono almeno 100.000 euro per una maternità surrogata – di sfruttare fino in fondo il corpo di una donna? Scusatemi, voi uomini e donne della sinistra, ma c’è uno sfruttamento maggiore del corpo di una donna (diverso da quello di pagarla) di farla gestare per nove mesi, farla partorire e poi toglierle il figlio? Come riuscite a non essere in contraddizione con quello che fino all’altro ieri ci avete detto? Siete arrivati perfino a chiedere lo stralcio del divorzio immediato, perché vi sembrava brutto togliere i tre mesi di separazione per il divorzio. Siete stati così attenti e conservatori – se mi consentite – in quell’occasione, e adesso vi lanciate verso un avventura di cui non si conosce l’orizzonte, senza alcuna ragione?

Voi sapete che io vengo dal mondo della magistratura e, al di là delle idee e delle prospettazioni politiche, credo che, quando si fanno le leggi, si debba anche fare attenzione ai principi generali dell’ordinamento e a quello che ci dicono i giudici. E allora vorrei che sia chiaro a tutti – probabilmente è sfuggito nel corso del dibattito – che la Corte di cassazione, con sentenza 11 novembre 2014, n. 24001, ha detto in maniera chiara ed evidente che la maternità surrogata è norma contraria all’ordine pubblico internazionale ed interno e, in quanto tale, non può consentire quello che si vorrebbe consentire con il disegno di legge Cirinnà.

Ma aggiungo che in quella sentenza si dice espressamente che non vi è un diritto del bambino a essere riconosciuto dalla coppia che ha commissionato la maternità surrogata (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII e dei senatori Albertini e Milo), tanto quanto non vi è un diritto ad essere genitori in questo Paese. Ripeto che non vi è un diritto del bambino ad essere riconosciuto dalla coppia che ha commissionato la maternità surrogata. La Corte di cassazione aggiunge che la Corte europea dei diritti dell’uomo, se ha toccato questo punto, l’ha fatto per una circostanza del tutto diversa, sostenendo che l’unico diritto del bambino è di essere riconosciuto dal suo padre biologico, perché solo quel riconoscimento corrobora il diritto alla sua identità personale. Quindi, anche sotto questo profilo l’Europa non vi aiuta, dicendo una cosa diversa.

Finisco, se volete, con un paradosso. Non ci si lava la coscienza dicendo che tanto la maternità surrogata viene eseguita in Canada, negli Stati Uniti e non certo qui in Italia, quando poi, attraverso il meccanismo di cui all’articolo 5, sostanzialmente si riconoscono i suoi effetti.

E allora, se siete così progressisti, così liberi e convinti che la società sia ormai avanti rispetto al dietro in cui si muovono i parlamentari di centrodestra o i cattolici del Partito Democratico, fate il passo fino in fondo. Fate un emendamento: abolite il divieto di maternità surrogata ed evitate di considerare questa pratica come un reato, così potrete almeno dire al Paese in termini chiari che siete ad essa favorevoli. Smettetela di dire che non lo siete quando invece, proprio attraverso l’essere favorevoli al riconoscimento dei suoi effetti, non fate altro che favorirle. (Applausi dai Gruppi FI-PdLXVII e AP(NCD-UDC). Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Arrigoni. Ne ha facoltà.

ARRIGONI (LN-Aut). Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, parto con una domanda: l’Italia è il fanalino di coda rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea, come sostiene il presidente Renzi, o rappresenta e può ergersi a guida per dar vita ad una nuova Europa, quell’Europa dei popoli e delle libertà che noi sogniamo e vogliamo costruire? Un’Europa unita dal basso, a partire dalle realtà locali e territoriali, che esalta l’offerta di diversità e di identità di ciascuno Stato membro nella casa comune europea; un’Europa politica e non soltanto mercantilista; un’Europa che sia capace di rispettare la sovranità nazionale dei tanti popoli che la compongono, che riconosca le proprie radici, soprattutto quelle cristiane, e che veda nei figli la sua forza, il proprio futuro e, dunque, la sua stessa sopravvivenza.

Alla mia domanda iniziale ho già dato istintivamente una risposta credibile, ma sono consapevole che non sia sufficiente ad insinuare il dubbio nelle coscienze assopite da anni di propaganda ideologica.

Prima di argomentare il mio ragionamento nel tentativo di scalfire l’ideologia che ispira il disegno di legge in esame, voglio ricordare la recente vittoria del popolo sloveno che, non condizionato dal diktat europeo, con una consultazione referendaria ha detto no al piano di rottamazione della famiglia promosso dalla lobby LGBT, affossando così la proposta di riconoscere il matrimonio tra persone omosessuali e le consequenziali aperture per legittimare l’adozione dei bambini.

Ricordo che, diversamente da quanto qualcuno vorrebbe fare credere, all’Unione europea non è stata attribuita una specifica competenza a portata generale in materia di famiglia, non rinvenendosi nei trattati istitutivi alcuna disposizioni in ordine ad un, seppur parziale, trasferimento di sovranità da parte dei Paesi membri. In base al generale principio di attribuzione, tra i settori che risultano devoluti alle competenze delle istituzioni comunitarie, anche a seguito delle modifiche dei trattati apportate dalla riforma di Lisbona, non figura, infatti, quello della famiglia, che pertanto rimane soggetto alla sovranità degli Stati.

Con l’ampliamento, determinato dal Trattato di Maastricht, delle competenze e degli obiettivi comunitari anche al di là di quelli strettamente mercantilistici, sono intervenute, però, le interferenze tra la realizzazione del mercato unico e la disciplina dello status delle persone e dei rapporti di famiglia. Così, pur sempre difettando di una diretta competenza comunitaria a regolare sul piano sostanziale tale tipo di rapporti, l’azione delle istituzioni ha assunto una crescente incidenza sul diritto di famiglia fino a condizionare la disciplina a riguardo vigente nei singoli Stati membri.

Ad una prima fase, contrassegnata dall’emanazione di atti non vincolanti, specialmente del Parlamento europeo, quali – ad esempio – le numerose risoluzioni in materia di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali degli individui, tra cui quella sulla parità dei diritti per gli omosessuali nella comunità europea, è seguita una seconda fase in cui l’impatto del processo di integrazione europea è andato facendosi sempre più pregnante, sia per la natura degli atti che hanno assunto la forma di strumenti comunitari vincolanti, sia per le finalità perseguite.

L’incidenza del diritto dell’Unione europea sulla disciplina nazionale della famiglia si è realizzata anche attraverso la tutela dei diritti fondamentali di cui la Corte del Lussemburgo si è resa principale promotrice.

Oggi, a seguito dell’entrata in vigore della riforma di Lisbona, una codificazione dei diritti fondamentali, per di più con forza giuridica pari a quella dei trattati, esiste anche a livello dell’Unione europea e si identifica – come è noto – nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

È in questo scenario confuso che trova un varco l’ingiustificabile ingerenza scritta in appena 170 caratteri dal segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland: «Incoraggio l’Italia a garantire il riconoscimento legale alle coppie dello stesso sesso, così come stabilito dalla sentenza della Corte europea dei diritti umani del 21 luglio 2015 e come accade nella maggior parte degli Stati membri del Consiglio d’Europa».

Voglio affermare con chiarezza che non ci stupiamo di ciò, ma rimaniamo basiti da come queste ingerenze sulla nostra sovranità nazionale possano condizionare il nostro Governo.

In questa deludente Europa, dove prevalgono esclusivamente la ragione economica, una politica interna occasionale, una gestione irresponsabile dell’immigrazione, una politica estera ondivaga, la difesa della sovranità nazionale sui temi di tale rilevanza politica diviene una bandiera da fare assolutamente garrire in nome della verità.

Da sempre la battaglia identitaria, caratterizzata dalla difesa dei popoli nella loro dimensione territoriale, religiosa e culturale costituisce l’ossatura di tutta l’attività politica della Lega Nord. Questa battaglia, cominciata oramai molti anni fa, si è confrontata nel tempo con problematiche (quali l’immigrazione incontrollata, la perdita dei riferimenti valoriali e religiosi, l’usurpazione della sovranità dei popoli, il senso diffuso di insicurezza e la sfiducia nella classe politica) che hanno acquisito sempre maggior peso nell’attualità nazionale ed internazionale e hanno destrutturato il modus vivendi tradizionale della civiltà occidentale europea.

Il modello mondialista, senza frontiere per le merci come per gli uomini, improntato ad una ricerca di pace globale, basata unicamente sul riconoscimento di uno stile di vita uniformato, dove ciò che conta è soltanto il produrre e il consumare, è imploso, lasciandosi alle spalle metastasi molto gravi. E il fallimento di Schengen lo sta a dimostrare.

Siamo stati costretti a lanciare ripetuti gridi di allarme di fronte all’abbandono delle nostre radici. La nostra opera di denuncia è stata costante e mirata, insieme ad un’attività di proposta e di stimolo ai Governi che si sono succeduti, alle istituzioni internazionali ed al Paese affinché fossero adottati i provvedimenti opportuni. Il nostro passato, la nostra storia e la nostra stessa cultura non devono essere dimenticati, ma devono essere posti come forte baluardo contro la perdita di valori cui costantemente assistiamo.

È assurdo ipotizzare che questa Europa possa condizionare gli Stati membri sul tema dell’esclusività della famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio e sulla primaria e incontrovertibile tutela dell’interesse dei minori ad avere una famiglia, che in nessun modo può essere contrapposto al desiderio di genitorialità.

Quale dignità politica ha questa Europa per volere insistentemente condizionare le decisioni degli Stati membri violandone la loro stessa sovranità? È un’Europa che è stata capace di negare le sue stesse radici, quelle radici cristiane che hanno apportato significati prevalentemente morali e spirituali elaborando il concetto di psiche, l’idea dell’uomo capace di intendere e di volere, l’importanza della cura dell’anima, il valore e la centralità dell’uomo come persona in rapporto con gli altri e con Dio, promuovendo i valori dell’uguaglianza, della tolleranza e della libertà oltre che della grandezza dell’umile, mettendo al centro dell’esistenza umana il principio dell’amore.

Quando si parla di laicità delle istituzioni democratiche, così come di autonomia della politica, si fa riferimento ai principi fondamentali di uno Stato di diritto, posti a perseguimento e a garanzia del bene comune, della libertà religiosa e di culto di tutti. Colleghi, oggi viviamo in un clima di profonda crisi identitaria. Si assiste sempre di più nella nostra società moderna, o meglio post moderna, al sorgere di un individualismo sincretistico. Aumentano così i particolarismi e gli egoismi individuali, e si ha l’impressione che ci si avvii verso un’epoca in cui non ci sia più nulla che ha valore. Tutto ciò, se spinto all’eccesso, può portare solo a separazioni, conflitti e violenze. Il relativismo e il sincretismo sono la conseguenza di una cultura in cui la vuota apparenza sembra prevalere sulla sostanza; i valori sono diventati sempre più delle sensazioni.

Un’Europa che voglia essere unita, non solo teoricamente ma anche e soprattutto nella sostanza, non può prescindere dal riconoscimento anche formale delle proprie radici quale elemento fondante e caratterizzante la propria storia.

In più di un’occasione i popoli europei si sono espressi contro i trattati che sono stati sottoposti alla loro approvazione, anche perché non hanno riconosciuto in essi la tutela delle proprie origini e della propria identità.

Presidenza della vice presidente FEDELI (ore 18,07)

(Segue ARRIGONI). Un’Europa che rinuncia alla propria anima è destinata a morire, come del resto ogni realtà umana non può sopravvivere senza radici.

L’Europa oggi è una costruzione senza identità, scarsamente democratica, macchinosa e spesso incomprensibile per i cittadini; un modello che esaspera gli aspetti negativi dello Stato centralizzato, senza dare risposte tangibili alle richieste che provengono dalla periferia; un’Europa che ha introdotto la moneta unica prima di avere raggiunto una sufficiente omogeneità culturale, politica, sociale e soprattutto economica.

Appare evidente come l’attuale costruzione europea sia caratterizzata da forza normativa e da debolezza politica. Oggi più che mai è chiaro come quest’Europa così concepita si sia dimostrata un fallimento, e non solo perché ha prodotto una spaventosa crisi economica – non ciclica, ma epocale – ma soprattutto perché ha negato le culture nazionali e, di conseguenza, l’identità culturale del continente.

L’Unione europea sembra ormai non porre più limiti al proprio potere di intromissione nelle decisioni interne di ciascuno Stato sovrano, ben al di là delle effettive competenze autorizzate dai trattati.

Premier Renzi, in fatto di diritti civili l’Italia non è il fanalino di coda rispetto ad altri Paesi dell’Unione europea. Questo provvedimento non ci piace perché la qualificazione di specifiche formazioni sociali relative alle coppie gay che potranno usufruire di un nuovo istituto giuridico di diritto pubblico denominato unione civile, rappresenta il cavallo di Troia affinché, per via giudiziaria, si introducano sia il matrimonio tra omosessuali sia la pratica dell’utero in affitto.

L’Europa, che – lo sottolineo – non ci impone di legittimare i matrimoni gay, non potrebbe però avallare questo simil-matrimonio di serie B, rendendo inevitabile la sua equiparazione al matrimonio per via giudiziaria, sulla base di un principio di non discriminazione anche per quanto riguarda le adozioni. E per lo stesso principio, sarebbe poi inevitabile permettere alla coppia gay anche l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, che, a causa degli ovvi impedimenti di natura, non potrebbe essere che di tipo eterologo. E la cosa grave è che, nel caso di partner di sesso maschile, si farebbe ricorso anche alla pratica abominevole dell’utero in affitto.

Sui diritti delle convivenze e coppie di fatto da estendere alle coppie omosessuali siamo disposti a ragionare, ma la Lega Nord è contro la stepchild adoption; è contro l’equiparazione tra unioni civili e matrimonio. La Lega Nord non si appiattisce al pensiero dominante di forze che utilizzano strategie articolate per giungere al proprio obiettivo, che è quello antico di scardinare le tradizioni, l’identità culturale, sociale e religiosa del nostro popolo in modo da imporre un modello di società che si dimostrerà fallimentare.

Alfano e gli uomini dell’NCD si sbracciano per lo stralcio di questi due aspetti, ma resteranno con il cerino in mano, certo con qualche poltrona di Governo e di sottogoverno in più. Come da triste copione, accetteranno di ricoprire il ruolo subalterno di componente irrilevante della maggioranza, sapendo che in Assemblea la sinistra ha già trovato provvisoriamente nei senatori del Movimento 5 Stelle dei panchinari pronti a farsi sfruttare per puntellare in questa occasione il Governo.

I cittadini, le famiglie e tutti coloro che negli ultimi mesi, preoccupati, hanno protestato contro il disegno di legge e manifestato al Family Day (mi riferisco non solo a quello di sabato scorso al Circo Massimo, ma anche a quello del 20 giugno dello scorso anno in piazza San Giovanni) sappiano che saranno presi in giro da Alfano e che le minacce di gravi ripercussioni per l’intesa tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle cadranno ancora una volta nel vuoto.

Qualora il disegno di legge in esame dovesse essere approvato, in Italia avremo il matrimonio omosessuale con possibilità di adozioni e con la conseguente legittimazione della pratica dell’utero in affitto, senza contare che tutto ciò aprirebbe totalmente le porte all’indottrinamento della teoria gender nelle scuole. È per tale motivo che fermare questo provvedimento, oltre ad essere un dovere morale, sottende la chiara scelta di far prevalere la sovranità alle logiche dei poteri che hanno usurpato la dignità politica dell’Europa in cui crediamo.

I sondaggi dicono che circa il 75 per cento della popolazione italiana è contraria alle adozioni per le coppie omosessuali: è la conferma che il nostro popolo è stanco dei servi e dei maggiordomi sempre pronti a rispondere quando l’Unione europea ordina. E, se potesse esprimersi con il proprio voto – come del resto ha già dimostrato con mobilitazioni di piazza che resteranno nella storia – scriverebbe nero su bianco che la famiglia è una e nessuno si deve lontanamente anche solo azzardare a violare il sacro diritto dei bambini di nascere da una mamma e da un papà, visto che gli stessi bambini non sono dei prodotti e non possono essere oggetto di rivendicazione da parte di genitore 1 o di genitore 2. (Applausi dal Gruppo LN-Aut).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Petraglia. Ne ha facoltà.

PETRAGLIA (Misto-SEL). Signora Presidente, da molte settimane con toni più accesi, e da decenni con troppa poca attenzione da parte della politica, si discute nel Paese del disegno di legge sulle unioni civili.

Negli ultimi anni il Parlamento ha provato più volte a trattare il tema delle unioni civili, unioni di fatto e convivenze, con la presentazione di diversi progetti di legge che non sono stati mai approvati e spesso neanche discussi. Tutte le volte il Paese si è diviso tra presunti sostenitori della morale cattolica e laici, tra presunti tutori della famiglia più degli altri (ma sopratutto della famiglia degli altri), e in questo modo le proposte di legge si sono arenate. Si tratta di una responsabilità che grava sulle spalle non soltanto dei parlamentari che si sono alternati, ma di tutti coloro che in quegli anni hanno ricoperto alti incarichi politici ed istituzionali anche in giovane età.

Si tratta di un rischio naturalmente ben presente anche questa volta: dopo che si sono sfidate le piazze e i numeri, spetta ora al Parlamento, a partire dal Senato, fare il proprio lavoro. Il lavoro è semplice: si tratta di estendere i diritti, così come previsto dalla Costituzione. L’Assemblea costituente fu molto lungimirante perché, con il combinato disposto degli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione, ha lasciato aperta la strada all’estensione di diritti per tutti in un Paese che, negli anni seguenti, si sarebbe trovato dinanzi a profonde trasformazioni economiche, sociali e culturali e che avrebbe finalmente consentito di vivere liberamente le relazioni d’amore, scegliere, non vergognarsi e non doversi nascondere.

Questa è stata la storia di libertà che abbiamo visto in Italia fin dalle tappe importanti del divorzio e dell’aborto. È questo che intendiamo quando parliamo di libertà di scelta: estendere i diritti per garantire la libertà di scelta ed ampliare la sfera dei diritti per ampliare le garanzie per tutti.

Il tema di cui dovremmo parlare non è se si possono riconoscere come famiglie anche quelle realizzate tra persone dello stesso sesso perché, mentre noi discutiamo, nella realtà loro sono già famiglia, così come lo sono tutte le coppie eterosessuali che scelgono di non sposarsi.

Il tema di cui vorremmo davvero discutere è quali politiche di welfare a sostegno delle famiglie dovremmo portare avanti, atteso che oggi – come abbiamo denunciato nella discussione sulla legge di stabilità – non ci sono risorse adeguate e azioni a sostegno del welfare familiare. E stiamo parlando del sostegno alla maternità; di poter utilizzare i congedi di maternità e paternità senza che il datore di lavoro faccia notarne l’abuso; di asili nido e scuole dell’infanzia statali per tutti; di garanzia per il diritto allo studio; di tutela della maternità nei luoghi di lavoro; di conciliazione dei tempi; di tempo libero per prendersi cura di adulti a carico; di deduzioni e vantaggi fiscali per le famiglie; di prestazioni di sicurezza sociale per categorie; di sostegno alla genitorialità, di reddito minimo e di impatto sulla parità di genere.

Si tratta di un elenco che potrebbe essere infinito. E, invece, preferiamo affrontare un dibattito di retroguardia per niente in linea con l’Europa, proprio con quell’Europa che invochiamo sempre come punto di riferimento per le politiche economiche e di austerity e mai sul piano dei diritti.

In Italia, non soltanto sembriamo vivere nel passato, ma abbiamo addirittura spostato il dibattito ad anni ed anni indietro. Vorrei ricordare, infatti, che in discussione non c’è solo il riconoscimento delle famiglie con genitori dello stesso sesso, ma la possibilità, per coloro che lo scelgono, di sposarsi. Questa è la richiesta maggiore che viene posta da tutto il mondo LGBT. Non è un caso che la discussione è sempre stata tra matrimonio gay e unioni di fatto o unioni civili per tutti. Non è un caso – ad esempio – che noi di SEL abbiamo depositato, all’inizio della presente legislatura, proposte di legge ben distinte.

Allora cosa è accaduto? È accaduto che il PD si è assunto la responsabilità di proporre un testo che cancella il matrimonio tra persone dello stesso sesso, introduce le unioni civili e poi le convivenze; una scelta che è stata presentata come frutto di una mediazione e vorremmo capire con chi questa mediazione sia stata fatta. Non è stata fatta certo con la propria maggioranza perché, da quello che vediamo e ascoltiamo, non ci sembra sia un testo condiviso da tutta la maggioranza; non certo con le associazioni di riferimento, perché le loro richieste sono ben più ampie. Abbiamo una risposta, ed è semplice: la proposta di Renzi nei 100 punti della Leopolda 2012.

Questo disegno di legge, che noi di SEL consideriamo un testo al ribasso, il minimo minimo che si possa presentare, è la proposta ufficiale che il Partito Democratico offre al Paese – perché come ci ha detto la relatrice poco fa – è stata abbastanza mediata. Così, il testo di legge presentato come il faro dei diritti civili in Italia altro non è che un compromesso al ribasso per provare a tenere insieme la necessità del Presidente del Consiglio di annoverare tra il suo pacchetto di riforme anche quella dei diritti civili (già ora sentiamo echeggiare i fan: «È l’unico che ci sia riuscito»), la sua visione sui matrimoni e il cattolicesimo ordinante in questo Paese.

È la seconda parte della legge, infatti, dall’articolo 11 in poi, che disciplina le convivenze, quella di cui nessuno parla mai, a rivelare come invece la lettura che la maggioranza fa dell’articolo 29 della Costituzione sia una garanzia affinché le unioni civili non saranno mai equiparate al matrimonio. Le coppie eterosessuali possono contrarre un contratto di convivenza con atto pubblico da un notaio per disciplinare i rapporti patrimoniali o per la reciproca assistenza; devono effettuarlo in forma scritta e autografa, oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone. Siamo, dunque, di fronte ad un’interpretazione restrittiva dell’articolo 29 della Costituzione, avvalorando l’idea che le famiglie naturali siano solo quelle costituite da coloro che decidono di sposarsi. Noi diamo altra lettura: quando nella Costituzione si parla di famiglia naturale, i Costituenti non pensavano al genere uomo-donna, ma alla naturalità con cui amore, affetto, solidarietà reciproca, stima, rispetto e figli costituiscono una famiglia naturale.

Il parlare solo della stepchild adoption, un diritto irrinunciabile per un Paese civile, è un po’ come provare ad allontanare l’attenzione dal testo nel suo complesso. Il problema non è capire quali effetti potranno verificarsi sui bambini cresciuti in una famiglia con genitori di uno stesso sesso, perché gli studi esistono già. Forse volete dirci che non avete mai conosciuto alcuno che negli anni abbia vissuto solo con figure di riferimento femminili o solo con figure maschili? Volete negare che, per anni, intere famiglie naturali abbiano avuto solo una figura di riferimento per la crescita dei figli? Per crescere non contano i generi di riferimento, ma la qualità della cura, dell’amore e dell’attenzione verso i figli.

Si pone forse il problema dell’utero in affitto? Questa legge non ne parla nemmeno. Sarebbe stato invece interessante parlare di adozioni anche per coppie di genitori dello stesso. Anche in questo caso, per la memoria un po’ corta di tanti, vorrei ricordare che questa stessa maggioranza ha bocciato, non poco tempo fa, un emendamento che provava ad introdurlo. Nemmeno di questo, però, si occupa il testo in esame.

