Legislatura 17ª – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 570 del 03/02/2016
SENATO DELLA REPUBBLICA —— XVII LEGISLATURA ——
570a SEDUTA PUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO
MERCOLEDÌ 3 FEBBRAIO 2016
(Antimeridiana)
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Presidenza del vice presidente GASPARRI,
indi della vice presidente LANZILLOTTA
Seguito della discussione dei disegni di legge:
(2081) CIRINNA’ ed altri. – Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze
(14) MANCONI e CORSINI. – Disciplina delle unioni civili
(197) ALBERTI CASELLATI ed altri. – Modifica al codice civile in materia di disciplina del patto di convivenza
(239) GIOVANARDI. – Introduzione nel codice civile del contratto di convivenza e solidarietà
(314) BARANI e MUSSOLINI. – Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi
(909) PETRAGLIA ed altri. – Normativa sulle unioni civili e sulle unioni di mutuo aiuto
(1211) MARCUCCI ed altri. – Modifiche al codice civile in materia di disciplina delle unioni civili e dei patti di convivenza
(1231) LUMIA ed altri. – Unione civile tra persone dello stesso sesso
(1316) SACCONI ed altri. – Disposizioni in materia di unioni civili
(1360) FATTORINI ed altri. – Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso
(1745) SACCONI ed altri. – Testo unico dei diritti riconosciuti ai componenti di una unione di fatto
(1763) ROMANO ed altri. – Disposizioni in materia di istituzione del registro delle stabili convivenze
(2069) MALAN e BONFRISCO. – Disciplina delle unioni registrate
(2084) CALIENDO ed altri. – Disciplina delle unioni civili
(ore 9,39)
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge nn. 2081, 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763, 2069 e 2084.
Ricordo che nella seduta di ieri sono state respinte una questione pregiudiziale e una questione sospensiva e ha avuto inizio la discussione generale.
È iscritto a parlare il senatore Aracri. Ne ha facoltà.
ARACRI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, io credo che gli interventi che mi hanno preceduto, al netto della precisazione peraltro da lei fatta molto prima di intervenire in quest’Aula, stiano a testimoniare il clima in cui si svolge questo dibattito. Sicuramente si è trattato di una battuta infelice, ma noi che siamo schierati su una frontiera diversa veniamo costantemente offesi e dileggiati.
Il giorno del Family day sono stato avvicinato da un soggetto o una soggetta – non si è capito bene – che indossava un vestito da sacerdote e tre croci con dietro un microfono, che me ne ha dette tutti i colori. Domenica, in una zona di Roma, i rappresentanti un’associazione che propagandava tesi contrarie alle unioni civili sono stati aggrediti e la loro sede è stata devastata. Quando, allora, ci si alza in piedi e si va a difendere la libertà, bisogna difendere la libertà di tutti. Questa è solo una delle tante balle, uno dei tanti atteggiamenti strumentali che sta dietro al presunto dibattito sulle unioni civili.
Dietro al titolo inneggiante alla difesa dei diritti e delle minoranze, in realtà la partita è un’altra: è il tentativo di ridisegnare la nostra società attraverso lo ius soli, attraverso il divorzio breve, l’utero in affitto e le adozioni e i matrimoni gay; una società, quindi, dove non ci sono mamma e papà, ma genitore 1 e genitore 2, nella quale, attraverso la pseudocultura gender, si vogliono creare uomini senza anima, senza volto e identità. Si vuole minare la famiglia, che tutte le Costituzioni del mondo hanno inteso tutelare, perché è il fulcro della società e dello Stato e, attraverso essa, si crea il futuro di ogni Nazione.
Uguaglianza e non discriminazione impongono che persone in condizioni simili siano trattate ugualmente, e che persone in una condizione diversa siano trattate diversamente. Il matrimonio non è un mero contratto, ma un atto con cui i coniugi si assumono precisi doveri che si riverberano sulla società, e a tal proposito, tra l’altro, si evidenzia una delle tante bugie che sta dietro a questa storia. Non è, infatti, vero, che alle persone omosessuali non siano riconosciuti gli stessi diritti delle altre persone, degli eterosessuali. I diritti fondamentali, cioè quelli attribuiti dallo Stato (non riconosciuti dallo Stato) sono riconosciuti a tutti. Poi ci sono altri diritti, i cosiddetti diritti accessori, che sussistono qualora si evidenzino alcune necessità, alcune realtà, ma non ledono la dignità della persona umana. Un esempio per tutti: il diritto di voto è dato ai maggiorenni; il minorenne non può votare, ma non per questo è leso nella sua dignità in quanto persona.
Allo stesso modo va evidenziato in questa sede il fatto che non è vero che alle coppie omosessuali non sono riconosciuti i diritti: sono riconosciuti esattamente tutti i diritti delle coppie eterosessuali. E posso citare qualche esempio: la risarcibilità del danno patrimoniale e non patrimoniale, tutto ciò che gira attorno all’abitazione e al tema dei trapianti – e ricordo che, a tal riguardo, il medico deve dare comunicazione al convivente – le assicurazioni e potrei andare avanti. Diciamo chiaramente che l’unica cosa non riconosciuta è legata alla pensione di riversibilità e peraltro, laddove il disegno di legge in esame venisse approvato, vorrei capire con quali soldi andremo a coprire una tale misura. Lo stesso tema economico ritroveremo quando si tratterà di parlare di ius soli a proposito di un milione di cristiani che, con quel meccanismo, verranno immediatamente riconosciuti come italiani.
A questo punto è bene anche dire, in maniera molto chiara e netta, che cosa c’è dietro tutta questa storia. Dietro questa storia ci sono gli interessi delle grandi lobby finanziarie internazionali. Tutti gli studi hanno ormai ribadito che la popolazione LGBT ammonta a circa 25 milioni di persone, mediamente molto ricche – l’ultimo dato disponibile è dell’OMS – le quali, ovviamente, hanno nel loro insieme un potere d’acquisto stratosferico. Nel 2013 la rivista Forbes ha valutato che il mercato mondiale legato alla popolazione LGBT è pari ad oltre 3.000 miliardi di dollari, di cui una buona parte proprio negli USA. Del resto, basta vedere quanto è accaduto in America, durante l’amministrazione Clinton, noto democratico: passò una legge in cui si stabiliva che si sarebbero dovuti riconoscere solo i matrimoni tra persone di sesso diverso che, si chiamava The Defense of Marriage Act (DOMA). Ebbene, contro questa legge si scatenarono quelle lobby e non è un caso che i primi 379 firmatari della mozione ad essa contraria fossero gli amministratori delegati di tutte le grosse centrali finanziarie. Cito solo il CEO della Goldman Sachs, che ha affermato che si tratta di una questione non di diritto, ma di business, di mercato e soldi. Sempre in America – e poi, se volete, parliamo anche dell’Europa (Commenti del senatore Cioffi) – basta scorrere l’elenco dei ricchi, dei vip, dei potenti, dei banchieri che stanno dietro a quelle lobby e ad esse danno i soldi. Faccio qualche esempio al volo: Cliff Asness con 1,5 milioni di dollari; Jeff Bezos con 2,5 milioni di dollari; Bill e Melinda Gates con 500.000 dollari; Daniel Loeb con 1,5 milioni di dollari; Jon Stryker con oltre 2 milioni di dollari. Questa è la realtà: si tratta di un problema che riguarda solo le fasce alte della popolazione, coloro che possono spendere.
Collegato a questo mercato c’è ovviamente quella schifezza chiamata stepchild adoption, e cioè la mercificazione della genitorialità. Non capisco: quando la signor Cirinnà (Commenti della senatrice Cirinnà) era assessore al Comune di Roma, aveva fatto una cosa giusta, stabilendo che alle micie che partorivano non potevano essere allontanati i gattini nei sessanta giorni successivi al parto. Ebbene, quello che vale per i gatti, qui non vale per i bambini, che in questa storia sono l’anello debole.
Basterebbe citare quanto hanno dichiarato personaggi come Gianna Nannini, Elton John o Dolce e Gabbana. (Brusio). Scusate ragazzi! (I senatori Barani e Ruvolo parlano tra loro). Va bene che dovete appoggiare Renzi, ma non rompete le scatole.
PRESIDENTE. Colleghi, qui tutti sono liberi di dire ciò che vogliono, addirittura anche coloro che parlano, essendo iscritti in discussione.
ARACRI (FI-PdL XVII). Questi personaggi, che sono note icone del mondo omosessuale, hanno rilasciato dichiarazioni con molta chiarezza ed onestà. Elton John ha detto che sarà un dramma quando dovrà spiegare al figlio che non ha una mamma. Gianna Nannini ha affermato che non è un diritto avere figli e che i figli devono essere educati e non indottrinati. Dolce e Gabbana hanno chiaramente detto: noi siamo sessuali (Commenti dal Gruppo M5S. Ilarità) e quindi, la natura, e non una legge, ci ha dato questo stato e dobbiamo prenderne atto.
Credo che per affrontare questo tema senza infingimenti, occorra rifarsi alla cosa più semplice e vera, che per altro si vuole negare, ossia la natura, ed è evidente che i figli vengono creati attraverso gli ovuli femminili e i semi maschili. Se un bambino piccolo piange va dalla mamma e di lei chiede; se un bambino ha un problema, chiede del papà. Oltretutto, in aggiunta a questo, occorre citare tutta una sequela di psicologi e di argomenti scientifici, che hanno dimostrato – è riportato dalle più note riviste internazionali – che i minori cresciuti con genitori omosessuali hanno una serie di problematicità in misura assai più notevole e rilevante dei figli cresciuti con una coppia eterosessuale. Potremo citare la ricerca del professor Mark Regnerus, docente presso l’università texana di Austin, comparsa su una rivista scientifica. Questa ricerca – come hanno sottolineato altri professori, tra cui Loren Marks – è la più seria quanto a criteri di analisi, che sono stati tra i più rigidi e scientifici, ed è quella che, ad oggi, ha esaminato il più vasto campione casuale, da cui emerge tutta una serie di problemi che colpisce i figli che vivono con coppie omosessuali.
Un altro elemento che influisce negativamente sulla formazione del bambino affidato a coppie omosessuali è legato alla stabilità e all’esclusività della relazione di coppia: elementi questi che mancano nelle coppie omosessuali. Una coppia eterosessuale – e questo certo non l’ho stabilito io – viene considerata duratura se arriva almeno a venticinque anni di convivenza; una coppia omosessuale viene considerata duratura se arriva a cinque anni; un terzo delle coppie omosessuali sta insieme mediamente meno di due anni; un altro terzo fra i due anni e i cinque anni; l’ultimo terzo più di cinque anni.
Lo stesso discorso vale per l’esclusività della coppia: è dimostrato che più della metà degli uomini e delle donne con tendenze omosessuali nel primo anno di vita di coppia ha almeno un altro partner (Commenti della senatrice Nugnes), con punte del 66 per cento nel mondo della borghesia e dell’alta borghesia. In sostanza, come sostiene una serie di studi (tra i quali quello del Barbagli), negli omosessuali la stabilità dell’unione è tanto maggiore quanto più la coppia è aperta.
Alle stesse conclusioni sono arrivati altri ricercatori, e ne cito solo due: gli statunitensi McWhirter e Mattison, che peraltro – faccio notare – sono omosessuali. Anche un recente studio del collegio americano di psichiatria, che è uno dei massimi organi, evidenzia i rischi dell’infanzia legati allo stile di vita omosessuale dei genitori.
Da ultimo, va menzionato quanto dichiarato dalla docente di psicologia dinamica dell’Università di Pavia, che ha ricordato come Sigmund Freud definisca l’Edipo come l’architrave dell’inconscio, cioè il triangolo che connette padre, madre e figlio, e il gioco di queste parti aiutano il figlio a prendere il posto che gli compete nella geometria della famiglia. Ed aggiunge che non è irrilevante che il figlio di una coppia omosessuale non possa confrontarsi nella definizione di sé con il problema della differenza sessuale. Altri studiosi italiani (uno per tutti, lo psicologo Italo Carta) hanno dichiarato che «le coppie di omosessuali che non solo adottano un bambino ma si fanno ingravidare e inseminare preparino un grave rischio» relativo a tutta una serie di patologie per questi bambini: depressioni, disturbi della personalità, dell’identità, borderline, persone che non sanno chi sono e portano, tra l’altro, al collasso la figura paterna. Ovviamente tutti sottolineano che, laddove passasse questa storia, corre grossi rischi innanzitutto il bambino e, in seguito, la società.
Tutto ciò richiama l’attenzione sulla storia degli uteri in affitto. Ormai in America costa dai 40.000 ai 125.000 dollari farsi confezionare un bambino. Ieri abbiamo assistito alla testimonianza di una donna messicana, ma vissuta in America, che per motivi economici, anni fa, ha affittato il proprio utero: nel 2004-2005 fece un contratto nel quale era previsto che potesse vedere il bambino ogni tot mesi, ma oggi, ai primi del 2016, la coppia omosessuale a cui era stato affidato il bambino è scomparsa; i giudici hanno dato sin qui torto alla donna messicana e addirittura l’hanno condannata a mantenere il bambino, senza poterlo vedere.
È notizia della settimana scorsa che, attraverso un’agenzia nepalese, due omosessuali israeliani hanno ordinato un bambino. L’agenzia nepalese gliel’ha mandato dopo un po’ di tempo ma, dopo aver fatto dei riscontri sui geni ed altro, a quei signori il bambino non stava più bene, per cui è stato impacchettato e rimandato indietro.
All’inizio della seduta si è parlato di diversamente abili, ma ora vorrei sentire quegli illustri colleghi e scienziati che cosa hanno da dire su questa faccenda. Le femministe dove sono finite? Come non si può immaginare la nuova schiavitù dei tempi moderni, dove solamente i ricchi sfrutteranno donne indiane, italiane e africane per fare una tale schifezza? Saranno portati al mondo dei bambini che non sapranno più chi sono e ovviamente, essendo trattati come un pacco postale, ne subiranno tutte le conseguenze.
Per ultimo, sottolineo l’ennesima balla che sta alla base del dibattito. Non è vero che l’Italia è ultima: segnalo che in più dell’85 per cento dei 193 Paesi che aderiscono all’ONU sono vietati i matrimoni tra gay, gli uteri in affitto e tutto ciò che ne deriva. Questo è un problema che oserei definire solo europeo. Peraltro, anche in Germania e Francia ciò è vietato.
Questa Europa, che nelle ultime ore sta dimostrando la sua fragilità, che è un’Europa dei banchieri, dei broccoletti e dell’acquisto delle papere, non è unione dei popoli. Non può interessarsi dei destini e delle sorti di ogni Nazione perché ciascuna ha la sua cultura, la sua tradizione e storia. Provassero a frenare l’immigrazione dei migranti e dei terroristi se ne sono capaci, e lasciassero in pace le famiglie italiane. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Filippin. Ne ha facoltà.
FILIPPIN (PD). Signor Presidente, onorevoli senatrici e senatori, nel tempo limitato che mi è concesso non parlerò della necessità per il nostro Paese di dotarsi di un istituto che riconosca i diritti e doveri della «unione omosessuale intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia», come afferma la nostra Corte costituzionale nella ormai celebre sentenza n. 138 del 2010. Altri lo hanno fatto e lo faranno dopo di me. Io, invece, vorrei andare direttamente sul punto di maggior contrasto, sulla linea che divide, nel cuore delle polemiche, visto che, almeno a parole, tutti in quest’Aula – tranne, forse, il senatore Aracri – riconoscono il diritto di ogni cittadino a vivere liberamente la relazione affettiva, a prescindere dal proprio orientamento sessuale.
Io vorrei parlare di bambini, di figli e del presunto diritto o pretesa degli adulti ad essere genitori. Io parlerò solo dell’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà che molti di noi hanno sottoscritto.
Qualcuno sostiene che l’articolo 5 del disegno di legge n. 2081 riconosce al cittadino di orientamento omosessuale o – peggio ancora – alla coppia omosessuale il diritto ad un «figlio», un diritto che nessun adulto, ovviamente se omosessuale, dovrebbe avere; un diritto inteso come realizzazione di un proprio desiderio, come un diritto sulla persona, come se essa fosse un oggetto di proprietà. Ebbene, nel disegno di legge Cirinnà non c’è nulla di tutto questo. Anzi, è proprio l’assenza di ogni riferimento ai diritti o doveri connessi all’essere genitori e, dunque, alla procreazione a contraddistinguere l’unione civile dal matrimonio e dalla società naturale che su di esso si fonda.
Nella prima stesura del disegno di legge Cirinnà c’era un esplicito riferimento all’articolo 147 del codice civile che, per chi non lo conosce, disciplina i doveri verso i figli. È stato tolto. C’era il riferimento all’articolo 148 sul concorso dei genitori negli oneri economici. È stato tolto. Si prevedeva che, nel certificato che attesta l’unione civile – al pari del certificato di matrimonio – fossero riportati i dati anagrafici di eventuali figli minori dell’unione civile. È stato tolto anche questo. C’è l’esplicita esclusione della adozione. I cittadini omosessuali non possono accedere all’adozione legittimante prevista dalla legge n. 184 del 1983.
Informo i colleghi, che evidentemente non conoscono questa legge, che sin dal lontano 1983 il legislatore ebbe la lungimiranza di pensare che, pur di dare una stabilità simil-famiglia a un bambino, non è necessario che la coppia sia regolarmente sposata. Quel legislatore ebbe la lungimiranza di prevedere l’istituto dell’adozione speciale, alla quale tutti possono accedere, persino le persone sole. E vi scandalizzerò: possono accedervi persino gli omosessuali, purché i bambini non possano essere adottati dalle cosiddette famiglie naturali o tradizionali, cioè dalle coppie ritualmente e serenamente sposate. Già nel 1983 il legislatore aveva ben chiaro che il primo obiettivo è proteggere i bambini. (Applausi dal Gruppo PDe delle senatrici Bencini e Simeoni).
Nella proposta di legge Cirinnà – benché si voglia continuare a dire questa cosa – sono rimasti intatti tutti i divieti previsti dalla legge n. 40 del 2004. Non è minimamente toccata la legge n. 40. Come fa, allora, il disegno di legge Cirinnà, che non tocca affatto questo punto, ad avere effetti su un tema completamente diverso? Vogliamo discutere di maternità surrogata? Vogliamo discutere di procreazione? Vogliamo discutere di fecondazione eterologa? Benissimo: facciamolo nella sede opportuna, e cioè nella legge di revisione della legge n. 40. (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Simeoni).
Insomma, alla domanda se questo disegno di legge riconosce alla coppia dello stesso sesso il diritto ad essere genitori la risposta, colleghi, è no. È una risposta che personalmente mi crea dubbi e che non condivido, ma è un dato di fatto.
Certo, c’è l’articolo 5. C’è la possibilità di accedere all’adozione del figliastro in base all’articolo 44 della legge n. 184 prima citata, o meglio di chiedere l’estensione della responsabilità genitoriale sul figlio legittimo del proprio partner. Perché è stato previsto questo istituto? Il legislatore non può ignorare la realtà, non può chiudere gli occhi e far finta di non vedere.
Vi scandalizzerò di nuovo. I cittadini omosessuali fanno figli. Li possono generare in modo assolutamente naturale, per una accettazione o comprensione tardiva del proprio orientamento sessuale o per una esplicita scelta. Oppure possono generarli grazie alle tecniche che la scienza moderna mette a disposizione, tecniche nella maggior parte dei casi vietate in Italia, ma consentite e legalizzate in altri Stati, ai quali spesso noi italiani guardiamo come modello o punto di riferimento.
Gli omosessuali possono generare figli e, a meno che non si impedisca con la forza, con la sterilizzazione o chissà in che altro modo (Applausi dal Gruppo PD e delle senatrici Bencini e Simeoni), i bambini figli di omosessuali o di lesbiche ci sono, ci sono e ci saranno. Per quante leggi si scrivano, per quanti muri si erigano, per quanti reati o pene si prevedano, i bambini ci sono adesso e ci saranno anche domani.
Al legislatore, allora, a chi siede – pro tempore – in quest’Aula spetta quest’unica scelta: se occuparsi di questi bambini, dando loro tutte le tutele, la protezione e la cura che il nostro ordinamento consente, oppure ignorarli, chiudere gli occhi e far finta che non esistano, o – peggio ancora – dare loro, consapevolmente, minor tutela e minori diritti perché figli di un omossessuale o di una lesbica.
Questa è scelta che dobbiamo fare, colleghi. (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Simeoni).
Dobbiamo decidere se Giulio, due anni o poco più, un caschetto sulla testa e la certezza che da grande farà il poliziotto, per il solo fatto di essere stato generato da una donna che è ricorsa alla fecondazione eterologa, avrà sempre e soltanto un solo genitore legale, anche se accanto a sua madre c’è un’altra donna che ha condiviso sin dal primo momento la sua vita, si è occupata di lui, lo cura, lo educa, lo mantiene e vorrebbe continuare a farlo anche nel caso, malaugurato, in cui finisca il rapporto affettivo e la convivenza con la madre di Giulio.
