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SENATO DELLA REPUBBLICA—— XVII LEGISLATURA ——

571a SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO STENOGRAFICO

MERCOLEDÌ 3 FEBBRAIO 2016

(Pomeridiana)

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RESOCONTO STENOGRAFICO

Presidenza del vice presidente CALDEROLI

PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 16,33).

Seguito della discussione dei disegni di legge:

(2081) CIRINNA’ ed altri. – Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze

(14) MANCONI e CORSINI. – Disciplina delle unioni civili

(197) ALBERTI CASELLATI ed altri. – Modifica al codice civile in materia di disciplina del patto di convivenza

(239) GIOVANARDI. – Introduzione nel codice civile del contratto di convivenza e solidarietà

(314) BARANI e MUSSOLINI. – Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi

(909) PETRAGLIA ed altri. – Normativa sulle unioni civili e sulle unioni di mutuo aiuto

(1211) MARCUCCI ed altri. – Modifiche al codice civile in materia di disciplina delle unioni civili e dei patti di convivenza

(1231) LUMIA ed altri. – Unione civile tra persone dello stesso sesso

(1316) SACCONI ed altri. – Disposizioni in materia di unioni civili

(1360) FATTORINI ed altri. – Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso

(1745) SACCONI ed altri. – Testo unico dei diritti riconosciuti ai componenti di una unione di fatto

(1763) ROMANO ed altri. – Disposizioni in materia di istituzione del registro delle stabili convivenze

(2069) MALAN e BONFRISCO. – Disciplina delle unioni registrate

(2084) CALIENDO ed altri. – Disciplina delle unioni civili

(ore 16,39)

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge nn. 2081, 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763, 2069 e 2084.

Ricordo che nella seduta antimeridiana è proseguita la discussione generale.

È iscritta a parlare la senatrice Fabbri. Ne ha facoltà.

FABBRI (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge in esame, volto a superare un anacronistico vuoto legislativo, si fonda non sulla creazione di nuovi diritti, ma sul riconoscimento di quella pluralità di diritti inviolabili che già nel nostro ordinamento costituzionale ricevono tutela insuperabile in forza dei principi fondamentali previsti negli articoli da 1 a 12 della Costituzione.

L’articolo 2, infatti, tutela in modo inviolabile l’individuo in tutti quei diritti fondamentali che afferiscono al suo essere. Ciò significa che, secondo i Padri costituenti, l’essere umano ha la titolarità naturale di un nucleo di diritti inviolabili da parte di qualsiasi altro individuo, dello Stato e di qualsiasi ordinamento pubblico e privato. La storia, le scienze ed anche tutte le religioni ci indicano come fra questi diritti vi sia innanzitutto quello del bene, degli affetti e dei sentimenti rivolti al prossimo.

Lo Stato non può espropriare, nemmeno a livello costituzionale, l’individuo di questo diritto fondamentale, di cui egli gode all’interno di qualsiasi formazione sociale, perché esso rientra nella sfera dei diritti individuali fondamentali. Non è quindi consentito al legislatore poter scardinare tale fondamento della nostra democrazia introducendo limiti e confini a questi diritti a causa dell’appartenenza di genere. Non vi è ragione alcuna per escludere dall’alveo dell’articolo 2 un nucleo costituito da più individui, minori compresi, in base alla loro scelta affettiva. In caso contrario, si determinerebbe una violazione di diritti individuali.

La nostra Costituzione, con l’articolo 3, riconosce pari dignità a tutti i diritti, stabilendo l’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di razza, lingua e genere. Pertanto, fondare una diversa tutela del nucleo sociale sulla base dell’appartenenza di genere dei suoi componenti creerebbe una discriminazione irragionevole – e di fatto la crea – perché irrispettosa di un diritto fondamentale dell’individuo non comprimibile.

Oggi siamo chiamati ad occuparci anche dei doveri della Repubblica verso questo stesso individuo e le formazioni sociali in cui opera, come affermato nell’articolo 3, comma 2, della Costituzione. La Repubblica deve realizzare un’effettiva solidarietà che consenta a ciascuno lo sviluppo completo della propria vita in tutte le espressioni individuali e sociali. L’obbligo costituzionale di solidarietà, espressione del diritto all’uguaglianza sostanziale, ci impone quindi di adottare finalmente una normativa che riconosca uguali diritti e rimuova anche l’odiosa differenza di diritti basata sulle scelte della propria personalità affettiva. Non si può discriminare un soggetto per la persona che ama ed ancora più penalizzante sarebbe far ricadere tale disuguaglianza sui minori frutto di tali scelte sentimentali.

Pertanto, ritengo inaccettabile che il legislatore ancora non abbia avuto il coraggio di disciplinare il diritto alla continuità ed alla permanenza di un affetto, facendo pagare questo vuoto normativo anche e soprattutto ai minori, a causa di pregiudizi ideologici spesso piegati a ragioni di ordine politico.

Abbiamo oggi il dovere di assumerci la responsabilità di una scelta: normare una realtà esistente e colmare un vuoto legislativo.

Per quanto riguarda la preoccupazione di una possibile equiparazione con l’istituto del matrimonio, si osservi che ogni unione civile è una famiglia, cioè una società naturale tutelata dalla Costituzione, anche se non fondata sul matrimonio, come recita l’articolo 29. A tal proposito, ricordo che la Costituzione si pone al di sopra dello stesso codice civile e che essa, come già sottolineato, si interpreta partendo dal principio di uguaglianza.

Il disegno di legge sulle unioni civili in esame è un testo equilibrato. Evitiamo stravolgimenti al ribasso sul piano dell’estensione dei diritti, che danneggerebbero, peraltro, gli stessi minori. Evitiamo argomenti pretestuosi come quello della gestazione per altri, vietata, come si è detto, dalla legge n. 40 del 2004 e in alcun modo presente nel provvedimento.

Avviandomi alla conclusione, mi auguro dunque non sfugga a nessuno l’importanza di questa occasione che, se fosse sprecata, determinerebbe il perpetuarsi di una situazione di discriminazione ed ingiustizia a danno anche di tanti minori coinvolti, un’azione ingiustificabile da qualsiasi richiamo ideologico, politico o religioso.