L’estensione e il riconoscimento di un diritto riguardano tutto il Parlamento e non una sola parte o la sola maggioranza, che, tra l’altro, ricordo non avrebbe nemmeno i numeri per approvare la legge. Per questo siamo molto preoccupati dei messaggi subliminali che iniziamo a ricevere, per cui il testo, anche se modificato in peggio – penso alla famosa formula dell’affido rafforzato – andrebbe comunque approvato, altrimenti si ferma la strada delle riforme dei diritti civili, così come è accaduto negli ultimi anni. Vogliamo dire, però, che sui diritti civili non si può scherzare, non si può fare campagna elettorale e non si possono fare forzature, utilizzando la propaganda di Stato. Sui diritti civili abbiamo tutti il dovere di guardare lontano. Deve essere chiaro a tutti coloro che stanno seguendo questa discussione, dentro e fuori le Aule parlamentari, che non è vero che questa legge, se approvata, sarà solo il primo passo, cui potranno poi seguire, nei prossimi anni, estensioni o miglioramenti. Dobbiamo essere consapevoli e onesti, nel dire a tutti che è realistico che questa discussione e la sua qualità chiuderanno la partita per molti anni: si tratta, infatti, di una partita che sarà difficile riaprire a breve. Saranno necessari molti altri anni perché si possa arrivare, anche in Italia, ad avere, per le coppie dello stesso sesso, il godimento pieno di diritti importanti, che esse meritano: oggi stiamo scegliendo di non riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso, né le unioni civili per tutti.

PRESIDENTE. La invito a concludere, senatrice Petraglia.

PETRAGLIA (Misto-SEL). Sto concludendo, signora Presidente.

Per noi di SEL, per entrare nell’Europa laica e dei diritti, dovremmo precisamente fare questo: riconoscere i matrimoni tra due persone di qualunque genere e riconoscere le unioni civili per tutti coloro che scelgono di convivere. Questo è il senso dei nostri emendamenti e proveremo, nel dibattito di questi giorni, ad aprire un confronto laico e utile, perché vorremmo fare anche noi una buona legge. (Applausi dal Gruppo Misto-SEL e dei senatori Bocchino, Campanella e Simeoni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Dalla Zuanna. Ne ha facoltà.

DALLA ZUANNA (PD). Signora Presidente, dieci anni fa, scrivendo un libro sui grandiosi cambiamenti demografici in Italia e in Europa, mi sono espresso favorevolmente sul matrimonio degli omosessuali, formulando invece forti perplessità sull’opportunità di riconoscere, come istituto giuridico, le coppie di fatto. Affermavo, inoltre, che occorre regolare la valenza pubblica dei diritti e dei doveri delle singole persone che convivono, ancora una volta a prescindere dal loro orientamento sessuale, perché la convivenza è diventata, anche in Italia, un passaggio normale della vita di coppia.

Per quanto riguarda le coppie di fatto, mi auguro che la mia opinione di allora possa essere tradotta in legge. Per fare questo, l’attuale testo base, al Titolo II, andrebbe però fortemente modificato, come propongono alcuni emendamenti anche da me sostenuti. Vanno infatti tolti gli automatismi, che configurano un novo istituto giuridico, in modo peraltro assai confuso. Nel testo si parla – ad esempio – di stabile convivenza, senza definire cosa sia la stabilità. Sembra di comprendere che si tratti di una convivenza che inizierebbe, in automatico, nel momento di fissazione della residenza anagrafica comune. Inoltre, va meglio precisata la natura individuale di quanto si va a fissare nelle nuove norme, generalizzando gli elementi contrattuali del patto che si va a stabilire tra i due partner.

Come ben chiarito dalla Corte costituzionale, a differenza delle coppie omosessuali, le coppie eterosessuali che vogliono stabilizzare e rendere pubblica la loro unione affettiva possono sposarsi, tanto più che questo Parlamento ha reso assai più flessibile il matrimonio, rendendo molto più semplice e rapido il suo scioglimento. Del resto, è sbagliato pensare al matrimonio come a un vecchio arnese ormai in disuso. Alcuni Paesi europei, araldi dei mutamenti coniugali e riproduttivi, stanno vivendo un vero e proprio revival del matrimonio. In Svezia, nel 2013 il tasso di nuzialità è stato del 5,3 per mille abitanti, ossia il 20 per cento in più rispetto al 2000 e il 65 per cento in più rispetto all’Italia nello stesso 2013.

Quanto alle unioni omosessuali, con la sua sentenza del 2010 la Corte costituzionale ha riconosciuto il loro valore costituzionale, ma non le ha equiparate al matrimonio. La Corte riconosce una differenza che risiede non tanto nel volere dei Padri costituenti, che evidentemente non potevano considerare fenomeni sociali che ancora non esistevano nella forma e nell’estensione attuale, quanto nel diverso status delle unioni omosessuali, che non possono accedere alla generazione naturale.

La Corte, così esprimendosi, ha colto la sensibilità del Paese, come mostrano gli ultimi mesi di sondaggi e interlocuzioni dirette con la gente. Gli italiani, specialmente i più giovani, sono in maggioranza aperti al riconoscimento giuridico delle coppie stabili omosessuali. Una larga maggioranza però, giovani, adulti e anziani, esprime invece forti perplessità sul coinvolgimento delle coppie omosessuali nella generazione e nell’educazione dei minori. Del resto, va ricordato che in quasi tutti i Paesi la regolamentazione giuridica delle unioni omosessuali ha proceduto per passi successivi.

Nel legiferare su questi delicati temi, la posizione dell’opinione pubblica va tenuta bene in conto, e non perché nel fare le leggi dobbiamo farci pilotare dai sondaggi, ma poiché parte di queste leggi sarà con tutta probabilità a forte rischio di referendum; un referendum che, con l’auspicabile approvazione delle riforme costituzionali, potrà essere valido con un quorum molto più basso di quello attuale (oggi ricordo che sarebbe il 35 per cento).

Poche settimane fa, in Slovenia, una società secolarizzata, dove più della metà dei bambini nasce fuori del matrimonio, una larga maggioranza referendaria ha abrogato il matrimonio omosessuale, pur mantenendo una legge sulle unioni civili tra persone delle stesso sesso.

Quindi, a noi spetta il difficile compito di tenere sullo sfondo le nostre convinzioni personali, interpretando la sensibilità del Paese approvando una legge che non contrasti con il pronunciamento della Consulta e contemperando le aspirazioni di tutti i soggetti coinvolti, partendo da quelli più deboli che – come ha ricordato Monica Cirinnà – non hanno voce e possono parlare solo attraverso di noi.

Fra questi soggetti deboli, non possiamo dimenticare le donne che accettano di fare da gestanti per altri: è una pratica che viene vista in modo negativo da larghissima parte dell’opinione pubblica e del movimento femminista, che proprio oggi si ritrova al Parlamento francese per condannare questa pratica, oltre che dal Parlamento di Strasburgo. È una pratica permessa peraltro in pochissimi Paesi, dove la donna si trova spesso a essere soggetto passivo, dovendo – ad esempio – accettare da contratto di abortire se ciò viene deciso dal committente o a non avere alcun rapporto con il bambino frutto della gravidanza.

Il combinato disposto tra l’attuale testo base e la possibilità di usufruire all’estero della surroga di maternità determina qualcosa di diverso dall’adozione del figliastro. Per le coppie di uomini omosessuali, infatti, l’unico modo per avere un figlio, da loro peraltro percepito come pienamente proprio e condiviso, è usufruire della gravidanza di un’altra donna oppure di due donne, esattamente come accade per una coppia eterosessuale quando la donna non è in grado di avere un bambino.

PRESIDENTE. Senatore Dalla Zuanna, concluda il suo intervento.

DALLA ZUANNA (PD). Finisco subito.

Per questo motivo, un gruppo di trenta senatori ha presentato un emendamento, a mia prima firma, che per i cittadini italiani rende illecita la surroga di maternità anche se compiuta all’estero, sia per le coppie omosessuali sia per quelle eterosessuali, dando tuttavia al giudice la possibilità di registrare in Italia l’atto di nascita del bambino con l’indicazione del genitore biologico, in nome del superiore interesse del minore.

Credo che dobbiamo fare una legge buona, con grande attenzione, tenendo come faro la Costituzione e il bene di tutti i soggetti coinvolti, soprattutto di quelli che non hanno voce. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Mazzoni. Ne ha facoltà.

MAZZONI (AL-A). Signora Presidente, discutendo il disegno di legge sulle unioni civili siamo chiamati a un compito di altissimo significato politico, etico e culturale, perché il testo che uscirà da questo dibattito ridisegnerà – e spero amplierà – i confini della nostra convivenza sociale. Dovremmo essere capaci di farlo al di là delle ideologie, degli steccati storici e delle reciproche delegittimazioni che hanno segnato la vita pubblica italiana, e non solo nel campo dei diritti civili.

Partiamo, dunque, da un esame oggettivo della legislazione attuale e dai cambiamenti attuati per via giurisprudenziale.

II primo dato di fatto è inequivocabile: l’ordinamento europeo si esprime chiaramente per il riconoscimento delle unioni di fatto, anche omosessuali. Inoltre, la direttiva europea 2000/78/CE impegna gli Stati membri dell’Unione ad adeguare le rispettive legislazioni in funzione della rimozione di ogni disparità di trattamento e del contrasto alle discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale. Il rispetto di questa direttiva, cui è stata data una prima attuazione con il decreto legislativo n. 216 del 2003, comporta anche che nella disciplina delle unioni civili non si introducano disparità di trattamento tra le coppie eterosessuali e quelle omosessuali.

Ma c’è un altro motivo importante per cui il legislatore ha il dovere di intervenire per evitare che anche su questo terreno, come accaduto ad esempio sulla legge elettorale, ci si trovi poi a dover rincorrere la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 138 del 2010, ha sostenuto con un monito solenne al Parlamento che le stabili convivenze formate da coppie di persone omosessuali hanno diritto ad un pieno riconoscimento legislativo di un insieme di diritti e doveri sulla base del valore che l’articolo 2 della Costituzione riconosce alle formazioni sociali in cui si sviluppa la personalità.

È stato autorevolmente posto il problema dell’incostituzionalità delle unioni civili per le coppie omosessuali perché il modello tedesco, cui si è originariamente ispirato il disegno di legge Cirinnà, equipara di fatto queste unioni ai diritti e ai doveri del matrimonio. Nel testo Cirinnà alla coppia vengono riconosciuti diritti di assistenza sanitaria, carceraria, unione o separazione dei beni, subentro nel contratto d’affitto, reversibilità della pensione e i doveri previsti per le coppie sposate. L’articolo 3, che è il cuore del provvedimento, è stato modificato rispetto al testo base. Ciò non vuol dire che non saranno estesi i diritti del matrimonio, ma la relatrice ha cercato di venire incontro a chi non voleva si parlasse in modo esplicito di matrimonio. Il richiamo non è più, infatti, all’articolo 29 della Costituzione sui diritti della famiglia fondata sul matrimonio, ma all’articolo 2 che prevede espressamente «la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali». Si tratta di un equilibrismo? Forse, ma redigendo una norma specifica per le unioni tra persone dello stesso sesso si può mantenere la specificità del matrimonio e del carattere di nucleo centrale della società che è riconosciuto dalla Costituzione alla famiglia, specificando invece che le condizioni materiali delle unioni civili determinano l’accesso, appunto, a benefici di ordine fiscale, previdenziale o ereditario. Se le norme puntano alla tutela della stabilità dei rapporti di coppia, senza confonderli con il matrimonio, possono realizzare un miglioramento dell’ordine civile, che è proprio di una legislazione laica.

Ma qui si è evidenziato un altro problema, posto, in particolare, dal senatore Caliendo: il Parlamento deve tener conto anche dei cittadini che vivono una condizione di stabile convivenza, connotata da vincoli affettivi e ai quali spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia. In tale situazione si trovano cittadini eterosessuali e omosessuali. Si tratta, cioè, di formazioni sociali che l’articolo 2 della Costituzione riconosce e garantisce. Il testo Cirinnà attribuisce, invece, i diritti e i doveri dei coniugi alle sole coppie omosessuali, così come il testo presentato dall’onorevole Carfagna alla Camera. Non si può però ignorare che c’è un bilanciamento costituzionale nel momento in cui al matrimonio possono accedere solo le coppie eterosessuali. Questo però è un punto da approfondire perché credo che tutto si possa permettere il Parlamento tranne che approvare una normativa aperta a soluzioni creative da parte della magistratura ordinaria.

Torniamo all’articolo 5 sulla stepchild adoption. Le corti europee hanno da tempo stabilito che, una volta che uno Stato dell’Unione approva una legge sulle unioni civili, ogni disparità di trattamento tra le unioni civili e il matrimonio, in particolare per quanto riguarda le adozioni, costituirebbe una violazione della Convenzione europea sui diritti dell’uomo. A mio parere la domanda da porsi è: se muore il padre o la madre biologica di un figlio all’interno di una coppia omosessuale, il bambino deve restare figlio di nessuno o è meglio che abbia un genitore, ancorché non biologico? La risposta non può che andare nella seconda direzione. Del resto, molti tribunali italiani (si veda anche la sentenza del tribunale dei minorenni di Roma del 30 luglio 2014) hanno già riconosciuto l’estensione della responsabilità genitoriale sul figlio del partner.

Chi contrasta questa legge ha proposto un’argomentazione di sicuro effetto: approvandola si agevolerebbe surrettiziamente il ricorso all’utero in affitto, che in Italia è vietato dal codice penale, così come dalla leggi della stragrande maggioranza degli Stati europei. Su questo punto bisogna essere molto chiari: nessun essere umano può essere trattato come mezzo ma sempre come fine. Di conseguenza, il corpo di nessuna donna può essere ridotto a incubatrice per conto di terzi. Ma il no alla legalizzazione della maternità surrogata non deve implicare automaticamente il rifiuto della proposta di legge Cirinnà. È una forzatura strumentale di chi non vuole nessuna legge sulle unioni civili. Nel nostro ordinamento giuridico, infatti, non esiste alcun presupposto che possa far pensare a una eventuale legalizzazione della maternità surrogata. Ma soprattutto la stepchild adoption si limita a prendere atto di una situazione già esistente – la presenza di una creatura venuta al mondo tramite la fecondazione artificiale o l’utero in affitto – e a regolamentarla, tenendo in considerazione l’interesse preminente del bambino, al quale vengono dati due genitori, anziché uno, garantendogli in tal modo una condizione di maggiore sicurezza.

In ogni caso, anche nei casi più estremi, i diritti del bambino devono godere di un’assoluta priorità e vanno per questo tutelati e promossi senza alcuna limitazione. Ricordo, colleghi senatori, che un tempo i bambini nati fuori dal matrimonio erano definiti «bastardi»; spero che nessuno pensi a una discriminazione di legge che crei i bastardi del nuovo millennio solo perché nati da una pratica illegale.

Per concludere: in questa società che cambia il legislatore deve promuovere tutto ciò che aiuta e rafforza la responsabilità. Il principio che deve sottendere la legge che uscirà dal Parlamento è che ad una maggiore estensione della libertà debba corrispondere anche un maggior grado di responsabilità e che dunque al riconoscimento dei diritti di coppia seguano anche i doveri e, nel caso di scioglimento, le garanzie di tutela del partner più debole. Deve essere una legge in grado di risolvere questioni pratiche che nascono da situazioni di fatto, senza intaccare i principi stabili di vita che sono parte della nostra cultura tradizionale, e che sia basata sull’uguaglianza dei diritti individuali: non è un’impresa facile, ma neppure impossibile. (Applausi delle senatrici Repetti e Puppato).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Di Biagio. Ne ha facoltà.

DI BIAGIO (AP (NCD-UDC)). Signora Presidente, l’avvio in quest’Aula della discussione generale di uno dei provvedimenti più controversi della storia parlamentare recente rappresenta un evento straordinario per due ordini di fattori: in primis, perché ci si trova dinanzi un precedente parlamentare pericoloso di violazione dell’articolo 72 della Costituzione e dunque di bypassaggio totale dell’autorità delle Commissioni parlamentari e del confronto di cui queste sono garanzia ineludibile; in secondo luogo, perché si sta tentando, con un artificio legislativo, nemmeno tanto ingegnoso, di sfaldare la società naturale, normativamente e costituzionalmente sancita, anteponendovi una sorta dì società pseudoprogressista disegnata a tavolino dal legislatore, tacciando tutto questo addirittura per tutela dei diritti umani, aprendo una voragine nel tessuto già labile della legittimità normativa ed infierendo in maniera quasi scientifica nell’armonia antropologica e delle esigenze naturali cui lo stesso legislatore dovrebbe inderogabilmente piegarsi.

Questi sono i due pilastri intorno ai quali si struttura il provvedimento presentato dalla collega Cirinnà, dai quali si propaga a cascata un ventaglio di anomalie, contraddizioni e dubbi legislativi dinanzi ai quali si deve pretendere da quest’Aula lucidità operativa al netto di contaminazioni ideologiche protendenti verso l’uno o l’altro versante.

Una delle criticità, dinanzi alle quali sarebbe il caso che il legislatore non solo si passasse una mano sulla coscienza ma si andasse a rispolverare i codici, è l’interpretazione à la carte del diritto del minore ad avere una famiglia, che a mio parere rappresenta il punto più basso toccato da questo disegno di legge. Un concetto schiacciato sotto il peso della ragione politica chiaramente adultocentrica, che ha l’ambizione di identificare le pulsioni pseudogenitoriali per diritti, nel silenzio totale degli ordinamenti e delle convenzioni internazionali.

Ma andiamo per gradi. Ritengo sia prioritario, prima di avviare qualsiasi riflessione nel merito di un provvedimento delicato e complesso, soffermarsi sul livello di accanimento e di voluto pressappochismo con cui si è inteso privilegiare il confronto sul tema. Il ripetere mantrico dei sostenitori integralisti del disegno di legge in esame ha innescato un tourbillon di falsa informazione che è approdato ad una sintesi schematica secondo cui il provvedimento altro non sia che – ripeto, parafrasando le varie affermazioni susseguitesi – un atto di civiltà, uno strumento di rispetto verso i minori delle famiglie arcobaleno, un atto doveroso verso quei tanti bambini nati da precedenti relazioni etero di soggetti poi diventati contraenti di un’unione civile, e che nulla c’entra con l’utero in affitto. Questo schema mantrico, sapientemente diffuso sui social e pontificato in prima serata da comici, giornalisti, presentatori, eccetera, è un arma che da un lato consente di veicolare dosi centellinate, filtrate e sapientemente presentate del testo in discussione alla società civile, che sicuramente ha ben altro da fare che leggersi 23 articoli di una proposta di legge; dall’altro, essa crea un coreografico clima di odio, arroganza e demonizzazione di tutti coloro che, additati come ipocriti e medievali, osano avere punti di vista un po’ diversi. In altri contesti, si chiamerebbe lecito e costituzionale confronto democratico.

Quando si parla di unioni civili, la parola d’ordine è «omofobia»; ecco il secondo mantra che si avvicenda nei dibattiti sul tema e che – ne sono certo – allieterà in più occasioni anche questo nostro dibattito. Nell’informazione generale, gli stessi proponenti si tengono ben alla larga dallo spiegare cosa in realtà la legge prevede e non spiegano che, malgrado una chiara pronuncia della Corte costituzionale, che vieta l’omologazione tra unioni civili e matrimoni, si continui, con un grossolano tentativo di maquillage normativo, ad addossare paradossalmente alla fattispecie unione civile tutte le disposizioni del codice civile che disciplinano il matrimonio. Si estende infatti il regime previsto per i coniugi e per la famiglia a forme di convivenza tra persone dello stesso sesso; un’estensione priva di legittimità per coloro che sono legati da forme di convivenza che, non essendo basate sul dimorfismo sessuale, si differenziano nella sostanza dalla famiglia e non ne condividono quella funzione sociale, costituzionalmente ed antropologicamente sancita, che ne giustifica il regime speciale previsto dall’ordinamento.

Questo provvedimento tenta, in maniera anche grossolana, di sostituire la società naturale basata sulla famiglia con la società imposta dal legislatore (una società à la carte, insomma), assimilando le istanze dei conviventi, seppur legittime, con le esigenze della famiglia di cui al regime speciale dell’ordinamento. Il matrimonio è una promessa pubblica, dato il ruolo costituente di questo nella società, e non può essere assimilato alla convivenza tra soggetti che non detengono le potenzialità costituenti di cui al matrimonio. Ma sembra che sia più facile dimenticare questo particolare.

Come dicevo, anche se è stato depennato il riferimento diretto all’istituto del matrimonio, in alcuni passaggi la sostanza dei rimandi al codice civile e le parole stesse usate (ad esempio ai commi 1 e 2 dell’articolo 3) ricalcano esattamente la disciplina sul matrimonio. Questo si pone in aperto contrasto con gli articoli 29 e 30 della Costituzione, che hanno istituito un favor familiae, perché hanno riconosciuto nella famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna qualcosa che la differenzia in maniera ineludibile da tutte le altre formazioni sociali.

Voglio ricordare ancora una volta che tale principio è stato ribadito proprio dalla sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010, che ha ricordato chiaramente – cito dalla sentenza – «il rilievo costituzionale attribuito alla famiglia» e la «potenziale finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale». Essa ha espressamente riferito che, con riferimento all’articolo 3 della Costituzione, la censurata normativa del codice civile, che per quanto sopra detto contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò sia perché essa trova fondamento nel citato articolo 29 della Costituzione, sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio. La motivazione stessa di tale differenza, secondo la Corte, risiede proprio nella sia pur potenziale finalità procreativa del matrimonio, che si fonda sul dimorfismo sessuale; da lì nasce la funzione sociale riconosciuta (e non assegnata) alla famiglia ex articolo 29.

Certo, si obietterà che in quella sentenza le conclusioni erano uno sprone al legislatore per attivarsi comunque al fine di rafforzare le tutele per le coppie dello stesso sesso; ma garantire o rafforzare 1e tutele non implica necessariamente ricopiare la disciplina del matrimonio, cosa che invece in questo testo è stato fatto. Trattiamo di due configurazioni differenti, che hanno anche una differente fonte costituzionale di riferimento (articolo 29 e articolo 2 della Costituzione); l’omologazione è pertanto priva di una giustificazione ragionevole.

Tante volte, nelle parole della relatrice e dei sostenitori di questo disegno di legge, abbiamo sentito che non si vuole fare un similmatrimonio. Purtroppo, a questo punto è lecito nutrire qualche dubbio.

Nelle parole e nelle interviste di altri referenti – presenti e passati – del PD si è sentito dire espressamente che questo disegno di legge è il primo passo, nominalmente differente, per definire il matrimonio per coppie dello stesso sesso. È un fatto puramente di nomi.

Il diritto di famiglia non è una tutela dell’amore eterosessuale. Non si parla mai dell’affetto, dell’amore o della sfera sentimentale nel codice. Il favor familiae non nasce per tutelare le stabili relazioni affettive, ma perché si riconosce che l’impegno tra un uomo e una donna, da cui possono nascere nuovi cittadini, rappresenta un bene per lo Stato. L’impegno, non l’amore. È l’impegno che si vuole promuovere per questa sua finalità intrinseca che dà prosecuzione alla società, non l’amore, che è invece qualcosa in cui lo Stato non entra e non può entrare, che attiene alla sfera personale degli individui e alle libertà individuali che vanno rispettate e tutelate, ma per gli individui come tali.

Perché allora questa legge? È condivisa l’urgenza di legittimare delle tutele per le persone omosessuali nella loro relazione affettiva. Afferisce tutto alle libertà individuali. La disciplina fa acqua: molto bene (anzi molto male), ripariamo i buchi, aggiustiamo l’ordinamento. Non serve una legge speciale che configuri un nuovo istituto (cosa che di fatto questa legge fa) analogo al matrimonio; serve garantire l’assistenza sanitaria, le questioni patrimoniali e di successione. Interveniamo in tal senso dove ci sono le lacune, il che presuppone prendere in mano l’ordinamento e vedere quali sono effettivamente tali lacune. Con un approfondimento del genere si vedrebbe chiaramente che il nostro ordinamento già tutela sotto molti profili le persone stabilmente conviventi. Occorrono semmai pochi aggiustamenti.