Dobbiamo decidere su Teresa, diciotto mesi, che indossa delle vezzose scarpette rosse, che ha un papà ma è stata generata in California con l’aiuto di una madre surrogata e, dunque, con un’azione che in Italia è illegale, non consentita, punita come reato. Ebbene, dobbiamo decidere se Teresa, per il solo fatto che suo padre l’ha generata in questo modo, sarà punita con un trattamento giuridico diverso rispetto a qualsiasi altra bimba figlia di un solo uomo che, però, ha una moglie o una compagna di vita di sesso diverso, i quali quindi possono accedere all’adozione speciale ex articolo 44 della legge n. 184 del 1983.
Questa e solo questa è la scelta che dobbiamo fare votando sì o no all’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà: se, pur condannando il modo con cui questi bambini sono nati, pur ritenendolo illegale o immorale, noi ad essi dobbiamo dare tutela piena oppure, proprio perché generati tramite atti ritenuti immorali o illegali, a questi bambini noi riconosciamo solo minori diritti. (Applausi dal Gruppo PD e delle senatrici Repetti e Simeoni).
Per me questa scelta è obbligata. Se ho a cuore i bambini, il loro benessere, la loro tutela, non posso negargli di avere, accanto a quello legale (o naturale), un altro genitore, con pienezza di doveri e responsabilità nei suoi confronti, se ciò risponde al superiore interesse del bambino. Non lo dico io: lo dice già il nostro ordinamento. Lo dicono le convenzioni internazionali. Lo dicono i nostri tribunali.
Che ci dicono ora i tribunali per i minorenni? Va valutato in concreto ciò che può comportare maggior utilità per il minore, nella prospettiva del pieno sviluppo della personalità e della realizzazione di validi rapporti interpersonali. Così si tutela il supremo interesse del minore, con il riconoscimento di rapporti di genitorialità più compiuti e completi, perché questo assicura la continuità affettiva con il genitore “sociale”, ovvero con chi già si prende cura stabilmente del bambino, e si garantisce che il genitore “sociale” non verrà meno agli obblighi di assistenza e alle proprie responsabilità, anche patrimoniali, nei confronti del bambino.
Mi si dice che questi bambini sono già tutelati. Ma, se Giulio si facesse male e la madre legale fosse lontana, chi potrebbe prendere le decisioni per le sue cure mediche? Non l’altra “mamma”. Così come non potrebbe iscriverlo a scuola, parlare con gli insegnanti, portarlo al calcio, accompagnarlo in auto. L’altra “mamma” – senza estensione della responsabilità genitoriale – non avrebbe alcun potere, e nemmeno responsabilità o diritti nei confronti di Giulio.
E se il papà di Teresa dovesse ammalarsi o, ahimè, morire? Certo, l’altro papà potrebbe chiedere di occuparsene, ma nel frattempo che accadrebbe di Teresa? Allontanata dagli affetti, dalla sua casa, dalla sua stabilità, dovrebbe sperare nella benignità dei parenti del padre legale (se ci sono) e nell’intelligenza e lungimiranza dei giudici del tribunale dei minorenni, che per fortuna ci sono. Non devono essere eletti i giudici e non hanno piazze cui rispondere o voti da conquistare; devono fare solo ciò che è il superiore interesse del minore.
Ho sentito tanti slogan in questi giorni. Ne aggiungo uno io: «I bambini non si toccano, da chiunque siano generati. I bambini si proteggono, chiunque sia il loro genitore. I bambini sono tutti uguali, chiunque sia chi li ha messi al mondo». (Applausi dal Gruppo PD e del senatori De Cristofaro e Repetti. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Aiello. Ne ha facoltà.
AIELLO (AP (NCD-UDC)). Signor Presidente, l’impatto che il dibattito pubblico e d’Aula sulle unioni civili sta attualmente avendo sulla società e sulle sue dinamiche ci impone di partire preliminarmente da una riflessione su quello che è il sentire comune, trasversalmente presente nel Paese, su questo tema, rifuggendo da qualsiasi approccio meramente ideologico sulla questione. Una manifestazione come quella avvenuta il 30 gennaio scorso, il Family day, ha dimostrato come la società sia pronta a mobilitarsi e a scendere in piazza per difendere la Costituzione materiale e formale e una visione della società che valorizza e protegge la famiglia come da sempre è stata concepita, quale società naturale fondata sull’unione tra un uomo e una donna. Vorrei sottolineare, signor Presidente, che si sta parlando da posizioni assolutamente laiche, seppure nel malinteso, ma molto diffuso significato che si attribuisce a questo termine. È infatti un grossolano errore pensare che una questione di straordinario interesse, come l’introduzione di un riconoscimento alle unioni di fatto, possa essere presentata come un conflitto tra clericali e progressisti.
C’è qualcuno che sostiene che essere laico non significa essere contro la Chiesa; e ciò corrisponde certamente al vero. Si sostiene poi che il laico non si schiera su questioni religiose; ma questo, signor Presidente, non è possibile, in quanto chiunque, ma soprattutto il mondo che si definisce laico, non può ritenersi disinteressato nei confronti di una drammatica rivoluzione legislativa che, se votata, inciderebbe profondamente sulla nostra società, trasformandola ma soprattutto modificando gli assetti all’interno dei quali i nostri figli saranno costretti a vivere.
Chi conosce la storia sa perfettamente che questa non si sviluppa per accrescimenti lineari, ma implica anche drammatiche involuzioni. Reclamare soltanto la categoria del diritto, ignorando quella dei doveri, non necessariamente comporta un effettivo progresso sociale. Noi italiani dovremmo saperlo, esperti come siamo degli effetti disastrosi, che non riusciamo ancora a riparare, di tante iniziative che, presentate come eccezionalmente positive e sicuramente migliorative, hanno invece distrutto la nostra società. Qui rischiamo una drammatica replica di errori già commessi.
La famiglia eterosessuale, in quanto famiglia naturale fondata sul matrimonio, è la sola riconosciuta dalla Costituzione, perché orientata alla procreazione, al mantenimento, all’istruzione dei figli e alla tutela della maternità; essa quindi è l’unica a meritare i benefici e le provvidenze che la legge le destina e che non possono esserle sottratte, distraendole a vantaggio di ogni altro genere di unioni. La stessa Corte costituzionale ha sancito che il significato del precetto costituzionale dell’articolo 29 non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa.
Si deve ribadire dunque che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto uomo-donna.
A tal proposito, signor Presidente, ci piace ricordare l’autore francese Jean-Pier Delaume-Myard quando, nel suo ultimo interessante lavoro «Non nel mio nome» descrive il suo vivere in coppia omosessuale ma il suo essere contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non per motivi di unione tra due persone che si amano, ma per il problema fondamentale del bambino ed il suo diritto ad avere un padre, una madre e dei nonni. Come sostiene Delaume-Myard: quali sarebbero stati i riferimenti del bambino? No al bambino oggetto.
Quindi, signor Presidente, il presente disegno di legge, introducendo una evidente sovrapposizione tra matrimonio e unioni civili – identiche sono le modalità di celebrazione, di scioglimento e gli impedimenti, perfettamente simmetrici i diritti e i doveri tra coniugi da una parte e partner dell’unione civile dall’altra – va nella direzione opposta rispetto a quello che la Corte ha espresso. Sembra, inoltre, una vera e propria finzione giuridica identificare l’unione civile quale specifica formazione sociale, distinta dalla famiglia tradizionale, salvo poi richiamare esplicitamente per essa tutti i riferimenti del codice civile sulla disciplina della famiglia.
Delle due l’una: o si considera l’unione civile una formazione sociale a sé stante e di conseguenza si elimina dal testo qualsiasi riferimento agli articoli del codice civile sul matrimonio e la famiglia tradizionale o, al contrario, si equipara alla stessa.
Come richiamato anche dal collega Sacconi nell’illustrazione della questione pregiudiziale di costituzionalità, innanzitutto l’insieme del provvedimento, soprattutto nella sua prima parte, trova molti aspetti che si pongono in netto contrasto con l’esistenza nell’ordinamento italiano del cosiddetto favor familiae, cioè della tutela accordata alla famiglia. Qualora sia necessario per la tutela dei suoi diritti, la Costituzione non solo consente, ma impone al legislatore di istituire un regime speciale a favore della famiglia, diverso da quello comune, formalmente in deroga al principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, ma in realtà in coerenza con l’eguaglianza sostanziale richiamata dal comma 2 della disposizione.
Il trattamento di favore può anche gravare in maniera significativa sulla collettività e talora incidere direttamente su diritti di soggetti terzi rispetto al rapporto matrimoniale. Si considerino, ad esempio, le provvidenze e le esenzioni fiscali attribuite alle famiglie, sia pure in misura in concreto inferiore rispetto a quanto avviene in altri Stati, o la pensione di reversibilità a favore del coniuge, con conseguente significativo – ma costituzionalmente giustificato – aggravio per il bilancio pubblico a carico della collettività.
Ora, il disegno di legge cosiddetto sulle unioni civili estende il regime che è previsto per i coniugi e per la famiglia a forme di convivenza tra persone dello stesso sesso. Tale estensione è priva di ragionevole giustificazione per coloro che sono legati da forme di convivenza che, non essendo basate sul dimorfismo sessuale, si differenziano nella sostanza dalla famiglia e non ne condividono quella funzione sociale che ne giustifica il regime speciale di cui gode nell’ordinamento. Nell’assimilare al regime della famiglia quello di una formazione sociale diversa viene facilmente violato il principio di cui all’articolo 3, primo comma, della Costituzione che impone al legislatore di trattare fattispecie eguali in modo eguale e fattispecie diverse in modo diverso. Estendere i benefici previsti per il matrimonio ad altre forme di convivenza, come vorrebbe il disegno di legge in esame, svilisce il significato della preferenza costituzionale per la famiglia, come precedentemente richiamato.
Certo, la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea riconosce che gli Stati membri sono liberi di dare o no un riconoscimento pubblico alle convivenze; ma se il legislatore decide di dare tale riconoscimento, la stessa Corte esige che alle convivenze siano garantiti i benefici propri della famiglia fondata sul matrimonio. Noi intendiamo rispettare il dettato costituzionale difendendo l’unicità dell’istituto della famiglia.
A tal proposito, non può trascurarsi la portata dell’articolo 81 della Costituzione, che risulta manifestamente violato in relazione all’insufficiente copertura di bilancio riferita alle norme sull’estensione della pensione di reversibilità al componente superstite dell’unione civile. Le disposizioni sulla contabilità pubblica impongono di valutarne gli oneri nel momento in cui gli effetti si producono a regime, quindi “almeno” per dieci anni e in realtà nel tempo in cui si determina la mortalità media dei contraenti l’unione civile; il testo in esame assume invece a riferimento solo il decimo anno nel quale, per evidenti ragioni, il tasso di mortalità è ovviamente inconsistente e ben lontano dai valori cui le norme esplicano il loro compiuto effetto dando luogo ad una spesa obbligatoria di ben altra dimensione.
È stata poi la sentenza n. 138 del 2010 della Corte Costituzionale a chiarire che la legislazione in materia di matrimonio non discrimina le coppie di persone dello stesso sesso, che al matrimonio non possono accedere, specificando che esse non sono a questo omologabili: stabilire, quindi, l’applicazione alle unioni civili di tutte le norme relative al matrimonio, come fa l’articolo 3 del disegno di legge, rappresenta una violazione del principio di uguaglianza, in applicazione dei principi della sentenza n. 138 e dei principi maturati nella prassi interpretativa dell’articolo 3 della Costituzione nei molti decenni di attività della Corte costituzionale, poiché significa trattare in modo uguale situazioni sostanzialmente diverse.
La parificazione al coniuge realizzata dall’articolo 3 del disegno di legge soltanto in favore di colui o colei che sia parte di un’unione civile discrimina, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione, tutte le altre categorie di persone che non possono accedere al matrimonio, quali richiamate all’articolo 2 del disegno di legge: in particolare tutte le categorie di soggetti cui il matrimonio è parimenti impedito ai sensi degli articoli da 84 ad 89 del codice civile (minori, interdetti, già coniugati, parenti o affini, condannati per gravi delitti, donne in recente lutto vedovile). Non vi è, inoltre, alcuna ragionevolezza nel superare l’impedimento all’unione civile, parificata al matrimonio, per la sola categoria delle persone dello stesso sesso.
Per non dire poi dell’articolo 2, comma 6, che dispone quanto alla scelta del cognome, disposizione civilistica questa inevitabilmente connessa ai bisogni di una famiglia eterosessuale, perché costruita sulla procreazione e quindi sulla trasmissione ai figli del cognome dei genitori, e del concetto di fedeltà, di cui all’articolo 3, comma 1, che si è nel tempo dilatato rispetto agli originari confini, prevalentemente coincidenti con la esclusività nel rapporto sessuale, ed oggi è orientato nella più ampia direzione della relazione affettiva e sessuale nell’ambito della vita familiare. Esso assume così un rilievo pubblicistico anche alla luce dell’istituto civilistico della presunzione di paternità, come tale collocato nell’ambito della famiglia eterosessuale.
Analoghe conclusioni, signor Presidente, si possono trarre con riguardo al potere delle parti dell’unione civile di fissare la residenza comune, concordando tra loro l’indirizzo della vita familiare, dato che risulta difficile pensare che una simile previsione sia giustificata in un contesto di famiglia non in grado di procreare, e alla qualità di erede necessario riconosciuta al partner dell’unione civile, laddove la corrispondente disposizione del codice civile individua come tali soltanto gli ascendenti, discendenti e il coniuge. In altri termini, soggetti legati al de cuius da rapporti di parentela connessi alla capacità di procreare.
Quanto detto finora riguarda la regolamentazione dei diritti dei componenti l’unione, persone che possono compiere autonomamente le scelte che ritengono migliori per se stesse. Ma il presente disegno di legge non si limita a questo. Mi accingo ora ad analizzare il punto più delicato e al tempo stesso il più divisivo di tutto il disegno di legge, in quanto suscettibile di sconvolgere per sempre la visione della famiglia alla quale siamo tutti abituati, quella che tutti conosciamo, anteponendo gli interessi e i diritti degli adulti a quelli del minore, che nulla può decidere per se stesso: la questione del riconoscimento della cosiddetta stepchild adoption a favore del figlio di uno dei componenti l’unione civile.
Non ci si può esimere dal sottolineare come l’articolo 5 del disegno di legge nell’estendere l’adozione non legittimante permessa al coniuge dall’articolo 44, lettera b) della legge n. 184 del 1983, contravvenga all’articolo 31 della Costituzione secondo il quale la Repubblica protegge l’infanzia favorendo gli istituti necessari a tale scopo e all’articolo 117 della Costituzione, secondo il quale «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
L’Italia ha infatti ratificato e resa esecutiva con la legge n. 176 del 1991 la Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo; gli articoli della Convenzione prevedono il rispetto dell’interesse superiore del minore (articolo 2), il diritto del minore al legame con i propri genitori (articoli 7, 8) e in caso di adozione una verifica della situazione del minore «in rapporto al padre e alla madre» (articolo 21).
L’adozione prevista dall’articolo 5 e la possibilità di realizzare quella internazionale lasciata aperta dal comma 4 dell’articolo 3 del disegno di legge non prevedono alcuna verifica dell’interesse preminente del minore e del rispetto dei suoi diritti quali previsti dalla Convenzione di New York. È comprensibile e lecito il desiderio di un figlio, ma il desiderio di per sé non costituisce un elemento sufficiente per la sua traducibilità in una pretesa, tantomeno in un diritto.
Non esiste in capo a nessuno – omosessuale o eterosessuale – il diritto ad avere un figlio.
L’intero ordinamento minorile, che costituisce coerente applicazione degli articoli 31 e 117 della Costituzione, con riferimento alla predetta Convenzione di New York, riconosce l’esistenza non di un diritto dell’adulto ad adottare, ma del minore ad avere una famiglia. Famiglia vuol dire esplicitamente – nel rispetto degli articoli 29 e 30 della Costituzione – duplicità di figure di genitori e non duplicazione della stessa figura. Mettere, come avviene nel disegno di legge in questione, il primo presunto diritto al posto secondo significa ridurre il minore a un oggetto (si ha diritto a qualcosa, non a qualcuno) e ciò contrasta, oltre che con le norme costituzionali appena menzionate, anche con l’articolo 2 della Costituzione.
Il capovolgimento di prospettiva conduce logicamente alla legittimazione, attraverso le norme del disegno di legge, della deprecabile pratica della cosiddetta maternità surrogata. La costruzione del diritto dell’adulto ad avere un figlio può trovare seguito nell’adozione come nella gestazione da parte di una madre biologica, dopo che altra donna ha ceduto il proprio ovulo. Ciò, oltre a porsi in palese violazione con le norme costituzionali riguardanti i figli in precedenza menzionate, contrasta con l’articolo 32 della Costituzione per i gravi rischi – sui quali vi è ampia letteratura – che determina per la salute delle donne interessate dalla pratica stessa. L’utero in affitto rappresenta obiettivamente la pietra angolare dei futuri percorsi dell’uomo.
È davvero paradossale che, dopo le doverose mobilitazioni contro il turismo sessuale o il lavoro minorile, molti di coloro che le hanno enfatizzate non avvertano l’analogo dovere di proteggere le madri costrette dal bisogno a partorire e a consegnare il loro figlio. Per non dire dei diritti dei minori. Lasciare che una norma apra pericolosi spazi per questa odiosa pratica significa acconsentire alla separazione delle nascite dagli elementi procreativi di una relazione affettiva, accettare il commercio dell’umano contro la nostra tradizione solidale e la selezione della specie, superare quella diversità genitoriale necessaria nel percorso individuale di ciascuno. Tutte conclusioni cui non possiamo permetterci di arrivare.
Per concludere, sono quindi tre le condizioni che si impongono come necessarie per un proficuo prosieguo del dialogo parlamentare sulle unioni civili, come più volte espresso anche dai miei colleghi nei giorni scorsi, e che oggi mi sento di ribadire a mia volta. Primo: via ogni riferimento al matrimonio senza rinvii al codice civile; secondo: via le adozioni dall’articolo 3, comma 4, e dall’articolo 5, senza alcuna subordinata; terzo: utero in affitto e traffico di elementi procreativi diventino reato, non solo interno ma anche universale, per la nostra legislazione penale. (Applausi dal Gruppo AP (NCD-UDC)).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Del Barba. Ne ha facoltà.
DEL BARBA (PD). Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame affronta il tema delle unioni civili omosessuali e delle convivenze, aspetti che riguardano la vita concreta dei nostri cittadini; importanti questioni di principio, certamente, e fondative della nostra società, che interpellano di conseguenza la nostra stessa coscienza di popolo, costringendoci ad esaminare profondamente la nostra identità, a riaprire dibattiti in passato svolti in maniera lacerante, ad affrontare ritardi e blocchi sociali, che più comodamente, magari, avremmo preferito lasciare per un’altra stagione politica più consolidata, meno densa e frammentata.
Dovremmo, colleghi, avere la consapevolezza della gravità del compito che ci è affidato e che abbiamo assunto, ma al contrario mi pare in atto un tentativo di ristabilire improbabili glaciazioni bipolari: un bipolarismo etico che assomiglia più a furberie fuori moda e rappresenta il riflesso incondizionato di una certa politica, che non sa fare altro che rifugiarsi nelle rispettive piazze, ergersi a paladina dell’una o dell’altra parte, chiamate surrettiziamente in gioco, evitare le proprie responsabilità chiedendo il rinvio della partita per impraticabilità di campo.
Certo, l’ostruzionismo esacerbato esercitato in Commissione giustizia ha impedito di fatto ai nostri colleghi di terminare efficacemente un percorso, di operare quelle mediazioni alte che servono in queste occasioni, lasciando all’Assemblea, alla complessità dei rapporti tra i Gruppi, alla difficoltà di individuare maggioranze chiare e coerenti, al buio di passaggi regolamentari che dovremo compiere in maniera inedita il compito di effettuare una sintesi e recuperare pienamente il senso di questa responsabilità.
Occorre anzitutto riconoscere che il testo che viene presentato obbliga a stare in un sol colpo dentro a tutte le asperità di questo dibattito (non ne risparmia nessuna) e costringe ad un esercizio emendativo non facile, assolutamente parziale anche rispetto alle intenzioni dei singoli proponenti, per l’impossibilità tecnica di richiudere dentro emendamenti volontà che dovrebbero andare a toccare anche aspetti della nostra legislazione in questa sede non procedibili, come ha ricordato anche efficacemente la collega Filippin. È un’audacia che anche personalmente avrei a suo tempo evitato, essendo uno dei firmatari di un disegno di legge su questo tema che si proponeva di dispiegare la nostra azione a tappe intermedie, tese a risolvere in maniera più radicale i nodi che ci vengono posti, ma nel contempo a favorirne la piena comprensione, evitando inutili fratture e sterili riproposizioni di un passato fallimentare.
Oggi è il tempo del coraggio. Ciascuno di noi, come ha potuto, ha posto in evidenza delle ragioni, senza riuscire, a mio parere, ad abbattere il muro di incomprensione che il passato ci ha consegnato come scomoda eredità. Oggi abbiamo il dovere di avanzare lungo una traiettoria il più possibile condivisa nel Paese, di garantire diritti e di guardare alla concretezza delle situazioni sapendo ribadire tutti i portati di civiltà che la nostra Costituzione ed il nostro ordinamento democratico mantengono ed esprimono già oggi attraverso le differenti modalità che conosciamo.