Siamo infatti di fronte ad una grande questione di eguaglianza, non ad una materia secondaria ed elitaria; una grande questione di eguaglianza che esclude che tutto sia negoziabile per ragioni di opportunità politica, perché esporre la garanzia dei diritti fondamentali al compromesso politico significa retrocedere sul piano della nostra tenuta democratica.

Ho ascoltato con attenzione, ieri, l’intervento del senatore Nitto Palma e non posso non sottolineare quanto mi abbia colpito il passaggio sul comportamento tenuto anche dal mio partito sul tema, per esempio, del divorzio breve e diretto. La coerenza in politica paga: qui si tratta di assunzione di responsabilità da parte di una classe dirigente che non solo si ritiene tale, ma ha il dovere di scegliere, per uscire dall’ipocrisia di pensare che la società sia quella che ciascuno di noi vorrebbe e non quella che è realmente. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Consiglio. Ne ha facoltà.

CONSIGLIO (LN-Aut). Signor Presidente, colleghi senatori, il testo al nostro esame è conseguenza dei radicali mutamenti nella struttura parentale. Infatti, i dibattiti sul matrimonio gay, sulle condizioni per l’adozione e l’eventuale accesso alla tecnologia riproduttiva sono frutto dell’attraente idea basata sulla possibilità di vivere secondo una scelta individuale, apparentemente senza limiti.

Questa è la cosiddetta ideologia gender, che si propone come passaggio dalla dualità sessuale (l’essere uomo maschio o femmina) al concetto di genere, termine aperto che abbandona la bipolarità sessuale degli esseri umani, proponendo cinque generi: maschile, femminile, ermafrodita, omosessuale, transessuale. I fautori di questa teoria sostengono che le differenze tra uomo e donna siano il prodotto di culture e di epoche determinate e che sia l’ambiente socioculturale ad assegnare alle persone la loro identità sessuale. Non sarebbe un dato naturale, stabile e biologicamente determinato. Infatti, non si parla più di sesso maschile e femminile, ma di genere, imponendolo come dato mutevole, come ruolo sociale fluido, dipendente dalla cultura, dalla società, ma ancor più dalla propria scelta individuale e dalla propria sensibilità.

La femminilità e la mascolinità non sarebbero altro che costruzioni culturali indotte. Non ci sono le donne e gli uomini, esistono solo delle identità neutre che possono decidere, anche più volte nel corso della vita, l’identità sessuale da assumere. E non solo: l’ultima frontiera pare essere il genderqueer, ovvero la rivendicazione della libertà di non identificarsi con alcun genere o con più generi contemporaneamente o successivamente. A questo punto viene spontaneo chiedersi il perché di questa violenza contro la natura umana.

Le radici di questa battaglia e della teoria gender trovano la loro linfa in correnti politiche e filosofiche che accusano la dualità antropologica umana (uomo-donna) d’essere la causa e l’origine dell’infelicità umana. Bisognerebbe liberarsi di tutte le differenze, quindi anche quelle tra uomo e donna, per stabilire un’autentica uguaglianza tra gli esseri umani ed esser così liberi e felici. L’ideologia gender nasce per tradurre operativamente questo pensiero: l’uguaglianza dei generi maschile e femminile. Si vuole il superamento dell’eterosessualità obbligata per la creazione di un uomo nuovo, cui va riconosciuta la libertà di scegliere tutto di se stesso, la libertà di dare sfogo alla propria identità sessuale, indipendentemente dalla sua natura, dalla sua sessualità biologicamente definita.

Se la doppia sessualità viene abbandonata quale parametro ontologico dell’uomo, qualsiasi deviazione sessuale rispetto all’eterosessualità va intesa come normale. Al momento si parla ancora di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, ma una volta normalizzate queste deviazioni si presenteranno altri scenari e saremo costretti ad accettare pedofilia e poligamia. Noi non nasciamo persone per poi assumere una sessualità, ma siamo maschi o femmina dal momento del concepimento. Lo siamo dal punto di vista genetico e sin dal concepimento tutte le cellule dell’uomo, che contengono i cromosomi X e Y, sono differenti da quelle della donna, che contengono tutte i cromosomi X e X. Il sesso genetico comporta tutta una serie di modificazioni a livello ormonale e anatomico, che fa sì che ogni singola cellula del corpo umano sia o maschile o femminile. È quindi possibile affermare, su basi empiriche e scientifiche, che la differenza sessuale esiste in natura e che non è frutto di una fittizia e arbitraria costruzione culturale. Sono proprio le differenze sessuali presenti negli individui che ci permettono di distinguere la realtà femminile da quella maschile.

La dualità tra i sessi è un dato naturale, caro Presidente, è uno dei dati fondamentali dell’essere umano e nessuna corrente egualitaria potrà disconoscerlo. La dualità sessuale, contrariamente a quanto propinato dall’ideologia gender, non contraddice affatto la parità fondamentale tra i due sessi. Un uomo e una donna hanno in comune la stessa natura umana.

Neanche le differenze psicologiche si possono annullare o attribuire completamente agli influssi socioculturali. Non è la cultura che, da sola, costituisce la differente psicologia tra uomo e donna. Dobbiamo difendere un modello antropologico che valorizzi la complementarietà dei sessi, capace di spiegare che la distinzione tra uomo e donna non è un’etichetta fittizia contro la neutralità sessuale imposta dall’ideologia gender, che non libera l’individuo, ma lo svilisce.

I tentativi di diffusione della cultura gender si stanno verificando soprattutto in ambito scolastico, sulla base di quanto sancito dalla legge contro la violenza di genere che, tra le sue pieghe, contiene la possibilità per gli insegnanti di educare gli alunni alla cultura gender, attraverso libri di testo all’uopo predisposti, fin dalla scuola dell’infanzia. Questa strategia è stata rafforzata dall’approvazione del comma 16 della legge n. 107 del 2015, meglio nota come quella della buona scuola, che ribadisce i medesimi principi. È molto attivo nel propagandare la teoria del gender l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, ente governativo istituito all’interno del Dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha approvato, nel 2013, il documento denominato Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni, basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, ovvero le linee guida per l’applicazione dei principi contenuti nelle raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, volti a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o l’identità di genere.