Il problema allora qual è? La legge non è conosciuta e non viene applicata? Bene, formuliamo un testo unico sulle stabili convivenze richiamando tutto ciò che è già in vigore e inserendo quanto manca e poi diramiamo circolari a tutte le amministrazioni perché facciano valere il diritto vigente. Il problema è sicuramente meno grande di quanto si voglia far credere e probabilmente, quanto discusso e dibattuto da qualche mese a questa parte, si colloca ben oltre l’urgenza – ripeto legittima – di avere delle tutele. Si colloca nel percorso – meno legittimo – di un diritto, preteso e urlato, di un’omologazione normativa in assenza degli opportuni principi cogenti.

Ma, in realtà, dove si vuole arrivare con questo disegno di legge? Si continua a confondere le idee sbandierando un fantomatico diritto alla genitorialità, assolutamente assente sul versante normativo costituzionale ed internazionale. Si mescolano, forse volutamente, diversi livelli di adozioni ex lege, non facendo capire cosa significa esattamente stepchild adoption, spacciandola come una cosa buona e giusta per far fronte a situazioni straordinarie di fatto createsi a seguito di presunte vicissitudini di vita, come ad esempio precedenti relazioni eterosessuali o figli biologici avuti senza compravendita o surroga di individuo.

Ma onestà intellettuale pretende che quantomeno il legislatore non dia per scontato l’ovvio e l’oggettivo, bypassandolo e tentando di disciplinare, di contro, quegli artifici scientifici che hanno consentito di tramutare l’ovvio in non ovvio. L’oggettivo, nel caso di specie, va ricercato nella consapevolezza, credo comune, condivisa e trasversale, che l’omogenitorialità biologica non esiste e non può esistere. Pertanto, legiferare una sanatoria della omogenitorialità surrogata, oltre a essere eticamente abominevole, si identificherebbe come una norma pregiudizievole dei diritti dei cittadini. Questo perché introducendo la possibilità, per legge, di una omogenitorialità, sebbene attenuata trattandosi di adozione non legittimante, si agevola quella categoria di potenziali omogenitori che detengono mezzi e risorse per surrogare la propria filiazione, creando una divaricazione in termini di diritti tra chi è in grado di spendere dai 50 ai 150.000 euro per una maternità surrogata in USA o in India e chi invece non detiene questi mezzi. In punta di diritto, sarebbe allora tanto fantascientifica un’impugnazione della norma da parte di aspiranti omogenitori che, in ragione del principio di non discriminazione, pretendano adeguato sostegno economico da quello stesso Stato che ha sancito un diritto di cui loro non possono godere? Non è un paradosso, è quello che sostanzialmente accadrà sul medio periodo. Inoltre, il legislatore non può esimersi dal legiferare il modus con cui l’ovvio si tramuta in non ovvio.

Pertanto la sanatoria dell’utero in affitto (perché l’articolo 5 e l’articolo 3, comma 4, sono sostanzialmente questo) non può sussistere in assenza quantomeno di un richiamo al medesimo utero in affitto. A meno che non vogliamo ammettere una pilatesca gestione di un argomento scomodo, secondo cui è meglio tamponare il problema, magari alimentarlo a dismisura, ma guai a nominarlo. Chiedo dunque ai sostenitori dove rinvengano la modernità e la civiltà in questa disciplina che fa rabbrividire anche il giurista più sprovveduto.

Ma vi è un’altra ragione per cui l’articolo 5 nello specifico risulta essere paradossalmente irrispettoso delle stesse coppie omosessuali. Per spiegare questo scenario basta citare la dichiarazione dell’Associazione genitori e amici di persone omosessuali (AGAPO), secondo cui – cito testualmente: «Attraverso qualunque via si arrivi all’adozione del figlio del partner (…) si tratta comunque di procedimenti in cui, in modo deliberato, si fa sparire uno dei due genitori biologici dalla vita del bambino e si uccide simbolicamente il genitore dell’altro sesso»; poi continua: «la maggior parte delle persone omosessuali non vuole essere strumentalizzata a tali fini. Sanno di essere nati da una madre e da un padre e ne sono contenti». Infine, l’invito ai promotori della stepchild «prima di parlare dell’emofobia degli altri, di cominciare a guardare la realtà della condizione omosessuale ed accettarla. È questo il punto di partenza da cui inizia il vero rispetto della persona omosessuale». Credo che non sia il caso di aggiungere null’altro.

Pertanto, il legislatore nella foga di esorcizzare una potenziale accusa di omofobia, termine abusato e strumentalizzato, introduce un diritto e ne calpesta altri mille. Un esempio virtuoso di legislazione illuminata, non c’è che dire. Si continua a ripetere che bisogna dare un futuro a questi bambini nati in famiglie arcobaleno. Perfetto, ma nessuno osa dire quanti sono questi bambini. Secondo i dati dell’ultimo censimento, le coppie conviventi dello stesso sesso sono 7.513, di cui 529 con figli in tutto il Paese. Anche qualora si volesse ammettere che nel corso degli ultimi quattro anni si fosse verificato un aumento del 20-30 per cento di questi nuovi nuclei sociali, parliamo di nemmeno 700 unità. Pure ammettendo che ognuno di questi nuclei avesse due figli, parliamo di 1.400 minori. Qualcosa di ben lontano dal configurarsi come emergenza sociale. Credo che su questo punto tutti potranno convenire.

Ma quanto sbandierato come tutela del minore a non essere abbandonato in un orfanotrofio – che, vale la pena segnalare agli amici pro stepchild, non esistono dal 2006 – in caso di morte del genitore abbandonato, fino a quanto è vera? Facciamo chiarezza. Quanti di questi bambini sono figli, frutto di precedenti relazioni? Quindi bambini non frutto dell’ingegneria procreativa? Non è dato sapere, ma è plausibile che si tratti di una minoranza. Parliamo di minori che hanno dunque due genitori biologici. Qualora si dovesse verificare la malaugurata conditio secondo cui uno dei due genitori dovesse venir meno, resta comunque l’altro genitore e credo che su questo punto non vi siano remore; almeno il buon senso non ne dovrebbe sollevare. Qualora poi, sempre malauguratamente, dovessero venire meno entrambi i genitori, ecco che interviene l’articolo 44, comma 1, lettera a), della legge 184 del 1983. Quindi la legge esiste, basta applicarla e non necessariamente modificarla. Non è inevitabile.

Pertanto sappiamo bene che l’articolo 5 è stato introdotto esclusivamente per i figli di maternità surrogate. Ma perché non dirlo e continuare a fare panegirici senza senso trascinando fattispecie che nulla c’entrano con questa nuova norma? Perché far credere ai cittadini di introdurre una norma giusta e rivoluzionaria? Per favore, chiamiamola per nome: è una sanatoria per legittimare i figli di maternità surrogate. Punto e basta. È qui che si innesca il paradosso legislativo di cui parlavo prima, ma anche in questo caso, una modifica legislativa non sembra l’unica strada percorribile. Vale la pena segnalare che i casi di tutela dei cosiddetti figliastri all’interno delle coppie di fatto sono sempre stati affrontati, facendo rientrare la fattispecie nei commi del citato articolo 44.

Presidente, dato che il tempo a mia disposizione sta per esaurirsi, chiedo sin d’ora di poter consegnare il testo del mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza l’autorizza in tal senso.

DI BIAGIO (AP (NCD-UDC)). Come questa Assemblea vuole affrontare questi nodi? Con libertà di coscienza o con inciuci ad hoc?

Sono sempre stato sostenitore – e le mie dichiarazioni lo confermano – di un approdo ad una novella mediata e condivisa. Certo, come dicevo, i diritti individuali delle coppie dello stesso sesso vanno tutelati e regolamentati. Sono disponibile anche all’ascolto di proposte che, per quanto coraggiose e discutibili, siano comunque operate nell’ottica di un ragionamento mediato, scevro dall’arroganza normativa che sembra – di contro – aver condizionato la produzione dell’ultimo testo del disegno di legge Cirinnà.

Ho apprezzato il coraggio dei colleghi del PD che, nonostante tutto, e pur mantenendo la volontà di votare a favore dell’impianto del disegno di legge, hanno ribadito a gran voce la loro contrarietà a talune disposizioni in esso contenute. Questo, a mio parere, resta una garanzia di vivacità democratica del confronto. Per questo mi auguro che non si approdi ad escamotage da prima Repubblica per bypassare questo filtro democratico, ricreando maggioranze à la carte che abbiano come unico fine l’introduzione di questa normativa. Sarebbe un insulto grave e lesivo della dignità di quanti si stanno adoperando per il dialogo e per il superamento dei tratti più gravi di questo provvedimento.

PRESIDENTE. La invito a concludere, senatore.

DI BIAGIO (AP (NCD-UDC)). Qualora si dovessero ricreare queste spiacevoli condizioni, sarò il primo a non votare a favore di tale disegno di legge, al di là del contenuto dello stesso su cui ho ribadito e motivato le mie posizioni.

In conclusione, voglio ricordare un aspetto disarmante nella sua semplicità: la genitorialità non è un diritto che si pretende battendo i pugni o strappando assegni, ma un dono di amore che deve ruotare intorno all’unico diritto preminente, quello del bambino, che deve poter contare sulla stabilità dei rapporti e sulla complementarietà sacra ed ineludibile di madre e padre. (Applausi dal Gruppo AP (NCD-UDC) e dei senatori Giovanardi e Amidei).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Ginetti. Ne ha facoltà.

GINETTI (PD). Signora Presidente, se la società è una rete di relazioni e convivenze che impongono di essere regolate, nelle loro diverse espressioni, superando anche barricate ideologiche e argini di tradizioni rassicuranti, allora il disegno di legge che ci apprestiamo a votare consente di aggiungere un tassello a tale puzzle, ed è indubbio che in nessun altro campo del diritto civile, come in quello del diritto di famiglia, si avvertono forti le dinamiche conflittuali della realtà sociale sottostante.

In questo quadro, con il disegno di legge in discussione si propone di dare riconoscimento giuridico ad unioni civili tra persone dello stesso sesso, alla convivenza di fatto, nonché ai contratti di convivenza, ovvero si propone di disciplinare realtà che già agiscono come elementi di relazione umana cui ancora non abbiamo saputo garantire un’adeguata copertura giuridica in termini di diritti e doveri reciproci.

Il dibattito sull’introduzione di una disciplina in materia di unioni civili e di coppie di fatto va inserito senza dubbio nel più ampio dibattito sull’evoluzione delle aggregazioni familiari, del ruolo della famiglia tradizionale, della sua composizione e della sua funzione che rimane di certo ancora centrale nel complesso reticolo di relazione sociale. Evoluzione, dunque, dalla concezione della famiglia legittima basata sul matrimonio, quasi autoritaria e gerarchica nel rapporto tra uomo e donna, codificata nel 1942, alla Costituzione repubblicana che ci ha consegnato un concetto di famiglia positivo: famiglia come società naturale basata sull’uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi sancita dall’articolo 29, sino a forme a composizione mononucleare e sempre più complesse che hanno accompagnato la riforma del diritto di famiglia nel finire degli anni Settanta. Da qui, il cammino verso il riconoscimento dell’unione stabile tra due soggetti legati dal vincolo di affetto e solidarietà, anche omosessuali.

Trasformazioni e nuovi orizzonti che impongono di ripensare le categorie con le quali abbiamo letto l’evoluzione anche più recente dei rapporti affettivi; perché la famiglia, le unioni non sono un fatto solo privato, ma hanno una rilevanza fondamentale pubblica, in quanto sorgenti di diritti e doveri.

Un microcosmo esistenziale, che abbiamo provato a collocare tra famiglia ex articolo 29, e nuova formazione sociale, meritevole di ricevere una disciplina e tutela specifica, ma al di là e al di sopra del semplice riconoscimento dei diritti individuali, oltre, dunque, quella formazione sociale ex articolo 2 della Costituzione; un passo importante che il Parlamento si appresta a compiere per colmare un vuoto che pesa. Infatti, l’invisibilità giuridica ed istituzionale non vuol dire inesistenza di fatto, ma precarietà di tutela, che si tratti di adulti o figli. La non normazione non solo è ignavia, come qualcuno ha già scritto, ma è inutile rispetto ai fenomeni sociologici e antropologici esistenti ed ingiusta perché discriminatoria. Al contrario, il riconoscimento giuridico produce sicurezza e stabilità; la stabilità produce fiducia, benessere e coesione sociale, tra nuovi diritti e nuovi doveri.

Nella stessa Unione europea il quadro relativo alla disciplina sulle convivenze è alquanto variegato: dalla coabitazione registrata della partnership, al matrimonio paritario anche per le coppie omosessuali come nei Paesi Bassi, in Belgio e in Spagna. L’Unione europea ha assunto una posizione chiara in materia dal 1994 e, poi, con la risoluzione del 2003, sollecitando gli Stati membri al riconoscimento delle coppie di fatto, nonché alla disciplina dei diritti degli omosessuali anche in materia di adozione, sino alla condanna esplicita e alla conseguente sanzione del luglio scorso da parte della Corte europea di Strasburgo in merito alla violazione da parte dell’Italia dell’articolo 8 della Convenzione europea per il mancato riconoscimento delle coppie omosessuali.

Quello del Parlamento italiano è stato un percorso articolato, dal primo disegno di legge presentato nel 1986, ai PACS sul modello francese nella XV legislatura. Mentre a livello locale si è tentato di dare un riconoscimento, se non giuridico almeno sociale, alle unioni omosessuali, il Governo Berlusconi impugnava tutti gli statuti delle Regioni favorevoli alle unioni civili. Sono seguite le proposte di DICO e CUS (contratti di unione solidale) nel 2007 e oggi, dopo mesi di lavoro e discussione costruttiva, franca ed aspra in Commissione giustizia, arriviamo al testo coordinato dalla collega Cirinnà, che finalmente tenta di dare risposte politiche e di pari dignità alle unioni omosessuali, a partire proprio dalla comune iscrizione nell’archivio dello stato civile.

Il censimento statistico ISTAT del 2011 ha certificato che un milione di concittadini si dichiarano omosessuali, ma – soprattutto – che oltre il 74 per cento della popolazione italiana intervistata non solo non considera l’omosessualità una minaccia morale o sociale per la famiglia tradizionale, ma ritiene che vi sia ancora una forte discriminazione contro cui lottare nei luoghi di studio e di formazione, nella ricerca del lavoro e nei rapporti sociali. Si aggiunga che quasi quarant’anni di studi su genitori omosessuali e famiglie omogenitoriali attestano come l’orientamento sessuale affettivo di madri e padri non rileva ai fini dello sviluppo psicofisico affettivo dei figli e che la loro crescita è sovrapponibile a quella dei nati in coppie etero quanto a capacità cognitive e relazionali e identità sessuale.

L’esclusione di tali coppie dall’ipotesi di adozione ex articolo 44, lettera b), del figlio del compagno, contestualmente alla legislazione sulle unioni civili o separatamente, rischierebbe di subire una censura da parte delle corti sovranazionali, in quanto illegittima per disparità di trattamento fondata sull’orientamento sessuale. L’istituto della stepchild adoption, ovvero l’adozione del figlio del partner, risale infatti a trent’anni fa e la discussione si sposta pertanto non sulla validità dell’istituto giuridico, ma sul discrimine della coppia etero o omosessuale ai fini dell’estensione della genitorialità. (Applausi dei senatori Albano e Broglia). Stiamo parlando di bambini e figli che esistono e chiedono un diritto alla stabilità di affetto e cura, anche nel caso in cui la coppia debba decidere di non condividere più la convivenza e l’unione. Ciò che andrebbe garantito è, appunto, la continuità di relazione, affetto, solidarietà e cura.

È spettato ai giudici minorili – giudici imparziali – adattare dunque al cambiamento il diritto di famiglia, da Catania a Roma, da Bologna a Torino, spostando in tal modo il confine tra etica e diritto. Oggi si verifica quindi quanto accaduto già negli anni Settanta: la magistratura come anticipatrice della formazione delle leggi per fenomeni sociali che rompono schemi tradizionali (dall’affido alle adozioni, ai cognomi da attribuire ai figli). Infatti, se avere figli non è un diritto, lo è però tutelare i figli nati. Si è quindi di fronte a nuovi diritti da scrivere, meritevoli di una disciplina per i quali il legislatore – dunque noi – non può chiamarsi in disparte.

Non abbiamo sottovalutato i rischi e i risvolti che ne deriveranno, ma non possiamo confondere il diritto di disporre di sé, del proprio corpo, dei propri sentimenti, con comportamenti che si pongono fuori legge e che dalla legge devono continuare ad essere perseguiti, come peraltro già previsto dall’articolo 12 della legge n. 40 del 2004 per la maternità surrogata.

Infatti, battersi per un’uguale considerazione non significa disconoscere le diversità, non significa restringere la sfera di altri diritti, bensì avere la forza di andare oltre la tolleranza di ciò che è altro da sé per inserirlo a pieno titolo in un sistema giuridico di garanzie, in un sistema dove si riconosca il primato delle relazioni, di quelle relazioni umane e affettive che costituiscono il tessuto del vivere insieme, perché il diritto di una donna e un uomo di unirsi in matrimonio non può costituire un limite un divieto per un diritto di altri dello stesso sesso di unirsi in un legame affettivo riconosciuto e perché da sempre è la differenza che spinge l’evoluzione civica e giuridica verso l’ampliamento della sfera di tutela dei diritti. Si tratta di una conquista per tutti e non solo per chi poi quei diritti li eserciterà nel concreto.

Con l’approvazione del testo in discussione finalmente noi legislatori daremo tutela ad un nucleo di diritti e doveri di assistenza e solidarietà anche economica, a situazioni di coppie che vivono ancora oggi con un senso di precarietà e quasi clandestinità la loro relazione. Se anche questa battaglia, signora Presidente, onorevoli colleghi, andrà nella direzione di tante altre battaglie per l’ampliamento della tutela dei diritti individuali e sociali, tra nuove ingegnerie familiari e nuove complessità, allora avremo aggiunto un tassello al progresso, una conquista per un Paese che non si volta indietro, ma si assume la responsabilità piena, verso sfide attuali, per ognuno di noi, nei diversi ruoli, cittadini e legislatori. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Rizzotti. Ne ha facoltà.

RIZZOTTI (FI-PdL XVII). Signora Presidente, onorevoli colleghi, desidero innanzitutto fare chiarezza, in modo che non ci siano equivoci possibili: sono profondamente convinta che sia ora che in Italia vengano regolate le unioni civili. Sono un’onta per il nostro Paese i richiami e le sentenze europee che ci ricordano e ci obbligano a legiferare in questo senso ed è una vergogna che l’Italia sia l’unico dei grandi Paesi d’Europa in cui esistono cittadini di serie A e di serie B.

Negli anni si è provato a legiferare in questa materia e questo era il momento giusto, l’ultimo possibile per fare una legge giusta, che contemperasse esigenze differenti in un testo armonico e rispettoso.

Tuttavia, come al solito, anche in questo provvedimento, con l’usuale arroganza frettolosa, il Governo, che preferisce twittare «fatto» piuttosto che rischiare di fare un provvedimento atteso e condiviso dopo un aperto dibattito, non prende in considerazione neanche l’opinione pubblica portata al riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto, ma non ancora pronta (e soprattutto non in un modo così maldestro) all’adozione di figli da parte di coppie omosessuali o alla pratica dell’utero in affitto.

Vorrei ricordare in proposito che in Italia la pratica dell’utero in affitto è sì proibita dalla legge n. 40 del 2004, ma è legalmente concessa in alcuni Paesi del mondo. Proprio in questi giorni una delle più conosciute femministe francesi, moglie dell’ex primo ministro Jospin, una donna di sinistra, come ama lei stessa definirsi, sta organizzando una grandissima manifestazione a Parigi perché nel mondo venga bandita la pratica dell’utero in affitto. Le donne sono sfruttate e lo sappiamo, ma è lo Stato che le deve proteggere da tale sfruttamento impedendo questa pratica in tutto il mondo.

Come dicevo, era il momento giusto per approvare un provvedimento condiviso, ma purtroppo questa occasione è stata persa perché il disegno di legge in esame è sbagliato, scritto male, sbilanciato; tutto ciò al di là della sua chiara incostituzionalità, come oggi e nei giorni scorsi è stato più volte richiamato in quest’Aula laddove si è fatto riferimento all’articolo 72 della Costituzione, perché quest’ultimo testo non è stato discusso in Commissione.

C’è una questione di fondo, che inficia ogni possibile buona intenzione del presentatore: la volontà, francamente incomprensibile, di equiparazione pressoché totale delle unioni omosessuali con l’istituto matrimoniale. Tale volontà era esplicita nel testo iniziale, che riportava continui rimandi al matrimonio, e che non è certo stata modificata dalla semplice soppressione di alcuni di questi rimandi nel nuovo testo oggi all’esame dell’Assemblea. I nomi possono anche cambiare, ma la sostanza rimane la stessa. I principali diritti e doveri che vengono previsti hanno la stessa forza e la stessa modalità dei diritti e dei doveri matrimoniali: così è per l’acquisto della cittadinanza del coniuge straniero e per la reversibilità delle pensioni. Ricordo che non sono ancora chiari i numeri e i costi sociali che il provvedimento può comportare, in questi termini. Vorrei anche ricordare che ci sono milioni di italiani che vivono con una pensione sociale inferiore ai 400 euro al mese e non mi sembra ci siano provvedimenti del Governo finalizzati ad aumentarla in tempi brevi, per la sopravvivenza di queste persone anziane, che hanno lavorato tutta la vita.

Si è scelta questa completa sovrapposizione tra i due istituti, quello del matrimonio e quello delle unioni civili, malgrado l’Unione europea abbia chiarito in più di un’occasione che nessun articolo della Convenzione imponga agli Stati membri l’obbligo di aprire al matrimonio delle coppie omosessuali. C’è però una cosa ancora più grave. La sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale dichiara, al di là di ogni possibile interpretazione, che l’istituto matrimoniale è di pertinenza esclusiva di coppie formate da un uomo e una donna. Permettetemi di citarla: «(…) è inevitabile concludere che essi» ovvero i Costituenti «tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile (…) che stabilisce che i coniugi devono essere persone di sesso diverso». In tale sentenza si dice, ancora che questo precetto costituzionale non può essere superato perché non si tratterebbe di una semplice rilettura bensì di procedere ad un’interpretazione creativa, molto creativa. Infine si afferma: «si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto».

In altre parole, quindi, risulta evidente che l’impianto stesso di questo disegno di legge, equiparando sostanzialmente le unioni omosessuali al matrimonio, è anticostituzionale.

C’è poi un’altra questione, su cui si è molto dibattuto in questi giorni: quella dell’adozione del figliastro, la stepchild adoption. Proprio perché al riguardo il dibattito è in corso ormai da settimane, segno che si tratta di un argomento delicato e denso di incognite, mi limiterò ad un paio di considerazioni. La prima è che non esiste un diritto assoluto alla genitorialità, anche se sappiamo che questo è il mondo dei diritti e mai e poi mai si ricorda invece che, ad ogni diritto corrisponde un dovere, altrimenti si ha una violenza del diritto stesso. In altre parole, non esiste il diritto di diventare padre o madre a qualsiasi costo, ma, al contrario, esistono e devono essere rispettati i diritti dei bambini. Non è pensabile che, per soddisfare la voglia di essere padre o madre, si debbano mettere in secondo piano i diritti dei figli.

La seconda considerazione è che, evidentemente, questo argomento sta aprendo confronti, anche aspri, non solo tra i partiti e all’interno dei partiti stessi, ma anche all’interno della società civile. Il forte sospetto è che esso sia stato affrontato in maniera superficiale, di fretta, senza nessun approfondimento. E quindi mi chiedo, onorevole relatrice, perché non stralciare almeno la parte relativa alle adozioni per seguirla e approfondirla in un disegno di legge specifico, del quale questo Paese ha profondamente bisogno? È davvero indispensabile affrontare qui e adesso questo argomento, riducendolo ad uno scontro ideologico?