Dobbiamo essere paladini del Paese e delle riforme cui ci siamo impegnati dando vita e forma a questa legislatura: mi riferisco sia a chi ha aderito alle larghe intese sia a chi non lo ha fatto, ma ha sempre denunciato la propria condanna sul passato e sullo status quo.
Non portare a termine questo iter legislativo sarebbe una sconfitta per tutti e anzitutto per il Paese. Le unioni civili omosessuali sono la risposta urgente, necessaria e coerente alla Costituzione del nostro Paese che questo Parlamento deve indicare con decisione. Tra i tanti emendamenti presentati vi sono tutte le possibilità reali per migliorare il testo giunto in Aula tra mille insidie, cominciando a dare delle risposte anche a quei bambini, cittadini italiani – la più preziosa delle nostre risorse – che ci chiedono una certezza dei propri diritti e delle più ampie tutele. Abbiamo il dovere di avanzare nella direzione che già il nostro ordinamento contempla e di rispondere alle sollecitazioni della nota sentenza n. 138 del 2010 della Consulta, cogliendo l’occasione per precisare meglio gli aspetti più controversi che il nostro faticoso dibattito ha avuto il pregio di far emergere.
Mi avvio a concludere, signor Presidente. Mi pare importante sottolineare il gesto che all’unanimità i senatori del Partito Democratico hanno voluto compiere: riconoscere la necessità inderogabile di arrivare fino in fondo a questo sforzo, garantendone comunque il voto positivo. Non sotterriamo le nostre responsabilità nelle insidie regolamentari, nel buio terreno dei tanti voti giustamente di coscienza e probabilmente a scrutinio segreto: compiamo in questa sede lo sforzo che ancora manca per giungere ad una sintesi politica largamente condivisa, che vada nella direzione indicata dal testo ed eviti quei percorsi a zigzag o – peggio – i ritorni a superate incomprensioni che nulla hanno a che vedere con la stagione riformista cui tutti, con toni differenti, diciamo di volerci appellare.(Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Bencini. Ne ha facoltà.
BENCINI (Misto-Idv). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, gentili colleghi, candidandosi alle primarie come segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi inserì nel suo programma le civil partnership alla tedesca, con la stepchild adoption. Quest’ultimo istituto viene tradotto in italiano in «adozione del figliastro», ma se analizziamo le parole mi piace più tradurle alla lettera: un «passo all’adozione del bambino». Si tratta, quindi, di un preciso istituto giuridico pubblico e non di una sua qualunque riduzione.
Non abbiamo bisogno di fare delle unioni civili all’italiana. Il Partito Democratico ha già deciso sull’argomento quando ha scelto la mozione Renzi con il 70 per cento dei voti congressuali: chi ha scelto Renzi alle primarie lo ha fatto con la consapevolezza che il programma prevedeva questa battaglia di civiltà.
Anche il Movimento 5 Stelle, quando si candidò in campagna elettorale, si impegnò in tal senso. A quel tempo ero ancora nel Movimento 5 Stelle, nel cui programma vi erano i matrimoni egualitari in favore delle coppie formate da individui dello stesso sesso, e ricordo che nel lontano giugno 2013 fu depositato l’Atto Senato n. 393, a prima firma del senatore Orellana, di cui ero cofirmataria assieme a molti altri esponenti del Movimento 5 Stelle. Quindi, chi ha scelto Movimento 5 Stelle ha scelto anche questo obiettivo politico.
Valori e obiettivi politici non sono di proprietà di nessun gruppo politico, ma di tutti coloro che li condividono e li portano avanti impegnandosi nel raggiungere l’obiettivo. Oggi che rappresento in questa sede il Gruppo Italia dei Valori continuo a portare avanti l’impegno preso, in quanto l’Italia dei Valori appoggia il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili perché lo riteniamo al momento un buon compromesso.
Qualcuno di voi senatori del PD, di NCD e di Area Popolare, per non parlare di Lega Nord e Forza Italia, ha avvertito un mal di pancia sull’articolo 5, quello sulla stepchild adoption, quel passo verso l’adozione del bambino che proprio fate faticare a fare. A noi del Gruppo Italia dei Valori viene il mal di pancia invece solo a pensare che qualcuno faccia finta di dimenticare che questi bambini esistono già, sono già nelle nostre famiglie, sono amati e devono essere rispettati. Non si può negare l’uguaglianza tra i genitori. Non si possono privare i genitori dei diritti che dovrebbero avere sui figli che già hanno. Questi bambini, nonostante abbiano due genitori che li amano, sono per lo Stato attualmente orfani, almeno di una delle parti.
Dal tempo di Voltaire e dell’Illuminismo la ricerca scientifica è sempre stata la forza propulsiva di una società civile, interessata a combattere le discriminazioni e il pregiudizio, nel rispetto delle diversità e dei diritti di tutti. Quello che ci si aspetterebbe, all’inizio del terzo millennio, è che ci si affidasse alla ricerca scientifica prima che all’emotività e ai pregiudizi del singolo o alla solennità spesso un po’ cieca della “tradizione”, nel momento in cui ci si confronta con dei temi di cui si dice che siano eticamente sensibili.
Così non è tuttavia neppure oggi quando si parla di unioni civili e di matrimoni per le coppie gay o quando si discute con enfasi assai poco fondata dei danni che deriverebbero ai bambini costretti a crescere con due genitori dello stesso sesso.
Come ci dice Luigi Cancrini, psichiatra e psicoterapeuta, anche se poco se ne parla, tuttavia, la ricerca esiste anche su questo tema ed offre, a chi vuol vedere, dati estremamente chiari su cui vale la pena di riflettere, sfatando il mito, prima di tutto, delle coppie omosessuali come coppie tendenzialmente poco stabili (come ci ha ricordato anche il senatore Aracri portando una serie di dati alla nostra attenzione) e poco interessate a fare famiglia, perché una grande maggioranza dei giovani omosessuali (intorno al 90 per cento) progetta o sogna una vita di coppia stabile e perché una maggioranza consistente di loro (intorno al 60 per cento) progetta o sogna di avere dei bambini.
Questo studio sfata soprattutto il pregiudizio relativo allo sviluppo dei bambini che crescono con coppie dello stesso sesso, perché – cito qui liberamente un lavoro di Salvatore D’Amore e altri, «Coppie omosessuali e famiglie omoparentali», pubblicato su «Thérapie Familiale» nel 2013 – le ricerche effettuate finora dimostrano che i bambini e gli adolescenti cresciuti da genitori omosessuali presentano un grado di sviluppo cognitivo, emotivo e sociale ed un livello di salute mentale e di relazione con i loro pari del tutto sovrapponibili a quelli dei loro coetanei, cresciuti in famiglie eterosessuali; le medesime ricerche dimostrano inoltre che i giovani, con più di dodici anni, cresciuti da coppie omosessuali non differiscono in modo significativo da quelli cresciuti da coppie eterosessuali, neppure per ciò che riguarda l’orientamento sessuale e la stima di sé, oltre che la salute emotiva e psicologica, il successo universitario e le relazioni sociali.
L’unico problema con cui ragazzi cresciuti in famiglie omoparentali si confrontano più dei loro coetanei è, in effetti, secondo i dati delle ricerche svolte fino ad oggi, il pregiudizio cui essi sono sottoposti al pari dei loro genitori. Un pregiudizio che non incide, tuttavia, come abbiamo visto, sulla qualità e sulla serenità del loro sviluppo e che è forte soprattutto nelle situazioni di vita (ad esempio nei piccoli paesi) in cui il controllo sociale è più forte e più povero dal punto di vista culturale.
Nessun problema dunque, per le coppie omosessuali che vogliono avere un figlio? No di certo, ma la qualità delle cure che queste coppie offrono al figlio sono sicuramente all’altezza di quelle offerte al loro figlio dalle coppie eterosessuali.
La scelta di avere un figlio desta spesso però reazioni negative anche al livello delle famiglie di provenienza degli omosessuali, come ben dimostrano ancora Salvatore D’Amore e Roberto Baiocco in una ricerca svolta a Roma sulla transizione verso la parentalità con un campionario di coppie lesbiche (ricerca del 2014) che avevano deciso di intraprendere un loro percorso verso la costruzione di una famiglia. Quella cui ci si trova di fronte ancora una volta, infatti, è la forza del pregiudizio che rende più difficile di quello che dovrebbe essere per queste coppie la scelta di avere un bambino: un pregiudizio che non è in grado di incidere, come abbiamo visto, sul buon esito dell’adozione, ma che può impedire a tante coppie omosessuali di non arrivare a questa scelta.
Riusciremo noi parlamentari a tenere conto anche dei dati di queste ricerche nel momento in cui siamo chiamati a votare secondo coscienza? Riusciremo tutti insieme, noi rappresentanti del popolo italiano, a tenere conto del fatto che chi vuole avere la coscienza pulita deve aver fatto di tutto per conoscere le cose su cui è chiamato a decidere? La ricerca scientifica e la scienza dovrebbero essere più importanti delle proprie reazioni emotive e del pensiero di quelle che potrebbero avere i cittadini elettori nel momento in cui si assumono decisioni importanti che riguardano tutti.
Una politica con la «p» maiuscola dovrebbe tenerne conto, perché poche cose sono importanti come ciò che ci vede impegnati oggi e nei prossimi giorni per combattere il pregiudizio e i danni che da esso vengono determinati. Nella nostra veste di parlamentari laici (perché lo Stato è laico e in queste Aule noi siamo lo Stato), abbiamo l’onere e l’onore di poter ampliare diritti e doveri uguali per tutti.
I bambini li facciamo per il mondo. Quello che compete a chi ne ha la podestà genitoriale è garantir loro amore e cure, il patrimonio, la continuità affettiva, al di là dei propri orientamenti sessuali e del rapporto d’amore che lega le persone. Il primato della famiglia intesa come babbo, mamma e figli credo che possa essere ampliato nel XXI secolo, dal momento che nei fatti è già così, quindi mi pare il minimo legalizzare e riconoscere diritti in tali situazioni. Poi in un Paese libero è giusto che ci sia il libero pensiero e soprattutto, laddove certe scelte non sono condivise e accettate, si è liberi nel proprio intimo e percorso di vita di non farle. A nessun etero o omosessuale è chiesto di andare a fare figli attraverso la maternità surrogata; a nessun etero o omosessuale è chiesto di andare ad adottare figli; a nessun etero o omosessuale è chiesto di fare inseminazioni, fecondazioni assistite quando non possono avere figli. Allo stesso tempo, a nessuna coppia eterosessuale è stato riconosciuto il primato di essere genitori affidabili e migliori di un single o di un omosessuale o di una coppia omoparentale e viceversa. Il mondo è pieno di eterosessuali divorziati, di madri abbandonate, di figli maltrattati, di figli rifiutati, di figli abbandonati nei cassonetti o un tempo alla ruota degli innocenti (come abbiamo noi a Firenze), quindi il punto è sempre lo stesso: garantire amore e cura, ma soprattutto continuità affettiva di chi ha la podestà del bambino.
Mi auguro che la discussione potrà essere nel merito e non ideologica o mediatica. È un momento storico importante per il nostro Paese, sono fiera di poter partecipare alla nascita di questa legge, sia personalmente sia come rappresentante dell’Italia dei Valori. Auguro quindi un buon lavoro a tutti noi e ricordo a tutti che l’amore, ovviamente, non è mai diverso. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Romani Maurizio).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cucca. Ne ha facoltà.
CUCCA (PD). Signor Presidente, il disegno di legge che oggi discutiamo affronta uno dei temi che da sempre ha diviso l’opinione pubblica e le coscienze, ha diviso in schieramenti differenti da quelli abituali anche quelle che sono state in passato e che sono anche oggi forze di maggioranza. Io stesso – lo dico immediatamente per fugare ogni dubbio – nutro delle perplessità su qualche parte di questo testo e ho un’opinione differente rispetto a quella che è stata già espressa anche stamattina dalla collega Filippin, con la quale ho un rapporto particolare di amicizia e di stima, tuttavia non condivido la sua impostazione. Ho evidentemente un’impostazione diversa e soprattutto, pur credendo nei medesimi valori, vorrei assicurarle che io ho a cuore almeno quanto lei le sorti dei bambini, perché in un’impostazione differente non c’è nessun pregiudizio nei confronti dei bambini, non c’è alcuna volontà discriminatoria e – ripeto – abbiamo altrettanto a cuore le sorti dei bambini.
Nel modesto contributo alla produzione legislativa di questo Governo, che ha cambiato e sta cambiando gli assetti della struttura democratica stessa e che cerca di offrire un quadro normativo, economico e sociale in sintonia con l’epoca che stiamo vivendo, i miei riferimenti sono sempre stati e saranno sempre la Carta costituzionale e valori intramontabili come le opportunità, la giustizia, il coraggio e la libertà. Opportunità intese come possibilità che offriamo alle italiane e agli italiani di poter seguire la propria e personale crescita e affermazione, senza discriminazioni che possano provenire da terzi o dal legislatore stesso. Dobbiamo sempre ricordare che non governiamo per noi stessi, non legiferiamo per noi stessi, ma siamo prestati all’Italia per portarne avanti la storia gloriosa di avanguardismo culturale e sociale. Dobbiamo amministrarla come buone madri e buoni padri di famiglia che non scelgono che vita faranno i figli, ma devono darsi da fare per offrire loro gli strumenti per affrontare il proprio futuro. Mi riferisco, dunque, a valori come la giustizia, intesa come diritto, alla pari di tutti gli altri, di non essere discriminati per sesso, razza o religione, e quindi neanche per orientamento sessuale.
Ho enorme rispetto per la Chiesa, la religione cattolica e le altre religioni che liberamente si possono praticare nel nostro Paese, per i movimenti che esprimono legittimamente e convintamente le proprie posizioni, ma diverso deve essere l’approccio di questa Assemblea ai temi che andiamo affrontando, senza cedere a falsi moralismi o a posizioni di ortodossia estrema. Mi riferisco al coraggio, come quello di guardare oltre le nostre certezze e, se mi consentite, in alcuni casi anche oltre le nostre paure. È il coraggio di ascoltare senza preconcetti, ma con la responsabilità, la serietà, il rispetto e la vicinanza, che dobbiamo avere verso ogni nostra e nostro concittadino. Dobbiamo guardare soprattutto ai timori dei destinatari di questo disegno di legge, al loro senso di precarietà e all’impossibilità di vedere un futuro sostenibile. Mi riferisco alla libertà, intesa come lo spazio di affermazione concesso a ognuno di noi, che termina esattamente dove inizia la libertà di un altro individuo. Mi auguro – anzi ne sono certo – che nessuno in questa Aula, ormai nel 2016, voglia affermare che una coppia di donne o di uomini che vive nel rispetto della legge e delle regole, possa in qualche modo intaccare la nostra libertà.
Questo disegno di legge non serve per sconfessare le posizioni di uno o dell’altro, per misurare le forze degli uni o degli altri, ma è la risposta – di certo perfettibile, come qualsiasi provvedimento che adottiamo, ma che costituisce comunque una pietra miliare nella storia del nostro Paese – alla domanda di uguaglianza che viene da tutti gli italiani, o comunque dalla gran parte di essi. Nonostante sia stato ricordato già in questa Assemblea che gli omosessuali dichiarati in Italia sono meno del 2 per cento della popolazione, più del 71 per cento degli italiani riconosce che è giusto offrire anche agli omosessuali che lo vogliono uno status di coppia unita e formalizzata, con diritti e doveri e reciproca cura e assistenza. Il disegno di legge al nostro esame costituisce dunque un atto di civiltà e coerenza, che dobbiamo al nostro popolo, al quale, forse, arriviamo anche con ritardo, dopo lustri di discussioni mai approdati a nulla. È dal 2013 che il testo passa in Commissione per essere modificato e poi modificato ancora. Diamo atto al Parlamento che finalmente ci stiamo mettendo al passo con la realtà.
Sono dunque convintamente a favore dell’impianto del provvedimento, tuttavia non ne condivido l’intero testo, in quanto, come ho avuto modo di dire anche in altri contesti e circostanze, si è forse voluta alzare troppo l’asticella, introducendo temi che hanno destato in me forti perplessità. Il problema, com’è stato già abbondantemente detto, è costituito dall’articolo 5. Credo che non possiamo avallare questo articolo, facendo nostra la chimera del “diritto alla genitorialità”, tantomeno invocando la tutela per i minori. Credo che questi temi – non lo dico solo io, ma eminenti costituzionalisti che citerò in seguito – siano uno specchietto per le allodole, dal quale in tanti sono attratti, senza rendersi conto che il diritto alla genitorialità non è sancito né riconosciuto: credo che questo sia un fatto acquisito. Essere genitori è un legittimo desiderio, un’aspirazione, una responsabilità, un percorso e un dovere, che lo Stato incentiva, ma di certo essere genitori non è un diritto.
A proposito dei minori, il tema dell’interesse preminente del minore ha costituito l’argomento cardine sulla base del quale è stato scritto il testo dell’articolo 5. Ebbene, io non concordo con tale visione del tema, ritenendo che l’asserita tutela del minore mascheri invece la volontà di favorire gli interessi o, se preferite, i desideri dei componenti la coppia. Tra l’altro, ho da sempre manifestato perplessità sull’adozione, non per l’istituto in sé, ma perché semplicemente mi rendo conto – come è stato già detto – che oggi l’istituto, così com’è regolato dalla legge, necessita di una seria rivisitazione. Mi sono fatto anche parte diligente, chiedendo che si procedesse immediatamente alla rivisitazione dell’intero istituto, perché se così non si facesse, sicuramente si creerebbero delle disparità di trattamento, che già con l’approvazione del testo attuale verrebbero a crearsi, ad esempio tra coppie omosessuali, rispetto a coppie di sesso differente.
L’approvazione della norma così com’è non supera problematiche di rilevante importanza e materializza, come dicevo, la discriminazione per le coppie eterosessuali inquadrate in questa legge; non pone le dovute precauzioni alla possibilità dell’affermarsi di pratiche di mercificazione della maternità, che la cronache ci dicono essere in aumento, dando ancora spazio alla mortificazione dell’umanità stessa e in generale alla tratta dell’essere umano e della donna in particolare.
E allora c’è domandarsi se forse l’istituto dell’adozione non sottenda semplicemente a mascherare e legittimare la pratica dell’utero in affitto, che in Italia è vietata in forza della legge n. 40 del 2004.
Flick, Mirabelli e De Siervo sono tre eminenti costituzionalisti, tutti Presidenti emeriti della Consulta, che hanno manifestato le loro perplessità sul contenuto dell’articolo 5. Secondo la loro autorevole opinione, non vi sarebbe necessità di alcuna previsione normativa esplicita, posto che l’attuale legge sulle adozioni sarebbe sufficiente a dare risposta alla preoccupazione del genitore naturale per le sorti del figlio attraverso l’istituto dell’adozione speciale, che già altre volte è stata riconosciuta. I tre giuristi citati, seppure con sfumature diverse, affermano che l’articolo 5, lungi dall’assicurare tutela al minore, persegue piuttosto gli interessi degli adulti e la loro aspirazione ad utilizzare la maternità surrogata per poi estendere la genitorialità al partner, aprendo quindi la strada all’illegalità, in considerazione dei divieti posti dalla legge n. 40 già citata.
A questo punto dico: usciamo da questa ipocrisia.
Si badi che De Siervo, che era nella Corte costituzionale che aveva pronunziato la nota sentenza del 2010, che ha costituito l’impulso finale alla regolamentazione della materia, oggi, sull’articolo 5, pensa ciò che ho appena esposto.
Ho sentito dire che è corretto approvare anche l’articolo 5 perché molte coppie etero ricorrono, nonostante il divieto, alla pratica dell’utero in affitto recandosi all’estero, quindi è giusto consentirlo anche alle coppie omosessuali. Mi sta bene, ma ribadisco: usciamo dall’ipocrisia e diciamolo apertamente. Non manteniamo una situazione considerata illegale continuando a legittimarla dicendo che i bambini ci sono. Badiamo ai bambini che ci sono e c’è già una normativa che lo consente.
A questo punto vi faccio notare che c’è un emendamento che potrebbe evitare che la pratica dell’utero in affitto possa essere ancora esercitata. Si tratta di un emendamento che prevede che tale pratica venga considerata condannabile anche in Italia seppure commessa all’estero: approviamo questo emendamento e usciamo dall’ipocrisia. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Giovanardi e Quagliariello). Diciamo che la pratica dell’utero in affitto è assolutamente vietata e condanniamola. Se effettivamente la volontà è solo quella di tutelare i bambini che ci sono, la legge già prevede delle tutele.
Se ragionassimo diversamente, dovremmo uscire dall’ipocrisia. Ma i sostenitori di questa strampalata teoria dovranno poi giustificare davanti all’Italia e agli italiani il mercimonio che inevitabilmente si farebbe delle donne che, per bisogno economico o, peggio, per cupidigia e avidità di denaro, si prestassero a portare avanti una gravidanza rinunciando al proprio figlio biologico, per consegnarlo ai richiedenti al momento della nascita, privando però anche il bambino del suo genitore biologico, spezzando quel rapporto di simbiosi che si sviluppa tra madre e figlio sin dal momento del concepimento.