Tale documento contempla, in particolare, uno specifico punto strategico (Asse educazione e istruzione) per diffondere la teoria del gender nelle scuole, attraverso anche iniziative rivolte ad alunni e docenti, ai fini dell’elaborazione del processo di accettazione del proprio orientamento sessuale e della propria identità di genere. Tali misure devono comprendere «la comunicazione di informazioni oggettive sull’orientamento sessuale e l’identità di genere». Il documento prevede espressamente, tra l’altro, l’obiettivo strategico di «ampliare le conoscenze e le competenze di tutti gli attori della comunità scolastica sulle tematiche LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender)», di «garantire un ambiente scolastico sicuro e gay friendly», di «favorire l’empowerment delle persone LGBT nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni», nonché di «contribuire alla conoscenza delle nuove realtà familiari e superare il pregiudizio legato all’orientamento affettivo dei genitori per evitare discriminazioni nei confronti dei figli di genitori omosessuali», attraverso una serie di punti, tra cui la valorizzazione dell’expertise delle associazioni LGBT nella formazione, il coinvolgimento degli uffici scolastici regionali e provinciali sul diversity management per i docenti, la predisposizione della modulistica scolastica amministrativa e didattica in chiave di inclusione sociale, l’accreditamento delle associazioni LGBT presso il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca e, non ultimo, l’arricchimento delle offerte di formazione con la predisposizione di bibliografie sulle tematiche LGBT.

Lo stesso documento prevede anche la «realizzazione di percorsi innovativi di formazione e di aggiornamento per dirigenti, docenti e alunni sulle materie antidiscriminatorie, con un particolare focus sul tema LGBT, sullo sviluppo dell’identità sessuale nell’adolescente, sull’educazione affettivo-sessuale, sulla conoscenza delle nuove realtà familiari», e che tale formazione «dovrà essere rivolta non solo al corpo docente e agli studenti (con riconoscimento per entrambi di crediti formativi) ma anche a tutto il personale non docente della scuola (personale amministrativo e collaboratori scolastici)».

Simili iniziative, caro Presidente, sono volte ad un unico obiettivo, che è quello di espropriare mano a mano la famiglia, ambito privilegiato e naturale di educazione, che ha il compito di formazione in campo sessuale, disconoscendo il fatto che la stessa famiglia rappresenti l’ambiente più idoneo ad assolvere l’obbligo di assicurare una graduale educazione della vita sessuale, in maniera prudente, armonica e senza particolari traumi.

Esse si pongono in palese violazione del diritto fondamentale riconosciuto, garantito e tutelato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. L’articolo 26 e l’articolo 30 della Costituzione italiana attribuiscono ai genitori il diritto di priorità nella scelta di educazione da impartire ai propri figli e garantiscono e tutelano il diritto dei genitori ad educare i propri figli.

Queste iniziative sono state adottate omettendo la consultazione di tutte le parti sociali interessate, violando in tal modo il principio ribadito all’interno dello stesso documento. Nessuna associazione familiare o associazione professionale dei docenti è stata coinvolta; di contro, hanno partecipato al gruppo di lavoro ben ventinove associazioni LGBT. Non si è neppure tenuto conto del diritto dei genitori alla corresponsabilità educativa, previsto dalle «Linee di indirizzo sulla partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa», diramate dal Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, che ha partecipato al tavolo di coordinamento interistituzionale appositamente attivato per la stesura del documento denominato Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.

Noi del Gruppo Lega Nord nutriamo forti dubbi in merito alla promessa fatta dal ministro Giannini, seguita poi da apposita circolare, di potenziare e generalizzare il consenso informato dei genitori riguardo alle attività extracurricolari introdotte dall’ormai noto comma 16 della legge di riforma della scuola, di recente approvazione.

I progetti ispirati al gender infatti potrebbero con facilità essere nascosti dietro una serie di intenzioni apparentemente buone e sarebbe estremamente pericoloso che la scuola proponesse, ricercando o meno il consenso, teorie gravemente contrarie al bene dei nostri figli, in dispregio alla moltitudine di persone che sabato scorso al Circo Massimo a Roma, hanno manifestato contro il disegno di legge Cirinnà.

È fondamentale che i genitori vigilino sui programmi scolastici e sulle attività extracurricolari svolte dai propri figli. Oggi non solo bisogna seguire attentamente i propri ragazzi per quanto riguarda le amicizie per evitare che finiscano coinvolti in episodi di bullismo e cyberbullismo, o utilizzino sostante stupefacenti per sballare. Tutto ciò oggi non basta più. Bisogna seguirli attentamente anche nel loro percorso scolastico e non è possibile delegare ad altri questa fondamentale funzione, nella convinzione che i maestri o i professori ne sappiano più dei genitori. Al contrario, bisogna rivendicare il diritto dei genitori di educare i propri figli secondo i propri principi, senza che nessuno, per nessun motivo al mondo, possa espropriarcene.

Signor Presidente, sabato scorso al Family Day c’ero. Non so se c’erano due milioni o un milione di persone. Signor Presidente, non so quanti erano, ma le posso garantire che non ho mai visto così tanta gente tutta insieme. Tanta gente ha partecipato attivamente e anche chi non ha potuto essere presente ha dato con il cuore il sostegno all’iniziativa, perché i bimbi sono i primi ad avere il diritto di conoscere la mamma e il papà.

Il Gruppo Lega Nord mette in chiaro di essere contrario alle adozioni gay e a questo scimmiottamento del matrimonio. Ci sono tanti gay che si vogliono distinguere da quelli che vanno in piazza a fare carnevalate, tante persone che vivono la loro vita da etero o da omosessuali, ciascuno in base alle proprie scelte e alla propria natura, e che chiedono le cose più normali del mondo, lavoro, più sicurezza, meno tasse, e cercano di avere una vita dignitosa. Chiedono cose normalissime e appunto per questo noi vorremmo un’Italia più normale per tutti, gay o etero. Questo non lo si può ottenere, signor Presidente, con un siffatto Governo e una siffatta maggioranza parlamentare.