Voglio concludere con un altro aspetto che lascia molto perplessi. Se ne sente parlare pochissimo, ma il disegno di legge della senatrice Cirinnà non parla solo di unioni omosessuali, perché c’è anche una seconda parte, dedicata alle convivenze eterosessuali, ed è una disciplina – lasciatemelo dire – assolutamente sconfortante: il livello dei diritti riconosciuti alle coppie eterosessuali conviventi è infimo.

Noi siamo per i diritti civili per le coppie di fatto, omo o eterosessuali perché tutti gli individui sono uguali. Perché questa scelta? Perché questo assurdo sbilanciamento tra diritti equivalenti al matrimonio per le coppie omosessuali e pressoché vicini allo zero per le coppie eterosessuali?

Questa scelta porta con sé due conseguenze possibili. Si tratta di capire se arriverà prima la Corte costituzionale o la Corte europea dei diritti dell’uomo. Perché se arriverà prima la Corte costituzionale, non potrà che rilevare una profonda discriminazione; se invece arriverà prima la Corte europea dei diritti dell’uomo, la conseguenza sarà ancora più nefasta.

Concludo ribadendo il mio rammarico per l’ennesima occasione persa. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Fasiolo. Ne ha facoltà.

FASIOLO (PD). Signora Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento sulle unioni civili in dirittura di arrivo è un atto dovuto al cui compimento siamo stati richiamati dalla Corte di Strasburgo, e giunge in grave ritardo in una realtà sociale in profonda trasformazione. Non sarebbero tollerabili rinvii o affossamenti di un provvedimento atteso da troppo tempo e di cui il Paese ha bisogno per compiere un passo di civiltà.

Dobbiamo però prevedere misure di accompagnamento al processo di cambiamento, e una riflessione fra giovani e meno giovani per favorire questa importante fase evolutiva della democrazia del Paese. Le misure di accompagnamento necessarie mi hanno indotto a presentare alcuni ordini del giorno sulla formazione.

Il Paese reale viene prima del Paese legale; i costumi e le abitudini anticipano le regole, ma l’eccessiva abbuffata mediatica e il caricamento dei toni all’interno del dibattito sulla stepchild adoption non hanno però giovato allo sviluppo di una discussione che doveva essere più serena e soprattutto più obiettiva. Invece di innalzare muri, andava innalzato il livello del dialogo, legittimando il dubbio su alcune criticità. Non ho condiviso le piazze urlanti per i pro né quelle per i contro: avrei preferito una piazza del dialogo.

Devo rendere atto che all’interno del Gruppo del Partito Democratico la discussione è stata pacata e caratterizzata da uno spirito aperto e democratico, come è nel nostro stile. All’esterno si è ecceduto con qualche bolla mediatica di troppo sul pensiero critico, con qualche etichetta demagogica appiccicata da qualche media a posizioni della cosiddetta minoranza, bollata come cattodem, come se si trattasse di una guerra di religione.

Le osservazioni sono venute – voglio sottolinearlo – dal mondo cattolico, da quello laico, da quello femminista, da tanti mondi, da chi si è posto legittimi interrogativi, e non sulle unioni civili (scontate), ma sulla stepchild adoption, sulla base del delicato tema della costruzioni dell’identità adolescenziale, su quello della maternità surrogata o gestazione per altri, ponendosi il legittimo interrogativo sull’impegno della donna a rinunciare al neonato e a consegnarlo al committente senza rivendicarne la maternità. Aspetti che andavano ascoltati con rispetto e impropriamente etichettati.

Nel nostro Paese il ricorso alla maternità surrogata – come è stato ricordato da vari colleghi prima di me – è vietato e la sua pratica è punita severamente. La condanna della maternità surrogata costituisce una regola fondamentale nel nostro sistema giuridico a garanzia, nella specifico, della dignità umana e, quindi, perché richiamarla nel dibattito se vietata dall’ordinamento? Al «che c’entra la surrogacy con la stepchild adoption» rispondo che può c’entrare in quanto praticabile all’estero. Se vietata in Francia, in Germania e in Italia, è ammessa con diverse modalità nel Regno Unito, in Grecia, Ucraina, Russia, in India, in alcuni Stati degli Usa, in Belgio, Irlanda, Paese Bassi e Canada. Grazie all’emendamento che abbiamo presentato si è solo cercato di rendere più rigorosi i controlli; dare maggior attenzione e disincentivare i cittadini italiani, anche se potevano pensare di realizzare all’estero il progetto di un figlio. Non possiamo permetterci di ignorare che la maternità per conto terzi viola i diritti altrui e nel testo degli emendamenti ci sono forti misure disincentivanti e di controllo. Non si possono eludere fondamenti della psicologia; rimuovere conoscenze scientifiche, bypassare la delicatezza dei percorsi di gestazione profondi, di una madre naturale. Né si può ignorare che il cosiddetto dialogo incrociato (cross talking) avviene nel rapporto materno-fetale. Non si può neanche ignorare che alla nascita il bambino, quantunque donato, porta in sé un patrimonio emozionale e sensoriale, appreso dalla madre, che risente delle sue emozioni, del suo stato d’animo, e del suo benessere. Perché non è lecito che anche la politica si interroghi su tutto ciò? La legge deve tutelare tutti, in primis i diritti negati di chi non parla, della donna e dei bambini.

Ebbene, anche la nuova teoria del dono e della surrogazione altruistica è un teorema e, in realtà, un sofisma, un ragionamento capzioso, dietro il quale si nascondano il più delle volte, non sempre, realtà di donne emarginate. Ciò avviene in Paesi depressi, ma anche nei Paesi dell’opulenza.

È giusto quindi raccogliere questi grandi temi? Sì, è giusto il pensiero plurale, non quello singolare.

Vi è un principio di cautela e di attenzione alla centralità del bambino e dell’adolescente, alla costruzione del processo identitario, ad una maggior tutela della donna alla base delle nostre proposte. Ecco perché proponiamo il concetto dell’affido rafforzato. Per questo gli emendamenti sono misure di garanzia, di cautela e di attenzione a diritti che vanno contemperati bene.

Esprimo massimo sostegno alla Sylviane Agacinski, filosofa francese che ha aderito fin da subito alla «Carta di Parigi». Si è fatta promotrice con altre associazioni delle assise di Parigi, con il supporto della vice presidente dell’Assemblea nazionale francese, Laurence Dumont. Proprio oggi, guarda caso, questa assise denuncia l’utilizzo degli esseri umani, il cui valore intrinseco è cancellato a favore del valore di uso e del valore di scambio. Quindi, questo utero in affitto non lo vogliamo e spero non lo voglia nessuno trasversalmente. Bene, quindi, alla firma della Carta per l’abolizione universale della maternità surrogata. Anche se migliorabile, esprimo assoluto sostegno al testo sulle unioni civili, un passo di civiltà che non può comunque attendere. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Pezzopane. Ne ha facoltà.

PEZZOPANE (PD). Signora Presidente, io voterò convintamente il testo di legge che ci è stato proposto e su cui c’è stato un grandissimo lavoro da parte della senatrice Monica Cirinnà e di tanti altri, che ringrazio. Anche io l’ho sottoscritto.

Durante il dibattito che si è tenuto in Commissione giustizia, a cui ho avuto la possibilità – grande, per me – di partecipare in sostituzione di alcuni colleghi, ho ascoltato e seguito una difficile discussione, che poi è proseguita. Anche io ho avuto i miei dubbi e le mie difficoltà, ma li ho superati perché questo testo è il giusto equilibrio per questo Parlamento. Cerchiamo, quindi, nel dibattito e poi nel voto, di fare in modo che il Paese percepisca che questi luoghi si fanno permeare dai bisogni.

Desmond Tutu, arcivescovo sudafricano, dice che l’omofobia è una forma di apartheid. Come è possibile lottare contro il razzismo e non contro l’omofobia? Esatto: come è possibile fare una cosa senza fare anche l’altra? E come combattiamo davvero l’omofobia, le disuguaglianze, le discriminazioni, se non ci preoccupiamo di alzare la soglia dei diritti? E di farlo con gioia, con entusiasmo, non come se stessimo votando l’entrata in guerra di un Paese. Come facciamo ad affermare questi diritti se non consideriamo le straordinarie modifiche intervenute nelle relazioni sociali, i cambiamenti nelle dinamiche delle relazioni, anche nel rapporto uomo‑donna, uomo‑uomo, donna‑donna, e nel rapporto tra l’adulto e il bambino, tra gli adulti e i bambini?

Tutto è cambiato, molto è cambiato e non possiamo rimanere fermi a schemi obsoleti. Siamo stati redarguiti dall’Unione europea; veniamo superati costantemente da sentenze e dalle scelte di numerosi magistrati.

Qualche collega ha detto che questo è un tema divisivo. Da quando sto qui, in questa legislatura, raramente ho visto un tema non divisivo. Ci siamo divisi su tutto o quasi; forse su questo potremmo dividerci il meno possibile, perché il testo in discussione è già molto equilibrato, molto mediato.

Questi luoghi, queste sale, questi spazi, nel 1970, quando c’erano la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, scelsero di approvare la legge sul divorzio. Sempre in questa sede, sempre qui, tra questi banchi, qualche anno dopo, nel 1978 dei parlamentari come noi, scelsero – addirittura – nel 1978 di approvare la legge per l’interruzione volontaria di gravidanza. C’erano la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista e altri partiti.

PRESIDENTE. Senatrice, la invito a concludere.

PEZZOPANE (PD). Concludo. Poi ci sono stati i referendum, nel 1974 e nel 1981, che hanno confermato che quei parlamentari avevano fatto un buon lavoro.

Ora io, che pure ho avuto dei dubbi su alcune questioni, in particolare sulla vicenda dell’utero in affitto, credo che questo disegno di legge – e invoco anche l’attenzione di quei parlamentari che, come me, hanno avuto quei dubbi – sia adeguatamente equilibrata e ci consenta di fare un passo avanti sui diritti senza sconvolgere la vita di nessuno, di mettere al centro i diritti anche di quei bambini e di quei ragazzi e di uniformare il nostro ai Paesi vicini dell’Europa.

Il Partito Democratico ha una grande responsabilità e sono certa, con serenità e con entusiasmo, che ce la sapremo giocare fino in fondo, dando al nostro Paese una legge giusta per le unioni civili. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Candiani. Ne ha facoltà.

CANDIANI (LN-Aut). Signora Presidente, ripartirei da quanto appena ascoltato dalla senatrice Pezzopane. Con questo mantra che ce lo chiede l’Europa – l’abbiamo capito su molti altri aspetti e non capisco come si possa non coglierlo in questa circostanza – in primo luogo non diamo nessun valore aggiunto alla discussione, perché, se abbiamo bisogno di lezioni dagli altri, soprattutto dall’Europa, ahinoi! In secondo luogo, se si sta parlando di diritti e, in questo caso, di aspetti che sono molto intrecciati con la nostra consuetudine e con il nostro modo di vivere, siamo maturi abbastanza per poter dire se una cosa la vogliamo noi, perché serve a noi, evitando con questo di dire che lo dobbiamo fare perché ce lo dicono gli altri, perché ce lo dice l’Europa. Abbiamo visto, quando si è trattato di banche, cosa è significato giustificarsi dicendo che ce lo dice l’Europa; ed abbiamo visto, quando abbiamo toccato la Costituzione con la scusa che ce lo dice l’Europa, quali guasti sono stati introdotti.

Ci sono questioni di incostituzionalità e, visto che ne stavamo parlando, signora Presidente, non sarà certo la votazione di inizio seduta a togliere quell’incostituzionalità che è insita nel disegno di legge. È stata una votazione che, nella sua legittimità, il Senato ha affrontato ritenendo che le motivazioni addotte da chi ha sollevato questioni di incostituzionalità non fossero fondate. Respingendole si è iniziato il dibattito e si arriverà all’esame degli emendamenti.

Anticipo subito che il Gruppo Lega Nord non ha ritirato un solo emendamento. Ci sono curiose agenzie di stampa che parlano di “trenini” con gli emendamenti che sono andati avanti e indietro dagli uffici e che sono stati ritirati. No, signora Presidente, non abbiamo ritirato alcun emendamento; e aspettiamo di capire quale sarà la volontà della maggioranza di confronto sul merito, su quel ristretto gruppo di emendamenti che caratterizzano invece la nostra proposta di modifica della legge. Non ci interessa, come non ci interessava per la modifica costituzionale, fare ostruzionismo fine a se stesso, dimostrando che siamo in grado di produrre migliaia di emendamenti per rallentare un iter parlamentare che comunque in ogni caso arriverà alla sua conclusione, perché la maggioranza, nella propria legittimità costituzionale, ha i numeri per poter votare.

Ci interessa invece parlare del contenuto. Sappiamo che ci sono tecniche che ormai sono state anche abusate; si chiama canguro e forse fra poco si chiamerà alligatore o avrà qualche altro nomignolo molto curioso. Insomma, ci sono tecniche per far fuori, in pochissime votazioni, tutti gli emendamenti. A fronte di questo, noi diciamo che vogliamo dialogare, vogliamo conoscere, vogliamo capire, vogliamo che la gente stessa, tutta la gente che si è trovata in piazza domenica e prima di domenica, possa avere vera cognizione di causa di quello di cui stiamo dibattendo. Quindi niente canguri. Se ci sarà questa dimostrazione di apertura dal parte della maggioranza, non ci sarà da parte nostra ostruzionismo con migliaia di emendamenti, ma ci saranno certamente qualche centinaio di sane proposte, che vanno a raddrizzare una legge che noi riteniamo potesse essere facilmente approvata, ma che purtroppo evidentemente, per la solita volontà un po’ muscolare e spregiudicata del Premier, è stata messa in campo nei modi che conosciamo. Non ho dubbi nel credere, collega Arrigoni, che ciò sia stato fatto per deviare l’attenzione dei cittadini dalla drammatica situazione economica che sta vivendo il Paese.

Signora Presidente, se dieci anni fa si faceva fatica a parlare, in queste stesse Aule, di qualcosa che si chiamava DICO o di altre modalità con cui si intendeva regolamentare le coppie di fatto, oggi le stesse verifiche statistiche e gli stessi sondaggi nel Paese ci dicono che su questi temi il dibattito si è spinto in là e ci possono essere delle ampie condivisioni. Chi non è d’accordo a dare un quadro normativo e giuridico alla convivenza di persone dell’uno e dell’altro sesso? Si tratta di emanare alcune norme giuridiche, di inquadrare alcune situazioni, cosa nettamente differente, dal nostro punto di vista, dalla famiglia che ha consentito a ciascuno di noi di venire al mondo. Infatti, piaccia o non piaccia (e faccio fatica a immaginare come si possa dispiacersene), ciascuno di noi è venuto al mondo perché un uomo e una donna hanno procreato. Fuori da questa regola ci possono essere delle eccezioni, che possono essere riconosciute – bisogna che la legge riconosca i diritti -, ma è cosa diversa dallo spingersi ad inserire, ad innestare temi come la genitorialità in una coppia che non è fatta da persone di sesso differente, è ben altra cosa.

Aggiungo un paradosso, Presidente: gli stessi proponenti della normativa al nostro esame, coloro che affrontano con molta leggerezza questi temi, poi impiegano ore e ore di dibattito per spiegarci che gli OGM sono da combattere e da tenere lontani come fossero peste perché sono un’alterazione rispetto ad un percorso naturale e biologico che deve essere rispettato. Già: se si parla di carote, di lattuga, di ortaggi, gli OGM non vanno considerati; se si parla invece di figli si può considerare anche il chimico che in laboratorio costruisce quello che la natura non rende possibile. (Applausi della senatrice Rizzotti).

Questi sono paradossi, sono paradossi reali e vengono dagli stessi soggetti che su questa legge tengono lezioni sui diritti. (Commenti della senatrice Puglisi). Senatrice, io rispetto la sua opinione. Lei impari a rispettare anche quella degli altri: fa parte del dibattito democratico.

E allora io dico: entriamo nel merito. Perché vi state ostinando ad inserire in questo progetto di legge il rapporto tra la coppia di fatto e dei figli che naturalmente questa coppia non potrebbe avere? E non parliamo dell’adozione del figlio di un partner avuto da una coppia naturale. Parliamo di altri aspetti. Mi si dirà che la legge impedisce la fecondazione assistita e l’utero in affitto. Ricordo un’affermazione molto, molto semplice ma efficace: il male ha sempre un seme banale. Si parte sempre da una banalità, anche nel consumo degli stupefacenti (ma cosa vuoi che sia? Proviamo), magari anche nell’abuso di alcool (ma cosa vuoi che sia? Proviamo), o nel gioco d’azzardo (cosa vuoi che sia? Un diversivo, una volta ogni tanto), dopo di che si resta prigionieri di un gorgo e non se ne esce più. Aprire una porta che renderà possibile, gradino dopo gradino, arrivare all’utero in affitto o ad altre modalità innaturali di concezione credo sia quanto di più lontano rispetto all’esigenza di dare alle coppie di fatto una veste giuridica, ma credo sia anche quanto di più lontano ciascun essere vivente che abbia coscienza del proprio essere possa concepire.

E allora parliamo di merito e, come dicevo, lo vogliamo fare togliendo da questo disegno di legge qualsiasi riferimento alla famiglia naturale che deve essere cosa differente dal riconoscimento giuridico delle coppie di fatto; e lo vogliamo fare togliendo da questa legge qualsiasi riferimento alla possibilità che possano esistere coppie con un figlio che non è nato da nessuno dei due genitori e non è stato adottato ma è stato “costruito”, mettiamola così, a tavolino.

C’è un fatto, Presidente, che caratterizzerà sicuramente le votazioni, e lo dico ai colleghi del Nuovo Centrodestra: vi state sperticando con le richieste di voto segreto. Dovreste avere almeno il pudore di ricordarvi che quando, in questa sede, si modificò la Costituzione eravate tra coloro che si vergognavano, o meglio che stigmatizzavano coloro che chiedevano il voto segreto perché, come dicevate, non avevano il coraggio di esprimere la propria opinione e in quel caso si trattava della Carta costituzionale. Voi oggi arrivate invece a cercare anche le nostre firme per poter avere un voto segreto che vi permetta di mettere un velo alla vergogna che vi ricopre per aver mercanteggiato prima posti da Ministro e da Sottosegretario e tutto quanto c’è di corollario, garantendovi un reddito politico e dicendo adesso che voi non sosterrete questo testo.

Vergognatevi! Almeno, collega Arrigoni, Giuda si fece pagare dopo aver tradito. Questi hanno incassato ancora prima del tradimento e vogliono anche passare per quelli duri e puri, che terranno botta fino all’ultimo.

Vergognatevi veramente, perché non avete neanche il senso del pudore! (Applausi del senatore Arrigoni). Vi siete venduti per qualche Ministro e adesso venite, o verrete, qui dentro a dire che difenderete la famiglia e la nostra tradizione.

DI BIAGIO (AP (NCD-UDC)). Questa è cialtroneria politica, Candiani!

PRESIDENTE. Senatore Di Biagio, la prego di non commentare.

Senatore Candiani, lei invece rispetti quest’Aula.

CANDIANI (LN-Aut). Signora Presidente, io rispetto l’Aula. Infatti, come sto dicendo, non ho alcun problema e, laddove ci sarà voto palese, alzerò la mano e voterò palesemente, sostenendo ciò che credo. Ma allo stesso modo ritengo che i colleghi che all’epoca censurarono le richieste di voto segreto per la riforma della Costituzione, dovrebbero almeno astenersi oggi dal fare le medesime richieste.

Tanto più che all’epoca ci fu una battaglia serena, limpida, chiara, su principi netti. Qui, invece, c’è stato un mercanteggiamento che viene oggi nascosto e messo con pudore sotto il tavolo, proprio come se se fosse quella vergogna che in effetti è.

Signora Presidente, ci dicono che siamo indietro, che non ci siamo adeguati al progresso dei tempi. Io non so quale sia il progresso. Sicuramente Darwin ha ragione: in ogni caso si va avanti. Anche quando ci sembra di balzare indietro, andiamo avanti. Certamente, la natura non fa salti. Certamente, se ci allontaniamo senza rendercene conto da quella caratteristica di base che ci rende esseri umani, andando a creare artifici, non facciamo una buona cosa e prima o poi ne pagheremo il prezzo.

Non voglio fare riferimenti biblici e non voglio rifarmi a versetti, ma dico che noi abbiamo il dovere di dare ai cittadini delle leggi giuste. Abbiamo il dovere di tutelare i cittadini rispetto a delle leggi ingiuste.

Esiste nella nostra Costituzione il riconoscimento di una famiglia. Ancora prima della Costituzione, esiste un diritto naturale. Da quel diritto naturale non possiamo discostarci. Qualsiasi scelta che vada contro quel diritto naturale, sarà prima o poi pagata. E chi ne pagherà il prezzo saranno le future generazioni.

Stiamo costruendo un Paese che non può rinunciare alle proprie solide radici e fondamenta, dando diritti a chi ha deciso di convivere, ma non dimenticando che, se oggi noi siamo persone vive ed esistenti, lo dobbiamo al fatto che alle spalle abbiamo avuto una famiglia. E la famiglia naturale non può in alcun modo essere scambiata con la convivenza delle coppie di fatto. (Applausi del senatore Arrigoni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Ichino. Ne ha facoltà.

*ICHINO (PD). Signora Presidente, in questi giorni abbiamo sentito più volte in quest’Aula, anche pochi minuti fa nell’intervento del senatore Candiani, oltre che in alcune interviste televisive e sulla carta stampata, giustificare una intransigenza assoluta, insuperabile, in un senso favorevole o contrario a singole soluzioni normative relative alla materia al nostro esame, con l’appello a “principi non negoziabili”. È questo un concetto che mi sembra usato del tutto a sproposito.

Un grande maestro di diritto, giudice della Corte costituzionale e persona profondamente credente, Luigi Mengoni, insegnava che la differenza tra principi e regole sta in questo: mentre la regola prescrive un comportamento specifico preciso («non si passa col rosso»; oppure «il salario minimo è di sei euro»), il principio invece indica un valore che deve essere perseguito (la tutela della vita, della libertà, dell’uguaglianza, della giustizia). Dunque, mentre la regola ha un contenuto prescrittivo preciso, predeterminato, il principio non ci dice mai esattamente come ci si deve comportare in ciascuna situazione; al contrario, lascia aperte sempre diverse scelte pratiche attraverso le quali il valore può essere perseguito, anche perché – proprio qui sta il punto cruciale della questione – accade quasi sempre che nel caso concreto i principi da applicare non siano uno solo bensì due o più di due. Si pensi, per esempio, alla necessità di conciliare il principio di tutela della vita umana con quello della libertà di circolazione: anche quella stradale, la quale è notoriamente pericolosa per la sicurezza delle persone; oppure il principio della libertà e segretezza delle comunicazioni con quello della punizione dei crimini. Quand’è così, cioè quando si tratta di conciliare tra loro due o più valori, si impone un bilanciamento tra di essi.

Il compito della politica è proprio questo: applicare al tempo stesso diversi principi costituzionali e morali, trovando di volta in volta il bilanciamento migliore possibile tra i valori che quei principi ci impongono di perseguire. In altre parole, se i principi fossero regole, la politica non servirebbe; essi ci direbbero compiutamente cosa occorre fare in ciascun caso. Ma, appunto, i principi non sono regole. Ci sarà sempre chi sottolinea maggiormente l’importanza di uno e chi l’importanza di un altro: il bilanciamento tra i due comporterà sempre in qualche misura una negoziazione.

Le possibili conciliazioni tra i valori in gioco, cioè le ipotesi ragionevolmente praticabili di bilanciamento tra di essi sono sempre più di una, ma ciascuna di esse implica che nessuna delle parti politiche attribuisca valore assoluto ad uno dei due principi dichiarandolo “non negoziabile”, perché, così facendo, si azzera l’altro; dunque, non si fa un buon servizio né alla Costituzione né all’etica.