Queste perplessità le ho esposte, le ho ancora e non sono state fugate e, credetemi, sono aperto a qualsiasi soluzione che mi convinca, che possa fugare queste perplessità e che consenta di risolvere i problemi che mi sono posto e che ho posto anche gli altri. Ad oggi, francamente non condivido e continuo a non condividere quella parte della legge.
Poiché le opinioni di tutti quelli che siedono in quest’Aula dovrebbero essere sempre improntate al senso di responsabilità, al desiderio di contribuire al dibattito nell’interesse collettivo piuttosto che essere indirizzate a profitti elettorali o alla ricerca di popolarità, l’auspicio è che si continui a discutere fino a quando non andremo alle votazioni, per cercare una soluzione che possa essere condivisa e che possa risolvere problemi che inevitabilmente sorgerebbero se la legge dovesse essere approvata così come è, con l’articolo 5.
Noi non possiamo stabilire che le unioni civili siano formazioni sociali specifiche e poi connettere le stesse al quadro normativo afferente alle coppie legate da matrimonio, senza creare disparità e discriminazioni rispetto ad altri soggetti o situazioni. E per tutti, cito il caso dell’adozione da parte di un soggetto singolo.
Cerchiamo di risolvere tutti questi problemi. Continuiamo a discutere. Se tutti insieme facciamo un passo indietro e proviamo a confrontarci, affrontando il tema alla luce delle tante riflessioni di ordine giuridico e sociale che hanno contribuito al dibattito, nell’ottica di un lavoro proficuo ed in direzione degli epocali cambiamenti sociali che vengono profilati da questa nuova normativa, credo si possa trovare una soluzione. Io stesso voterò convintamente a favore dell’impianto della legge, perché ne condivido il contenuto, e sono assolutamente pronto a trovare una soluzione che dia le risposte ai problemi di cui ho parlato in precedenza. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Nugnes. Ne ha facoltà.
NUGNES (M5S). Signor Presidente, siamo in ritardo e non lo siamo solo per la direttiva europea, ma perché le famiglie arcobaleno esistono già. Là fuori già ci sono; semplicemente sono, al di là di noi e delle nostre discussioni.
Quando ho cominciato a dire in famiglia che avremmo discusso questo disegno di legge, i miei figli hanno sgranato gli occhi e mi hanno chiesto: perché? Non è già così? Ci vuole una legge? Per i bambini ed i giovani il problema non si pone, perché questa trasformazione, questa evoluzione delle famiglie è già nei film, nei telefilm e nella letteratura. Stiamo parlando di cose che già dovrebbero essere nei fatti perché nei principi fondamentali contenuti negli articoli 2 e 3 della Costituzione tutto questo è già dato. L’articolo 2 dice: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazione sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Ricordiamo infatti che in questa legge noi chiediamo dei diritti, ma anche l’adempimento di doveri, ai soggetti che si impegnano in questa faccenda. In Italia, quindi, anche se non c’è una legge e le unioni civili tra omosessuali non sono disciplinate, esse sono un dato di fatto, e questa formazione sociale esiste già proprio perché la Repubblica riconosce i diritti inviolabili del singolo nella famiglia e nella società, dove si svolge la sua personalità. Per questo Stefano Rodotà afferma che per continuare a discriminare gli omosessuali si è obbligati a violare i principi generali di uguaglianza e di riconoscimento dell’altro.
Il richiamo a questi principi ha la sua radice in una lunga tradizione storica e filosofica. L’idea di fondo è che esistono diritti naturali – proprio quel naturale che è ripetuto tante volte in questa Aula, come se fosse un dato appartenente ad alcuni e non ad altri – che appartengono alla natura dell’uomo e, perciò, precedono l’esistenza stessa dello Stato e lo Stato deve riconoscere e, soprattutto, garantire, attraverso le leggi, questo concetto. Con la legge, ci dobbiamo adeguare ad un diritto, non dobbiamo concederlo.
I diritti naturali, consustanziali alla natura umana, non sono legati a una determinata cittadinanza. Non è possibile quindi che in Italia non ci siano ed altrove sì, perché appartengono agli uomini in quanto tali, in quanto esseri umani ed il loro riconoscimento è importantissimo, perché obbliga la Repubblica italiana a garantire a tutti gli stessi diritti fondamentali.
Con l’articolo 3 della Costituzione, che riconosce pari dignità e uguaglianza a tutti, la Repubblica si impegna a rimuovere tutti gli «ostacoli di ordine economico» e badate bene «sociale», perché la libertà e l’uguaglianza dei cittadini devono svilupparsi appieno.
Dunque, quando ascolto le vostre parole, soprattutto le vostre questioni pregiudiziali, osservo che nelle vostre intenzioni venite meno proprio al rispetto di questo comma 2 dell’articolo 3 della Costituzione.
Vi appellate più che altro alla Parte II della Costituzione, quella che regola i rapporti economici e sociali e perché? Perché quello che vi preme è che certi privilegi di tipo economico e certi vantaggi, che sono adesso riconosciuti per la famiglia, non vengano allargati, ma questo è chiaramente in contraddizione con l’articolo 3.
Per quanto riguarda, invece, l’appello all’articolo 29, credo che voi siate giunti a dichiarare il falso. Leggo, infatti, nella questione pregiudiziale del senatore Sacconi che questo articolo addirittura disciplinerebbe il dimorfismo sessuale. Non è vero, perché si parla semplicemente di «coniugi» e non si fa alcuna differenza sessuale, come la Costituzione vuole che sia. Sarebbe quindi stato possibile, anche per noi, estendere addirittura l’istituto del matrimonio alle persone omosessuali così come avviene in 21 Paesi europei, Paesi come la Norvegia, la Svezia, la Finlandia, la Gran Bretagna, l’Irlanda, la Spagna, il Portogallo, la Francia, il Belgio, l’Olanda e la Slovenia. Eppure no, abbiamo fatto questo piccolo passo necessario, ma ricordiamo che è un piccolo passo.
Cosa è che vi preoccupa però? Voi dite che non è il dare ad altri diritti, la cosa che vi preoccupa di più, ma il concedere l’adozione del figlio del compagno, perché ritenete che una coppia omosessuale non sia adeguata a crescere un figlio. Ebbene oltre alle testimonianze presenti in 21 Paesi europei ed americani, nel Canada e in quanti altri Paesi che oramai considerano il matrimonio omosessuale e l’adozione un dato di fatto, che costituiscono la prova, provata sul campo, che questo dato di preoccupazione non è esatto, vi sono anche studi scientifici che lo dimostrano. C’è addirittura uno studio australiano del 2014 (quindi recente) dell’università di Melbourne, che ha condotto un singolare esperimento su 50 ragazzi figli di coppie gay tra gli zero e i diciassette anni, esperimento che ha dimostrato non solo che questi ragazzi sono sani e affezionati al pari di quelli cresciuti nelle famiglie eterosessuali, ma dichiara senza dubbio che sono più sani e felici, perché la libera espressione dell’individuo meno condizionato da un modello preconcetto riesce a garantire una maggiore possibilità di realizzazione della personalità in uno studio della Columbia University di New York su 72 casi osservati 72 sono risultati positivi, ossia il 100 per cento. E così, ancora, in uno studio olandese. In sintesi, se crescono in un ambiente rispettoso e tollerante, i bambini di coppie omosessuali si sviluppano esattamente come tutti gli altri, semmai più felici degli altri.
Ma cos’è che impedisce questa cosa in questo Paese? L’impedisce l’omofobia, che è esattamente la verità nascosta in tutti i vostri discorsi, che deriva dal fatto che l’omosessualità mette in crisi il modello patriarcale del maschio dominante. È chiaramente una destrutturazione del maschilismo e questo vi fa paura. È per questo che a me, invece, piace molto.
Anche la giudice cattolica Melita Cavallo, da cattolica ma da cittadina di uno Stato laico, è convinta che le coppie di fatto debbano avere una propria disciplina, anche perché ciò non toglie diritti ad altri. È vero, esiste già un articolo della legge n. 184 del 1983 che prevede questo istituto perché dice chiaramente che il bambino può essere dato anche a chi non è coniugato, se ha maturato un rapporto stabile e duraturo con il bambino.
E, difatti, grazie a questo articolo di legge, la giudice ha permesso l’adozione del figlio naturale da parte della compagna di una madre. Però, lei stessa dice che non basta, perché va fatta chiarezza e va dato uno strumento in mano ai giudici, affinché si possa effettivamente realizzare questo passaggio in maniera serena e tranquilla.
Un’altra preoccupazione di cui parlate tanto spesso è che questo istituto apra la via alla possibilità di realizzare un reato, ossia di ricorrere all’utero in affitto. Ma, signori, a parte che nessun riconoscimento di un diritto può mai regolarizzare un crimine, che è sancito dalla legge n. 40 com’è stato più volte ripetuto, vi vorrei far riflettere solo un istante sul fatto che andare all’estero e adottare un utero in affitto è una piaga che esiste e che va combattuta, se non regolamentata come avviene in Canada, ma che non c’entra nulla con le disposizioni di questa legge.
In questo caso, comunque, le coppie sterili eterosessuali e le coppie omosessuali sono assolutamente sullo stesso piano di rischio. Anzi, a mio dire, le coppie eterosessuali sono in numero e in eventualità di rischio molto maggiori, perché sono mosse da un condizionamento sociale che vuole la coppia sterile discriminata, se senza figli, per status sociale.
Quindi io direi che è proprio lo stereotipo del modello del Family day che crea un rischio enorme, per le coppie etero, a ricercare un compiacimento condizionato e a ricercare ad ogni costo un’accettazione sociale, anche contravvenendo alla legge (con acquisti di bimbi e acquisti di uteri), semmai anche oltre il vero desiderio di accudimento. Quindi attenti alle vostre paure! (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Borioli. Ne ha facoltà.
BORIOLI (PD). Signor Presidente, nei quindici giorni che abbiamo alle spalle abbiamo assistito tutti quanti, con attenzione e rispetto, all’esprimersi di due piazze, diverse e in qualche misura, così come è proprio della radicalità che talvolta esprimono le piazze, anche contrapposte.
Credo che il nostro compito, il compito che ci aspetta come legislatori su un argomento così importante, non sia quello di fare a nostra volta l’altoparlante di quelle piazze, ma quello di saper esprimere nei loro confronti capacità di ascolto ed assumere una decisione consapevole, avendo anche la sensibilità e l’accortezza di guardare in profondità nel Paese, anche alla vita concreta di una moltitudine di persone, di donne e di uomini, che in quelle piazze non si sono espressi, ma che sono portatori di una legittima e non più rinviabile domanda di diritti.
Voglio dire con estrema franchezza che darò convintamente il mio voto favorevole al disegno di legge che porta il nome della collega Cirinnà, proprio perché credo che in esso si riassuma, in qualche modo, la capacità di ascoltare e di tener conto delle molteplici esigenze e posizioni culturali che sono state espresse. Infatti, il disegno di legge che stiamo discutendo e che siamo chiamati ad approvare, come ha ricordato la stessa Monica Cirinnà, è un provvedimento che tiene conto della domanda forte di diritti proveniente dalle coppie omosessuali la loro richiesta di veder riconosciuto, da un istituto giuridico che qualifichi nell’unione civile una formazione sociale specifica, un diritto cui aspirano ormai da moltissimo tempo. Dall’altra parte, questo disegno di legge, nel mantenere questo istituto rigorosamente distinto dalla famiglia fondata sul matrimonio tra eterosessuali e mantenendo rigorosamente inaccessibile il diritto all’adozione compiuta, che invece è riconosciuto alle coppie fondate sul matrimonio eterosessuale, intercetta in qualche modo anche la prudenza, la sensibilità e la cultura della piazza che si è ritrovata nel family day.
Per questo credo che noi, come legislatori, oggi siamo chiamati a far compiere a questo Paese un passo in avanti importante, forse un passo ancora, in qualche modo, trattenuto, rispetto alle convinzioni di una parte di noi, ma un passo importante perché le molte questioni che rimangono aperte, di cui hanno parlato moltissimi colleghi oggi, anche colleghi del mio Gruppo, questioni relative alla sfera dell’affettività e della sua regolamentazione oltre che al fronte della genitorialità, possano essere discusse – e questa è la sfida che noi, come legislatori, dobbiamo raccogliere – non più da voci che si contrappongono, cercando di far rimbalzare i propri toni oltre un muro che divide chi ancora non ha accesso ad un diritto e chi invece pensa di vedere messo in pericolo il proprio diritto dall’accesso ad esso di nuove famiglie e nuove comunità che si vedano finalmente riconosciute. (Applausi della senatrice Cirinnà e del senatore Lumia).
Credo che con questo passo avanti favoriremo la messa in comunione delle istanze e delle divergenze, sul terreno della discussione e dell’approfondimento che ancora è necessario per completare un disegno che con questo primo passo si comincia meglio a delineare, di quelle piazze che si sono contrapposte. Questo è il compito che ci attende come legislatori ed interpreti di una responsabilità nazionale nei confronti della collettività nazionale.
Non vorrei che con questo passaggio sembrasse che io voglia sminuirne la rilevanza, ma questa legge è molto importante anche nell’interesse del Paese, perché allargare il fronte dell’inclusione sociale, far accedere al perimetro dei diritti coloro che oggi ne stanno fuori significa dare maggior forza a quella coesione del tessuto sociale di cui il Paese ha bisogno per affrontare le sfide cui si trova di fronte. Lo dico con il massimo rispetto nei confronti di chi ha voluto ricordare in queste settimane che l’Italia ha altri e più urgenti problemi. Credo che l’Italia abbia moltissimi problemi ma ritengo che affrontarli includendo una moltitudine di persone che oggi sono escluse da un fronte di diritti fondamentali per la persona, sia lavorare per rendere più forte e coeso il Paese.
Aggiungo una battuta e concludo, signor Presidente: fa un po’ impressione guardare le mappe che in questi giorni, su tutti quotidiani, delineano la situazione europea in tema di diritti civili sul fronte della regolazione della sfera dei rapporti affettivi. Infatti, a prima vista, sembra la carta dell’Europa precedente alla caduta del muro, con qualche eccezione, come l’Ungheria, la Slovenia, la Croazia e l’Estonia, che stavano nel campo oltre cortina e che oggi sono, invece, tra gli Stati che hanno riconosciuto questo sistema di diritti, e con l’eccezione che mi preoccupa molto, quella dell’Italia e della Grecia, che stavano nel campo delle democrazie prima della caduta del muro e che oggi, invece, su questo fronte si attardano.
E giacché vi sono stati alcuni passaggi in tal senso nella discussione che abbiamo avuto in questi giorni, voglio dire che ritengo che dobbiamo muovere questo passo non solo ed esclusivamente perché ce lo chiede l’Europa, ma anche perché con questo passo dobbiamo fare i conti con uno dei requisiti fondamentali che distinguono le democrazie liberali e cioè il principio che nessuno può essere escluso dall’accesso ai diritti fondamentali della persona solo in ragione di ciò che è. Si tratta di uno dei principi fondamentali che informa la nostra civiltà, la nostra cultura democratica e compiere questo passo significa andare avanti nella direzione della costruzione di un sistema dei diritti che credo potrà fare bene non solo a coloro che oggi li chiedono, ma anche all’intero Paese ed alla nostra collettività nazionale. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Bisinella. Ne ha facoltà.
BISINELLA (Misto-Fare!). Signor Presidente, colleghi, dico subito che per noi è fondamentale il diritto dei minori a nascere e crescere nel contesto dell’affettività tra una donna e un uomo. Il diritto dei bambini precede, logicamente ed emotivamente, qualunque desiderio degli adulti per tutti coloro che hanno il senso delle nostre radici e del nostro futuro. Questa è per noi la regola.
Ora, questa legge va definita, secondo noi, in modo da non incentivare la produzione di figli separata dalla affettività naturale attraverso la stepchild adoption o forme equivalenti.
Abbiamo presentato emendamenti al disegno di legge a firma congiunta con i colleghi di Area Popolare ed anche una questione pregiudiziale di costituzionalità e una questione sospensiva di due mesi. Quest’ultima, in particolare, ci spiace sia stata respinta dall’Aula, proprio perché chiedevamo il ritorno in Commissione del provvedimento perché si potesse riflettere ancora sulla possibilità di stralciare gli articoli 3 e 5 del testo, che introducono la pratica dell’utero in affitto e l’adozione omosessuale.
Gli emendamenti mirano a ricondurre il disegno di legge, attraverso una serie di abrogazioni e di modifiche, a un testo che si occupi, sì del riconoscimento dei diritti individuali e di reciprocità per i conviventi e per le coppie di fatto, anche omosessuali, ma con alcune importanti proposte di modifica. Ad esempio, quella che vieta, disciplinando una sanzione specifica, il traffico di cellule e tessuti, quella che introduce il reato universale per la pratica della gestazione per conto d’altri e quello che rende obbligatoria la tracciabilità a scopi medici, garantendo per i bambini il diritto alla conoscenza delle loro origini.
L’aver firmato congiuntamente e convintamente questi emendamenti è significativo, perché indica che con i colleghi di Area Popolare abbiamo un comune sentire sui principi che sono alla base della nostra società, i principi relativi all’uomo e, più in particolare, il diritto dei minori a nascere e crescere nel contesto della famiglia naturale.
Perciò, non ci sono mediazioni possibili sull’adozione. O c’è o non c’è il riconoscimento del diritto alla genitorialità omosessuale, al quale noi contrapponiamo il diritto primario dei minori a crescere con una mamma e con un papà.
L’affido rafforzato, la pre-adozione, il percorso speciale di adozione in sede giudiziaria sono oltretutto modalità che possono creare asimmetrie e difficoltà interpretative rispetto alle prerogative riconosciute alle coppie eterosessuali.
Soprattutto, il pericolo per noi è rappresentato dal tentativo di sovvertimento del concetto stesso di famiglia naturale qual è sancita dalla Carta costituzionale, la sola orientata alla procreazione e all’educazione dei figli, che non a caso è stata prevista, proprio per la continuità della nostra società civile.
Presidenza della vice presidente LANZILLOTTA (ore 11,14)
(Segue BISINELLA). Questo principio non è negoziabile. Per questo siamo contrari ad ogni ipotesi di adozione o simil-adozione, così come restiamo contrari al simil-matrimonio, che ha lo scopo di far venire meno il presupposto giurisprudenziale alle adozioni.
Diverso è il caso del minore orfano, cui già la legge vigente sulle adozioni garantisce la continuità affettiva. Se un minore resta infatti orfano di entrambi i genitori, già oggi è previsto che il giudice lo affiderà in adozione innanzitutto a chi può garantire continuità di cura e assistenza, anche morale ed affettiva. Ma il caso speciale di tutela del minore non può e non deve diventare la ragione per far prevalere il desiderio degli adulti come regola generale.
Quanto all’affido rafforzato, la soluzione ipotizzata che abbiamo sentito circolare peggiora il problema perché porta al rovesciamento della tutela, di questa concezione che noi abbiamo della tutela del minore. Già oggi, il cosiddetto affido in prova è di fatto una prassi per qualsiasi bambino che resti senza genitori, proprio perché il giudice valuta il suo contesto, prima di tutto familiare ed affettivo.
Pensare ad un figlio in un modo diverso dall’ordine naturale significa volerlo a tutti i costi come progetto di soddisfazione del proprio ego, nulla di più, e a questo, paradossalmente, può arrivare una qualsiasi forma di forzatura.
I bambini non sono un capriccio. Peggio ancora è volere a tutti i costi che la legge intervenga a posteriori a fornire soluzioni accomodanti rivolte a garantire quel figlio che è stato tenuto per forza.
Il figlio ha sempre una madre ed un padre che lo hanno generato, e per lui sarebbe auspicabile che crescesse in presenza dei suoi genitori naturali, in quella famiglia. Le unioni di altro genere – con tutto il rispetto per le diversità che noi abbiamo – nulla hanno a che vedere con la famiglia, che è e resta l’unica unione complementare dei due sessi, maschile e femminile.
Un bambino nato da un utero comprato da due uomini o da due donne resta pur sempre figlio di una mamma e di un papà, nonostante tutto, e non possiamo noi decidere della vita come se fossimo i creatori. Qui si tratta di un ribaltamento delle leggi della vita: decidere cosa sia famiglia e cosa no, cosa sia naturale e cosa no. L’ordine naturale delle cose non può e non deve essere sovvertito.
In questo disegno di legge si è voluto introdurre qualcosa che non è la tutela prima di tutto e sopra ogni cosa, dei bambini, mentre un bambino per crescere bene ha bisogno di vedere garantite dallo Stato almeno le condizioni minime cui ha diritto, e che sono evidenti poiché iscritte nel suo concepimento: che possa conoscere le sue radici e che possa crescere con un papà e una mamma.