Le adozioni gay non devono esistere né in cielo, né in terra. Noi siamo e rimarremo sempre contrari a ogni ipotesi di adozione gay. Al momento della nascita, un bambino ha diritto di vedere in faccia la madre e il padre. Poi, quello che succede nel corso della vita è un’altra cosa. Ognuno è libero di vivere la sua vita come vuole, ma fino ad un certo punto.

Signor Presidente, devo dire che questa Europa mi ha un po’ rotto le scatole. Finché si occupava della lunghezza dei cetrioli o della grandezza delle vongole, che comunque non era proprio normale, si poteva anche chiudere un occhio; poi ha deciso che si può fare il cioccolato senza il cacao e il vino senza l’uva; ma che ora abbia deciso anche come fare i matrimoni, mi sembra assolutamente fuori luogo! In quale cassetto, questa Europa, ha dimenticato la sussidiarietà? Nelle materie in cui gli Stati dovrebbero avere una sorta di legittima autonomia l’Europa tende a renderli uniformi, appiattendoli verso il basso e cercando di fare una marmellata di tutti i Paesi. Non si occupa della specificità che hanno, della questione culturale, né di quella economica. Nelle materie in cui invece viene chiamata in prima linea, ad esempio, per la difesa e l’immigrazione, l’Europa potrebbe agire con maggiore efficacia, mentre fa assolutamente troppo poco, e forse il compito dell’Europa doveva essere appunto quello.

Invece che lavorare per risolvere i problemi veri degli italiani, il Governo si occupa delle adozioni gay, si regalano le cittadinanze agli immigrati e si attaccano le Regioni meglio governate. Poi, dagli esponenti del PD in questi giorni è anche stata detta qualche perla! L’onorevole Guerini, vice segretario del PD, commentando il Family Day ha dichiarato che è compito della politica ascoltare tutti e confrontarsi con tutti. Ha aggiunto, inoltre, che sulle unioni civili ci sarà un dibattito lungo e approfondito e poi il Parlamento voterà, voterà precisamente quello che hanno deciso prima!

Il senatore Marcucci ha detto: «Rispetto assoluto del Family Day, ma il Parlamento non farà un passo indietro sulle unioni civili», non facendo che confermare quanto ho appena detto. L’onorevole Rosato, capogruppo alla Camera, sostiene che «la piazza non cambia l’iter della legge ma non è mai successo che un provvedimento uscisse dal Parlamento identico a come è entrato». E questo è l’augurio che noi facciamo a questa legge. Egli è l’unico che mi è parso più possibilista sulla capacità di questo Parlamento e di questo Senato di incidere su una legge che a noi pare, già dalla prima lettura, qualcosa di assolutamente non condivisibile.

Che le famiglie siano oscurate e si confonda la loro identità in una marmellata dove tutto è uguale è cosa inaccettabile per noi. La nostra civiltà è a tal punto in crisi che oggi la generazione dei genitori deve spiegare e convincere i propri figli che ci si sposa tra un uomo e una donna, tanto è diffusa l’ideologia omosessualista. Considerando poi che questi figli non hanno una stabilità lavorativa, cresciuti con la cultura dei soli diritti e libertà, senza la consapevolezza dei doveri, delle regole, delle responsabilità e, probabilmente, del sacrificio, il risultato è che non ci pensano proprio a mettere su famiglia e meno che mai a dare alla luce dei figli.

Concludo, signor Presidente, con una considerazione. Nel corso di questi due anni di legislatura sono stati approvati provvedimenti che hanno stravolto la storia e la cultura millenaria di questo Paese: noi di questo siamo veramente dispiaciuti e siamo davvero insoddisfatti dell’operato di questo Governo. (Applausi dal Gruppo LN-Aut).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Panizza. Ne ha facoltà.

PANIZZA (Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE). Signor Presidente, colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, questo provvedimento giunge in Aula dopo un tortuoso percorso e nel bel mezzo di un acceso dibattito nell’opinione pubblica.

Voglio dirlo in maniera molto chiara: è un dibattito che non mi è piaciuto, perché troppo spesso ha assunto i contorni dello scontro tra tifoserie, le une sorde verso le ragioni delle altre. Da moderato in politica e per carattere, speravo in un dibattito più alto, in un confronto vero. E invece ci siamo ritrovati con inviti categorici al rispetto della Costituzione, da una parte e dall’altra, tra chi issa in una curva la bandiera dell’articolo 2 e chi nell’altra quella dell’articolo 29.

Mai, come in questa occasione, ho sentito il conforto di un altro articolo della nostra Costituzione, quello della libertà di mandato dei parlamentari: io oggi la rivendico come possibilità per provare a ritornare nel merito delle questioni, per dare al nostro Paese una legge giusta, una legge che tenga conto dei diritti e delle prerogative di tutti.

Credo che l’Italia abbia bisogno di una legge sui diritti civili e non solo per la condanna europea. Una legge che non renda le unioni surrogati dei matrimoni, ma che dia la possibilità dell’assistenza in caso di malattia, della reversibilità pensionistica, di tutti i diritti in materia successoria.

Ma sui figli la vicenda diventa molto più complessa. Perché qui, più che sui diritti della coppia, dobbiamo ragionare sui diritti del bambino. È vero, ci sono quelli nati da relazioni precedenti e per i quali è necessario pensare a una qualche forma di responsabilizzazione, in caso di necessità, da parte del partner del genitore biologico.

Ma il desiderio di mettere al mondo e crescere figli con un partner dello stesso sesso può essere davvero definito un diritto? Ecco, credo che il ricorso alle varie forme di maternità surrogata si scontri con un diritto primario ed inalienabile di ogni persona ad avere piena certezza della propria identità biologica. Perché un bambino nato attraverso il ricorso a tale tecnica potrà certamente avere tutto il bene di questo mondo ed essere cresciuto nel migliore modo possibile, ma vivrà in un’incertezza su un aspetto che per me resta un diritto inviolabile al pari, ma sicuramente in maniera maggiore, di quello delle coppie dello stesso sesso di non essere trattati come cittadini di serie B. Perché la civiltà di un Paese si misura dal fatto che i diritti di ciascuno finiscono esattamente nel punto in cui cominciano quelli degli altri.