«La discussione pubblica – scrive lo studioso di scienza della politica Maurizio Ferrera in un suo intervento dei giorni scorsi su questo tema – deve avere luogo in una cornice di laicità, tolleranza, rispetto reciproco e disponibilità al bilanciamento fra valori ultimi».

Ecco: non sarei tra i firmatari di questo disegno di legge se non ne condividessi l’ispirazione di fondo, che consiste proprio in questo: in un ragionevole bilanciamento tra i principi giuridici ed etici in gioco sulla questione che ci occupa. Osservo però subito che, per quanto riguarda il riconoscimento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, quel bilanciamento non è neppure necessario, perché non riesco neanche a vedere come il riconoscimento dell’aspirazione di due persone dello stesso sesso a un rapporto affettivo stabile possa anche solo indirettamente attentare all’istituto familiare tradizionale. Un bilanciamento tra principi è invece necessario in riferimento alla disciplina del possibile rapporto genitoriale tra il figlio di uno dei partner e l’altro partner. Non vi è dubbio che la questione vada risolta privilegiando l’interesse del minore; ma altrettanto indubbio è che la realtà ci pone davanti a una infinita varietà di casi, tale per cui, anche quando si assuma l’interesse del minore come bussola principale, non sì da alcuna soluzione normativa che non presenti dei vantaggi in una parte dei casi e degli svantaggi in altri.

La complessità del fenomeno, dovuta, appunto, all’infinita varietà della qualità degli adulti coinvolti, riguarda – sia ben chiaro – le coppie omosessuali tanto quanto quelle eterosessuali; le coppie dannose o inadatte all’affidamento dei minori ci sono sia tra le prime sia tra le seconde. La realtà quotidiana ci mostra, per converso, una grande quantità di casi di minori allevati a volte in modo straordinariamente positivo, a volte con carenze affettive anche gravi, da un genitore solo, uomo o donna, da sole donne non madri, e anche – è statisticamente un caso meno frequente – da soli uomini non padri.

Sono convinto che soltanto il metodo sperimentale consentirebbe di compiere – in questo, come in moltissimi altri campi – la scelta migliore in tema di affidamento o adozione del figlio di un partner da parte dell’altro, massimizzando i vantaggi e minimizzando gli svantaggi. Tuttavia, in attesa di una sintesi attendibile delle ricerche scientifiche su questo punto, la mia preferenza va alla soluzione basata sul principio di cautela, quindi quella sull’affido rafforzato biennale o fino alla maggiore età del figlio biologico di uno dei partner; purché – beninteso – si tratti di soluzione riferita alle coppie sia omosessuali, sia eterosessuali. Il principio di cautela va infatti applicato allo stesso modo in entrambi i casi.

Se nessuna di queste soluzioni si rivelerà politicamente praticabile, l’attuale formulazione dell’articolo 5 del disegno di legge, che prevede anche per le coppie omosessuali l’adozione del figlio di un partner da parte dell’altro senza periodo precedente di affidamento rafforzato, mi sembra accettabile come second best. Con l’auspicio che la questione venga riesaminata – ripeto: per le coppie di entrambi i tipi – nel contesto della riforma organica dell’intera materia dell’adozione e dell’affido familiare, di cui il Parlamento dovrà occuparsi nei prossimi mesi. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.

 


 

 

Ordine del giornoper le sedute di mercoledì 3 febbraio 2016

PRESIDENTE. Il Senato tornerà a riunirsi domani, mercoledì 3 febbraio, in due sedute pubbliche, la prima alle ore 9,30 e la seconda alle ore 16,30, con il seguente ordine del giorno:

(Vedi ordine del giorno)

La seduta è tolta (ore 19,58).

#a Allegato A

DISEGNO DI LEGGE DISCUSSO AI SENSI DELL’ARTICOLO 44, COMMA 3, DEL REGOLAMENTO

Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze (2081 )

PROPOSTE DI QUESTIONE PREGIUDIZIALE

QP1

SACCONI, D’ASCOLA, AIELLO, ANITORI, BELLOT, BISINELLA, COLUCCI, CONTE, DI BIAGIO, FORMIGONI, MARINELLO, MUNERATO

Respinta (*)

#emen Il Senato,

#a6         in sede di esame del disegno di legge n. 2081,

        preso atto che:

            il procedimento di approvazione del disegno di legge in esame appare in contrasto con l’articolo 72, primo comma, della Costituzione, e con l’articolo 44 del Regolamento del Senato, che rappresenta la diretta attuazione dello stesso articolo 72 della Costituzione; tale violazione, oltre a costituire un grave precedente sarà oggetto di censura davanti alla Corte costituzionale, col conseguente annullamento dell’intero provvedimento approvato dal Parlamento;

#a             l’attuale testo del disegno di legge sulle unioni civili è stato posta all’ordine del giorno dei lavori dell’Aula del Senato senza che su di esso sia mai nemmeno formalmente iniziato l’esame nella competente Commissione permanente di merito (Commissione giustizia), senza tener conto del fatto che:

#a6             – contenendo il disegno di legge una delega al Governo, nell’equilibrio fra i poteri dello Stato, il nostro ordinamento riconosce l’esercizio della funzione legislativa all’Esecutivo, a condizione che l’esame di entrambi i rami del Parlamento sia qualcosa di effettivo e non di virtuale, in sede di conversione di un decreto legge ovvero in sede di conferimento della delega; tale principio è stato altresì rilevato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 12 febbraio 2014;

#a             – al momento dell’avvio dei lavori dell’Aula del Senato, in Commissione giustizia l’esame del precedente testo base si è arrestato all’articolo 1. Quand’anche si volesse ritenere la sostanziale sovrapponibilità fra i testi dei due disegni di legge, la Commissione non ha mai esaminato norme importanti e controverse, quale per esempio quella sulla cosidetta stepchild adoption;

#a6         premesso che:

            l’insieme del provvedimento, soprattutto nella sua prima parte, si pone in contrasto con gli articoli 29 e 31 della Costituzione, secondo cui rispettivamente «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» ed è chiamata ad agevolare «con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi»; Da queste norme – come pure dagli articoli 30, 34, 36 e 37 della Costituzione – si ricava l’esistenza nell’ordinamento italiano del cosiddetto favor familiae: pertanto, qualora sia necessario per la tutela dei suoi diritti la Costituzione non solo consente, ma impone al legislatore di istituire un regime speciale a favore della famiglia, diverso da quello comune, formalmente in deroga al principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, ma in realtà in coerenza con l’eguaglianza sostanziale richiamata dal comma 2 della disposizione;

#a             nell’assimilare al regime della famiglia quello di una formazione sociale diversa viola l’articolo 3, primo comma, della Costituzione, che impone al legislatore di trattare fattispecie eguali in modo eguale e fattispecie diverse in modo diverso, estendere i benefici previsti per il matrimonio ad altre forme di convivenza, come vorrebbe il disegno di legge, svilisce il significato della preferenza costituzionale per la famiglia, in contrasto con i già menzionati articoli 29 e 30 della Costituzione;

            l’estensione da parte del disegno di legge del regime previsto per i coniugi e per la famiglia a forme di convivenza tra persone dello stesso sesso è priva di ragionevole giustificazione per coloro che sono legati da forme di convivenza che, non essendo basate sul dimorfismo sessuale, si differenziano nella sostanza dalla famiglia e non ne condividono quella funzione sociale che ne giustifica il regime speciale di cui gode nell’ordinamento;

            le risorse necessarie per equiparare i contraenti l’unione civile ai coniugi quanto al godimento di alcuni privilegi degli stessi, come la pensione di reversibilità comporteranno o un inasprimento della leva fiscale, finendo per incidere anche sui redditi a disposizione delle famiglie, o lo storno di risorse che potrebbero essere, invece, utilizzate per realizzare il disegno costituzionale in materia di promozione della famiglia, in attuazione di quanto sancito dall’articolo 31 della Costituzione;

            è manifestamente violato l’articolo 81 della Costituzione in relazione all’insufficiente copertura di bilancio riferita alle norme sulla estensione della pensione di reversibilità al componente superstite dell’unione civile in quanto le disposizioni sulla contabilità pubblica impongono di valutarne gli oneri nel momento in cui gli effetti si producono a regime, quindi «almeno» per dieci anni e in realtà nel tempo in cui si determina la mortalità media dei contraenti l’unione civile; il testo in esame assume invece a riferimento solo il decimo anno nel quale, per evidenti ragioni, il tasso di mortalità è ovviamente inconsistente e ben lontano dai valori cui le norme esplicano il loro compiuto effetto dando luogo ad una spesa obbligatoria di ben altra dimensione, tenuto conto che gli oneri complessivi su base annua per la pensione superstiti sono di circa 40 miliardi di euro (stando ai dati del 2013), e che come negli altri Paesi il fenomeno potrebbe avere un’incidenza percentuale di circa il 3 per cento;

            l’articolo 1 del disegno di legge contiene una contraddizione sul piano dello stretto diritto che appare insanabile, e con conseguenze immediate sul piano della legittimità costituzionale: affermando che l’unione civile è una «specifica formazione sociale» ne riserva l’accesso a coppie dello stesso sesso, escludendone le coppie di sesso diverso; se la nuova formazione sociale è distinta e diversa dal matrimonio, il fatto che non possano accedervi coppie di sesso diverso realizza una discriminazione e viola il principio di uguaglianza di cui l’articolo 3 della Costituzione; quand’anche la motivazione dell’esclusione delle coppie eterosessuali dalla formazione delle unioni civili risieda nel fatto che esse dispongono già dell’istituto del matrimonio per regolare i loro reciproci diritti e doveri, gli articoli 1 e 3 del disegno di legge violano l’articolo 29 della Costituzione, come interpretato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010, in quanto parificano all’istituto matrimoniale formazioni sociali che, come dice la Corte in quella sentenza «non sono omologabili al matrimonio»;

            stabilire l’applicazione alle unioni civili di tutte le norme relative al matrimonio, come fa l’articolo 3 del disegno di legge, rappresenta una violazione del principio di uguaglianza, in applicazione dei principi della sentenza n. 138 del 2010, nonché dei principi maturati nella prassi interpretativa dell’articolo 3 della Costituzione nei molti decenni di attività della Corte costituzionale, poiché tratta in modo uguale situazioni diverse;

            la parificazione al coniuge realizzata dall’articolo 3 del disegno di legge soltanto in favore della parte di un unione civile discrimina, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione tutte le altre categorie di persone che non possono accedere al matrimonio, quali richiamate all’articolo 2 del disegno di legge: in particolare tutte le categorie di soggetti cui il matrimonio è parimenti impedito ai sensi degli articoli da 84 ad 89 del codice civile (minori, interdetti, già coniugati, parenti o affini, condannati per gravi delitti, donne in recente lutto vedovile); non vi è alcuna ragionevolezza nel superare impedimento all’unione civile, parificata al matrimonio, per la sola categoria delle persone dello stesso sesso;

            l’articolo 5 nell’estendere l’adozione non legittimante permessa al coniuge dall’articolo 44, lettera b), della legge n. 184 del 1983 anche alla parte dell’unione civile, è in contrasto con l’articolo 31 della Costituzione secondo il quale la Repubblica «protegge l’infanzia (…) favorendo gli istituti necessari a tale scopo» e all’articolo 117 della Costituzione secondo il quale «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali»; avendo l’Italia ratificato e resa esecutiva con la legge n. 176 del 1991 la convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, l’adozione prevista dall’articolo 5 del disegno di legge non prevede alcuna verifica dell’interesse preminente del minore e del rispetto dei suoi diritti quali previsti dalla convenzione summenzionata;

            lo stesso ordinamento minorile, che costituisce coerente applicazione degli articoli 31 e 117 della Costituzione con riferimento alla predetta Convenzione di New York, riconosce l’esistenza non di un diritto dell’adulto ad adottare, ma del minore ad avere una famiglia che, nel rispetto degli articoli 29 e 30 della Costituzione, è costituita da padre e madre, cioè da una duplicità di figure di genitori e non da una duplicazione della stessa figura; sostituire, come avviene con il disegno di legge in questione, il secondo presunto diritto con il primo significa, riducendo il minore a un oggetto di diritto, contrasta, oltre che con le norme costituzionali appena menzionate, anche con l’articolo 2 della Costituzione;

            in ragione del capovolgimento di prospettiva summenzionato, la costruzione del diritto dell’adulto ad avere un figlio può trovare seguito nell’adozione come nella gestazione da parte di una madre biologica, dopo che altra donna ha ceduto il proprio ovulo; ciò, oltre a porsi in palese violazione con le norme costituzionali riguardanti i figli in precedenza menzionate, contrasta con l’articolo 32 della Costituzione, per i gravi rischi – sui quali vi è ampia letteratura – che determina per la salute delle donne interessate dalla pratica stessa;

            l’articolo 5 estende l’adozione non legittimante permessa al coniuge dall’articolo 44, lettera b), della legge n. 184 del 1983 anche alla parte dell’unione civile del genitore del bambino adottando, ma violando l’articolo 3 della Costituzione esclude da questa facoltà il convivente, senza un ragionevole motivo;

            l’articolo 15, prevedendo l’obbligo di mantenimento tra conviventi solo alla cessazione della convivenza, viola l’articolo 3 della Costituzione, poiché tratta in modo irragionevolmente diversificato la tutela del convivente debole prima e dopo la cessazione della convivenza: l’obbligo di solidarietà tra conviventi non può sorgere solo a seguito della cessazione della coabitazione;

            gli articoli 15 e 16 del presente disegno di legge sanzionano la cessazione della convivenza – anche in assenza di contratto di convivenza -, imponendo in tale frangente l’insorgere di un obbligo di mantenimento o alimentare in favore del convivente che non abbia adeguati redditi propri: per questo violano l’articolo 16 della Costituzione, poiché impongono un limite alla libertà di circolazione e di soggiorno dei conviventi in assenza di ragioni di salute o sicurezza, nonché l’articolo 29 della Costituzione che, nel riconoscere i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, riconosce tanto la libertà di contrarre matrimonio e di assumerne i doveri connessi, quanto quella di non sposarsi, rifiutando tali doveri. Tali articoli, invece, a fronte della scelta dei conviventi di non contrarre tra loro alcun vincolo, li sottopongono al regime che liberamente hanno escluso per sé,

#a6         delibera di non procedere all’esame del disegno di legge in titolo.

QP2

GIOVANARDI, AUGELLO, COMPAGNA, Mario MAURO, QUAGLIARIELLO, Giovanni MAURO

Respinta (*)

#emen Il Senato,

#a6         premesso che:

            l’articolo 72 della Costituzione stabilisce che «Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale»;

#a             in attuazione di tale previsione costituzionale, l’articolo 44 del Regolamento del Senato stabilisce, al comma 1, che «Le relazioni delle Commissioni sui disegni di legge assegnati in sede referente e redigente devono essere presentate nel temine massimo di due mesi dalla data di assegnazione» e, al comma 2, che «Il Presidente del Senato, in relazione alle esigenze del programma dei lavori o quando le circostanze lo rendano opportuno, può stabilire un termine ridotto per la presentazione della relazione, dandone comunicazione all’Assemblea»;

            la discussione degli emendamenti sul disegno di legge unificato in tema di unioni civili, relatrice Monica Cirinnà, aveva inizio in Commissione giustizia a fine luglio 2015, perché soltanto il 23 luglio 2015 il Governo aveva inviato al Senato la relazione tecnica circa la copertura finanziaria del provvedimento, mettendo in condizione la Commissione giustizia, dopo il parere della Commissione bilancio reso il 29 di luglio, di iniziare l’esame degli emendamenti in quella stessa giornata;

            tra la prima settimana di agosto e le prime tre settimane di settembre la Commissione giustizia in tredici sedute, anche notturne, aveva smaltito il 25 per cento degli emendamenti presentati, interrompendo poi i lavori per la discussione in Aula della riforma costituzionale;

            il giorno 6 ottobre 2015 è stato presentato un nuovo disegno di legge n. 2081, prima firmataria Monica Cirinnà, recante «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», che è stato assegnato a tempo di record alla Commissione giustizia;

            il 12 ottobre è stata nominata relatrice Monica Cirinnà, e il provvedimento è stato illustrato nello stesso giorno nella seduta notturna della Commissione giustizia e abbinato al testo unificato e ad altri disegni di legge sulla stessa materia;

            il 13 ottobre, senza che la Commissione giustizia avesse nemmeno iniziato l’esame del disegno di legge n. 2081 sul quale la sera precedente si erano iscritti a parlare diversi senatori, membri della Commissione, esso è stato calendarizzato dalla Conferenza dei Capigruppo per il 14 ottobre;

            il 14 ottobre in Aula il Presidente della Commissione giustizia Nitto Palma non ha potuto fare altro che annunziare che il testo prescelto dal Presidente del Senato veniva iscritto all’ordine del giorno senza relatore e senza una discussione preliminare in Commissione;

            è da rilevare che sul precedente disegno di legge unificato di cui era relatrice la senatrice Cirinnà, sempre sulla materia delle unioni civili, dopo numerose audizioni, la Commissione stava ancora esaminando e votando gli emendamenti sull’articolo 1;

            la calendarizzazione del provvedimento ha costituito un’evidente forzatura per comprimere più possibile il dibattito su temi regolati dal disegno di legge unificato prima e dal disegno di legge n. 2081 soprattutto per quanto riguarda la cosiddetta stepchild adoption, tema sul quale la Commissione non ha potuto votare emendamenti, nel primo caso perché non si era ancora arrivati all’articolo 5 che trattava la materia nel secondo perché non è neppure iniziata la discussione generale;

            non esiste nessun precedente al Senato della Repubblica dell’utilizzo di una procedura che, violando l’articolo 72 della Costituzione e l’articolo 44 del Regolamento del Senato, abbia non accorciato i tempi della discussione di un provvedimento in discussione, ma come in questo caso lo abbia totalmente azzerato;

            senza nessun criterio di ragionevolezza poi, la decisione dei capigruppo ha impedito dal 14 ottobre 2015 di continuare l’esame in Commissione della materia delle unioni civili, per poi portarla all’attenzione dell’Aula in data 28 gennaio 2016, più di tre mesi dopo della decisione di azzerare il dibattito in Commissione;

            tale compressione costituisce una grave lesione delle attribuzioni del Parlamento e della sua centralità nel sistema repubblicano;

            la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 9 del 1959, si è dichiarata competente a sindacare le violazioni delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento legislativo, tra le quali rientra ovviamente l’articolo 72 della Costituzione violato nella procedura di approvazione del disegno di legge n. 2081,

#a6         delibera di non procedere all’esame del disegno di legge n. 2081.

QP3

GASPARRI, MALAN, CALIENDO, D’ALI’, MANDELLI

Respinta (*)

#emen Il Senato,

#a6             in sede di discussione del disegno di legge in oggetto, recante «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze»,

        premesso che:

            il disegno di legge in titolo, adottato il 13 ottobre u.s. come testo base per il prosieguo dell’esame in Assemblea, reca disposizioni per la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso (articoli da 1 a 10) e norme per la disciplina delle convivenze (articoli da 11 a 23);

#a             il disegno di legge, volto a dotare il nostro ordinamento di una disciplina legislativa statale di riconoscimento giuridico delle coppie formate da persone dello stesso sesso e dei diritti delle coppie di fatto, si inserisce nel solco di un lungo dibattito che, a più riprese negli ultimi anni, ha visto il Parlamento nazionale, le Corti e le istituzioni nazionali e sovranazionali confrontarsi con la necessità di trovare peculiari forme di tutela e di regolamentazione per le coppie formate da persone dello stesso sesso e per le famiglie di fatto;

            in particolare, il disegno di legge conferisce alle coppie omosessuali che formano un’unione civile, diritti e doveri che attualmente riguardano solo le coppie eterosessuali coniugate; tra questi ci sono, ad esempio, l’assistenza reciproca in caso di malattia, ricovero, visita in carcere, la possibilità di partecipare ai bandi delle case popolari, l’adozione del figlio del compagno (c.d. stepchild adoption), la successione, la reversibilità della pensione o il subentro nel contratto d’affitto;

#a6         alla luce di quanto stabilito dalla Corte costituzionale e dalle numerose sentenze della Corte di cassazione in materia, il testo prossimo al voto desta forte preoccupazione perché rappresenta una forzatura di istituti consolidati, per raggiungere obiettivi differenti e per i motivi di seguito evidenziati:

            1) in primis, l’ordinamento italiano già riconosce in modo ampio diritti individuali al componenti di una unione omosessuale. Il disegno di legge in esame, pur denominandosi delle unioni civili, in realtà individua un regime identico a quello del matrimonio, contrastando, in modo evidente, il dettato costituzionale che tratta in modo specifico la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, distinguendola dalle altre formazioni sociali;

#a             2) particolarmente in contrasto con la Costituzione è la previsione contenuta nell’articolo 5 del disegno di legge, che attraverso una modifica all’articolo 44, lettera b), della legge 4 maggio 1983 n. 184, interviene in materia di adozione in casi particolari, consentendo alla persona parte di una unione civile di fare richiesta di adozione del figlio minore anche adottivo del partner (c.d. stepchild adoption), tenuto conto che, in tal modo, vengono poste sullo stesso piano – equiparandole – la crescita di un minore all’interno di una coppia omosessuale e quella all’interno di una coppia coniugale infatti, l’adozione ex articolo 44, lettera b), si riferisce elusivamente al figlio del coniuge;

            3) stante la totale equiparazione delle unioni civili al matrimonio, è agevole immaginare, con forte e motivata preoccupazione, che questa possa facilmente condurre e legittimare la pratica dell’«utero in affitto», tassativamente vietata nel nostro Paese dalla legge n. 40 del 2004 in materia di procreazione medicalmente assistita. Giova a tal fine ricordare che il 17 dicembre 2015 l’Assemblea plenaria del Parlamento europeo, all’interno del Rapporto annuale sui diritti umani – riferito al 2014 – (par. 114) si è espressa ricordando che il Parlamento europeo «condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba esser vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani»;

            4) la stepchild adoption consentirebbe, altresì – aumentandone il numero -, i casi di coloro che si recano nei paesi esteri nei quali è possibile avere un figlio dietro corrispettivo a una donna che si impegna a portare a termine la gravidanza. Non vale a fugare dubbi al riguardo, il fatto che il provvedimento non rechi una testuale modifica della legge sulla fecondazione assistita;

            5) il comma 4 dell’articolo 3 stabilisce che tutte le disposizioni che si riferiscono al matrimonio, o che contengono le parole: «coniuge» o equivalenti (non solo nelle leggi ma in ogni fonte del diritto), «si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso». Nel medesimo comma si esclude l’applicazione di questa estensione, fra l’altro, alle disposizioni di cui al titolo II della legge n. 184 del 1983;

            6) il titolo II della legge n. 184 è dedicato all’adozione nazionale, mentre nella stessa legge il titolo III è dedicato alle adozioni internazionali e il titolo IV ad altri casi di adozione. Perché l’eccezione non riguarda anche questi due titoli, il III e il IV? Forse si vuol dire che solo per le adozioni nazionali è necessario essere coniugati da oltre tre anni … , mentre per le adozioni internazionali e per le ipotesi residue di adozione – in virtù della parificazione coniuge/civilunito – l’adozione è praticabile anche ai componenti di una unione civile? Si potrebbe osservare che il titolo III della legge n. 184 del 1983 in realtà rinvia, quanto alla individuazione dei requisiti per avviare una adozione internazionale a una disposizione – 1’articolo 6 – che è contenuta nel titolo II, e quindi l’eccezione alla estensione alla fine includerebbe, benché non o, anche il titolo III. Ciò genera ambiguità;

        né vale a giustificare la stepchild adoption il fatto che la sentenza della Corte costituzionale 138 del 2010 abbia ravvisato la necessità di trattare le coppie dello stesso sesso come formazioni sociali, nella loro specificità e unicità, tenuto conto che la stepchild adoption determinerebbe, invece, una vera e propria equiparazione;

#a6         considerato che l’intervento effettuato nel testo in esame è volto sostanzialmente ad introdurre, in via di fatto, l’istituto del matrimonio omosessuale nell’ordinamento giuridico italiano, occorre ricordare che la Corte costituzionale si è espressa con due sentenze sul concetto di famiglia e di matrimonio:

            – con la sentenza n. 138 del 2010, riconducendo nell’ambito delle formazioni sociali le stabili convivenze connotate da un vincolo di solidarietà – e conseguentemente sia quelle omosessuali; che quelle eterosessuali – ha escluso decisamente un’equiparazione tra le unioni civili ed il matrimonio; ha sancito che il matrimonio tra persone delle stesso sesso non può essere tutelato dalla Costituzione e che il suo divieto è conforme ai principi costituzionali. In pratica, i giudici riconoscono che per il sistema giuridico italiano – codice civile e numerose leggi speciali – il matrimonio presuppone che i sessi dei coniugi siano diversi, senza considerare che in numerose norme si fa espresso riferimento ai ruoli di «marito» e «moglie», che non possono essere ovviamente altro che «maschio» e «femmina». Le affermazioni della Corte costituzionale che la «famiglia fondata sul matrimonio», prevista dall’articolo 29 Costituzione, è esclusivamente quella tra uomo e donna e che le unioni omosessuali non possono essere «uguali» al matrimonio e che devono essere regolate con un trattamento «omogeneo» che conferma la necessità di una disciplina differente da quella prevista per il matrimonio;

#a             – come riportato nella citata sentenza: «Il requisito della diversità del sesso, che si ricava direttamente dall’articolo 107 cod. civ., nonché da altre numerose disposizioni dello stesso codice, è tradizionalmente e costantemente annoverato dalla dottrina e dalla giurisprudenza tra i requisiti indispensabili per l’esistenza del matrimonio. Infatti, ad avviso dell’Avvocatura generale, l’istituto del matrimonio nel nostro ordinamento si configura come un istituto pubblicistico diretto a disciplinare determinati effetti, che. il legislatore tutela come diretta conseguenza di un rapporto di convivenza tra persone di sesso diverso (filiazione, diritti successori, legge in tema di adozione)»;

            – e ancora: «… l’intera disciplina dell’istituto, contenuta nel codice civile e nella legislazione speciale, postula la diversità di sesso dei coniugi, nel quadro di «una consolidata ed ultramillenaria nozione di matrimonio», come rileva l’ordinanza del Tribunale veneziano.