Senza dubbio – e per noi è fondamentale – deve esserci il rispetto della persona sempre in quanto tale, cioè dell’individuo immerso in un mondo di relazioni, e devono sì essere riconosciuti e garantiti i diritti dell’uomo anche nelle sue relazioni. Siamo convinti, però, che la famiglia sia la prima scuola di umanità, di relazioni e di dialogo. Sconvolgere questo bene dell’intera società scardinando il concetto di famiglia naturale, come si vuole fare con questo disegno di legge nel quale si sono voluti introdurre due articoli, in particolare il 3 e il 5. Se ve ne fosse la volontà, questi due articoli potrebbero essere tranquillamente espunti dal testo ed allora sì che il provvedimento riguarderebbe altro tema, magari più largamente condiviso. Invece, insistendo, si vuole forzare ciò che è nell’ordine naturale delle cose, che peraltro contrasta con l’opinione pubblica e con la diffusa concezione che la nostra società ha della famiglia.
Il tema della famiglia, dunque, ha una grande portata sociale, ed è per noi inaccettabile il tentativo di ridurla ad una disputa di carattere confessionale tra laici e cattolici, tra ideologie estremiste da un lato come dall’altro. Il dibattito sulla famiglia, su cui si chiede allo Stato di normare e a noi, come Parlamento, di legiferare, deve coinvolgere laicamente tutti coloro che hanno a cuore i fondamenti e la tenuta del nostro sistema sociale, e deve rivolgersi alla generalità, alla maggioranza della popolazione. Non si può legiferare con carattere generale per rispondere agli interessi particolari di una parte minoritaria.
Il tema delle unioni civili tra persone dello stesso sesso non può e non deve essere affrontato dalla prospettiva dei diritti individuali, ma piuttosto da un’ottica di tipo sociale e di comunità, mantenendo lo sguardo sui diritti dei bambini.
Il disegno di legge in questione, invece, si muove in direzione opposta, non solo perché, attraverso il meccanismo dell’adozione da parte del partner dell’unione omosessuale, sacrifica i diritti dei bambini ai desideri degli adulti, come ho detto, non solo perché incoraggia il ricorso alla maternità surrogata, attraverso lo sfruttamento del corpo di donne, che si prestano, magari perché hanno bisogno e a coloro che possono permetterselo, ma soprattutto perché contiene al suo interno una equiparazione, anche terminologica, dell’unione omosessuale al matrimonio e del partner dell’unione al coniuge.
Quello che a noi preoccupa non è il riconoscimento dei diritti, ma il fatto che attraverso l’adozione omosessuale si voglia conquistare il diritto ad essere genitori, la genitorialità, ed arrivare quindi a tale equiparazione per via giurisprudenziale. Un errore che comporterà sicuramente – se il testo rimane così com’è scritto – conflitti con la nostra Costituzione.
Adoperiamoci, dunque, per stralciare dal testo del disegno di legge ogni riferimento all’adozione, di cui all’articolo 5, e anche per riformulare gli articoli 2, 3, 4 e 6, onde evitare equivoci. Siamo nella fase emendativa, colleghi, e si può fare. Non buttiamo via questa occasione, perché, ripeto, il tema, altro, delle unioni civili sarebbe largamente condiviso.
Ricordiamoci che il diritto naturale e i diritti dell’uomo devono sempre avere la precedenza sui diritti individuali. In Parlamento portiamo avanti provvedimenti frutto di posizioni ideologiche, contrastanti con gli ideali della maggioranza degli italiani, mentre trascuriamo quei provvedimenti legislativi – va detto a voce forte ed alta – di cui la famiglia ha estremo bisogno e il ritardo nella loro adozione fa dell’Italia il fanalino di coda dell’Europa quanto a politiche di sostegno per la famiglia, la natalità e la conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Questi sono i provvedimenti legislativi di cui dovremmo occuparci.
Colleghi, riconosciamo dunque il valore sociale della famiglia formata dall’unione di una donna e di un uomo e aperta alla vita: la famiglia garantita dalla nostra Costituzione italiana. (Applausi della senatrice Bellot.Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Casson. Ne ha facoltà.
CASSON (PD). Signora Presidente, signori senatori, sono uno dei primi firmatari del disegno di legge n. 2081 (il cosiddetto disegno di legge Cirinnà) che è oggi all’esame del Senato.
Desidero però precisare in quest’Assemblea che l’ho sottoscritto un po’ a fatica, perché, come noto, esso costituisce un compromesso – il terzo, forse addirittura il quarto – rispetto alla più completa proposta normativa originaria. Si è comunque arrivati ad un risultato positivo, pervicacemente e con intelligenza raggiunto grazie al lavoro dei colleghi della Commissione giustizia, in particolare dei colleghi Cirinnà, Lumia e Lo Giudice. Tuttavia, meno di così non mi parrebbe francamente proprio possibile discutere di unioni civili o di convivenze di fatto, né tanto meno votarle.
Nel tentativo di venire incontro alle necessità sociali ed istituzionali di persone ancora oggi discriminate per ragioni sessuali e di bambini cui vengono ancora oggi negati diritti fondamentali, abbiamo accettato di riscrivere il testo del disegno di legge smorzandone alcuni toni, pur ribadendone i capisaldi imprescindibili.
Questi sono i motivi per cui voterò a favore di questo testo, così come di tutti gli emendamenti estensivi a favore del pieno riconoscimento delle unioni omosessuali.
In quest’Assemblea si è continuato a parlare della presunta incostituzionalità delle norme al nostro esame, anche dopo il voto del Senato contrario alle questioni pregiudiziali e alle eccezioni formulate. Una volta tanto, però, vorrei che si avesse piena consapevolezza della situazione attuale. Mi riferisco al fatto che il ragionamento dovrebbe venire invertito e che si dovrebbe partire dalla constatazione che incostituzionali non sarebbero le nuove norme proposte, quanto piuttosto lo status di fatto e di diritto in cui ci si trova ora come società, come istituzioni e come Stato italiano. Si tratta di uno status di illegalità costituzionale conclamata e recidiva nei confronti e a danno di persone comunque unite da vincoli quanto meno di affetto e nei confronti di bimbi che qualcuno, con sprezzo estremo del senso di umanità (e di misericordia, direbbero le fonti ecclesiali), continua a non voler tutelare in maniera piena. Costoro vorrebbero la perpetuazione di un vuoto istituzionale e uno stato permanente di non uguaglianza e non solidarietà, francamente fuori dalla storia sociale e civica dell’umanità.
È innanzitutto la Corte costituzionale italiana che, con la sentenza-monito n. 138 del 2010 e con la sentenza n. 170 del 2014 sul cosiddetto divorzio imposto, rilevando appunto un vuoto normativo in materia, impone al legislatore di intervenire con la «massima sollecitudine» per introdurre una disciplina che consenta di regolamentare giuridicamente, con legge ordinaria, situazioni al giorno d’oggi ancora scoperte di fatto e in diritto, però poste sotto l’egida dell’articolo 2 della Costituzione. È altresì la Corte europea dei diritti dell’uomo che il 21 luglio 2015 ha condannato l’Italia proprio per l’assenza di una disciplina che garantisca adeguata tutela alle unioni non matrimoniali ed essa ci richiama al rispetto dei diritti fondamentali delle persone e, in particolare, alla tutela delle unioni, anche omosessuali. E le due Corti supreme, citate in parte qua, non svolgono una generica attività o funzione ermeneutica, quanto piuttosto intendono imporre l’ossequio ad una serie di principi vigenti, perché già normativamente sanciti.
In primo luogo il disegno di legge al nostro esame, lungi dal violare una qualsiasi disposizione costituzionale, costituisce invece attuazione, seppur tardiva, molto tardiva, come in vari altri casi, di quell’articolo 2 della Costituzione, cui la sentenza n. 138 del 2010 ha ricondotto con linearità e chiarezza, logiche e giuridiche, le unioni civili, come una delle tante formazioni sociali di cui parlano i Titoli II, III e IV della Parte I della nostra Costituzione, mentre, lo ricordo, l’articolo 2 rientra specificamente tra i “principi fondamentali”, cui tutte le altre norme sottostanno, devono sottostare. Rammento, tra le varie formazioni sociali citate in Costituzione, la stessa famiglia di cui tanto si discute oggi, le scuole non statali, le istituzioni di cultura, le accademie, le organizzazioni sindacali, le comunità di lavoratori, le cooperative e le formazioni politiche, tra cui i partiti.
Ma c’è di più, perché il nostro diritto interno deve fare i conti con il sistema istituzionale europeo e con le collegate decisioni della Corte suprema comunitaria, cui dobbiamo rapportarci.
Se è vero, come è vero, che nel 2013 la Corte di cassazione italiana ha chiaramente scritto che le scelte in materia spettano al legislatore ordinario, anche a conferma della decisione della stessa Corte del 2012, che aveva ribadito letteralmente il diritto alla «vita familiare» per gli omosessuali, e se teniamo conto del sollecito rivolto al legislatore dalla Corte costituzionale nel 2010, ancora letteralmente, «nell’ambito dell’articolo 2 della Costituzione», dobbiamo prendere atto del fatto che la Costituzione, e in particolare i suoi articoli 2 e 3 sul principio di uguaglianza, si pongono in posizione gerarchicamente superiore rispetto ad ogni altra norma, segnatamente e ovviamente quelle del codice civile.
E questo fondamentale principio di uguaglianza costituisce un faro imprescindibile anche per il sistema istituzionale europeo, in cui la Carta dei diritti fondamentali ha cancellato il requisito della diversità di sesso, sia per il matrimonio, sia per ogni altra forma di costituzione della famiglia, riaffermando decisamente che non sono ammesse discriminazioni basate sull’orientamento sessuale.
Basta rileggere l’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’articolo 9 della Carta di Nizza per rendersi conto della specifica previsione del diritto di sposarsi e di costituire una famiglia per tutti, senza alcuna discriminazione. La Carta di Nizza è stata recepita dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, e le relative norme costituiscono ormai e di certo ius receptum per il nostro ordinamento.
Dicevo, in premessa, che a fatica ho accettato questo compromesso, anche perché mi ero reso conto, soprattutto durante le nottate di ostruzionismo in Commissione giustizia da parte del centrodestra (che grottescamente si era messo a disquisire perfino della differenza di significato ed etimologica tra gli aggettivi “saffico” e “lesbico”), che i contrari a questo disegno di legge in realtà non volevano delle modifiche. In realtà, non volevano e non vogliono proprio nulla, nessuna legge, nemmeno sulle convivenze di fatto, previste dal Capo II del disegno di legge, con ciò ribadendo quella situazione di vuoto costituzionale, illegale, assolutamente deprecabile e inaccettabile, inventandosi false scuse, falsi nemici, false e presunte situazioni incresciose.
Bisogna invece che individuiamo e che ci liberiamo da quelli che sono veri e propri “depistaggi”. Non ha alcun senso, infatti, il richiamo subdolamente e fintamente terrorizzato a presunte maternità surrogate (vietate anche penalmente dal 2004) o all’utero in affitto. Non c’è in alcuna parte del disegno di legge qualcosa che minimamente consenta una tale lettura o interpretazione. Questo esiste soltanto in menti offuscate dal peggior clericalismo, dal peggior oscurantismo, che in effetti giunge persino a proporre sanzioni penali rafforzate, come se l’epoca del potere temporale dell’Inquisizione non fosse ormai un lontano e non rimpianto ricordo. (Applausi dal Gruppo M5S e delle senatrici Bignami e Cirinnà).
Qui si tratta, invece, molto semplicemente e in maniera molto trasparente, di prendere atto di tante situazioni di fatto, di coppie che si amano e di tanti bimbi e bimbe che già esistono e che hanno diritti fondamentali, in quanto persone, che la politica e il legislatore hanno il dovere, sociale, etico e giuridico, di regolamentare, tenendo ben presente il faro dell’uguaglianza, della dignità e della solidarietà.
Considerazioni analoghe andrebbero svolte per i milioni di persone che hanno deciso per una convivenza di fatto, che qualcuno, obnubilato, ha persino proposto di stralciare. Tuttavia il tempo è tiranno e ne parlerò, eventualmente, in sede di emendamenti.
Un accenno soltanto merita invece l’insistito e plurimo richiamo – che pare proseguirà – ad un presunto vizio di legittimità costituzionale per motivi procedurali, per violazione dell’articolo 72 della Costituzione. Tale eccezione è palesemente infondata, anzitutto perché l’articolo 72 sancisce una riserva regolamentare nella parte in cui – appunto – demanda ai Regolamenti parlamentari la disciplina della procedura in esame, per l’esame in Commissione e poi in Assemblea (come anche la sentenza della Corte costituzionale n. 237 del 2013); in secondo luogo, lo è perché l’articolo 44, comma 3, del Regolamento del Senato dispone che, qualora una Commissione non esaurisca l’esame in sede referente entro il termine stabilito in sede di programmazione, il disegno di legge possa essere sottoposto all’Assemblea nel testo del proponente, il che è quanto avvenuto nel caso di specie, stante l’elevato numero di emendamenti presentati e l’ostruzionismo posto in essere. Si precisa inoltre che, nella seduta del 12 ottobre 2015, tutti i disegni di legge fino ad allora presentati sul tema vennero riuniti su proposta del Presidente e non essendovi osservazioni in senso contrario da parte di alcuno, nemmeno dei senatori del centro-destra presenti, uno dei quali anzi intervenne per ribadire la prassi seguita, a conferma della normativa vigente e rispettata. Il tutto risulta molto chiaramente dal verbale della seduta di Commissione.
In conclusione, mi sia consentito rivolgermi all’alto magistero del Presidente della Repubblica, per chiedere conferma di una attenzione speciale verso il rispetto della nostra Costituzione, nel senso che la situazione attuale di illegalità, sostanziale e giuridica costituzionale, deve essere assolutamente sanata, venendo incontro alle esigenze e ai diritti di tutti, anche delle minoranze, anche dei più deboli e dei meno tutelati, senza far loro pagare responsabilità che di certo non hanno, nell’alveo dei principi di uguaglianza e solidarietà di cui agli articoli 2 e 3 della nostra Carta fondamentale. (Applausi dai Gruppi PD e M5S e dei senatori Bignami e Romani Maurizio).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Carraro. Ne ha facoltà.
CARRARO (FI-PdL XVII). Signora Presidente, colleghe e colleghi, penso che la legge vada fatta e che vada fatta rapidamente. È giusto discutere; tutti abbiamo la possibilità di parlare e lo dobbiamo fare in modo costruttivo. Penso che su questa materia ci siano opinioni diverse, ma che l’approccio di chi sostiene che se non si approva un certo emendamento non vota la legge, mi sembra non costruttivo e alla fine non porterà a nessun risultato. Reputo invece utile per il Paese risolvere questa situazione che rappresenta un problema.
Faccio una premessa. Non c’è dubbio che gli omosessuali siano stati per molto tempo molto discriminati. Il Paese che ha insegnato la democrazia al mondo, cioè l’Inghilterra, 50 anni fa puniva come reato penale il fatto di essere omosessuali. È un dato di fatto di cui non possiamo non tener conto se vogliamo arrivare a soluzioni concrete. È per questo motivo che ci sono polemiche anche accese e talvolta con toni eccessivi. È un tema che suscita divisioni e bisogna rispettare le idee di tutti.
Il dibattito – che io condivido – dimostra ed evidenzia che soprattutto due temi suscitano dubbi, perplessità e divisioni. Su questi due temi desidero esprimere il mio parere – lo ripeto – avendo molto rispetto per chi ha opinioni diverse dalle mie; anzi, in taluni casi, e soprattutto sul tema delle adozioni su cui mi diffonderò in seguito, provo sincera invidia nei confronti di chi ha certezze assolute, perché mi sembra che tale materia sia molto complessa e delicata.
Dunque, il primo tema è quella quello dell’equiparazione delle unioni civili al matrimonio: i colleghi Palma e Caliendo, tra gli altri, hanno evidenziato quali formulazioni dell’attuale disegno di legge suscitano perplessità. Su questo tema voglio esprimere con molta chiarezza il mio pensiero personale: bisogna evitare che il provvedimento corra il rischio di essere dichiarato incostituzionale e, pertanto, auspico che i tecnici si diano da fare e pensino ad individuare gli emendamenti capaci di superare le perplessità esistenti. Occorre però tenere presente che, comunque, siccome le unioni civili comportano dei diritti, che costano alla collettività, non ci si può limitare a dire che tali coppie si uniscono e “arrivederci e grazie!”, perché, se così fosse, si potrebbe aprire una voragine nel debito pubblico. Bisogna dunque conciliare due dati di fatto. In primo luogo ci vuole un certo formalismo, per avere la garanzia che l’unione sia vera, duratura nel tempo e abbia una sua consistenza reale. In secondo luogo occorre che essa non sia equiparata al matrimonio, per evitare che sia incostituzionale. Sono stati presentati alcuni emendamenti su questo argomento che spero siano adeguati. Se non lo fossero, sarebbe peggio per il provvedimento e dunque per il Paese, perché tra due o tre anni si correrebbe il rischio di veder rimesso tutto in discussione dalla Corte costituzionale.
C’è poi la questione delle adozioni. Su questo tema mi sembra che si siano dette un sacco di cose. Ricordo a me stesso che la pratica dell’utero in affitto, che francamente non riesco a capire, anche se in alcuni Paesi è consentita e viene praticata da qualche nostro concittadino all’estero, nella stragrande maggioranza dei casi è utilizzata da coppie eterosessuali. Quindi cerchiamo di non usare degli argomenti che, francamente, sono un po’ triti. Ritengo che questa sia una materia molto complessa e che le situazioni da prendere in considerazione siano diverse. Preferirei che si enunciasse il principio per cui non è vietata a priori l’adozione alle coppie omosessuali, che ciò si demandi al giudice e che dunque la questione delle adozioni venga risolta non in questo disegno di legge, attraverso l’articolo 5, ma con un provvedimento specifico sulle adozioni. Credo, infatti, che il nostro Paese dovrebbe soffermarsi anche sul tema delle adozioni in generale, un tema su cui si può fare il bene dei bambini lavorando meglio e di più. Lo ripeto: questa è la mia opinione. Penso che il Parlamento si pronuncerà: ci sono degli emendamenti in proposito e rispetterò la volontà della maggioranza del Senato. Sul tema delle adozioni il voto che esprimerò andrà nella direzione che ho appena indicato, ma se la maggioranza del Parlamento la pensasse diversamente da me, penso che comunque la legge si debba varare e che il Parlamento la debba approvare il più in fretta possibile.
Vedo che la senatrice Cirinnà è tornata nell’emiciclo e dunque mi permetto di fare un’ osservazione. Ho apprezzato il suo intervento, che, malgrado la passione che ha nei confronti di un argomento a cui ha dedicato le sue energie, è stato complessivamente moderato. Ho notato infatti che durante il suo intervento, come testimoniato anche dalla sua gestualità, ha esercitato un’azione di freno, in tutti i momenti. C’è però una sua affermazione che non condivido e voglio spiegarle il perché: lei ha detto che questo provvedimento è già stato modificato e già rappresenta un compromesso, e se si fanno ulteriori compromessi rimangono le diversità. Penso che le diversità siano un dato di fatto, dobbiamo tenerne conto ed evitare che ci siano discriminazioni – su questo siamo d’accordo – e le discriminazioni si evitano meglio tenendo conto di situazioni che sono oggettivamente diverse, così come siamo diversi tutti noi in quest’Aula.
Questo è il contributo che mi sono permesso di dare. Non sono un giurista e penso che ognuno di noi debba cercare di dare il proprio contributo e rispettare il lavoro che i tecnici che cercheranno di mettere in pratica le norme. Discutiamone serenamente nella speranza che non vengano tagliati i tempi, perché sarebbe un errore. Discutiamo però concretamente e arriviamo a una soluzione, perché penso che al Paese tutto sommato vada bene occuparsi di questo tema che riguarda una minoranza, anche se consistente ma, proprio perché è stata discriminata per troppo tempo, merita di avere il rispetto che tutti debbono avere in quanto cittadini italiani. (Applausi dei senatori Cirinnà e Lumia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Repetti. Ne ha facoltà.
REPETTI (AL-A). Signora Presidente, colleghi, l’interesse suscitato da questo disegno di legge, in Parlamento e nel Paese, dimostra che è su questioni che riguardano i diritti dei cittadini che avviene il vero cambiamento del Paese. Come la questione del divorzio, anche il tema delle unioni civili segnerà uno spartiacque nella storia italiana. La verità è che ancora una volta siamo chiamati a prendere atto di un progresso già avvenuto nella coscienza degli italiani e che le istituzioni devono in realtà solo formalizzare. Siamo in ritardo; il Paese ci ha già sorpassato e ci aspetta.
Le responsabilità di questo ritardo le ha certamente una politica disattenta, ma le ha anche la Chiesa cattolica, e mi riferisco soprattutto alle gerarchie della Chiesa. Tutti sappiamo che la vera questione, il vero nervo scoperto della Chiesa cattolica, come per altre importanti religioni, è la sessualità e il rapporto, ancora discriminatorio nel 2016, fra uomo e donna. La sessualità è una questione cruciale, che condiziona fortemente la Chiesa nel suo approccio a molte altre questioni e nel rapporto con i fedeli purtroppo sempre più lontani.