Credo perciò che in alcun modo questa legge possa diventare il cavallo di Troia con il quale si favoriscono le forme di maternità surrogata. Questo principio – e tengo a sottolinearlo – deve valere anche per gli eterosessuali, estendendo la punibilità del reato anche quando commesso all’estero.

Per tutte queste ragioni, ho sottoscritto convintamente alcuni emendamenti dei colleghi Dalla Zuanna e Lepri del PD e di altri senatori anche del mio Gruppo sugli articoli 4 e 5. L’ho fatto perché quegli emendamenti non ne fanno un fatto ideologico, ma entrano nel merito, suggerendo soluzioni di buonsenso rispetto alla tutela dei bambini che sono già al mondo o che possono essere frutto di altre relazioni. Perché la questione oggi è come uscire da quest’Aula con una legge che allarghi la sfera e la qualità dei diritti e non con una legge che accompagni il desiderio di alcuni in una pretesa a scapito di altri.

Il Parlamento deve esprimere la sua massima autorevolezza non prestandosi al gioco delle opposte tifoserie, delle letture ideologiche e intellettualmente poco oneste che albergano oggi sia tra chi è favorevole alla legge, sia tra chi vi si oppone, sapendo che il tema della maternità surrogata è centrale, perché essenziale è allargare la sfera e la qualità dei diritti di tutti quanti: delle coppie dello stesso sesso, dei bambini che sono al mondo, di quelli che verranno.

Per me questo costituisce un punto dirimente rispetto a tutta la legge, riservandomi la possibilità di non votarla nel caso in cui non saranno accolte le proposte di modifica che ho evidenziato e che sono sostenute da molti colleghi della maggioranza.

E allora il mio auspicio è che sulla cosiddetta stepchild adoption vi sia una chiara revisione della norma. Lo chiedo soprattutto alla relatrice Cirinnà. Rivedere questa norma permetterebbe di approvare questo disegno di legge con il voto favorevole di una parte particolarmente rappresentativa non solo di quest’Assemblea, ma di tutto il Paese. Questo sì che sarebbe un fatto di grande valore. Mi auguro che non si sprechi questa opportunità.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore De Cristofaro. Ne ha facoltà.

DE CRISTOFARO (Misto-SEL). Signor Presidente, è già successo più volte, nella storia di questo Paese, che si siano affrontati dei tornanti decisivi e fondamentali per il riconoscimento dei diritti e per l’adeguamento delle leggi dello Stato alla realtà sociale, a quelli che una volta sarebbero stati chiamati i costumi, vale a dire ai modi di vivere dei cittadini, allo stare insieme delle persone, al modo di regolare i loro rapporti personali e anche la sfera della loro vita privata. È successo, ad esempio, con la legge sul divorzio e con il riconoscimento alle donne del diritto all’aborto, che hanno garantito un passo avanti molto significativo sul terreno della civiltà.

Come in quegli anni, abbiamo oggi la possibilità di adeguare il quadro normativo alla realtà sociale, disciplinando condizioni socialmente rilevanti che riguardano un numero molto significativo ed importante di persone, normandole e non creandole dal nulla con la legge, come sembrerebbe suggerire qualche incauto commentatore.

Dovremmo allora partire da qui, da un esame obiettivo del disegno di legge cosiddetto Cirinnà, per discutere di quello che il testo disciplina e non delle fantasiose interpretazioni e delle strumentalizzazioni che ne sono state fatte.

Il disegno di legge disciplina le unioni civili tra persone dello stesso sesso in quanto specifica formazione sociale, e le unioni tra persone di sesso diverso diverse dal matrimonio. Si riconosce alle coppie stabilmente conviventi, una volta celebrata l’unione civile, di godere di diritti e di doveri corrispondenti a quelli del matrimonio disciplinato dal codice civile. Si tratta di questo e non di altro. Non hanno nessun fondamento, perciò, le fantasiose interpretazioni che pure abbiamo ascoltato in questi giorni, nelle Aule parlamentari come in manifestazioni onestamente un po’ ipocrite, anche se in ogni caso importanti, almeno quanto quelle che ci sono state in cento piazze in tutto il Paese la settimana precedente, per chiedere uguali diritti per tutti.

Non si tratta, come si è affermato nel documento di convocazione della manifestazione al Circo Massimo, per esempio, del trionfo di una fantomatica ideologia gender, cioè della relativizzazione dell’identità sessuale intesa come prodotto di una scelta culturale piuttosto che di una determinante biologica e psichica. Non c’è nulla, nel testo, che minimamente autorizzi a pensare questo. Non si snatura il matrimonio come unione tra uomo e donna. Si tutela giuridicamente un’unione tra persone dello stesso sesso e di sesso diverso. Non si toglie nulla a nessuno; si garantisce, tanto nel primo quanto nel secondo caso, un diritto a chi ne è privo. Si tratta di norme minime di civiltà e, prima ancora, di norme di buon senso, che, se non altro, ci consentono di adeguare la nostra legislazione agli standard europei.

Non c’è nulla, nelle unioni civili disciplinate dal disegno di legge, che possa ledere la famiglia come formazione fondata sul matrimonio, di cui parla l’articolo 29 della Costituzione. Nessuna liquidazione di un presunto diritto naturale e nessun riferimento a quelle spericolate esegesi sulla biologia umana che pure abbiamo avuto modo di ascoltare in queste settimane. E non c’è nessun attentato al sentimento popolare, diciamo così, che peraltro, a una più attenta osservazione, si scoprirebbe essere già molto evoluto sul tema, forse anche molto più di quest’Aula e della rappresentanza, a dimostrazione del fatto che il Paese, come in tanti casi, ha posizioni più avanzate di chi pretende di rappresentarlo.

E ancora, il disegno di legge Cirinnà è stato interamente e artatamente associato a un solo aspetto, che disciplina – come abbiamo ascoltato anche oggi – la possibilità di adottare il figlio biologico del partner, così come prevede 1’articolo 5. Per un collegamento che ci risulta incomprensibile, a meno che non sia dettata dalla pura e semplice strumentalizzazione, si associa questa possibilità ad un via libera all’utero in affitto. Niente di più falso. La cosiddetta maternità surrogata cui, sia detto per inciso, ricorrono in stragrande maggioranza coppie eterosessuali, resta vietata, come sappiamo, dall’ordinamento giuridico del nostro Paese. Del resto, la strumentalità emerge in modo palese quando si parte dall’attaccare l’articolo 5 per poi però respingere il disegno di legge nella sua interezza nella parte, guarda caso, in cui disciplina le unioni tra persone dello stesso sesso.