            Nello stesso senso è la dottrina, in maggioranza orientata a ritenere che l’identità di sesso sia causa d’inesistenza del matrimonio, anche se una parte parla di invalidità. La rara giurisprudenza di legittimità, che si è occupata della questione, ha considerato la diversità di sesso dei coniugi tra i requisiti minimi indispensabili per ravvisare l’esistenza del matrimonio (Corte di cassazione, sentenze n. 7877 del 2000, n. 1304 del 1990 e n.  1808 del 1976) …-»;

            – con la sentenza n. 170 del 2014 ha sancito che «la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi provoca lo scioglimento del matrimonio», perché lo Stato ha il diritto di proteggere matrimonio come unione esclusiva tra uomo e donna;

#a6             ai sensi dell’articolo 29 della Costituzione solo la coppia eterosessuale può formare una famiglia legittima fondata sul matrimonio. Viceversa, il disegno di legge in esame estende sostanzialmente alle unioni civili le disposizioni previste dal codice civile per il matrimonio, estendendo gli istituti della quota di legittima e della pensione di reversibilità, fino a contemplare l’adozione per le coppie omosessuali, sia pure nei casi previsti dall’articolo 44, lettera b), della legge n. 184 del 1983, nonché prevedendo l’applicazione delle disposizioni relative alla separazione personale dei coniugi e a lo scioglimento del matrimonio;

#a             in tal modo si introducono evidenti elementi di incostituzionalità sia rispetto all’articolo 29 della Costituzione, sia rispetto all’articolo 3 della medesima Carta, in quanto analoghe previsioni non sono state previste anche per le coppie eterosessuali. Occorrerebbe, al contrario, realizzare uno sforzo effettivo sul piano della parità dei diritti tra convivenze, codificando e sistematizzando diritti già riconosciuti ai conviventi in via legislativa e giurisprudenziale;

            dalle notizie riportate dalla stampa nei giorni scorsi circa contatti informali tra il Governo e la Presidenza della Repubblica, lo stesso Capo dello Stato – pur non esprimendosi sui contenuti di un provvedimento ancora in discussione in Parlamento, e riservandosi di «esprimere le proprie valutazioni solo quando la norma sarà l’approvata e solo sulla base della sua costituzionalità» – ha ribadito che il riferimento da prendere in considerazione è la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010;

            il disegno di legge reca, altresì, una palese violazione degli articoli della Costituzione: 31 che stabilisce che la Repubblica agevola, con misure economiche ed altre provvidenze, la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi; 81, in relazione alla insufficienza delle coperture necessarie connesse agli oneri derivanti dall’estensione della pensione di reversibilità;

            sotto il profilo procedurale, il testo viola, altresì, l’articolo 72 della Costituzione che al primo comma stabilisce che ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale;

            si ravvisa inoltre una palese violazione dell’articolo 44 del Regolamento del Senato che al comma 1 stabilisce che le relazioni delle Commissioni sui disegni di legge assegnati in sede referente e redigente devono essere presentate nel termine massimo di due mesi dalla data di assegnazione. Infatti, in data 12 ottobre 2015, la Commissione giustizia ha avviato l’esame del nuovo disegno di legge n. 2081 a prima firma Cirinnà, presentato il 6 ottobre 2015, congiungendolo agli altri già in itinere. La Commissione non ha, tutta via, esaminato tale disegno di legge, in quanto era già stato previsto l’avvio dell’esame in Assemblea per il giorno 14 ottobre;

            alla luce degli effetti menzionati, occorre continuare a sostenere la famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio, nell’assoluta convinzione che solo tale formazione resta alla base della società e dei nostri valori, e anzi ne rappresenta il fulcro,

#a6         delibera di non procedere all’esame del disegno di legge n. 2081.

QP4

QUAGLIARIELLO, GIOVANARDI, COMPAGNA, AUGELLO, Mario MAURO, Giovanni MAURO

Respinta (*)

#emen Il Senato,

#a6             in sede di esame del disegno di legge «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze»,

        premesso che:

            il disegno di legge n. 2081 recante «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», si pone in palese contrasto con l’articolo 29 della Costituzione e con le pronunce della Corte costituzionale in materia;

#a             il profilo di contrasto risulta motivato dal fatto che le unioni civili tra persone dello stesso sesso risultano regolate richiamando la normativa del codice civile che regola l’istituto matrimoniale. Attraverso questo espediente, dunque, non solo si compromette l’unicità della famiglia fondata sul matrimonio, come sancito dalla Carta costituzionale, ma si trasferisce in capo a una nuova e specifica formazione sociale, non orientata alla procreazione, una disciplina giuridica – quale quella del diritto matrimoniale di cui al Titolo VI del Libro I del codice civile pensata e finalizzata primariamente alla tutela della prole e da cui discende l’interesse al riconoscimento pubblicistico, quale per eempio la disciplina relativa all’assunzione del cognome;

            si pongono, inoltre, consapevolmente, le premesse per l’attribuzione per via incidentale in sede giurisprudenziale di diritti ulteriori fin qui specificamente connessi all’istituto matrimoniale, con particolare riferimento al diritto all’adozione,

#a6         delibera, ai sensi dell’articolo 93 del Regolamento, di non procedere all’esame del disegno di legge n. 2081.

QP5

COMPAGNA, QUAGLIARIELLO, GIOVANARDI, AUGELLO, Mario MAURO, Giovanni MAURO

Respinta (*)

#emen Il Senato,

#a6             in sede di esame del disegno di legge «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze»,

        premesso che:

            il Capo l, del disegno di legge n. 2081 recante «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale, così discriminando le persone di sesso diverso dall’accesso alla stessa;

#a             i promotori di tale proposta utilizzano quale motivazione il fatto che le persone di sesso diverso dispongano già della facoltà di accesso all’istituto matrimoniale, con ciò confermando che l’unione civile di cui al Capo I del presente disegno di legge altro non è che un surrogato del matrimonio;

            in caso contrario, qualora cioè si trattasse davvero di specifica formazione sociale distinta dal matrimonio e finalizzata alla regolazione di unioni fondate sulla mutua assistenza e solidarietà, non vi sarebbe ragione di precludere tale istituto alle persone di sesso diverso, con ciò violando tanto il principio di uguaglianza quanto il riconoscimento dei diritti dell’uomo nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità alla base della nostra Carta costituzionale,

#a6         delibera, ai sensi dell’articolo 93 del Regolamento, di non procedere all’esame del disegno di legge n. 2081.

QP6

AUGELLO, QUAGLIARIELLO, GIOVANARDI, COMPAGNA, Mario MAURO, Giovanni MAURO

Respinta (*)

#emen Il Senato,

#a6             in sede di esame del disegno di legge «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze»,

        premesso che:

            il disegno di legge n. 2081 recante «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», introduce la cosiddetta «stepchild adoption», prevedendo anche per i componenti di unioni civili fra persone dello stesso sesso l’adozione del figlio, anche adottivo, del partner;

#a             fermo restando che il caso spesso evocato di morte del genitore naturale, così come i casi di disconoscimento e abbandono, sono già oggetto di tutela in base al principio della continuità affettiva, richiamato dalla legge n. 184 del 1983, con particolare riferimento ai casi speciali di cui all’articolo 44, lettera a), la statuizione normativa prevista dal presente disegno di legge, oltre a rappresentare un’ulteriore equiparazione fra coniugi e partner di una unione civile, incappa in un circolo vizioso insolubile:

#a6             a) qualora l’adottabilità, ai sensi dell’articolo 44 della legge n. 184 del 1983, fosse consentita dal disegno di legge n. 2081 solo per i figli nati prima dell’unione o prima dell’entrata in vigore della legge, si incorrerebbe nella violazione del principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione verso i figli generati in seguito alla stipulazione dell’unione e verso i partner che intendessero adottarli. Si legittimerebbero, inoltre, indirettamente, le pratiche di fecondazione assistita vietate dall’ordinamento italiano, facendo valere come principio discriminatorio il solo dato cronologico;

#a             b) qualora invece l’adozione fosse consentita anche per i figli nati a unione già in corso, si tratterebbe, stante l’impossibilità per coppie dello stesso sesso di procreare naturalmente:

#a6                 di una legittimazione di forme di genitorialità surrogata, giornalisticamente conosciute come «utero in affitto», incompatibili con le esigenze di tutela dei minori e delle donne e con i fondamenti stessi della nostra civiltà;

#a                 di forme di accesso alla fecondazione assistita da parte di coppie dello stesso sesso – e quindi anche due donne – che non sono consentite dalla legge n. 40 del 2004, ma che risulterebbero legittimate di fatto da questa norma, qualora eseguite in altri Paesi;

#a6             si consentirebbe, quindi, non solo l’adozione del figlio che l’altro partner già aveva, ma anche l’adozione di un figlio che il partner, impossibilitato alla procreazione naturale, si «procura»,

        delibera, ai sensi dell’articolo 93 del Regolamento, di non procedere all’esame del disegno di legge n. 2081.

QP7

BONFRISCO, BRUNI

Respinta (*)

#emen Il Senato,

#a6             esaminato il disegno di legge n. 2081 contenente «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze,

        premesso che:

            il provvedimento in esame, costituente il punto d’arrivo di un lungo iter legislativo che ha visto la riunione di svariati disegni di legge, è volto a dotare il nostro ordinamento di una normativa che dia riconoscimento giuridico alle coppie formate da persone dello stesso sesso, nonché a riconoscere i diritti delle coppie di fatto;

#a             molteplici sono le questioni sollevate, nel merito, dal provvedimento che questa Camera si accinge ad esaminare;

            il Capo I introduce e regolamenta l’istituto della «unione civile tra persone dello stesso sesso» quale specifica formazione sociale radicante sul disposto dell’articolo 2 della Costituzione che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali, intendendosi per tali, così come chiarito dalla Corte costituzionale, ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione (cfr. Corte Cost. sent. 170/2014);

            in primo luogo non si può far a meno di rilevare che la riserva in via esclusiva dell’istituto giuridico dell’unione civile alle sole coppie omosessuali, proprio in ragione della proclamata, diversità dall’istituto del matrimonio, si traduce nella sostanziale violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione, nella parte in cui viene soppresso il fondamentale diritto dell’uomo di esprimere la propria personalità all’interno di tale nuova e specifica formazione sociale in ragione dell’illegittima discriminazione fondata sull’identità sessuale;

            palese, dunque, la compressione del principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione che costituisce il cuore della Carta costituzionale e criterio fondamentale sul quale si fonda l’ordinamento giuridico del nostro Stato, la cui finalità è proprio quella di affermare con forza e con chiarezza uno degli obiettivi principali della Costituzione: quello, cioè, di eliminare gli ostacoli impediscono a tutti i cittadini di godere di una pari dignità sociale;

            laddove, invece, quella contenuta nell’articolo 1 del disegno di legge in commento sia una mera affermazione di principio, contraddetta, nella sostanza, dal contenuto delle disposizioni che ad essa danno un corpo normativo che si sovrappone, confondendosi, all’istituto della famiglia, si porrebbero altrettanto gravi aspetti di compatibilità con il dettato costituzionale per violazione degli articoli 29 e 30;

            il testo, invero, così come pure epurato dalla pessima tecnica del rinvio tout court ad interi titoli e capi del codice civile in materia di famiglia, nella sostanza mantiene fermi tutti i rimandi agli stessi articoli del codice civile che regolano il matrimonio stesso, ivi incluso quello concernente la disciplina della separazione e del divorzio, disciplina pensata e strutturata per sciogliere lo specifico vincolo matrimoniale e non altre formazioni sociali;

            ma molti altri e sostanziali sono i rinvii alla disciplina codicistica del matrimonio;

            a mero titolo esemplificativo si ricorda il richiamo alle disposizioni in tema di formalità preliminari al matrimonio (pubblicazioni), ovvero al sistema delle opposizioni al matrimonio, piuttosto che sulla celebrazione del matrimonio, ove viene richiamata, tra le altre, la norma che prevede la lettura agli «sposi» degli articoli 143 (diritti e doveri reciproci dei coniugi), 144 (indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia) e 147 (doveri verso i figli) del codice civile;

            ora, premesso che è irrevocabile, in dubbio che il nostro Paese, e per esso noi che lo rappresentiamo, debba prendere atto, con consapevolezza e responsabilità, dei profondi mutamenti che stanno pervadendo la nostra società e l’atteggiarsi delle relazioni interpersonali di carattere affettivo, provvedendo a regolamentare i diritti ed i doveri nascenti da tali nuove forme di comunità affettiva, nondimeno tale attività deve avvenire nel rispetto dei princìpi dettati dalla Costituzione;

            nè si può prescindere della copiosa giurisprudenza della Corte Edu (da ultimo con la sentenza del 21 luglio 2015, decisione Oliari ed altri c. Italia), che ha considerato l’Italia inadempiente rispetto alla necessaria considerazione degli interessi della comunità nel suo complesso;

            ed è proprio dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (vedasi per tutte la sentenza Schalk e Kopf contro Austria), che s’intende prendere le mosse per illustrare il profondo vulnus che l’approvazione di questo disegno di legge è in grado di arrecare al nostro ordinamento costituzionale;

            la giurisprudenza della Corte Edu ha in particolare evidenziato che le unioni omosessuali si trovano in una situazione simile a quella delle coppie eterosessuali quanto all’esigenza di riconoscimento e protezione giuridica della relazione, ma non ne sono discriminate né sotto il profilo dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), né dell’articolo 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, né dell’articolo 12 (diritto al matrimonio), perché queste norme non obbligano gli Stati contraenti a consentire l’accesso al matrimonio;

            invero, «la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non obbliga lo Stato a riconoscere il diritto al matrimonio a una coppia omosessuale. Le autorità nazionali si trovano in una posizione migliore per valutare e rispondere alle esigenze della società in questa materia, giacché il matrimonio ha connotazioni sociali e culturali profondamente radicate, che differiscono notevolmente da una società all’altra»;

            la Cedu, dunque, chiarisce che tutti hanno diritto ad una vita familiare, ma ciò non presuppone ne implica che le persone omosessuali abbiano diritto al matrimonio;

            la Corte costituzionale, dal canto suo, già con la storica sentenza n. 138 del 2010 e fino al più recente arresto contenuto nella pronuncia n. 170 del 2014 ha affrontato la tematica della possibile estensione alle unioni omosessuali della disciplina del matrimonio civile;

            i giudici costituzionali hanno chiarito che è nella nozione di formazione sociale, così come sancita dall’articolo 2 della Costituzione, che deve rintracciarsi il fondamento giuridico dell’unione omosessuale senza che tale aspirazione debba necessariamente passare attraverso il riconoscimento dell’equiparazione del matrimonio alle unioni omosessuali;

            la Corte ha altresì affermato che è in tale ambito applicativo che il Parlamento sarà tenuto ad individuare, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, «le forme di garanzia e di riconoscimento» per le unioni suddette;

            con riferimento, invece, agli articoli 3 e 29 della Costituzione, la Corte affronta, in modo sistematico, il problema della sussistenza di una vera e propria discriminazione nei confronti di chi aspiri a contrarre matrimonio con una persona dello stesso sesso;

            l’articolo 29, cosi come confermato dai lavori parlamentari, non poneva alcun riferimento alle unioni omosessuali;

            i Costituenti «discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile»;

            tale nozione era riferita al matrimonio tra uomo e donna, così come è confermata dal comma secondo della disposizione che tutela la pari dignità e diritti della donna nei rapporti coniugali. Questo significato, afferma la Corte, non può essere superato per via ermeneutica poiché darebbe luogo ad una vera e propria interpretazione creatrice. Ulteriore conferma di quanto detto è individuato dalla Corte nell’ambito dell’articolo 30 della Costituzione, ove il legislatore ha «ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli, assicurando parità di trattamento anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri della famiglia legittima». Di conseguenza, il richiamo all’articolo 3 della Costituzione non può far considerare illegittima la norma del codice civile sulle unioni eterosessuali perché trova un fondamento nell’articolo 29 della Costituzione;

            palese, dunque, alla luce degli indirizzi ricavabili sia dalla giurisprudenza Cedu che da quella della Corte costituzionale, che un complesso normativo, quale quello espresso dall’articolato in esame, che assimila totalmente l’unione civile tra persone dello sesso al matrimonio (l’unico elemento di diversificazione è il nomen juris), si esporrà inesorabilmente a cadere sotto la scure dell’incostituzionalità, per quanto ampiamente argomentato dal Giudice delle leggi in tal proposito, per la violazione degli articoli 29 e 30 della Costituzione;

            ulteriore aspetto di profonda criticità si ravvisa nella disposizione contenuta nell’articolo 5 del disegno di legge in esame che estende alla parte dell’unione civile il diritto di adottare il figlio, anche adottivo, dell’altro coniuge o parte dell’unione civile;

            orbene, l’intero impianto della legge n. 184 del 1983 ha quale precipuo scopo quello di garantire il diritto del minore a essere cresciuto ed allevato nella propria «famiglia»;

            nel caso questa non sia in grado di farlo, la legge garantisce al minore il diritto a essere cresciuto ed allevato da una famiglia, intesa come un uomo ed una dorma uniti da matrimonio, oppure da persone che siano in grado di garantire al minore di crescere in una formazione sociale di tipo familiare, infine, quale extrema ratio, in un istituto;

            l’adozione in casi particolari condivide lo spirito della legge n. 184 del 1983, ovvero il diritto del minore ad essere cresciuto da una famiglia;

            c’è da chiedersi allora nuovamente cosa il legislatore abbia inteso per «famiglia»;

            la Costituzione italiana dedica alla famiglia e al matrimonio gli articoli 29, 30 e 31, le cui disposizioni sono tra loro connesse;

            ne emerge dunque una visione della famiglia che ne include la natura teleologica, quale luogo naturale di procreazione e crescita dei figli;

            come detto, per la Costituzione non può esistere famiglia se questa non è fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna (si vedano le citate sentenze della Corte costituzionale n. 138 del 2010 e n. 170 del 2014);

            essa è definita «società naturale», con ciò non intendendo specificare un generico riferimento a concezioni giusnaturalistiche, bensì, come emerge con chiarezza dai lavori preparatori dell’assemblea costituente, quale elemento di sottolineatura circa la natura pre-giuridica dell’istituto familiare che sussiste, pertanto, prima ed indipendentemente da interventi legislativi;

            a tale proposito ci si limita ad osservare che, fermo il pieno rispetto dovuto a chi vive una condizione di coppia che costituisce una mera variante del comportamento sessuale umano, e fermo il relativo diritto ad ottenere una disciplina giuridica di tale condizione, costituisce una vera e propria forzatura pretendere di equiparare due situazioni che sono rese non omogenee dalla naturale potenzialità procreativa che soltanto il matrimonio tra uomo e donna possiede;

            non è perciò casuale, del resto, che la Carta costituzionale, dopo aver trattato del matrimonio, abbia ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli (articolo 30), assicurando parità di trattamento anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri della famiglia legittima;

            la giusta e doverosa tutela, garantita ai figli naturali, nulla toglie al rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla (potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale;

            parificare l’unione civile, dunque, ai fini della speciale forma di adozione riconosciuta dall’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà, si pone in palese e definitivo contrasto con quel concetto di famiglia, così come emerge dal combinato disposto degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, ed al quale pure si riferisce la normativa in tema di adozioni,

#a6             per quanto sopra esposto, il Senato delibera di non procedere all’esame del disegno di legge n. 2081.