Dal divorzio all’aborto, dalle unioni civili alle questioni bioetiche, in particolar modo il fine vita per cui voglio ricordare l’urgente necessità di una legislazione (Applausi della senatrice Cirinnà), la Chiesa è irrigidita su posizioni di diffidenza e spesso di chiusura. È lontana, ahimè, da quello spirito di comprensione e compassione che tanto viene proclamato e predicato. E purtroppo questo clericalismo controriformista ha trovato supporto nel cinismo e nell’opportunismo di correnti politiche ultraconservatrici.
Così sono nate posizioni politiche che, pur di negare la necessità di superare le disuguaglianze, le discriminazioni sulla base della sessualità (perché di questo si tratta, di disuguaglianze e discriminazioni), sono ricorse ad argomenti che con la legge non c’entrano alcunché. Si parla di adozioni, di utero in affitto, tutte cose che non sono contemplate nel disegno di legge Cirinnà. Questo va detto chiaramente.
Vedete, io ho pieno rispetto di chi pensa in maniera diversa dalla mia, soprattutto su questioni che riguardano il nostro più profondo intimo. Posso provare a convincere l’altro della bontà delle mie convinzioni, ma rispetto chi la pensa diversamente. Ma non ho alcun rispetto di chi mistifica la realtà, di chi deliberatamente mente su argomenti importanti giocando sulla pelle delle persone, per creare confusione nell’opinione pubblica ed impedire l’approvazione di una legge di civiltà. (Applausi dei senatori Bignami, Cirinnà e D’Anna).
Il disegno di legge Cirinnà è già un compromesso. Per quanto mi riguarda – parlo naturalmente a titolo personale – io sarei disposta a riconoscere i matrimoni fra omosessuali, così come l’adozione dei figli, magari prevedendo un periodo di prova da sottoporre al giudizio del tribunale dei minori, che farei valere anche per le coppie eterosessuali. Va ricordato che questo avviene già nei Paesi più civili del mondo e questo vorrà pur dire qualcosa! Invece, con il disegno di legge Cirinnà noi riconosciamo solo l’estensione della genitorialità di un figlio naturale al compagno o compagna in una coppia gay, come del resto hanno già sancito – va detto e ripetuto – alcune sentenze che non possono essere ignorate.
Dire che questa legge potrebbe aprire le porte al cosiddetto utero in affitto è una volgare falsità. In Italia oggi è vietato! Punto! Non possiamo decidere cosa devono legiferare gli altri Paesi, oltre al fatto che – una mia considerazione personale – anche l’argomento della maternità surrogata, per la sua delicatezza, meriterebbe una riflessione più seria e ponderata. Basta con ipocrite strumentalizzazioni. Basta giocare con le parole diritti e desideri degli adulti in contrapposizione ai diritti dei minori. Ma in quest’Assemblea – mi rivolgo a tutti – siamo così sicuri di aver sempre legiferato bene riguardo ai minori? L’abbiamo fatto sempre davvero nel loro interesse? La verità è che gli stessi che oggi si rifiutano di riconoscere le unioni civili e la stepchild adoption, con la falsa motivazione di tutelare i minori, sono gli stessi che nel passato, anche recente, hanno sacrificato i minori pur di compiacere le richieste di una parte della Chiesa. Questa è la verità! (Applausi dei senatori Bignami e Falanga). Ne sono un esempio i divorzi con la scia di sofferenze che durano lunghi e interminabili anni, causate spesso dall’uso dei figli come mezzi di battaglia giudiziaria. La legge sul divorzio è stata modernizzata solo in assenza di minori. Là dove ci sono i minori, la legge prevede invece un’agonia per i minori, che vengono sacrificati nel nome del patto fra conservatori e clericalismo. È un’ipocrisia mostruosa, proprio perché riguarda i minori. È un’onta di cui tutti noi dovremmo sentire il peso. Almeno sui diritti, di tutti, a cominciare da quelli dei bambini, cerchiamo di essere seri, onesti.
Il riconoscimento delle unioni civili è solo un fatto di civiltà che supera assurde discriminazioni nella sfera sessuale, che non hanno più alcuna ragion d’essere. Colleghi, c’è un principio su cui credo tutti siamo d’accordo: che tutti gli esseri umani – la mia personale convinzione va oltre perché si estende a tutti gli esseri viventi – abbiano il diritto alla vita, alla libertà e alla felicità, come dice una famosa Carta scritta ben 250 anni fa, che purtroppo non è nostra. Certo, è molto difficile dare una definizione di felicità, ma una cosa è certa: la propria felicità non può prevaricare su quella altrui e ha a che fare con l’amore, con il rispetto degli altri e la serenità che ne consegue. Noi genitori di coppie eterosessuali sappiamo bene che la serenità dei figli non è dettata dall’avere una madre e un padre. La loro serenità comincia proprio dal sentimento d’amore e di comprensione che si respira in famiglia e, invece, capita spesso che proprio noi genitori, anziché aiutarli, contribuiamo con le nostre paure a istillare tabù e insicurezze che loro non avrebbero. Non è facile essere genitori, ancor meno essere buoni genitori, ma non è certo la sessualità il fattore discriminante tra un buon genitore e un cattivo genitore. Queste sono solo bugie dettate dalla paura del cambiamento. Intanto, il mondo cambia comunque e cambierà ancora.
Faccio infine un’ultima considerazione. Peccato che in questo Parlamento non si siano confrontate una sinistra e una destra liberale, come esiste in tutti i Paesi europei, bensì una sinistra e una destra populista e clericale, che nulla ha a che fare con il liberalismo e con un cattolicesimo democratico.
Colleghi, approviamo la legge Cirinnà. Tutti, anche i più convinti cattolici, contribuendo ad approvarla, potranno giustamente andarne orgogliosi nella propria vita personale e politica. (Applausi dai Gruppi AL-A e PD e dei senatori Barani, Bignami, D’Anna, Falanga e Montevecchi. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Torrisi. Ne ha facoltà.
TORRISI (AP (NCD-UDC)). Signora Presidente, onorevoli colleghi, fuori da ogni retorica, al di là di quelle che possono essere le idee personali, di partito o di coalizione, di maggioranza e di opposizione, l’importanza del tema che si sta affrontando in questa data e in questo luogo, sacro per la politica, costituisce per noi tutti un appuntamento con la storia legislativa dell’Italia.
Oggi siamo chiamati a dar voce ai diritti di molti cittadini e a rispondere anche ai richiami del Parlamento europeo sul tema; non per ultimo il Parlamento europeo ha chiesto nel paragrafo 85 del Rapporto sulla situazione dei diritti fondamentali nella Unione europea approvato l’8 settembre 2015 a Strasburgo, a 9 Stati membri su 28, di «considerare la possibilità di offrire» alle coppie omosessuali istituzioni giuridiche come «la coabitazione, le unioni di fatto registrate e il matrimonio».
Dare ascolto a questa voce e ai richiami dell’Unione europea vuol dire per noi regolamentare certamente i diritti di molte persone ed evitare che nostri concittadini siano costretti ad andare in altri Paesi europei per vedere accolto il proprio desiderio di un progetto di vita in comune regolamentato, ma non vuol dire rinnegare le tradizioni del nostro Paese, volente o nolente, impregnate di valori cristiani.
È vero che il legislatore deve essere laico nelle sue decisioni, non disciplinando e garantendo queste o quelle ideologie, ma deve garantire solo i diritti fondamentali di ogni cittadino, ma nel fare questo non può dimenticarsi di avere una coscienza.
Molti Paesi hanno affrontato il tema delle unioni civili e sono arrivati a soluzioni differenti tra di loro secondo la natura del Paese stesso. Il Parlamento italiano da anni, forse dal lontano 1986, con i primi disegni di legge allora presentati dall’Interparlamentare donne comuniste e da Arcigay, ha cercato di affrontare e regolamentare questa materia. Da allora, passando per gli anni Novanta, le proposte di legge si sono moltiplicate, passando a progetti quali i PACS, i DICO, i DIDORE (diritti e doveri di reciprocità dei conviventi, proposti da Renato Brunetta). Dopo trent’anni dalla prima proposta arriviamo finalmente ai giorni nostri, sotto la XVII legislatura, col testo noto come disegno di legge proposto dalla collega del Partito Democratico Monica Cirinnà.
Come ben sappiamo questo disegno di legge prevede l’istituzione delle unioni civili per le coppie omosessuali, con diritti e doveri identici a quelli previsti per il matrimonio civile, eccetto le adozioni ma includendo la cosiddetta stepchild adoption, ovvero la possibilità di adottare il figlio del partner.
Dall’esame del testo del disegno di legge Cirinnà non possiamo non riconoscere aspetti importanti, come il principio di dare riconoscimento giuridico anche alle coppie dello stesso sesso e sancire diritti e doveri tra le coppie di fatto eterosessuali già esistenti ma non dobbiamo però cadere nell’errore di approvare un testo di legge che finisca per parificare queste unioni civili con il matrimonio.
La Costituzione, all’articolo 29, prevede: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare». Leggendo gli atti dell’Assemblea costituente, in particolare le sedute del 30 ottobre 1946 e del 17 aprile 1947, veniamo a sapere che i Padri costituenti non hanno preteso di dare una definizione del matrimonio, ma semplicemente avevano la chiara consapevolezza che il matrimonio e la famiglia sono realtà che preesistono allo Stato.
Bisogna dunque mantenere la distinzione tra la tutela dei diritti individuali nelle unioni di fatto, come “formazione sociale”, che trova un suo riferimento all’articolo 2 della nostra Costituzione, e la famiglia come la definisce l’articolo 29 della Costituzione, ovvero “società naturale”.
Sul punto, prima di procedere, è però d’obbligo richiamare la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010, la quale esplicita la non sovrapponibilità delle due strutture sociali. Quindi è da premettere che il Parlamento, nell’ambito della sua discrezionalità legislativa, deve rispettare il vincolo costituzionale, differenziando le due tipologie di unioni, quella omosessuale e quella matrimoniale. Non si possono quindi stabilire regole identiche sulle forme e sugli effetti delle convivenze omosessuali. In parole povere, non si può usare il termine unioni civili se i contenuti di questo nuovo istituto sono uguali a quelli del matrimonio. Quindi, come si evince chiaramente, il problema della differenziazione tra matrimonio e unione civile non è tanto d’ordine terminologico, ma è squisitamente sostanziale; stiamo dunque attenti a non far passare il nuovo istituto che il disegno di legge Cirinnà propone come un matrimonio mascherato da semplice unione.
Sì al riconoscimento di alcuni diritti, no alla sovrapposizione dei due istituti. Sì all’articolo 4 del disegno di legge Cirinnà per il riconoscimento dei diritti successori, sì all’articolo 3 per il riconoscimento dei diritti e doveri fra i soggetti dell’unione civile, ma con una formulazione che non ricalchi perfettamente il testo dei soggetti uniti dal matrimonio. Sì dunque al riconoscimento degli stessi diritti in tema di diritto agli alimenti, al fondo patrimoniale, all’abitazione, al risarcimento, all’impresa familiare, alle norme sulla tutela e sull’amministrazione di sostegno. Sì dunque a tutte quelle norme di diritto privato che garantiscano i diritti della persona, sia essa facente parte di una famiglia che di una unione civile.
No all’articolo 3, commi 1, 2 e 4, che finiscono con il ricalcare l’unione civile sul modello del matrimonio. Gli stessi pertanto, onorevoli colleghi, vanno emendati, facendo ben attenzione a non cadere nella trappola di legittimare un’uguaglianza tra i due istituti (matrimonio e unione civile), che non c’è e non deve esserci, pur ritenendo che entrambe le forme di unione, con le loro peculiarità sono e possono essere istituti utili al funzionamento dello Stato.
No all’articolo 5, oggetto del più ampio dibattito non solo in quest’Aula, ma soprattutto nel Paese. È questo il nodo cruciale del disegno di legge, su cui tutti siamo chiamati a rispondere con coscienza e lungimiranza. L’articolo 5, attraverso una modifica dell’articolo 44, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, interviene in materia di adozione in casi particolari. Parliamo, cari colleghi, della cosiddetta stepchild adoption, importando dall’Inghilterra un istituto lì già normato. La proposta di legge in esame consente alla persona parte di un’unione civile di fare richiesta di adozione del figlio minore, anche adottivo, del partner. Ma non solo. A mio giudizio, questa previsione apre la strada, cari colleghi, a pratiche che non possono essere tollerate da nessuna coscienza: l’utero in affitto.
Il disegno di legge Cirinnà si incentra fortemente sui diritti delle coppie omosessuali e sul loro desiderio di avere figli, ma i diritti dei bambini sono garantiti? Facciamo un passo indietro, per provare a valutare le cose da una prospettiva diversa, quella del bambino. Come ha affermato il cardinale Bagnasco: «Il vero bene dei figli deve prevalere su ogni altro, poiché sono i più deboli ad essere esposti: non sono mai un diritto, poiché non sono cose da produrre; hanno diritto ad ogni precedenza e rispetto, sicurezza e stabilità».
Se si procede ad approvare questo articolo, cari colleghi, a mio giudizio presto le coppie omosessuali saranno considerate vere e proprie famiglie e potranno adottare figli non propri, come già accade ad esempio, in Francia o Spagna. Non può certo tollerarsi l’idea che una coppia, indipendentemente dal matrimonio o dall’unione civile, possa decidere di affittare un utero e far nascere un bambino che non saprebbe mai chi sono il padre o la madre. Si finirebbe per accontentare il desiderio degli adulti, sopprimendo i diritti dei bambini. È innegabile che un bambino ha diritto ad una mamma ed ad un papà nella loro identità primordiale.
Possiamo dunque ipotizzare, poiché il disegno di legge Cirinnà equipara tutte le convivenze di fatto (sia eterosessuali che omosessuali) che, appena approvato nella sua interezza, una coppia di donne conviventi possa chiedere al giudice di essere autorizzata ad accedere alla fecondazione artificiale.
Una delle due conviventi verrà fecondata con seme di donatore (fecondazione eterologa, oggi consentita dopo il pronunciamento della Corte costituzionale). Oppure una coppia di uomini conviventi si presenta dal giudice e chiede di potere accedere alla fecondazione artificiale per cui uno dei due conviventi metterà a disposizione il seme, mentre l’ovulo verrà fornito da una donatrice (fecondazione eterologa) che dichiarerà di farsi fecondare gratuitamente.
Se una coppia di donne ha potuto accedere alla fecondazione assistita perché non potrebbe farlo anche una coppia di uomini, visto che il disegno di legge Cirinnà equipara tutte le convivenze di fatto? Si può davvero pensare che alla fine la giurisprudenza creativa non darà il via libera a tutto ciò? Sul punto relativo alla stepchild adoption il disegno di legge Cirinnà non è neppure emendabile e va respinto.
Sarebbe invece auspicabile presentare un disegno di legge che regolamenti in modo più concreto le adozioni per superare una legge ormai vecchia ed inadeguata. Solo così garantiremo il diritto di un bambino ad avere una famiglia dinanzi al diritto di una coppia omosessuale ad avere un figlio.
Presidente, mi avvio a concludere dicendo che fin qui abbiamo manifestato la condivisione di regolarizzare le unioni di fatto con l’istituto delle unioni civili, indipendentemente dalla natura sessuale della convivenza stessa, ma nel contempo ribadiamo con chiarezza, come gruppo di Area Popolare, il nostro disaccordo, quindi il nostro no chiaro, alle adozioni di cui il disegno di legge Cirinnà parla espressamente attraverso la cosiddetta stepchild adoption. Infatti il disegno di legge ha come finalità di porre, consapevolmente, le premesse in sede giurisprudenziale a diritti ulteriori finora connessi in modo specifico all’istituto matrimoniale, particolarmente al diritto di adozione.
Concludendo, per quanto finora detto, esprimiamo dunque in maniera chiara il nostro sì alla regolamentazione delle unioni civili, ma il nostro no alle adozioni da parte dei membri delle stesse unioni. No alla stepchild adoption, che rischia di legittimare non solo l’adozione del figlio del partner, ma – peggio – anche il ricorso a pratiche procreative in contrasto con le nostre leggi.
Questa è la posizione del Gruppo Area Popolare, avendo chiari i principi etici, giuridici e di civiltà espressi in questo intervento. (Applausi dal Gruppo AP (NCD-UDC) e del senatore Liuzzi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Serafini. Non essendo presente in Aula, si intende abbia rinunziato ad intervenire.
È iscritto a parlare il senatore Lo Giudice. Ne ha facoltà.
LO GIUDICE (PD). Signora Presidente, colleghe e colleghi, nel 1986 iniziava a Palermo il maxiprocesso alla mafia, Ali Agca veniva condannato per l’attentato a Giovanni Paolo II, Enzo Tortora veniva assolto con formula piena e in Unione Sovietica esplodeva il reattore nucleare di Chernobyl. In Senato, una parlamentare napoletana, Ersilia Salvato, depositava il primo disegno di legge sulle convivenze di fatto. Da allora sono passati trent’anni esatti. In ogni legislatura sono state depositate proposte di legge sulle coppie di fatto, le unioni civili, i PACS, i DICO, i matrimoni egualitari, ma mai, prima di oggi, un’Aula del Parlamento aveva ritenuto importante discuterne. Un’altra generazione di lesbiche e gay italiani, l’ennesima, è invecchiata e se n’è andata senza che lo Stato riconoscesse la dignità del loro amore.
In questi trent’anni, da quando la Danimarca ruppe il ghiaccio, nel 1989, emanando la prima legge al mondo sulle unioni civili, identica a quella che stiamo discutendo oggi, 14 Paesi europei hanno esteso il matrimonio civile alle coppie dello stesso sesso, così come hanno fatto gli Stati Uniti d’America, i grandi Paesi cattolici del Sudamerica, il Canada, il Sudafrica, la Nuova Zelanda e altri ancora. La Germania, insieme ad alcuni Stati dell’Europa orientale, ha adottato, invece, il vecchio istituto delle unioni civili, e oggi solo Bulgaria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia tengono compagnia all’Italia nel triste girone dei Paesi dell’Unione europea in cui i diritti delle coppie dello stesso sesso sono totalmente ignorati dalla legislazione.
Il Parlamento italiano arriva oggi, con trent’anni di ritardo, a questo appuntamento con la storia, forse pressato più che dall’urgenza morale da due sentenze della Corte costituzionale.
Nella sentenza n. 138 del 2010 la Consulta ha definito l’unione omosessuale come la stabile convivenza fra due persone dello stesso sesso cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia – ripeto una condizione di coppia – ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. La Corte aggiunge che sarà lei stessa a garantire, attraverso il controllo di ragionevolezza, la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e della coppia omosessuale.
I concetti di famiglia e di matrimonio – si legge nella sentenza – non si possono ritenere cristallizzati con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei principi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto della trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi.
Sembrano risuonare qui le parole di Aldo Moro all’Assemblea costituente, quando lasciò agli atti che, pur essendo molto caro ai Democristiani il concetto del vincolo sacramentale nella famiglia, questo non impedisce di raffigurare una famiglia comunque costituita come una società che, avendo determinati caratteri di stabilità e funzionalità, possa inserirsi nella vita sociale.
Appare, insomma, evidente il paradosso con cui oggi l’articolo 29 della Costituzione, voluto per difendere la famiglia, le famiglie così come sono, da interventi ideologici dello Stato, viene oggi brandito come una clava per negare autonomia e valore sociale a una parte delle famiglie italiane. (Applausi dai Gruppi PD e Misto-SEL).
È nel solco di questa naturale evoluzione del diritto che si è giunti alla sentenza della Corte di cassazione n. 4184 del 2012, che definisce i componenti della coppia omosessuali titolari del diritto alla vita familiare: anche in questo caso nessuna lettura creativa, ma il recepimento necessario della giurisprudenza comunitaria e della Corte europea dei diritti umani, che oggi considera, in maniera incontrovertibile, doversi applicare alle coppie dello stesso sesso quel diritto alla vita familiare sancito dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani.
Proprio la negazione del diritto alla vita familiare è costato all’Italia, nel luglio scorso, la condanna da parte della Corte europea dei diritti umani. Sarebbe del tutto incoerente, come qualcuno chiede, togliere dal testo l’unico riferimento presente al concetto di “vita familiare”. (Applausi dai Gruppi PD e Misto-SEL).
Infine, la sentenza n. 170 del 2014 ha chiesto al Parlamento di colmare questo vuoto giuridico, che corrisponde a una lesione di diritti fondamentali, “con la massima sollecitudine”.
Si è detto che questa legge rappresenta l’estensione del matrimonio alle coppie dello stesso sesso. Purtroppo, non è così, anche se con altri colleghi abbiamo presentato emendamenti in questo senso.
Avevo depositato già il primo giorno di questa legislatura un disegno di legge per il superamento della discriminazione nell’accesso al matrimonio che oggi rappresenta la peculiarità dell’Italia rispetto alla maggioranza dei Paesi europei. Ma questo Parlamento ha scelto un’altra strada, l’unica altra strada possibile per rispondere alle ripetute sollecitazioni della Consulta senza incorrere in norme discriminatorie destinate a cadere sotto i colpi delle corti europee: un istituto distinto che riconosca però la parità dei diritti. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore De Cristofaro).