Peraltro, anche aggrapparsi alla lettera dell’articolo 29 della Costituzione da parte di chi spesso parla della Carta come un testo in gran parte anacronistico, ci sembra alquanto singolare.

Bisognerebbe dismettere, fosse anche per un sentimento di tolleranza, le armi della propaganda e pensare, invece, alle esigenze reali di persone in carne ed ossa, dei minori, dei bambini innanzi tutto, al loro diritto di conservare la comunità di affetti in cui sono cresciuti, che ne rappresenta anche la più sicura garanzia di tutela.

A noi sembra che il fantasma della maternità surrogata, richiamata anche in piazza recentemente, rappresenti una falsificazione da respingere con forza, anche perché è agitata come una clava sulla testa di chi è favorevole al disegno di legge. Ma soprattutto perché è diretta ad avvelenare i pozzi della discussione e a sviare il dibattito confondendo anche l’opinione pubblica. E proprio per questo è irricevibile.

Si tratta, a nostro avviso, di una questione troppo seria per lasciarla alla strumentalizzazione e al protagonismo di un’area di opinione che troppo spesso sui diritti è portatrice di un visione angusta, limitata ad un’idea di società e di famiglia che non esiste nella realtà, imperniata solo su veti, divieti e proibizioni.

Spero davvero che le parole importanti che ho ascoltato e che abbiamo ascoltato stamattina in quest’Aula, in particolare nell’intervento del senatore Lo Giudice, aiutino a fare definitivamente chiarezza su questi elementi.

Sono in gioco la vita, l’affettività, i bisogni di persone reali. Chiedono diritti, dignità e tutele. Noi oggi siamo chiamati ad assicurare nient’altro che questo. Il disegno di legge di cui oggi discutiamo rappresenta, a nostro avviso, il minimo indispensabile di diritti di cui istituzioni che vogliano essere in qualche misura rappresentative possano dotare i cittadini.

Non è in discussione, qui, una questione antropologica, come è stato detto. Sono in discussione i diritti civili e la dignità delle persone, quello che uno Stato democratico deve garantire a tutti i suoi cittadini. Tutti, senza eccezioni.

Sia chiaro, le nostre considerazioni sono valide rispetto al disegno di legge nella sua interezza. Noi, che avremmo peraltro voluto (e abbiamo anche presentato emendamenti in tal senso) un testo molto più avanzato di quello che pure voteremo, a partire ad esempio dal matrimonio gay, che esiste in tanti Paesi del mondo, non accetteremo, per quanto ci riguarda, nessuna mediazione al ribasso, nessuno stralcio della stepchild adoption e riteniamo che le proposte di trasformare l’adozione del figlio biologico del partner nel cosiddetto affido rafforzato snaturerebbero in maniera totale la legge di cui stiamo parlando. Sarebbe per noi un arretramento inaccettabile.

Per questo, naturalmente nel rispetto della dialettica parlamentare, pensiamo che solo approvare il disegno di legge senza modifiche in peggio rappresenti finalmente l’uscita dalla minorità civile di chi aspetta riconoscimento e diritti da troppo tempo, assicurando adeguata tutela ai minori presenti in queste famiglie. Perché queste, per quanto ci riguarda, sono famiglie e non semplicemente «formazioni sociali specifiche» come, un po’ asetticamente, lasciatecelo dire, le definisce il testo.

Concludo, Presidente, con un’ultima considerazione, in questo caso interamente politica, se posso dire così. Il mio partito, il mio Gruppo parlamentare, Sinistra Ecologia e Libertà, è convintamente all’opposizione del Governo Renzi, peraltro è noto. Sappiamo anche, e lo sappiamo bene, che questo stesso Governo in questi anni, dal nostro punto di vista, ha ridotto i diritti dei lavoratori su temi essenziali con il jobs act, ed anche quelli democratici – e speriamo di batterlo nel referendum – con le riforme costituzionali, e probabilmente utilizzerà l’approvazione di questo disegno di legge anche per far dimenticare all’opinione pubblica le tante scelte sbagliate e molto gravi che ci sono state in questi anni. Ma vorrei dire con altrettanta chiarezza che a noi tutto questo non interessa. Sul tema dell’allargamento dei diritti, la dignità delle donne, degli uomini e dei bambini viene prima, molto prima, delle manovre politiche, dei giochi e dei giochetti di palazzo e finanche dell’interesse particolare di una singola forza politica.

Per questo, pur dall’opposizione, voteremo molto convintamente a favore di questo testo, considerandolo un punto di partenza e non certamente un punto di arrivo. (Applausi dai Gruppi Misto-SEL e PD)

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Mattesini. Ne ha facoltà.

*MATTESINI (PD). Signor Presidente, io ritengo che la politica oggi più che mai abbia il dovere di tenere insieme due cose: da una parte, la capacità di mediazione e, dall’altra, il coraggio e il dovere di scegliere.

Mediazione che ha un significato alto, soprattutto in questi tempi di società liquida, di indebolimento delle ragioni comuni dello stare insieme come Stato e come società. Mediazione che rappresenta uno strumento per la ricomposizione delle tante frammentarietà contrapposte. È uno strumento straordinario per la promozione e il sostegno di quella cultura, che oggi è indebolita, del rispetto e dell’ascolto delle ragioni altrui e del dovere della politica di portare a sintesi queste ragioni.

Mediazione sì, dunque, ma non mediazione che riporta indietro le lancette dei diritti acquisiti parlando di minori. Quindi, no a una mediazione che parte dal ribasso sui diritti dei bambini. E dico che in tutto questo dibattito mi ha molto colpito il fatto che si sia sviluppato quasi in modo malato, malato di adultocentrismo, di un arrogante adultocentrismo, cioè di quell’atteggiamento che pone al centro della percezione e della interpretazione del mondo, anche di quello infantile, del solo punto di vista degli adulti.