QP8

STEFANI, CENTINAIO, ARRIGONI, CALDEROLI, CANDIANI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, DIVINA, STUCCHI, TOSATO, VOLPI

Respinta (*)

#emen Il Senato,

#a6         premesso che:

            il disegno di legge in esame si espone a molteplici censure per ciò che concerne la sua legittimità costituzionale;

#a             l’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata in sede ONU il 10 dicembre 1948 definisce la famiglia nucleo fondamentale della società e dello Stato e come tale deve essere riconosciuta e protetta;

            il combinato disposto degli articoli della Costituzione 29 (… famiglia società naturale fondata sul matrimonio …), 30 (… è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli anche se nati fuori del matrimonio … la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale …), 31 (La Repubblica agevola con misure e altre provvidenze la formazione della famiglia … con particolare riguardo alle famiglie numerose), enuncia in modo inequivocabile il regime preferenziale della famiglia quale nucleo fondamentale della società. Da queste norme – come pure dagli articoli 30, 34, 36 e 37 della Costituzione – si ricava l’esistenza nell’ordinamento italiano del cosìddetto favor familiare. Qualora sia necessario per la tutela dei suoi diritti la Costituzione non solo consente, ma impone al legislatore di istituire un regime speciale a favore della famiglia, diverso da quello comune, formalmente in deroga al principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, ma in realtà in coerenza con l’eguaglianza sostanziale richiamata dal comma 2;

            secondo i lavori preparatori dell’Assemblea costituente l’aggettivo «naturale» ex articolo 29 della Costituzione sta ad indicare che la famiglia non è un’istituzione creata dalla legge, ma una struttura di diritto naturale, legata alla natura umana come tale e preesistente rispetto all’organizzazione statale;

            la Costituzione riconosce la famiglia come soggetto sociale, luogo di generazione dei figli (garanzia dell’esistenza stessa della società), pilastro su cui si fondano le comunità locali, il sistema educativo, le strutture di produzione del reddito, il contenimento delle forme di disagio sociale. Ogni società civile che si rispetti deve salvaguardare i nuclei familiari che consci dell’importanza del ruolo pubblico oltre che privato della loro unione s’impegnano e si vincolano davanti allo Stato a adempiere ai doveri legati alla loro decisione;

            l’articolo 2 della Costituzione tutela la libertà di scelta dell’individuo di non voler costituire un vincolo formale, ma di fondare il proprio rapporto di convivenza solo sul sentimento di affetto e d’amore;

            il principio di eguaglianza enunciato ex articolo 3 della Costituzione presuppone pari trattamento dei diritti che scaturiscono da situazioni di fatto assimilabili e diverso trattamento di situazioni di fatto non sovrapponibili;

            il diritto privato già permette di regolamentare i rapporti tra persone adulte e consenzienti attraverso la stipula di contratti di convivenza (articolo 1322 codice civile), nell’ambito ovviamente della sfera privata e della tutela delle libertà personali senza alcuna relazione rispetto a quella che è la famiglia ex articolo 29 della Costituzione;

            i diritti individuali che derivano dall’istituzione matrimoniale non possono essere considerati diritti individuali assoluti ma diritti individuali derivati e subordinati alla condizione di essere sposati. Ne consegue che attribuire ad un individuo in coppia di fatto gli stessi diritti che spettano in coppia di diritto significa equiparare le coppie di fatto al matrimonio;

            nel presente disegno di legge recante «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», le unioni civili sono disciplinate in termini largamente sovrapposti all’istituto matrimoniale e che l’indirizzo della Consulta è a produrre una regolazione distinta e distante rispetto a quanto disposto dall’articolo 29 della Costituzione,

            l’articolo 1 del disegno di legge contiene una contraddizione sul piano dello stretto diritto che appare insanabile, e con conseguenze immediate sul piano della legittimità costituzionale. Esso afferma che l’unione civile è una «specifica (quindi nuova, differente e distinta) formazione sociale», ma ne riserva l’accesso a coppie dello stesso sesso, escludendone le coppie di sesso diverso. Ora, se la nuova formazione sociale è distinta e diversa dal matrimonio, il fatto che non possano accedervi coppie di sesso diverso realizza una discriminazione e viola il principio di uguaglianza di cui l’articolo 3 della Costituzione. Se, invece, la motivazione dell’esclusione delle coppie eterosessuali dalla formazione delle unioni civili risiede nel fatto che esse dispongono già dell’istituto del matrimonio per regolare i loro reciproci diritti e doveri, gli articoli 1 e 3 del disegno di legge violano l’articolo 29 della Costituzione, come interpretato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010, in quanto parificano all’istituto matrimoniale formazioni sociali che, come dice la Corte in quella sentenza «non sono omologabili al matrimonio». Qualunque sia l’esegesi, l’esito è il contrasto con la Costituzione;

            la sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale ha chiarito che la legislazione in materia di matrimonio non discrimina le coppie di persone dello stesso sesso, che al matrimonio non possono accedere, specificando che esse non sono omologabili al matrimonio: stabilire, quindi, l’applicazione alle unioni civili di tutte le norme relative al matrimonio, come fa l’articolo 3 del disegno di legge, rappresenta una violazione del principio di uguaglianza, in applicazione dei princìpi della sentenza n. 138 e dei principi maturati nella prassi interpretativa dell’articolo 3 della Costituzione nei molti decenni di attività della Corte costituzionale, poiché tratta in modo uguale situazioni diverse. La parificazione al coniuge realizzata dall’articolo 3 del ddl soltanto in favore di colui/colei che sia parte di un’unione civile discrimina, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione, tutte le altre categorie di persone che non possono accedere al matrimonio, quali richiamate all’articolo 2 del disegno di legge: in particolare tutte le categorie di soggetti cui il matrimonio è parimenti impedito ai sensi degli articoli da 84 ad 89 del codice civile (minori, interdetti, già coniugati, parenti o affini, condannati per gravi delitti, donne in recente lutto vedovile). Non vi è alcuna ragionevolezza nel superare l’impedimento all’unione civile, parificata al matrimonio, per la sola categoria delle persone dello stesso sesso; l’articolo 5 nell’estendere l’adozione non legittimante permessa al coniuge dall’articolo 44, lettera b), della legge n. 184 del 1983 anche alla parte dell’unione civile, contravviene all’articolo 31 della Costituzione secondo il quale la Repubblica «protegge l’infanzia ( … ) favorendo gli istituti necessari a tale scopo» e all’articolo 117 della Costituzione secondo il quale «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali» (per un’applicazione dei principi della convenzione di New York da parte della Corte costituzionale, in relazione all’articolo 117 della Costituzione si veda Corte costituzionale n. 7 del 2003). L’Italia ha ratificato e resa esecutiva con la legge n. 176 del 1991 la convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo; gli articoli della convenzione prevedono il rispetto dell’interesse superiore del minore (articolo 2), il diritto del minore al legame con i propri genitori (articoli 7 e 8) e in caso di adozione una verifica della situazione del minore «in rapporto al padre e alla madre» (articolo 21). L’adozione prevista dall’articolo 5 del disegno di legge non prevede alcuna verifica dell’interesse preminente del minore e del rispetto dei suoi diritti quali previsti dalla convenzione di New York;

            l’intero ordinamento minorile, che costituisce coerente applicazione degli articoli 31 e 117 della Costituzione, con riferimento alla predetta Convenzione di New York, riconosce l’esistenza non di un diritto dell’adulto ad adottare, ma del minore ad avere una famiglia. Famiglia vuol dire esplicitamente – nel rispetto degli articoli 29 e 30 della Costituzione – padre e madre, cioè duplicità di figure di genitori e non duplicazione della stessa figura. Mettere, come avviene col ddl in questione, il primo presunto diritto al posto secondo significa ridurre il minore a un oggetto – si ha diritto a qualcosa, non a qualcuno -, e ciò contrasta, oltre che con le norme costituzionali appena menzionate, anche con l’articolo 2 della Costituzione il capovolgimento di prospettiva conduce logicamente alla legittimazione, attraverso le norme del ddl, della pratica della cosìddetta maternità surrogata. La costruzione del diritto dell’adulto ad avere un figlio può trovare seguito nell’adozione come nella gestazione da parte di una madre biologica, dopo che altra donna ha ceduto il proprio ovulo. Ciò, oltre a porsi in palese violazione con le norme costituzionali riguardanti i figli in precedenza menzionate, contrasta con l’articolo 32 della Costituzione, per i gravi rischi – sui quali vi è ampia letteratura – che determina per la salute delle donne interessate dalla pratica stessa;

            tutto ciò accade senza che la Commissione di merito abbia mai approfondito, e neanche trattato, il tema con quella discussione e quel confronto che un tema cosi delicato esige, per i rilevanti beni costituzionali che coinvolge;

            inoltre nonostante l’articolo 72, comma 1, della Costituzione prescriva che «Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale»; in coerenza con tale disposizione, l’articolo 44 del Regolamento del Senato prevede, al comma 1, che «Le relazioni delle Commissioni sui disegni di legge assegnati in sede referente e redigente devono essere presentate nel termine massimo di due mesi dalla data di assegnazione» e al comma 2 che «Il Presidente del Senato, in relazione alle esigenze del programma dei lavori o quando le circostanze lo rendano opportuno, può stabilire un termine ridotto per la presentazione della relazione, dandone comunicazione all’Assemblea»;

            la versione del disegno di legge oggi all’esame dell’Aula è stata posta all’ordine del giorno dei lavori senza che su di essa sia mai nemmeno formalmente iniziato l’esame nella competente Commissione permanente di merito,

#a6         delibera di non procedere all’esame del disegno di legge n. 2081

________________

(*) Sulle proposte di questione pregiudiziale presentate, è stata effettuata, ai sensi dell’articolo 93, comma 5, del Regolamento, un’unica votazione

PROPOSTE DI QUESTIONE SOSPENSIVA

QS1

GIOVANARDI, AUGELLO, COMPAGNA, Mario MAURO, QUAGLIARIELLO

Respinta (*)

#emen Il Senato,

#a6         premesso che:

            l’articolo 72 della Costituzione stabilisce che «Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale»;

#a             in attuazione di tale previsione costituzionale, l’articolo 44 del Regolamento del Senato stabilisce, al comma 1, che «Le relazioni delle Commissioni sui disegni di legge assegnati in sede referente e redigente devono essere presentate nel termine massimo di due mesi dalla data di assegnazione» e, al comma 2, che «Il Presidente del Senato, in relazione alle esigenze del programma dei lavori o quando le circostanze lo rendano opportuno, può stabilire un termine ridotto per la presentazione della relazione, dandone comunicazione all’Assemblea»;

            la discussione degli emendamenti sul disegno di legge unificato in tema di unioni civili, relatrice Monica Cirinnà, aveva inizio in Commissione giustizia a fine luglio 2015, perché soltanto il 23 luglio 2015 il Governo aveva inviato al Senato la relazione tecnica circa la copertura finanziaria del provvedimento, mettendo in condizione la Commissione giustizia, dopo il parere della Commissione bilancio reso il 29 di luglio, di iniziare l’esame degli emendamenti in quella stessa giornata;

            tra la prima settimana di agosto e le prime tre settimane di settembre la Commissione giustizia in tredici sedute, anche notturne, aveva smaltito il 25 per cento degli emendamenti presentati, interrompendo poi i lavori per la discussione in Aula della riforma costituzionale;

            il giorno 6 ottobre 2015 è stato presentato un nuovo disegno di legge n. 2081, prima firmataria Monica Cirinnà, recante «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», che è stato assegnato a tempo di record alla Commissione giustizia;

            il 12 ottobre è stata nominata relatrice Monica Cirinnà, e il provvedimento è stato illustrato nello stesso giorno nella seduta notturna della Commissione giustizia e abbinato al testo unificato e ad altri disegni di legge sulla stessa materia;

            il 13 ottobre, senza che la Commissione giustizia avesse nemmeno iniziato l’esame del disegno di legge n. 2081 sul quale la sera precedente si erano iscritti a parlare diversi senatori, membri della Commissione, esso è stato calendarizzato dalla Conferenza dei Capigruppo per il 14 ottobre;

            il 14 ottobre in Aula il Presidente della Commissione giustizia Nitto Palma non ha potuto fare altro che annunziare che il testo prescelto dal Presidente del Senato veniva iscritto all’ordine del Giorno senza relatore e senza una discussione preliminare in Commissione;

            è da rilevare che sul precedente disegno di legge unificato di cui era relatrice la senatrice Cirinnà, sempre sulla materia delle unioni civili, dopo numerose audizioni, la Commissione stava ancora esaminando e votando gli emendamenti sull’articolo 1;

            la calendarizzazione del provvedimento ha costituito un’evidente forzatura per comprimere più possibile il dibattito su temi regolati dal disegno di legge unificato prima e dal disegno di legge n. 2081 soprattutto per quanto riguarda la cosiddetta stepchild adoption, tema sul quale la Commissione non ha potuto votare emendamenti, nel primo caso perché non si era ancora arrivati all’articolo 5 che trattava la materia nel secondo perché non è neppure iniziata la discussione generale;

            non esiste nessun precedente al Senato della Repubblica dell’utilizzo di una procedura che, violando l’articolo 72 della Costituzione e l’articolo 44 del Regolamento del Senato, abbia non accorciato i tempi della discussione di un provvedimento in discussione, ma come in questo caso lo abbia totalmente azzerato;

            senza nessun criterio di ragionevolezza poi, la decisione dei capigruppo ha impedito dal 14 ottobre 2015 di continuare l’esame in Commissione della materia delle unioni civili, per poi portarla all’attenzione dell’Aula in data 28 gennaio 2016, più di tre mesi dopo della decisione di azzerare il dibattito in Commissione;

            tale compressione costituisce una grave lesione delle attribuzioni del Parlamento e della sua centralità nel sistema repubblicano;

            la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 9 del 1959, si è dichiarata competente a sindacare le violazioni delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento legislativo, tra le quali rientra ovviamente l’articolo 72 della Costituzione violato nella procedura di approvazione del disegno di legge n. 2081,

#a6         delibera di sospendere l’esame del disegno di legge n. 2081 al fine di rinviarlo alla Commissione di merito in sede referente.

QS2

SACCONI, D’ASCOLA, AIELLO, ANITORI, BELLOT, BISINELLA, COLUCCI, CONTE, DI BIAGIO, FORMIGONI, MARINELLO, MUNERATO

Respinta (*)

#emen Il Senato,

#a6         premesso che:

            nel disegno di legge n. 2081 recante «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», le unioni civili sono disciplinate in termini largamente sovrapposti all’istituto matrimoniale e che l’indirizzo della Consulta è a produrre una regolazione distinta e distante rispetto a quanto disposto dall’articolo 29 della Costituzione;

#a             nel medesimo disegno di legge viene estesa una modalità di adozione, che finora ha riguardato le ipotesi limitatissime di cui all’articolo 44, lettera b), della legge n. 184 del 1983, realizzando quella che viene denominata stepchild adoption;

            tutto ciò accade senza che la Commissione di merito abbia mai approfondito, e neanche trattato, il tema con quella discussione e quel confronto che un tema così delicato esige, per i rilevanti beni costituzionali che coinvolge;

            ciò accade nonostante l’articolo 72 comma 1 della Costituzione prescriva che «Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale»; in coerenza con tale disposizione, l’articolo 44 del Regolamento del Senato prevede, al comma 1, che «Le relazioni delle Commissioni sui disegni di legge assegnati in sede referente e redigente devono essere presentate nel termine massimo di due mesi dalla data di assegnazione» e al comma 2 che «Il Presidente del Senato, in relazione alle esigenze del programma dei lavori o quando le circostanze lo rendano opportuno, può stabilire un termine ridotto per la presentazione della relazione, dandone comunicazione all’Assemblea»;

            il testo sulle unioni civili attualmente in esame è stato posto all’ordine del giorno dei lavori dell’Aula del Senato senza che su di esso sia mai nemmeno formalmente iniziato l’esame nella competente Commissione permanente di merito (Commissione giustizia);

            non soltanto è mancato il confronto fra i Senatori componenti della Commissione permanente, ma non è stato sentito il parere della Commissione bicamerale per l’infanzia, istituzionalmente abilitata a fornire un suo contributo alla materia;

            si sta per passare al voto di articoli che incidono su questa materia – l’articolo 5 e prima l’articolo 3 comma 4 del disegno di legge – senza che vi sia stato alcun confronto, e prima ancora cognizione nella sede opportuna, dei numerosi e articoli profili critici che essa presenta;

            si è omesso altresì di sentire in audizione altri soggetti istituzionalmente rilevanti, come i rappresentanti della Commissione adozioni internazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e soggetti privati da tempo impegnati sul terreno delle azioni,

#a6             delibera, ai sensi dell’articolo 93 del Regolamento, di sospendere l’esame dell’Atto Senato  2081 per sessanta giorni affinché la Commissione di merito possa approfondire i possibili nessi tra la definizione di unione civile ipotizzata nel testo base e il diritto che ne potrebbe conseguire all’adozione di figli minori, inclusa l’adozione del figlio biologico del componente dell’unione civile, considerate anche le pratiche di maternità surrogata, riferendone poi all’Assemblea.

QS3

STEFANI, CENTINAIO, ARRIGONI, CALDEROLI, CANDIANI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, DIVINA, STUCCHI, TOSATO, VOLPI

Respinta (*)

#emen Il Senato,

#a6         premesso che:

            nel presente disegno di legge recante: «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», le unioni civili sono disciplinate in termini largamente sovrapposti all’istituto matrimoniale e che l’indirizzo della Consulta è a produrre una regolazione distinta e distante rispetto a quanto disposto dall’articolo 29 della Costituzione, nel medesimo disegno di legge viene estesa una modalità di adozione, che finora ha riguardato le ipotesi limitatissime di cui all’articolo 44, lettera b), della legge n. 184 del 1983, realizzando quella che viene denominata stepchild adoption;

#a             tutto ciò accade senza che la Commissione di merito abbia mai approfondito, e neanche trattato, il tema con quella discussione e quel confronto che un tema così delicato esige, per i rilevanti beni costituzionali che coinvolge;

            ciò accade nonostante l’articolo 72, comma 1, della Costituzione prescriva che: «Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale»; in coerenza con tale disposizione, l’articolo 44 del Regolamento del Senato prevede, al comma 1, che «Le relazioni delle Commissioni sui disegni di legge assegnati in sede referente e redigente devono essere presentate nel termine massimo di due mesi dalla data di assegnazione» e al comma 2 che «Il Presidente del Senato, in relazione alle esigenze del programma dei lavori o quando le circostanze lo rendano opportuno, può stabilire un termine ridotto per la presentazione della relazione, dandone comunicazione all’Assemblea»;

            la versione del disegno di legge oggi all’esame dell’Aula è stata posta all’ordine del giorno dei lavori senza che su di essa sia mai nemmeno formalmente iniziato l’esame nella competente Commissione permanente di merito;

            si è omesso altresì di sentire in audizione altri soggetti istituzionalmente rilevanti, come i rappresentanti della Commissione adozioni internazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e soggetti privati da tempo impegnati sul terreno delle adozioni,

#a6             delibera, ai sensi dell’articolo 93 del Regolamento, di sospendere l’esame dell’Atto Senato 2081 per trenta giorni affinché la Commissione di merito possa approfondire i possibili nessi tra la definizione di unione civile ipotizzata nel testo base e il diritto che ne potrebbe conseguire all’adozione di figli minori, inclusa l’adozione del figlio biologico del componente dell’unione civile, considerate anche le pratiche di maternità surrogata, riferendone poi all’Assemblea.

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(*) Sulle proposte di questione sospensiva presentate, è stata effettuata, ai sensi dell’articolo 93, commi 5 e 6, del Regolamento, un’unica votazion

e

Allegato B

Testo integrale dell’intervento della senatrice Cirinnà nella discussione generale dei disegni di legge nn. 2081, 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763, 2069 e 2084

È molto difficile per me raccontarvi in pochi minuti la straordinaria avventura che mi è capitato di vivere in questi due anni di lavoro sul testo di cui discutiamo oggi, è difficile perché più che di questioni di diritto e di giurisprudenza, nazionale ed internazionale, vorrei tentare di comunicarvi le emozioni che ho provato girando l’Italia da Aosta a Barletta incontrando centinaia di persone militanti di tutti i partiti, attivisti delle associazioni LGBTI e semplici cittadini interessati a cambiare questo paese rendendolo semplicemente più giusto e più solidale.

Ciò che appare ormai chiaro agli italiani è che il contrario della parola discriminazione è uguaglianza. Ma attenzione: questa non è ideologia ma semplicemente giustizia! Tenetelo a mente, colleghi, quando dovremmo discutere gli emendamenti. Ogniqualvolta sarà violato il principio di uguaglianza avremo prodotto una discriminazione e ci esporremo al vaglio di ragionevolezza della Corte costituzionale. Un diritto può essere riconosciuto o negato : è su questo che si esprimono giuristi e magistrati poiché i diritti incidono sull’ordine costituito. Se un diritto è riconosciuto senza limiti costrittivi ad alcuni e ingiustamente negato ad altri c’è discriminazione!

Parafrasando l’epocale sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, “quando due persone si uniscono formano qualcosa di più grande di quello che c’era una volta, qualcosa che può durare anche dopo la morte”. L’argomento delle coppie ricorrenti americane è il “rispetto per quel modello di famiglia, un rispetto talmente profondo per cui ne ricercano il compimento per loro stessi. Una richiesta legittima di chi chiede uguale dignità agli occhi della legge, richiesta che la Costituzione non può fare a meno di garantire.”

Colleghi vi prego non usiamo giochi di parole : che vuol dire valorizzare le differenze? Niente se c’è negazione del diritto, tutto se sugli stessi diritti si distingue ma senza alcuna sottrazione.

Un altro motivo di difficoltà che ho affrontato in questo duro lavoro è quello di percorrere la strada della creazione di un nuovo istituto giuridico, appunto le unioni civili tra persone dello stesso sesso, pur essendo personalmente favorevole, come molti tra noi, all’estensione del matrimonio egualitario.

È per questo, e vi chiedo scusa, se qualche volta nelle discussioni pubbliche o private sono stata forse un po’ brusca; ho cercato semplicemente di dimostrare che, anche rispetto al resto d’Europa, il nuovo istituto delle unioni civili è già una sintesi moderata e ogni tentativo di mediazione sui diritti può produrre discriminazioni.

Siamo dunque chiamati nelle prossime ore a fare una discussione seria senza steccati ideologici ma rapida e concreta. Voglio sperare che nessuno di noi voglia riproporre qui in aula l’incubo dell’ostruzionismo che abbiamo vissuto in Commissione giustizia per mesi. Dimostriamo tutti insieme agli italiani che è finito il tempo delle parole passiamo ai fatti. Oggi, nei prossimi giorni, dobbiamo agire insieme per dare all’Italia una legge giusta e che ci faccia uscire dall’ombra rispetto al resto d’Europa.

Abbiamo scelto la via delle unioni civili per rispondere a criteri di prudenza, nella convinzione che alla piena eguaglianza si possa arrivare passo dopo passo. Allo stesso tempo, questa è una scelta che non pregiudica né misconosce la richiesta di riconoscimento che proviene dalle coppie omosessuali ed assicura un adeguato livello di tutela a loro e sopratutto ai loro figli.

Girando l’Italia ho trovato un Paese che già riconosce, e quindi è pronto ad accogliere ed includere nel nostro diritto, le tante forme diverse di famiglia che ormai compongono la nostra società. C’è sicuramente una distinzione di approccio dovuta alle generazioni : i nostri giovani sono per la maggior parte favorevoli all’estensione del matrimonio ugualitario, mentre i cittadini di età più adulta ancora fanno dei distinguo mantenendo l’orientamento sessuale come elemento distintivo rispetto a quella che ancora alcuni ritengono sia la famiglia naturale.

Un altro elemento che dobbiamo considerare e che mi ha spinto a fare tante assemblee è il desiderio di capire di molti cittadini : troppa disinformazione e troppa strumentalizzazione politica hanno fuorviato il dibattito pubblico. La frase che ritengo più falsa e più strumentale è che in Italia stiamo introducendo il matrimonio e l’adozione gay. Questo è falso : stiamo dando tutela giuridica alla vita privata e familiare di coppie omosessuali, attraverso le unioni civili, fondate sull’articolo 2 della Costituzione come indicatoci dalla sentenza 138 del 2010 della stessa Corte, e stiamo poi riconoscendo ad una delle parti dell’ unione civile la possibilità di chiedere al giudice di estendere la responsabilità genitoriale sul figlio minore del partner, attraverso l’applicazione dell’articolo 44 della legge 184 del 1983, norma del resto già applicata dei tribunali dei minori poiché ritenuta quella che consente la maggior tutela del bambino anche in caso di morte del genitore naturale.

Ho riletto, in questi giorni, il dibattito svoltosi in Costituente sugli articoli 29 e 30, e ho riscontrato molti tratti comuni rispetto a quello che ci ha impegnato in questi mesi.

Penso anzitutto al ruolo delle donne: Nilde lotti, Teresa Noce, Lina Merlin, esempi chiari e limpidi di una vera e propria “politica di umanità”. Penso alla loro capacità empatica, alla profonda sensibilità verso le mille sfumature dell’universo familiare che chiedevano riconoscimento costituzionale: l’eguaglianza tra coniugi, l’eguaglianza tra figli. Oggi, come allora, le donne sono in prima linea quando si tratta di assicurare pienezza di diritti civili e sociali alle diverse espressioni dell’identità personale.

Penso poi ai diversi approcci alla Costituzione: come patrimonio comune o come patrimonio di pochi, come progetto aperto al futuro o come cristallizzazione di assetti tradizionali immutabili.

Infine, la capacità di dialogo, in figure come Moro, Terracini, Dossetti, La Pira, Togliatti.

Molti sono gli spunti che si possono raccogliere, da quel dibattito, per una lettura dell’articolo 29 aperta allo sviluppo storico della comunità politica e della società italiana. Tracce di una simile possibilità si ritrovano, ad esempio, nel dibattito sul concetto di società naturale, recepito nel testo dell’articolo 29. Tale espressione compare già dalle fasi iniziali dei lavori dell’Assemblea costituente (prima Sottocommissione, seduta del 30 ottobre 1946) e su di essa si registra il punto di caduta di un dibattito acceso.