La legge tedesca sulle unioni civili, cui oggi diciamo di ispirarci, è stata sanzionata dalla Corte di giustizia europea tutte le volte in cui è stata impugnata una differenza di trattamento rispetto al matrimonio. È quello che è successo – ad esempio – nel 2008, quando la Germania fu costretta dalla Corte di giustizia europea a riconoscere alle coppie unite civilmente la pensione di reversibilità in un primo momento negata, in nome del principio di non discriminazione dei cittadini sulla base del loro orientamento sessuale. Ogni differenza di trattamento in termini di diritti nascerebbe come disposizione già morta, perché sarebbe giudicata dalla stessa Corte di giustizia che si è già espressa sulla legge tedesca.
Sull’articolo 5, che estende alle parti delle unioni civili la possibilità di adozione del figlio del partner già prevista per i coniugi, dirò solo due cose. La prima riguarda quel che non c’è, la seconda quello che c’è.
Quello che non c’è è una modifica della legge n. 40 del 2004 che renda possibile in Italia quello che oggi è vietato: l’accesso alla gestazione per altri e l’accesso alla fecondazione eterologa per donne single o coppie di donne.
Quello della maternità surrogata, in particolare, è tema complesso e delicatissimo, che meriterà un dibattito serio e approfondito, ma fuori dalla strumentalità di questi mesi. È tema che divide, certo: divide gli Stati europei che lo affrontano in modo diverso, chi vietando (come l’Italia), chi regolamentando, rendendolo quindi possibile (come la Gran Bretagna, il Belgio, i Paesi Bassi, la Grecia), chi ignorando. Ha diviso in più occasioni il Parlamento europeo. Divide il movimento femminista internazionale e quello italiano, che si è spaccato non certo sul giudizio negativo (unanime) sulle situazioni di sfruttamento e illegalità nei Paesi poveri, ma su quanto in questo giudizio negativo dovessero essere coinvolte anche le situazioni basate sulla libertà e la tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti.
È tema – è bene ricordarlo – che riguarda al 95 per cento coppie eterosessuali e che interessa meno del 20 per cento dei figli di persone omosessuali, la cui gran parte è composta da figli di coppie di donne – figli scomparsi da questo nostro dibattito – e una parte dei quali è nata da precedenti relazioni eterosessuali.
Chi evoca in questo contesto l’orribile situazione di sfruttamento di donne dei Paesi poveri, spinte dalla miseria, spesso non consapevoli, in mano al racket o ai loro stessi mariti, pone l’accento su un fenomeno reale, su cui l’opinione pubblica internazionale dovrebbe alzare il livello di attenzione. Ma mente sapendo di mentire quando lega questo fenomeno alle coppie gay che sono escluse all’origine dalle leggi di quegli stessi Stati dall’accesso a queste pratiche in quei luoghi; Stati che limitano alle coppie eterosessuali l’accesso a questi tristi fenomeni di sfruttamento. Nessuna coppia di uomini può accedere alla maternità surrogata in India o in Thailandia o in Nepal, ma neanche in Russia o in Ucraina, poiché questi Paesi la ammettono solo per coppie di uomo e donna.
Le coppie gay italiane possono accedere alla gestazione per altri solo in California o in Canada, dove vigono rigorosi protocolli a tutela della libertà delle donne e dell’assenza di un bisogno economico. Si tratta di donne che attivano con quei bambini legami che durano, che avranno un ruolo nella loro vita, consentendo peraltro la trasparenza delle origini, compresa quella genetica, in modo superiore a quanto consentito oggi in Italia dalla più volte citata legge n. 40.
La gestazione per altri è possibile in California – ad esempio – perché così ha stabilito la Corte suprema di quello Stato, attraverso giudici estremamente attenti alla indisponibile tutela dei diritti della donna.
Se quest’Assemblea ha il dubbio che negli Stati Uniti o in Canada siano violati i diritti delle donne americane o canadesi, promuoviamo un approfondimento, attivando i canali politici e diplomatici che abbiamo con i nostri alleati per verificare quali protocolli preveda il diritto di quei Paesi a protezione della libertà delle donne. Ma evitiamo la criminalizzazione di condotte che lì, in Paesi di solida civiltà giuridica e di alta attenzione ai diritti civili di tutte e tutti, sono perfettamente regolamentate e socialmente accettate. E ragioniamo piuttosto sull’apertura alle adozioni di bambini abbandonati anche alle coppie dello stesso sesso, come avviene in gran parte d’Europa. Questo sì che è l’unico atto legislativo che avrebbe come effetto ridurre il ricorso alla maternità surrogata da parte di coppie dello stesso sesso. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Buccarella). Ad ogni modo, giova ripetere che la legge che stiamo discutendo non modifica una virgola dei divieti previsti dalla legge n. 40. Ma vengo al secondo punto, che è quello dirimente.
Nel 2014 l’Italia ha definitivamente archiviato la distinzione fra figli naturali e figli legittimi. Fino ad allora era rimasta in vigore una distinzione, che oggi ci appare barbarica, fra i figli nati all’interno del matrimonio, a cui venivano riconosciuti maggiori diritti rispetto ai figli nati fuori dal matrimonio, considerati illegittimi. Anche in quel caso, la logica di quella distinzione si fondava su un giudizio etico negativo del legislatore, che puntava a disincentivare i rapporti sessuali extramatrimoniali, intervenendo sui diritti dei bambini e stigmatizzandoli socialmente come diseguali fra loro, con scarsi risultati, peraltro, se oggi un bambino su quattro – in alcune zone d’Italia uno su tre – nasce fuori dal matrimonio. (Applausi della senatrice Bignami).
Oggi è sentire comune della politica, come delle Corti che qualunque valutazione sulle scelte degli adulti e sulle modalità con cui un bambino è venuto al mondo non possa sovrastare il diritto di quel bambino a vedersi riconosciuti giuridicamente i legami con i suoi genitori di fatto.
La stessa legge n. 40, varata dalla maggioranza di centrodestra nel 2004, nel vietare anche alle coppie eterosessuali la possibilità di fecondazione eterologa sul territorio nazionale (divieto poi cancellato dalla Consulta), affrontava nel modo migliore il tema dei figli nati all’estero da quella pratica vietata in Italia. L’articolo 9, infatti, prevedeva e prevede che «Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (…) il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità (…)». Ripeto: «non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità».
Si tratta di in principio elementare nella sua semplicità, coerente con la Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e con quei criteri di umanità che devono sempre guidare il legislatore: un principio che sembrò scontato ed unanime a proposito di figli di coppie eterosessuali e che, invece, viene ribaltato nel suo opposto ora che si parla di figli di coppie dello stesso sesso. A questi bambini, a causa non della loro origine, ma del tipo di famiglia in cui nascono e crescono, si vogliono porre limitazioni di ogni tipo, negando la possibilità di un rapporto pieno, stabile e non precario con i loro genitori o mettendo sotto controllo speciale quelle famiglie per due, tre o molti anni, affinché abbiano il tempo di dimostrare allo Stato di essere buoni genitori attraverso modalità speciali rispetto a quelle delle famiglie eterosessuali: percorsi più lunghi e complicati e restrizioni rispetto ad una giurisprudenza che si va affermando nel Paese.
L’adozione coparentale (quella che chiamiamo stepchild adoption) è prevista nel nostro ordinamento da più di trent’anni per le coppie eterosessuali e da un paio di anni si va affermando in giurisprudenza un indirizzo che già la ammette anche per le coppie dello stesso sesso, con gli stessi presupposti dell’attenta verifica del superiore interesse del minore richiesti per le coppie eterosessuali. Ogni disparità di trattamento che venisse introdotta con questo provvedimento non solo sarebbe palesemente incostituzionale – farebbe ricadere sui bambini un’odiosa discriminazione nei confronti dell’orientamento sessuale degli adulti – ma finirebbe nel momento in cui il nostro Paese si appresta a riconoscere qualche diritto agli adulti, per toglierne proprio ai più piccoli.
Signora Presidente, colleghe e colleghi, siamo di fronte ad un passaggio storico per il nostro Paese. Questo provvedimento non riconosce e non riconoscerà l’uguaglianza alle coppie omosessuali, come avviene nella gran parte del resto del mondo occidentale. Facciamo almeno in modo che riconosca la piena dignità di queste famiglie e dei loro bambini.(Applausi dai Gruppi PD, M5S e Misto-SEL e della senatrice Bignami. Molte congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Augello. Ne ha facoltà.
AUGELLO (GAL (GS, PpI, M, MBI, Id, E-E)). Signora Presidente, colleghi senatori, desidero iniziare il mio intervento chiarendo che, nonostante sul tema delle unioni civili il clima si sia piuttosto arroventato nel Paese, mi è ben presente la buona intenzione della collega Cirinnà nel predisporre il disegno di legge in esame. Allo stesso modo, però, mi è ben presente la non banale circostanza che l’Italia sconta un deficit di ritardo ed arretratezza nell’affrontare questa materia.
Inoltre, tengo a chiarire che, dal mio punto di vista, la questione che noi stiamo affrontando non può essere incardinata con spalti affollati da tifoserie mosse da questioni che hanno a che fare non con la Costituzione, ma con la pur rispettabilissima convinzione di un credo religioso. Dico questo perché ciò che, come componente della Commissione affari costituzionali, non mi ha convinto di questo disegno di legge fin dalla sua presentazione ha a che fare con laicissime ragioni di diritto e di diritto costituzionale e non con altro tipo di suggestioni. E noi dobbiamo laicamente affrontare questa materia. Bisogna, però, fare attenzione perché nelle tifoserie presenti sugli spalti non si assiepano soltanto persone che, per motivi fideistici o religiosi, ritengono improponibile qualsiasi tipo di regolamentazione o unione tra omosessuali. C’è un’altra curva di dette tifoserie, che in questo momento si schiera nel Paese, che è altrettanto pericolosa ai fini della qualità della nostra discussione. È una tifoseria che, nella sostanza, ha molto influito sul primo testo del disegno di legge che tradisce, in realtà, tutta la debolezza di un impianto che, per quanto limato ed emendato, era e rimane debole costituzionalmente.
Veniamo intanto ai fatti di cui stiamo discutendo. Quando viene presentato il disegno di legge Cirinnà abbiamo di fronte un prodotto legislativo che sostanzialmente utilizza un artifizio: di questo si è trattato e ve ne sono le prove e c’è addirittura la “pistola fumante”, come si suol dire in termini giornalistici. Lo stratagemma che viene utilizzato non è quello di affrontare con una prima riforma l’urgenza e la necessità di conferire un determinato e limitato pacchetto di diritti alle coppie omosessuali. Viene invece proposto un altro tipo di impianto che ha una struttura chiarissima: esso è basato sulla riproposizione di tutti gli articoli del codice civile che sono riferiti al matrimonio, utilizzando il cavallo di Troia del dire che si tratta di un’operazione che si svolge all’ombra dell’articolo 2 della Costituzione e non dell’articolo 29.
È chiaro che questo limite di partenza pesa ancora enormemente sulla discussione che stiamo svolgendo in quest’Aula e sulla credibilità dell’intera operazione. Intanto togliamo dal campo, anche in termini di riferimenti comuni e di cultura generale, l’idea che la faccenda del matrimonio nasca come un istituto religioso. Il matrimonio nasce dal diritto romano – viene casomai assunto e fatto proprio dalla cultura giudaico-cristiana successivamente – in una società che non aveva alcun tipo di pregiudizio nei confronti dell’omosessualità.
Se la collega Cirinnà lo vorrà, un giorno faremo insieme una passeggiata al Pincio dove le mostrerò l’obelisco dedicato dall’imperatore Adriano al suo amante Antino, il quale fu addirittura divinizzato e a lui fu dedicata, a spese dell’erario, la costruzione di una città sulle rive del Nilo, nelle cui acque Antino era annegato. Tuttavia, collega Cirinnà, non si sognò mai l’imperatore Adriano di introdurre il matrimonio fra omosessuali nel diritto romano, e non perché quella cultura considerasse negativamente l’unione tra omosessuali, ma perché il matrimonium nasce e poi si sviluppa nella civiltà occidentale nell’idea che vada tutelato, attraverso il favor familiae e altri elementi, un principio di base che riproduce e proietta all’infinito la cultura e la storia della società che esprime quella famiglia.
Questo fondamentalmente è il nodo della questione: il matrimonium è strettamente legato al principio della procreazione tra sessi diversi, altrimenti questo problema sarebbe stato affrontato e risolto prima. Per la verità c’è qualche precedente, nel senso che almeno due imperatori romani sposarono un uomo, ma – ahinoi – uno era Nerone e l’altro era Eliogabalo, entrambi condannati alla damnatio memoriae e, quindi, forse è anche probabile che quei matrimoni non siano mai avvenuti, e comunque non dispiegarono effetti sugli assi ereditari.
La nostra Costituzione da questo punto di vista è chiarissima. Abbiamo un articolo 29 e il sottostante sistema legislativo che escludono che si possa utilizzare lo stesso tipo di riferimento costituzionale e lo stesso identico sistema di diritti per un’unione omosessuale o per un’unione e un matrimonio eterosessuale. Eppure, il disegno di legge Cirinnà questo diceva all’inizio. E non solo diceva questo, ma tradiva in qualche modo la sua vocazione a raggirare la Costituzione con un elemento oggettivo, che è – appunto – la pistola fumante: le unioni civili erano talmente una fotocopia del matrimonio che non si riteneva potessero essere utilizzate come un istituto indifferentemente accessibile ad omosessuali ed eterosessuali. E per quale ragione la risposta è semplice, ossia perché gli eterosessuali avevano già il matrimonio: questo era il ragionamento.
Da qui scaturisce la necessità di avere due titoli della legge: un primo che creava di fatto un matrimonio fotocopia; un secondo invece, peraltro abbastanza ben redatto, che regolamentava le convivenze.
Su questo ci siamo misurati in Commissione affari costituzionali e credo che siano ancora agli atti della Commissione – non ci sono, come sapete, Resoconti stenografici, ma sintesi degli interventi – interventi di colleghi stimati e preparati in materia costituzionale, appartenenti comunque al fronte favorevole al disegno di legge Cirinnà. Essi, non potendo negare questo evidente vizio d’origine del disegno di legge, si sono affannati a dire che la Costituzione deve in qualche misura adeguarsi ai tempi e, di conseguenza, c’era questa debolezza, questa forma un po’ italiana di rappresentare la questione, ma fondamentalmente ciò rappresentava non una vera e propria violazione, ma una interpretazione dei tempi in cui viviamo. Pertanto, in sostanza, nessun argomento credibile poteva negare l’evidenza: si stava, cioè, fabbricando un matrimonio fotocopia. A seguito di tutto il dibattito che si è sviluppato, non tanto in Commissione affari costituzionali dove la vicenda è stata liquidata in poche ore, ma in Commissione giustizia, sono poi intervenute alcune limature. Se però parliamo seriamente con qualunque costituzionalista, questi non potrà negare che l’impianto fondamentale è rimasto lo stesso della proposizione iniziale.
Cosa ciò abbia a che fare con i diritti degli omosessuali, onestamente fatico a comprenderlo, nel senso che il nostro sistema dei diritti deve essere disciplinato dalla Carta costituzionale. Non possiamo avere un sistema dei diritti che il Parlamento interpreta liberamente aggirando una norma costituzionale e servendosi impropriamente di un’altra.
Questo è scorretto sul piano non soltanto costituzionale e formale, ma anche politico e culturale, perché nulla impediva, visto che stiamo facendo una riforma costituzionale, di assumersi la responsabilità di dire che si cambiava l’articolo 29. Se qualcuno in quest’Aula è convinto che esista questo tipo di necessità, assume una posizione rispettabile, che certamente alla fine va sottoposta anche a un giudizio popolare. Tuttavia, se questo è lo scopo, cioè se qualcuno in quest’Aula – non io – pensa che sostanzialmente un’unione omosessuale e un’unione eterosessuale diano luogo semplicemente a due tipi di famiglie con pari diritti, non ha altro da fare che ricorrere a uno strumento possibile, riconosciuto al Parlamento, che è la modifica dell’articolo 29 della Costituzione. E ciò sarebbe stato meglio, intanto perché il dibattito sarebbe stato più chiaro e anche più laico, perché in qualche misura si sarebbe tolta di mezzo tutta una serie di equivoci e si sarebbe affrontata la questione alla sua radice, perché a questo si vuole arrivare. In secondo luogo, sarebbe stato più semplice argomentare, per entrambe le parti, un punto di vista costituzionale e si sarebbe avuto un dibattito chiaro agli occhi dell’opinione pubblica. Non è stato così e – a mio avviso – questa sarà una scelta che pagheremo, perché alla fine tutto ciò genererà una grande confusione, e in ogni caso ci mette anche nelle condizioni di fare un dibattito più opaco.
Non mi pronuncio in questa sede, perché lo faranno altri, sul tema della maternità surrogata e dell’utero in affitto, perché mi sembra che stiamo discutendo sul piano delle conseguenze di un impianto sbagliato all’inizio e non su quello delle premesse e, quindi, non si può partire da lì. Bisogna partire da un’idea fondamentalmente sbagliata che poi, via via, è stata modificata, ma rimanendo su un impianto sbagliato. Questo è il punto che io laicamente sto sollevando.
È soprattutto per questa ragione, e per tante altre che illustreranno i colleghi del mio Gruppo intervenendo dopo di me, che non si può che avere un giudizio negativo, anche dal punto di vista delle coppie omosessuali, su un’impostazione sbagliata, su una legge bandiera, su un modo che comunque – ovviamente non era nelle intenzioni della collega Cirinnà, che è una bravissima persona – finisce certamente col portare tutta la questione su un asse che non ha alcun tipo di concreta e possibile rappresentazione rispetto alla nostra Carta fondamentale.
Per queste ragioni voterò contro il provvedimento in esame.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Scilipoti Isgrò. Ne ha facoltà.
SCILIPOTI ISGRO’ (FI-PdL XVII). Signora Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, siamo chiamati oggi, in Aula al Senato, per discutere e confrontarci sul disegno di legge n. 2081 in materia di «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», presentato dalla senatrice Monica Cirinnà.
In un Paese moderno come il nostro è inammissibile che non vengano ancora regolamentate le unioni civili. In Paesi conservatori, come la Gran Bretagna e la Germania, si è affrontato il suddetto tema con coraggio e serietà, senza dimenticare i valori religiosi su cui si fondano queste due Nazioni. Non vogliamo dimenticare l’aspetto principale dell’articolo 29, comma 1, della Costituzione, che recita: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». La famiglia tradizionale è il pilastro dei nostri valori e nessuna legge potrà sostituire questa concezione.
Non posso esimermi dal notare gli innumerevoli cambiamenti che interessano la nostra società e dall’evidenziare che il mondo è in continua evoluzione. Pertanto, è giusto e opportuno che la politica evolva con esso e venga emanata una legge sulle unioni civili, ma tutto ciò non deve calpestare in alcun modo i diritti della famiglia e, soprattutto, i diritti dei bambini.
Quanto esprimerò potrà apparire agli occhi di alcuni senatori presenti in Aula come una provocazione: le mie sembreranno parole dure e potranno suscitare scalpore tra taluni di voi. Non posso, però, esimermi da tale compito, perché in questo momento avverto più che mai l’obbligo di assumermi questa responsabilità, da umile credente quale sono. Le mie considerazioni sono frutto di riflessioni personali, e non solo in qualità di uomo di scienza, avendo esercitato la professione di medico, specializzato in ginecologia e ostetricia, ma anche e soprattutto di uomo di fede cristiana.
Vorrei leggere in quest’Aula alcune citazioni delle Sacre scritture. Non voglio perdermi in congetture e analisi, non voglio filosofeggiare, non voglio dare spiegazioni, ma voglio solo ricordare la parola di Dio sull’incompatibilità della famiglia, generata da un uomo e una donna, con l’omosessualità: «La donna non si vestirà da uomo e l’uomo non si vestirà da donna poiché il Signore, il tuo Dio, detesta chiunque fa tali cose». E ancora: «Non ti coricherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole. Non rendetevi impuri con nessuna di tali pratiche, poiché con tutte queste cose si sono rese impure le nazioni (Commenti della senatrice Nugnes) che io sto per scacciare davanti a voi. Chiunque praticherà qualcuna di queste abominazioni, ogni persona che le commetterà, sarà eliminata dal suo popolo». Questo passo è estratto dal Levitico, il terzo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana, composto da 27 capitoli, scritti in ebraico, contenenti quasi esclusivamente leggi religiose e sociali, che Mosè diede agli ebrei durante il soggiorno nel deserto del Sinai, circa milleduecento anni avanti Cristo. (Commenti della senatrice Taverna).
Più importante è focalizzare l’attenzione su tutte quelle significative citazioni del Levitico, partendo dalla prima pagina della Bibbia, in cui è scritto: «maschio e femmina li creò». Li creò per essere una «sola carne» e per procreare. Così si estende la creazione divina, che ha nell’uomo la sua corona.