Con una conseguenza, che riguarda tutti noi, adulti incapaci di trovare soluzione ai problemi, come la questione della maternità surrogata, proponendo soluzioni che hanno, se non come volontà, come conseguenza, quella di far pagare ai bambini questa incapacità degli adulti a trovare una mediazione. Si fanno quindi mediazioni che io non accetto e che ritengo nessuno di noi dovrebbe accettare sui minori.

Il tema della maternità surrogata è un tema vero e importante, tra l’altro già normato e vietato in Italia dalla legge 40. Ma non è questa la sede. Non può essere la maternità surrogata, in questa fase, l’elemento che ci impedisce di approvare un testo che davvero tutela fino in fondo i bambini, così come tutela il diritto di amare chi si vuole. È infatti già incardinata in Commissione sanità, qui al Senato, il provvedimento che riguarda il riordino della legge n. 40. E quella è la sede dove approfondire il tema in modo serio e non così, in modo quasi raffazzonato e punitivo.

Oggi ciò che mi colpisce in questo dibattito è che i bambini vengano trattati come oggetto, facendo prevalere unicamente la supremazia di noi adulti, delle nostre convinzioni etiche e morali, dei nostri desideri. Credo sia utile a tutti noi ricordare che negli ultimi decenni si è affermata concretamente la cultura dei bambini, non come soggetti deboli da tutelare, ma come soggetti portatori di diritti e di questo principio, così come quello dell’interesse superiore del fanciullo, sono inverate le normative internazionali e nazionali.

La Convenzione ONU sui diritti del fanciullo di New York, già nel preambolo stabilisce che «il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità, deve crescere in un ambiente familiare». Parla di ambiente familiare, non di tipologia di famiglia.

A chi oggi propone un unico modello di famiglia, voglio soltanto riportare un dato dell’ISTAT: negli ultimi anni la popolazione italiana è cresciuta del 10 per cento. Sapete di quanto sono aumentate le famiglie? Del 47,7 per cento. I dati parlano da soli, non c’è bisogno di interpretarli rispetto a quanto già la realtà sia di famiglie, e non soltanto di un unico tipo di famiglia.

Proseguo ricordando ancora la Convenzione dei diritti del fanciullo, che ci ricorda che in tutte le decisioni relative agli stessi ciò che deve essere preminente è l’interesse del fanciullo stesso. È doveroso per noi, se non altro per coerenza, ricordare anche la legge n. 173, approvata l’ottobre scorso, che garantisce il diritto alla continuità affettiva del fanciullo e stabilisce che in ogni decisione (in quel caso si parlava di affidamento) va tenuto conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e consolidato tra minori e adulti.

I bambini non possono e non devono essere oggetto del desiderio o del divieto degli adulti. Sono soggetti portatori di diritti acquisiti e noi non possiamo tornare indietro rispetto a quanto già acquisito. Così come non esiste il diritto degli adulti di decidere, in nome della propria personale morale, di attenuare o sospendere, per esempio, la continuità affettiva con strumenti come quelli che fanno capo ad alcuni emendamenti (penso al preaffido, per esempio) perché sono scelte che interrompono diritti acquisiti.

Io, che sono persona convinta del diritto al matrimonio e all’adozione, credo che la stepchild adoption sia una ottima mediazione e che vada approvata esattamente così come è nel testo, spostando altrove la discussione sulla legge n. 40 del 2004. Perché la stepchild adoption non è altro che uno strumento che cerca di proteggere tutte quelle bambine e quei bambini che già esistono, che già vivono all’interno di famiglie omogenitorali, già crescono e sono accuditi da due uomini o da due donne. Sono già realtà, vita concreta. Solo che, a differenza di altri bambini non sono protetti. (Applausi della senatrice Simeoni).

Dico allora ai colleghi: a cosa vi riferite quando parlate di diritto dei bambini? Così torniamo indietro rispetto a norme già esistenti di carattere nazionale e internazionale.

Vedete, colleghi, le persone gay o lesbiche, indipendentemente dal fatto che noi approviamo o meno la stepchild adoption, hanno sempre cresciuto bambini e continueranno a farlo anche ora, anche in futuro. La questione è se questi bambini verranno cresciuti avendo riconosciuti i loro diritti, con genitori in possesso dei diritti, dei benefici e delle tutele garantiti dalle unioni civili.

Parlo di minori ed unioni civili per affermare con forza che le unioni civili sono lo status legale che promuove il benessere di tutti i componenti della famiglia, conferendo alla stessa un insieme stabile di diritti e di responsabilità, che altrimenti non possono essere ottenuti.

Concludo con una piccola riflessione sulla politica stessa. Colleghi, io penso che il dibattito di questi giorni che ci ha accompagnato fin qui dimostri una profonda sfasatura tra una certa politica e la società civile, perché non esistono soltanto le piazze ma anche i dati, che abbiamo citato prima, dell’ISTAT. È proprio questa sfasatura che origina ritardi, sovrastrutture ideologiche, un clima quasi da guerra tardoreligiosa.

Noi che stiamo spesso a ragionare, ad ogni tornata elettorale, di quanto aumenti il distacco tra cittadini e istituzioni, di quanta sempre meno gente vada a votare, abbiamo la responsabilità di approvare una legge che non solo colmi un vuoto, ma soprattutto impedisca che si cancellino realtà che già esistono, che si cancelli la vita delle persone.

Se questa politica, questo legislatore, questo Stato non mi vede o non mi vuol vedere, quella politica per me diventa insignificante e anche nemica. Con questo provvedimento colmiamo anzitutto un ritardo enorme sulle unioni civili, e non stiamo inventando regole per situazioni da creare, ma stiamo dando risposte a vite vissute, che esistono da anni e che chiedono alla politica di avere la capacità di mediare, di partire da una mediazione, già profondamente avvenuta intorno al testo, e al contempo scegliere nell’interesse di tutti. Ma esso risponde anche all’interesse della politica, perché viviamo tutti l’insignificanza, in molte parti di questo Paese, della politica, e sta a noi vincere la sfida per restituire forte significanza, competenza e attrattività alla politica stessa. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Alicata. Ne ha facoltà.