Apparve sin da subito chiaro ai Costituenti che l’espressione “società naturale” – lungi dal cristallizzare una determinata concezione culturale o religiosa della famiglia – voleva semplicemente affermarne il carattere pregiuridico, come reazione all’impostazione autoritaria del diritto di famiglia che aveva caratterizzato lo stato fascista. Così, paradigmaticamente nell’intervento di La Pira del 6 novembre 1946 in prima sottocommissione, con l’espressione società naturale si rigettava la “teoria dei diritti riflessi”, secondo cui “tutti i diritti sono creati e concessi dallo stato” e si affermava invece, in linea con l’art. 2, che lo stato “non fa che riconoscere e tutelare dei diritti anteriori alla Costituzione dello Stato, che sono diritti dei singoli, diritti delle società o comunità naturali”.

La stessa posizione si riscontra in Moro che, nella stessa seduta, avverte che il favore verso l’espressione “società naturale” corrisponde alla “preoccupazione di ordine politico, che riguarda la lotta contro il totalitarismo di Stato, il quale intacca innanzi tutto la famiglia, per potere, attraverso questa via, più facilmente intaccare la libertà della persona”.

Si afferma, insomma, uno stretto legame tra la formulazione dell’articolo 29 – con l’espressione “società naturale” – e l’articolo 2 della Costituzione, nella sua doppia dimensione individualista e pluralista (sia come singolo, sia nelle formazioni sociali…): in termini contemporanei, diremmo che la famiglia è anzitutto uno spazio di esperienza, una formazione sociale e pregiuridica, nel quale il singolo svolge la propria personalità attraverso l’esercizio del fondamentale diritto all’autodeterminazione affettiva.

Il legame tra l’articolo 2 e l’articolo 29 è fondamentale, d’altro canto, proprio nell’ottica di una interpretazione di tale disposizione, che sia aperta allo sviluppo storico e al sempre nuovo atteggiarsi delle pratiche dell’umana libertà.

L’impulso forse più forte al compromesso sulla esatta interpretazione del concetto di naturalità della famiglia venne però da Aldo Moro, che seppe assicurare l’incontro tra la cultura di matrice socialcomunista e quella di matrice democratico-cristiana precisando – nella seduta del 5 novembre 1946 – che “quando si dice che la famiglia è una società naturale, non ci si deve riferire immediatamente al vincolo sacramentale; si vuole riconoscere che la famiglia nelle sue fasi iniziali è una società naturale”; di conseguenza “pur essendo molto caro ai democristiani il concetto del vincolo sacramentale nella famiglia, questo non impedisce di raffigurare una famiglia, comunque costituita, come una società che, presentando determinati caratteri di stabilità e funzionalità, possa inserirsi nella vita sociale”.

Naturalità, dunque, come storicità della famiglia. E naturalità come legame forte alle pratiche di libertà – personale, morale, sociale – che determinano l’evoluzione della famiglia nella storia, e l’evoluzione della storia attraverso la famiglia.

E su questo, infine, poté convergere anche Togliatti quando sostenne – il 15 gennaio 1947 – di non aver nessuna remora al riconoscimento costituzionale della naturalità della famiglia: “le forme”, ritiene Togliatti, “sono storicamente determinate”, ma “nella sua coscienza” afferma di accettare che la famiglia “sia una società naturale, e che esista il riconoscimento giuridico dello Stato”.

Non mancarono, come ovvio, altri accenti, e polemiche aspre.

Ma si può affermare con sufficiente certezza che l’articolo 29 possegga anzitutto una matrice antiautoritaria e antifascista: nella famiglia individua uno spazio di esperienza preesistente al diritto, e che da questo deve essere riconosciuta nella sua storicità.

Allo stesso tempo, l’articolo 29 presenta uno stretto legame con l’articolo 2, nella misura in cui la formazione sociale “famiglia” è ambito istituzionale di esercizio di diritti fondamentali, e da questi ripete la sua capacità di mutare incessantemente col mutare della storia.

D’altro canto, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 138 del 2010, ha riconosciuto che “i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore”.

Essi, piuttosto, “sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi”.

La Costituzione riconosce un istituto, è vero. Ma non lo cristallizza in una sua determinata fase storica, e lo mantiene, piuttosto, aperto alle nuove dimensioni di sviluppo che discendono dal mutevole atteggiarsi delle pratiche della libertà umana. Il riconoscimento dell’istituto non è fine a se stesso, ma è funzionale a garantire effettività alla libertà di autodeterminazione affettiva e sociale del singolo.

E quanto più si interpreti la clausola costituzionale dell’articolo 29 valorizzando il suo legame dinamico con l’articolo 2, tanto più se ne assicura una declinazione aperta, pluralista, profondamente democratica e autenticamente rivolta alla promozione sociale della persona e della sua libertà.

Si può, insomma, considerare l’articolo 29 come elemento pulsante del “diritto vivente”, e cioè delle molteplici interazioni tra l’evoluzione dell’ordinamento giuridico e uno sviluppo storico animato anzitutto dalle pratiche della libertà umana, e dell’autodeterminazione personale e sociale dell’individuo.

Come tutta la Costituzione, anche l’articolo 29 è presidio di libertà. Vive e si evolve con la libertà, e dunque con l’ordinamento giuridico e il suo diritto vivente. E continua a parlarci nel tempo.

Così, oggi, stiamo dando voce ad una potenzialità ancora inespressa della nostra Costituzione. E lo stiamo facendo, ancora, senza intaccare la specificità dell’istituto del matrimonio, ma riconoscendo che la “naturalità” della vita familiare va ben oltre assetti cristallizzati e tradizionali. Che la naturalità della vita familiare non può che portare all’esistenza di diversi modelli di famiglia, ognuno meritevole di essere riconosciuto e di affermare con pari dignità sociale, ed in condizioni di eguaglianza, la propria insopprimibile differenza.

La Costituzione è un progetto di emancipazione personale e sociale, un processo di liberazione della persona umana naturalmente inconcluso e da rinnovare continuamente con spirito di cooperazione solidale.

La Costituzione è stata scritta avendo in mente il passato, il presente e il futuro. Avendo presente chi aveva già la voce per farsi sentire e chi ancora non aveva trovato spazio nella comunità politica, come le persone omosessuali, oggetto di un pervasivo e doloroso stigma sociale.

Queste persone per troppo tempo assenti e taciute, noi oggi le rendiamo finalmente presenti al resto della comunità politica, riconosciamo la loro esperienza di vita familiare come una realtà meritevole di tutela, perché attinente alla loro dignità personale.

Così concretamente realizziamo quella parte di Costituzione scritta per gli assenti, quegli assenti, individui adulti bambini famiglie, che finalmente diventano presenti, con pari diritti e dignità già riconosciuti agli altri cittadini.

Da che parte vorremo farci trovare dai nostri figli e dai nostri nipoti, quando fra trent’anni torneranno a leggere i resoconti di queste sedute?

Dalla parte di chi ha creduto possibile far muovere all’ordinamento italiano il primo e tanto atteso passo verso l’eguaglianza?

O dalla parte di chi ha visto nella Costituzione il patrimonio di pochi privilegiati, e nell’estensione di diritti un pericolo?

Sono settimane che leggiamo sui giornali che l’applicazione dell’articolo 44 della legge 184 aprirebbe la strada in Italia all’istituto della gestazione per altri! Non devo ricordare in Parlamento ai tanti di voi che già erano qui in quegli anni, che una delle peggiori leggi italiane, la legge n. 40 sulla procreazione medicalmente assistita, pessima poiché è frutto di eccessive mediazioni tutte al ribasso e per questo quasi interamente riscritta dalla Consulta, vieta e punisce espressamente la pratica della gestazione per altri. Questo divieto è in vigore, resterà in vigore e in nessun modo il testo di cui discutiamo oggi interferisce con tale divieto. È quindi un argomento forviante e strumentale!

Stupisce, ma dà il segno regressivo del tipo di opposizione che si vuol fare a questa legge!

Mi chiedo perché tale pratica sia stigmatizzata con tanta fermezza nella discussione pubblica, guarda caso… solo adesso, quando con grande fatica si sta arrivando al riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali e delle loro famiglie!

Si è taciuto per anni ben sapendo che la gestazione per altri all’estero è praticata nel 95 per cento dei casi da coppie italiane sposate, eterosessuali e con gravi problemi di sterilità. Vi parla una donna che era ragazza negli anni 70, quei magnifici tempi nei quali il movimento femminista ha ottenuto le sue più grandi vittorie. Molte di noi sono cresciute in quegli anni nella piena convinzione che le donne devono essere libere di autodeterminarsi sempre, e che sono le uniche padrone del loro corpo!

Immaginatevi quindi se proprio io che ho frequentato il Governo Vecchio e collettivi femministi fino ad aver dato vita durante il mio lavoro al Comune di Roma alla straordinaria esperienza della Casa Internazionale delle donne al Buon Pastore, posso in qualche modo essere favorevole allo sfruttamento di donne povere a fini riproduttivi!

Altro invece è pensare di introdurre un reato universale, per punire coloro che nel rispetto di una legge straniera diventano genitori attraverso l’aiuto di donne che fanno scelte libere e volontarie nell’ottica del dono di sé, con pratiche di procreazione previste, regolate e tutelate da specifiche leggi di Paesi stranieri…. non da Paesi canaglia! Ma Paesi con i quali abbiamo relazioni internazionali stabili e solide come gli Stati Uniti e il Canada.

Sarebbe come stabilire per legge la confisca dell’eredità di chi sceglie di morire con l’eutanasia in Svizzera, visto che da noi la dolce morte è ancora vietata!

È opportuno ricordare che il nostro ordinamento non ammette discriminazioni tra figli basate sulla cornice giuridica del rapporto tra i loro genitori. Così come non ammette la discriminazione tra eterosessuali ed omosessuali in relazione alla valutazione della loro capacità di essere genitori (Cassazione Sezione I. sentenza n. 601/13).

Una discriminazione peraltro rigettata dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo, con una recente sentenza del 2013, e non ammette discriminazioni tra figli in ragione del modo in cui siano venuti al mondo. Basta leggere la stessa legge n. 40 (addirittura!), per rendersene conto. Tra l’interesse dell’ordinamento alla repressione del ricorso a tecniche di procreazione assistita non consentite e l’interesse del bambino alla stabilità e continuità degli affetti, prevale sempre quest’ultimo.

Quindi l’unico principio che deve guidare il nostro agire – come già guida quello dei giudici – è quello della garanzia del superiore interesse del minore alla stabilità e alla continuità degli affetti.

Il disegno di legge in esame, all’articolo 5, assicura una iniziale garanzia di questo principio, consentendo al partner omosessuale del genitore biologico o adottivo del bambino, l’estensione della responsabilità genitoriale nelle forme dell’adozione coparentale di cui all’articolo 44 lettera b) della legge sulle adozioni. Un’estensione non automatica, ma assoggettata alle penetranti verifiche di cui all’articolo 57 della stessa legge: verifiche che già vengono effettuate per le adozioni coparentali all’interno di coppie eterosessuali. E che sono state puntualmente effettuate da quei giudici che già hanno concesso tale adozione a coppie omogenitoriali (Corte di Appello Roma, 23 dicembre 2015).

Oggi, mentre siamo qui a decidere del loro futuro, esistono nel nostro Paese, bambini che nascono, crescono e vanno a scuola come tutti gli altri. Figli che già esistono, e molti altri ne verranno. Questi piccoli, come molti altri, vivono in famiglie normali, amorevoli, e perfettamente idonee a garantire la loro crescita affettiva e personale. Sono bambini, sono cittadini di questo Paese. E meritano di essere riconosciuti e tutelati al pari di tutti gli altri, garantendo loro stabilità e continuità dei loro affetti.

Perché trattarli in modo diverso rispetto ai figli di coppie eterosessuali? Dov’è la ragionevole giustificazione al loro trattamento differenziato, alla luce degli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione?

Con l’articolo 5 facciamo un primo decisivo passo per la loro tutela, nelle concrete situazioni in cui si trovano a vivere, senza implicazioni teoriche o astratte, ma sulla base del buonsenso e dell’imperativo costituzionale di eguaglianza. E senza togliere diritti a nessuno.

È finalmente incardinata in Commissione sanità qui al Senato una norma di completa revisione della legge n. 40 che se manterrà il divieto di gestazione per altri, potrà eventualmente introdurre ulteriori restrizioni per tutte le coppie che vi fanno ricorso all’estero.

Nel dibattito pubblico delle ultime ore si è sollevata una obiezione, a mio avviso, priva di fondamento : cioè che l’estensione delle tutele alle coppie dello stesso sesso possa minare la famiglia tradizionale. Sono convinta del contrario. Anche il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso realizza la tutela e la promozione della famiglia, poiché rientra nella concezione dello Stato che tutela, premia e valorizza tutti quei legami di solidarietà presenti nella nostra società.

Il sostegno alla famiglia certamente non si attua negando diritti ad altre formazioni sociali, ma attraverso un cambiamento profondo del nostro welfare che deve sostenere la crescita della famiglia attraverso il sostegno diretto alle persone e alle formazioni sociali che la compongono. Negare, come è avvenuto fino ad oggi in Italia, il riconoscimento di altri diritti non ha contribuito a rendere più solida la famiglia, la contrapposizione ideologica tra il sostegno alla famiglia e il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali ha prodotto solo per l’Italia un triste primato : siamo ultimi in Europa nelle politiche prò famiglia, e ultimi nei diritti delle persone omosessuali e delle loro famiglie.

Mi sembra estremamente opportuno, adesso, soffermarmi brevemente sul Capo I del testo in esame : l’unione civile è istituto di diritto pubblico. Non si limita a disciplinare le conseguenze di una situazione di fatto (come nel caso delle convivenze, di cui al Titolo II del disegno di legge), ma riconosce una sfera di libertà e autodeterminazione affettiva, pienamente degna di essere accolta in una cornice giuridica organica, certa, il più possibile completa. Nella dinamica del riconoscimento, una sfera di vita e di esperienza, frutto di scelte che promanano dal nucleo stesso della dignità umana – nella sua dimensione di autodeterminazione affettiva – viene accolta come elemento della comunità politica, e per così dire abbracciata dall’ordinamento giuridico. Un ordinamento che, finalmente, si mostra capace di empatia ed umanità, nel pieno rispetto della Costituzione repubblicana e dei principi di libertà, eguaglianza, dignità e pluralismo.

Nell’effettuare questa scelta, avevamo indicazioni ben precise da seguire. Anzitutto, quelle che ci provengono dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Nella sentenza n. 138 del 2010, la Corte ha sollecitato il legislatore a riconoscere le unioni omosessuali, formazioni sociali protette dall’articolo 2 della Costituzione, lasciando spazio alla discrezionalità del Parlamento nella scelta delle forme attraverso cui assicurare tale riconoscimento. La Corte europea dei diritti dell’uomo, a sua volta, ci ha invitato a fare questo passo, assicurando alle coppie omosessuali la tutela della vita familiare.

La Corte di cassazione, a sua volta, ha affermato la necessità di assicurare alle coppie omosessuali uno “statuto sostanzialmente equiparabile” a quello delle coppie coniugate (sentenza n. 8097 del 2015).

Il disegno di legge in discussione segue alla lettera queste indicazioni, modellando la disciplina dell’unione civile su quella del matrimonio, con alcune differenziazioni, relative al profilo dei rapporti genitoriali.

Accostare la disciplina dell’unione civile a quella del matrimonio – lo ha ben sostenuto Doris Lo Moro nel suo intervento di giovedì scorso in quest’Aula – non significa tuttavia confondere i due istituti, o omologarli l’uno all’altro. Significa invece operare una scelta ragionevole, che adegua la disciplina dell’unione a quella dell’istituto che già, nel nostro ordinamento, disciplina le unioni che si basano su una comunione affettiva, spirituale, materiale e su un progetto di vita e realizzazione personale.

L’eguaglianza dei desideri, e l’eguaglianza di esigenze di vita che animano l’esperienza delle coppie omosessuali, richiedono una disciplina quanto più possibile simile a quella già prevista per situazioni analoghe, e conforme agli imperativi di ragionevolezza che discendono dal principio costituzionale di eguaglianza. Il disegno di legge in discussione è pienamente conforme a questi requisiti. L’istituto dell’unione civile è distinto dal matrimonio, ma allo stesso tempo assicura alle coppie omosessuali uno statuto equiparabile a quello delle coppie coniugate, per evitare illegittime discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale della coppia e muovere un primo decisivo passo sulla strada della piena pari dignità sociale delle coppie omosessuali.

Infine dal lavoro svolto in commissione giustizia è nata l’esigenza di tenere insieme in un unico testo le unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze.

Il Capo II del disegno di legge in esame oggi codifica i diritti dei conviventi intendendo per conviventi due persone, non parenti, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale ; a tutti coloro che convivono more uxorio, senza distinzioni basate sull’orientamento sessuale dei componenti della coppia, vengono riconosciuti alcuni diritti e doveri, già ampiamente riconosciuti dalla giurisprudenza consolidata. A queste coppie sono riconosciute tutele minori e più circoscritte rispetto ai coniugi o agli uniti civilmente : vengono infatti estesi solo alcuni diritti in materia sanitaria, ordinamento penitenziario, graduatorie pubbliche norme in materia di impresa familiare. Resta esclusa tutta la materia delle successioni e i diritti previdenziali tra cui la reversibilità della pensione.

Resterà libertà dei conviventi regolare tra di loro le questioni patrimoniali attraverso un contratto di convivenza redatto di fronte ad un notaio o ad un avvocato.

Come è ben chiaro a tutti, ci troviamo di fronte ad un testo che affronta in modo ampio e inclusivo tutte le manifestazioni delle relazioni affettive, siano esse eterosessuali o omosessuali, puntando a riconoscere diritti (ma anche obblighi) a relazioni che fino ad oggi sono state nell’ombra del nostro ordinamento giuridico.

Vorrei concludere questo mio intervento con il ricordo di un grandissimo italiano, mancato da pochi giorni, che ancora non abbiamo ricordato in questa aula, il regista di “Una giornata particolare”, Ettore Scola che era solito dire: “Bisogna credere ai miracoli, soprattutto quelli fatti dall’uomo impegnarsi perché i sogni e le utopie si realizzino”.

Per fare questo colleghi ci vuole un’assunzione di responsabilità totale e collettiva. Noi possiamo anche non fare miracoli, ma certamente è nostro compito quello di dare al Paese una buona legge. In questo modo daremo pienezza alla vita di tanti nostri cittadini perché i diritti non possono e non devono rimanere sogni!

Integrazione all’intervento del senatore Di Biagio nella discussione generale dei disegni di legge nn. 2081, 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763, 2069 e 2084

La stessa proponente nei vari salotti mediatici parla di «adozione attenuata».

Certo l’articolo 44 disciplina l’adozione in casi straordinari, che dunque non si configura come legittimante, considerando che si parte dal legittimo ed inderogabile presupposto che il minore in questione abbia dei genitori biologici e che non sia dunque «abbandonato». Pertanto, stando ai sostenitori della stepchild nuda e pura, sarebbe giusto introdurre una specie di genitorialità finta o di serie B, priva di potestà genitoriale negando o comunque non meglio specificando dove si colloca la genitorialità biologica? Un vulnus senza precedenti. Che spaventa e rammarica.

Inoltre, la stepchìld adoption non può configurarsi come un’adozione in casi particolari trattandosi di una fattispecie di filiazione che – se legittimata da una norma – non sarà contraddistinta dal crisma dell’eccezionalità (di cui alla ratio dell’articolo 44) ma sarà la normalità nell’ambito del segmento sociale delle unioni civili, quindi destinata a crescere in maniera esponenziale come fattispecie.

E si trascura il fatto che la norma legittima un’anomala relazione parentale che bypassando volutamente e consapevolmente la bigenitorialità naturale – punto di partenza della capacità procreativa – tende a creare delle strutture sociali sulla base del puro desiderio.

Permettetemi una riflessione, inevitabile in questo contesto; si sbandiera il diritto imprescindibile del minore in maniera assolutamente strumentale, ma nel contempo ci si dimentica di oltre 34.000 minori che oggi in Italia vivono al di fuori della loro famiglia e di cui ben 19.245 in comunità educative, quindi al di fuori di una relazione familiare. Se lo stesso ardore che si sta dedicando a questo disegno di legge, venisse dedicato per pochi minuti ai disegni di legge di riforma della disciplina delle adozioni nazionali ed internazionali avremmo risolto metà dei problemi legati ai minori abbandonati. Nessuno parla della vergogna di una burocrazia scandalosa, di costi esosi e dell’assenza dello stato nel supporto alla missione – perché e una missione – della genitorialità adottiva. In Italia ogni anno le adozioni di minori italiani oscillando da 1000 a 1100, nonostante che le coppie sposate che chiedono di adottare un minore abbandonato siano ogni anno circa 10.000. Per non parlare delle richieste di adozioni internazionali.

Ci troviamo dinanzi al classico approccio di due pesi e due misure da parte del legislatore: da un lato una norma incostituzionale, confusa e incompleta dall’altro una riforma – quella della legge 184 – che da anni attende di essere avviata per agevolare le adozioni e quindi ridurre il numero di bambini abbandonati.

Ed è in questo punto che sorge il dubbio più grande: siamo davvero sicuri che questa legge, o meglio l’articolo 5, sia uno strumento per tutelare i minori? O sia un brutale escamotage per contestualizzare un assurdo diritto alla genitorialità in assenza delle opportune potenzialità?

Ci troviamo dunque dinanzi ad una scenografia normativa che – sebbene parta da premesse valide – degenera in richieste insostenibili sotto il profilo costituzionale, giuridico, etico, sociale ed antropologico, dinanzi al quale non possiamo coprirci gli occhi perché altrimenti additati come omofobi.

Non è giusto e non è corretto, e questa cosa la dico a gran voce soprattutto ai colleghi che stanno alimentando un dibattito, soprattutto sui media, viziato e falsato.

Quest’Aula come vuole affrontare questi nodi? Con libertà di coscienza o con inciuci ad hoc?

Sono sempre stato sostenitore, e le mie dichiarazioni lo confermano, di un approdo ad una novella mediata e condivisa. Certo, come dicevo, che i diritti individuali delle coppie dello stesso sesso vadano tutelati e regolamentati. Sono disponibile anche all’ascolto di proposte che per quanto coraggiose e discutibili, siano comunque operate nell’ottica di un ragionamento mediato, scevro dell’arroganza normativa che sembra – di contro – aver condizionato la produzione dell’ultimo testo del Cirinnà.

Ho apprezzato il coraggio dei colleghi del Partito Democratico, che nonostante tutto e pur mantenendo la volontà di votare a favore dell’impianto del disegno di legge hanno ribadito a gran voce la loro contrarietà a talune disposizioni in esso contenute. Questo, a mio parere, resta una garanzia di vivacità democratica del confronto.

Per questo mi auguro che non si approdi ad escamotage da prima Repubblica per bypassare questo filtro democratico, ricreando maggioranze à la carte che abbiano come unico fine questo disegno di legge; sarebbe un insulto grave e lesivo della dignità di quanti si stanno adoperando per il dialogo e per il superamento dei tratti più gravi di questo disegno di legge.

Qualora si dovessero ricreare queste spiacevoli condizioni sarò il primo a non votare a favore di questo disegno di legge, al di là del contenuto dello stesso su cui ho ribadito e motivato le mie posizioni.

In conclusione, voglio ricordare un aspetto disarmante nella sua semplicità. La genitorialità non è un diritto che si pretende battendo i pugni o strappando assegni ma un dono di amore che deve ruotare intorno all’unico diritto preminente; quello del bambino che deve poter contare sulla stabilità dei rapporti e sulla complementarietà sacra ed ineludibile di madre e padre.

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