Anche il Nuovo Testamento non cambia direzione al riguardo: infatti, un passo particolarmente esplicito è estratto dalla prima lettera ai Corinzi: «Non v’ingannate: né i fornicatori (…), né gli adulteri, né gli effeminati, né gli omosessuali, né i ladri (Commenti della senatrice Bottici), né gli avari, né gli ubriaconi, né gli oltraggiatori, né i rapinatori erediteranno il regno di Dio».
Alcune tesi tentano di dimostrare l’inversione di tendenza e di atteggiamento sull’omosessualità tra il Vecchio e il Nuovo Testamento, ma probabilmente la verità più bella e schiacciante, che cancella ogni altra tesi, è quella che scrive Matteo: «Un credente non deve mai dimenticare che Dio non cambia». Cosa c’è di più vero di questo?
Non credo serva commentare queste citazioni. Voglio solo osservare che, ancora una volta, abbiamo di fronte la scelta tra onorare le nostre radici cristiane, nostre e di tutta l’Europa, oppure dimenticarle, in favore di liberalizzazioni estreme che rischiano di minare le fondamenta dell’istituto della famiglia, senza la quale non saremmo niente.
Il nucleo naturale all’interno del quale la nostra civiltà si è sviluppata nei secoli è sempre stato composto da un uomo e da una donna, che hanno costruito una unione sulla base della quale hanno fatto nascere e crescere i loro figli. La famiglia, comunione d’amore e di vita, fondata sul patto d’amore del matrimonio, rappresenta una risorsa sociale alla quale non si possono equiparare le unioni di fatto.
In qualità di medico ginecologo posso affermare che l’aspetto anatomico e fisiologico dell’uomo è incline e rivolto verso la donna e reciprocamente la donna si completa nell’uomo. Tengo a precisare come anche nella tecnica della fecondazione artificiale, i gameti che vengono impianti nell’utero devono appartenere ad entrambi i sessi, altrimenti non otterremmo alcun risultato. Non esiste in natura la procreazione omosessuale, non è prevista.
A tal proposito vorrei aprire una breve parentesi sul concetto di concepimento: che cos’è il concepimento? Dal punto di vista fisiologico, è l’avvenuto raggiungimento dello spermatozoo nell’ovulo femminile e la successiva fecondazione. Dal punto di vista etico e spirituale, il concepimento è la più alta e sublime espressione dell’uomo e della donna: dare la vita. Tale atto mette in relazione i due protagonisti come esseri creatori, tali da manifestare Dio sulla terra. Il concepimento rappresenta, allora, quell’atto divino che racchiude l’incontro d’amore tra l’uomo e la donna, processo che simboleggia l’espressione di vita che si perpetua nei secoli e garantisce la progenie umana.
Correlato al tema dei figli naturali nati dal concepimento è il tema dei figli adottivi, la stepchild adoption (espressione inglese che non è altro che l’adozione del figliastro), ossia il riconoscimento, da parte di uno dei due coniugi, dei figli dell’altro coniuge. In altre parole, se una delle due o entrambe le persone che si uniscono civilmente hanno già dei figli, nati da precedenti unioni, la legge dà la possibilità di includerli nel nuovo nucleo familiare. Questa è a tutti gli effetti un’adozione dei figli del partner, che consente all’altro coniuge di diventare automaticamente genitore. In sostanza, il figliastro viene inserito all’interno del nuovo consesso e uno dei due genitori ha la possibilità di riconoscerlo dinanzi alla legge. Questo è un punto critico del disegno di legge Cirinnà, che non scongiura il rischio di una corsa alla pratica della maternità surrogata, vietata in Italia dalla legge n. 40 del 2004, pur non essendo una norma che legittima l’utero in affitto.
Bisogna fare chiarezza. Bisogna riflettere prima di prendere delle decisioni affrettate in materia d’adozioni. Il mio intervento mira semplicemente a sostenere il senso comune di larga parte del nostro popolo che – ad esempio – si è riunito in centinaia di migliaia di persone lo scorso 20 giugno a Piazza San Giovanni per difendere la famiglia dai recenti tentativi di snaturamento della sua forma e significato.
Intensa è stata la partecipazione all’appuntamento di sabato 30 gennaio 2016 al Circo Massimo in occasione del Family day. Nella Capitale sono arrivati circa 700.000 manifestanti da tutta Italia per difendere la famiglia, per dire no al disegno di legge Cirinnà e a tutte le conseguenze che, certamente, ne deriverebbero, quali la mercificazione dei bambini e lo svilimento della figura della donna ridotta a un mero utero da affittare.
A mio avviso, è altresì pericoloso utilizzare il termine «famiglia tradizionale» perché la famiglia è famiglia! Paragonare il concetto universale di famiglia con l’unione civile comporterebbe il decadimento del modello di famiglia, basata sul matrimonio come patto indissolubile tra persone di sesso diverso.
Pur avendo espresso il mio punto di vista di uomo cristiano, riconosco la necessità di mantenere un filo diretto di confronto tra credenti e non credenti, anche e soprattutto sulle materie eticamente più discusse. Questo perché la nostra società si è sviluppata nel dialogo e nel reciproco rispetto di tutte le opinioni di volta in volta manifestatesi. Sono convinto che la diversità dei punti di vista debba essere accolta come un elemento positivo per arrivare a decisioni condivise e rispettate da tutti. Tuttavia, quello a cui assistiamo negli ultimi anni è il tentativo di imporre una nuova visione dell’umanità, della genitorialità e del matrimonio. L’idea di base porta a derive in cui la propria sessualità può essere decisa a piacimento, anche senza alcuna modifica della fisicità naturale (vedi il caso di Thomas Beatie, nato donna, diventato uomo in età adulta pur conservando l’apparato riproduttivo femminile e rimasto «incinto» per tre volte, perché la compagna non poteva avere figli), e dove un papà e una mamma diventano genitore 1 e genitore 2 e il diritto del bambino di crescere in una famiglia composta da un uomo e una donna è subordinato al desiderio di adulti di intraprendere avventure che la natura non ha previsto per loro e che non possono essere attribuite per legge dall’uomo.
Enoch, personaggio biblico, ci ha lasciato la sua previsione che, al sorgere dell’età dell’Acquario, momento in cui dalla coscienza scientifica si passerà a uno stato di coscienza basato sulla ricerca della saggezza, terminerà la lunga era dei Pesci che ci sta contrassegnando in questo periodo storico caratterizzato da fanatismo, conformismo, ignoranza, paura ed egoismo.
Entrando nel merito del disegno di legge in discussione, esso prevede l’estensione di alcuni diritti della famiglia alle unioni civili, quale l’istituto della reversibilità della pensione, originariamente previsto come un sostegno alla parte più debole della famiglia, cioè la donna che si prendeva cura dei figli.
TAVERNA (M5S). Ma cosa sta dicendo?
PRESIDENTE. Colleghi, lasciate parlare.
TAVERNA (M5S). Presidente, si rende conto? È proprio fastidioso.
PRESIDENTE. È un ampio dibattito. Tutti hanno diritto.
SCILIPOTI ISGRO’ (FI-PdL XVII). Vorrei evidenziare come questa misura, insieme ad altre previste dal provvedimento (ad esempio, le detrazioni per i familiari a carico), comporti un costo per le finanze pubbliche che è stato notevolmente sottovalutato, anche dai tecnici del Ministero dell’economia. Mi riferisco a stime che prendono come base di calcolo un orizzonte temporale di previsione di soli dieci anni e una platea di destinatari nettamente più ristretta di quella che emerge dai dati ISTAT, che già nel 2011 stimava in oltre un milione gli omosessuali dichiarati. È evidente, perciò, che, in un’epoca di tagli alle risorse disponibili e di difficili decisioni circa le priorità verso cui destinare le stesse, un’estensione di diritti che comportano impegni economici significativi per le finanze pubbliche dovrebbe essere valutata con maggiore cautela e attenta analisi, sicuramente non con un tweet del Ministero dell’economia. La considerazione che il nostro modello di welfare sociale è sostenuto già con notevoli difficoltà avrebbe dovuto indurre a maggiore cautela nell’approccio ad un ampliamento di diritti, che pure non voglio con queste considerazioni negare a prescindere.
Oggi si confonde facilmente il concetto di «politica» con «partitico» o con «parlamentarismo». Il nostro pensiero e le nostre radici filosofico-politiche discendono da padri ecclesiastici come Sant’Agostino, da canonisti come Gregorio VII, da dottori scolastici come San Tommaso e dal magistero ecclesiastico di Pio XII. Tutto questo è contaminato dal pensiero del “politicamente corretto” della Rivoluzione francese, di Macchiavelli, del luteranesimo, del Rinascimento e dell’Umanesimo.
«Non dobbiamo dimenticare che l’oggi discende dallo ieri e il domani è il frutto del passato», così parlava San Pio X nel 1910. Quindi non dimentichiamo le nostre origini, la nostra vera natura umana e spirituale, perché gli errori di oggi sono la catastrofe del domani delle nostre azioni e dei nostri pensieri.
Signora Presidente, abbiamo allora certamente il dovere e l’obbligo di difendere le diversità dai soprusi e dalle ingiustizie, e lo dobbiamo fare in maniera chiara e netta, perché siamo orgogliosi della democrazia che abbiamo creato in questo Paese. Ma dobbiamo davvero approvare una legge che, in buona sostanza, equipari le unioni omosessuali al matrimonio che, lo ricordo, nasce come sacramento e solo dopo diventa un’unione anche civile e non più solo «davanti a Dio»?
Mi permetta di dire che non possiamo rinnegare i principi fondamentali della nostra società, fino quasi a nascondere la normalità: ci dobbiamo forse vergognare di questa normalità? (Commenti della senatrice Taverna).
Al contrario, voglio affermare con forza che, pur rispettando tutti, voglio sentirmi libero di essere normale, di quella normalità che rimane unica legge universale.
La famiglia non è solo una forma d’aggregazione costruita nei millenni di storia; per i cristiani è fondata sul matrimonio religioso, sul giuramento di fedeltà davanti a Dio, la cui sacralità dell’atto ne sancisce l’immutabilità della sua composizione e dei valori cristiani su cui si fonda. Dio ha voluto che la famiglia fosse composta da padre, madre e figli. (Commenti della senatrice Nugnes). Non c’è marito senza moglie, non c’è moglie senza marito, e soprattutto non c’è vita senza entrambi i sessi. (Commenti della senatrice Cardinali).
PRESIDENTE. Colleghi, fate concludere l’intervento del senatore Scilipoti Isgrò.
SCILIPOTI ISGRO’ (FI-PdL XVII). L’omosessualità non porta vita. Una madre surrogata non è madre. (Commenti dalla senatrice Taverna. Richiami del Presidente).
Ma come si può togliere a una madre il bambino appena nato?
CIOFFI (M5S). Ridateci Gasparri! (Ilarità dal Gruppo M5S).
SCILIPOTI ISGRO’ (FI-PdL XVII). Neanche ai cani e ai gatti vengo sottratti i cuccioli prima dei sessanta giorni di vita, come la senatrice Cirinnà sa bene. Dopo nove mesi di gestazione, come si può permettere questo abominio?
Dove sono i diritti del bambino, se appena nato viene dato a una coppia che nemmeno ha partecipato, in modo diretto, all’atto fisico del concepimento?
È ricorso da poco il 25 gennaio, giorno della conversione di San Paolo, un episodio della storia della religione cattolica tanto famoso da essere divenuto proverbiale. (Commenti dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Fate concludere l’intervento senza fare commenti, come hanno fatto tutti gli altri.
SCILIPOTI ISGRO’ (FI-PdL XVII). Anche ai giorni nostri è rimasta infatti in uso l’espressione «folgorato sulla via di Damasco». Egli perseguitava i seguaci di Cristo in modo assiduo ed il viaggio che aveva intrapreso per Damasco aveva appunto lo scopo di smascherare e imprigionare gli adepti della nuova fede. Proprio mentre si stava recando in questa città fu avvolto da una luce ed udì una voce che gli disse: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti!». La voce era quella di Gesù. Paolo si accasciò a terra e quando si rialzò e aprì gli occhi si rese conto di essere diventato cieco. Questa è un’allegoria della proposta di legge della senatrice Cirinnà, che magari “folgorata sulla via di Damasco” possa riflettere su come questo disegno di legge sia un pessimo approccio alla soluzione del problema delle unioni civili e alla tutela delle coppie omosessuali.
PRESIDENTE. Deve concludere, senatore.
SCILIPOTI ISGRO’ (FI-PdL XVII). Grazie, Presidente, un minuto e concludo.
C’è troppa bramosia di affrontare un discorso così delicato, così laico in un Paese a maggioranza cattolica, che si rischia di creare una situazione di tensione tra diverse comunità religiose e non.
In conclusione, il mio voto al disegno di legge sulle unioni civili sarà contrario. Come Gruppo Forza Italia siamo favorevoli al riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali, ma non vogliamo che siano equiparati al matrimonio e non possiamo accettare che vengano messi sullo stesso piano giuridico. Lo stesso discorso vale per il tema delle separazioni delle coppie omosessuali e dell’adozione di figli. Ricordo le parole di San Paolo a Timoteo: la fede va testimoniata sempre ed in ogni circostanza. I cristiani devono essere uniti in difesa della famiglia, particolarmente ora, indipendentemente dalla loro appartenenza partitica. (Applausi del senatore Amidei).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Mancuso. Ne ha facoltà.
MANCUSO (AP (NCD-UDC)). Signora Presidente, la mia prima impressione è che l’argomento di cui stiamo trattando abbia eccessivamente assorbito l’interesse dell’opinione pubblica e sia diventato centrale nel dibattito politico, in un momento in cui probabilmente avremmo dovuto dare centralità ad altri temi.
Pur comprendendo e non volendo sminuire l’importanza del provvedimento che stiamo trattando, ritengo che, qualunque sia il suo destino e comunque venga esitato, questo provvedimento non sia destinato a creare lacerazioni nel nostro tessuto sociale: è successo già in precedenza in altre Nazioni europee e normative analoghe sono in vigore in Germania, in Francia e in Spagna, Nazioni che hanno le stesse nostre origini antropologiche, e mi pare di capire che non ci siano state in quei Paesi, devastazioni di natura sociale. Stiamo certamente trattando un tema delicato, inevitabilmente divisivo e sul quale ognuno di noi ha la sua opinione, ma che, per quanto accompagnato da preconcetti o da posizioni di intolleranza, non credo proprio possa creare disgregazioni all’interno della nostra struttura o della nostra architettura sociale.
Certamente la polarizzazione dello scontro, l’approccio ideologico, lo spirito intransigente di chi è poco incline alla discussione non aiutano il dialogo, non aiutano le parti ad incontrarsi e a trovare la possibilità di un accordo che ancora, a mio parere, potrebbe essere raggiunto. Bisogna pertanto, a parer mio, rinunciare a provocazioni e a posizioni di retroguardia e lavorare ad un confronto che parta dai punti di condivisione. Qualora questo non sarà possibile, io chiederò al mio Capogruppo e affiderò alla sua ragionevolezza la possibilità di potermi smarcare da eventuali indicazioni di partito o di Gruppo, per rispondere, su un tema così delicato e dirompente, principalmente alla mia coscienza.
Sull’argomento credo che ognuno di noi abbia delle idee che si sono formate sulla base di un percorso di vita, un percorso che è assolutamente personale dal punto di vista umano, sociale e politico e che non è sempre coincidente con le logiche della politica. Cominciamo con il dire che non ci possono essere motivi di opportunità politica che possono dare o togliere ad ogni cittadino i diritti fondamentali previsti dalla nostra Costituzione. Quali sono? Se vogliamo partire dalla Costituzione, senza intaccarne i principi, dobbiamo ribadire con chiarezza che il matrimonio è quello regolamentato dall’articolo 29 (previsto tra un uomo e una donna), ma, nello stesso tempo, non si possono negare ai nostri cittadini diritti che ormai sono universali e che sanciscono l’uguaglianza di ognuno rispetto allo Stato di cui fanno parte, soprattutto se, come nel caso dell’Italia, si tratta di uno Stato occidentale, moderno ed europeo. Abbiamo l’obbligo di riparare ad un’ingiustizia, ossia di permettere a tutte e a tutti di condividere gli stessi diritti e gli stessi doveri, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale.
Pertanto ritengo sia necessario che la legge preveda con chiarezza, senza rimandi automatici al codice civile, che l’istituto matrimoniale e quello delle unioni siano due cose distinte e separate dal punto di vista normativo. (Brusio).
Fatte queste premesse, se il collega Scilipoti Isgrò mi permette di proseguire…
PRESIDENTE. Collega Scilipoti Isgrò, ho tutelato il suo diritto di parlare, rispetti il diritto del senatore Mancuso.
MANCUSO (AP (NCD-UDC)). Fatte queste premesse, prima di continuare, voglio precisare che sono contrario alle adozioni per omosessuali che hanno deciso di convivere e che hanno il diritto di dare sfogo alle reciproche affettività, per fortuna non contemplate in questo disegno di legge, e non riesco ad essere affascinato dagli argomenti messi in campo da chi la pensa diversamente da me, e cioè che dobbiamo adeguarci ad una storia che cambia, al cambiamento dei costumi, ad una modernità che incombe e che ci costringe a superare certi steccati.
Nessuno vuole impedire a due uomini o a due donne di mettere sù una famiglia, sono liberi di farlo e di chiedere le tutele civili. Anche un single ha il suo stato di famiglia; ma ho seri dubbi che quello di potere aggiungere un figlio alla neonata famiglia possa rappresentare un diritto. Questo desiderio, seppur comprensibile, può essere invocato come una concessione legislativa, sulla base di motivazioni che possono essere più o meno condivise, ma giammai come un diritto.
I diritti di cui dobbiamo parlare in questa sede sono, prima di tutto, quelli dei minori, quelli dei figli. A questo proposito, voglio esternare sommessamente ma con chiarezza, senza alzare vessilli, senza ostentazione ma con ragionata e intima convinzione e con grande rispetto per tutti coloro che, soprattutto all’interno del mio Gruppo, la pensano diversamente, che ho riflettuto tanto sul tema della stepchild adoption e, su questo argomento, mi trovo certamente su posizioni distinte rispetto a quelle che sono state rappresentate da molti esponenti del mio partito.
In particolare, ritengo che questa norma, così com’è scritta e limitata ai genitori naturali, possa rappresentare una protezione giuridica per quei figli che sono legati biologicamente ad uno dei genitori ma affettivamente ad entrambi. È il caso, tanto per capirci, di un padre o di una madre che in epoca precedente hanno avuto un figlio; dopodiché il coniuge è venuto a mancare per decesso e il padre o la madre si ritrovano con un figlio e con nuovi orientamenti sessuali, per cui decidono di andare a convivere con un nuovo compagno dello stesso sesso. A questo punto io credo che, oltre ad essere un diritto del figlio di essere tutelato all’interno della nuova famiglia che si è venuta a formare, sia un dovere del nuovo coniuge accettare in dote il figlio del compagno o della compagna, se vuole formalizzare l’unione davanti all’ufficiale di stato civile. Guardate che di questi casi in giro ve ne sono tanti, sono già parte della realtà ma questi bambini, a differenza di altri, non hanno protezione giuridica. Sono bambini che già esistono, che vivono all’interno di famiglie omogenitoriali e crescono accuditi da due uomini o due donne; ebbene questi bambini non hanno la certezza, qualora dovesse venire a mancare il genitore naturale, di poter continuare a vivere con l’altro genitore, esattamente come non hanno il diritto, in caso di separazione, di continuare a essere accuditi dal compagno o dalla compagna del genitore biologico né quello alla continuità affettiva con il compagno separato, magari dopo che questo ha contribuito a crescerli e formarli per dieci o vent’anni.
Qui parliamo di diritti dei bambini, che non possono essere considerati responsabili della modalità di procreazione; sono bambini che ci sono e che abbiamo il dovere di proteggere.
Non mi convince neanche la motivazione secondo la quale l’introduzione di questa norma favorirebbe la spregevole pratica dell’utero in locazione. Anch’io trovo abominevole questa odiosa pratica dei figli commissionati e delle donne comprate, ma trovo che questi argomenti servano solo a confondere le cose, ad alimentare cortocircuiti tra garanzie giuridiche per i bambini e gestazioni su commissione. Siamo legislatori, se non è sufficiente l’articolo 40, attrezziamoci per trovare soluzioni diverse per evitare questo abominio. Ci sono normative europee e universali; ho visto che sono stati presentati anche degli emendamenti in proposito che prevedono un inasprimento delle pene per chi si macchia di questi reati o il divieto di adozione se non si dimostra che il figlio è frutto di una procreazione naturale.
Fino a quando dovremo sopportare, così come abbiamo fatto finora, la vergognosa ipocrisia delle coppie eterosessuali, chiaramente ricche, che sono la maggior parte dei commissionari di maternità surrogata e che si vedono regolarmente riconosciuta la stepchild adoption dalla magistratura italiana, con giurisprudenza favorevole ormai consolidata? Di fronte a queste azioni immorali finora abbiamo tenuto tutti gli occhi chiusi.
Ritengo quindi, signora Presidente, che le barriere che dobbiamo superare non sono quelle della storia, del progresso o della modernità, ma quelle dei diritti e delle disuguaglianze. (Applausi del senatore Orellana. Congratulazioni).
PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.