ALICATA (FI-PdL XVII). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mondo è attraversato da pericolose e durature tensioni. Il Mediterraneo rischia d’incendiarsi ogni giorno di più. C’è una popolazione incalzata dal rischio terrorismo e da un’immigrazione incontrollata che tale rischio non esclude, anzi, lo accresce, come ha rilevato in ultimo il Ministro della difesa francese, di quel Paese principale responsabile del caos libico, che però si concede il lusso di tirare le orecchie al nostro Governo. Eppure, il rischio esiste, è serio e concreto, e non bastano a smentirlo le parole irresponsabili del Governo o di chi, da Lampedusa, non vedeva l’ora dell’ennesima comparsata mediatica.

Tra qualche settimana l’Italia, probabilmente, sarà in prima linea in Libia, e forse sarebbe il caso di cominciare a preparare l’opinione pubblica a tale evenienza.

Invece cosa fanno il Premier e la maggioranza che sostiene questo Governo, il meno influente degli ultimi trent’anni a livello internazionale? Non trovano di meglio che sollazzarsi con le unioni civili tra omosessuali – il grande e primario problema italiano, quello che viene prima di tutti gli altri – un’arma di distrazione di massa, mentre da gennaio ad oggi la borsa italiana ha perso 17 punti.

In questo Paese esiste una minoranza di gay con al suo interno un’altra minoranza che – si presume – vorrà un domani contrarre matrimonio. Ebbene, l’aspettativa legittima di quest’ultima minoranza ha il sopravvento per far diventare priorità del Paese il riconoscimento delle unioni omosessuali, mentre il mondo brucia e l’Italia e l’Europa sono poste di fronte a problemi seri che richiedono decisioni gravi. Ma il Governo non ha tempo. Il Premier non ha tempo e deve innanzitutto pensare al matrimonio tra omosessuali ed accontentare la sinistra interna al suo partito in cambio dell’appoggio sulle riforme.

Come è noto, il nostro Gruppo voterà contro il disegno di legge in discussione in quanto contrario non alle unioni civili, ma a che esse vengano omologate al matrimonio, in aperto contrasto con la nostra Costituzione.

In più, a rendere ulteriormente indigesto il provvedimento in esame, viene introdotto il tema della stepchild adoption, in pratica l’anticamera dell’utero in affitto atteso che, in caso di impellente desiderio di due uomini di avere un figlio, nessuno potrebbe impedire loro di recarsi all’estero e prendere in affitto il grembo materno di una donna, per lo più in stato di bisogno, trasformando in diritto ciò che dalla notte dei tempi è stato sempre un bellissimo, dolcissimo desiderio.

Noi riteniamo che far diventare il grembo materno quasi un pezzo di ricambio sia un’operazione culturale rivoltante, che non considera come già nel periodo della gravidanza si determinino tra madre e figlio molte peculiarità della futura persona, come attestano numerosi studi scientifici. Invero, attraverso l’ipotesi di regolamentare le unioni tra partner dello stesso sesso, si vuole accreditare anche il diritto di avere a qualsiasi costo un figlio cui spiegare un giorno quale madre o macchina lo ha messo al mondo.

Ora, ben venga l’esigenza di riconoscere i diritti individuali anche nei rapporti tra persone dello stesso sesso, ma riteniamo non sia nell’interesse anche psicologico dei bambini stravolgere il concetto di famiglia, così come inteso dalla nostra Costituzione, con i figli trasformati in pacco dono.

Allo stesso modo, non si può assecondare un disegno di legge in quanto argomento che impera nelle redazioni dei giornali che contano, nelle mode e nei salotti buoni del Paese o perché – come si dice – l’Italia deve allinearsi ai cosiddetti Paesi avanzati. E chi stabilisce quali sono sul tema i Paesi avanzati? Chi stabilisce che uniformarsi all’eventuale diffuso malcostume renda giusta la misura che si vuole varare?

Signor Presidente, noi vogliamo capire se siamo ancora in tempo a sostenere che la vera famiglia sia solo quella costituita da un uomo e da una donna, con il compito primario di educare i figli e trasmettere loro determinati valori, in un contesto familiare come quello descritto dalla Costituzione, che – come si dice dalle vostre parti – è la più bella del mondo, e che sino ad oggi esclude, però, la possibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Tuttavia, riconoscere tali coppie con una cerimonia simile a quella del matrimonio (con la pubblica registrazione e due testimoni), attribuendo loro i diritti e i doveri tipici dell’istituto matrimoniale (l’obbligo di fedeltà, coabitazione e mantenimento, la reversibilità della pensione e la riserva di quota legittima), ne avvicina il regime a quello matrimoniale: una pesante forzatura, una grave ipocrisia ed un grande inganno per l’opinione pubblica italiana.

Altra cosa è regolarizzare la stabile convivenza e, in questo senso, molti problemi riguardo i diritti individuali sono stati già risolti a livello giurisprudenziale e di legislazione per le coppie di fatto: non ci sono differenze in tema di figli; si può succedere nel contratto d’affitto in caso di morte del titolare conduttore; è possibile ottenere il risarcimento del danno in caso di morte del partner per un incidente; sono ammesse le visite in carcere; in ultimo, la giurisprudenza ha ammesso anche l’astensione dal testimoniare nel processo penale a carico del partner. Pertanto, le eventuali lacune legislative nei confronti di coppie dello stesso sesso potevano essere sanate con una legge ordinaria, senza bisogno di definire il rapporto tra partner omosessuali con una nuova forma di matrimonio, che la Corte costituzionale non potrà non sanzionare.

Lo Stato deve senz’altro far rispettare tutti gli orientamenti sessuali senza discriminazioni e tutti i conviventi, anche con riferimento alle coppie omosessuali, devono potersi sostenere reciprocamente in termini morali e materiali. Ma, prima di tutto, lo Stato deve preoccuparsi di tutelare i diritti dei minori ad avere un padre e una madre.

Probabilmente, però, il tentativo di approvare una legge che, nella sostanza, equipara le unioni civili al matrimonio nasconde il vero obiettivo, una volta approvata l’unione matrimoniale tra persone dello stesso sesso, di riscrivere le coordinate della famiglia ed accettare anche la pericolosa confusione lessicale, per cui non ci sarà più alcuna differenza tra mamma e papà e genitore A e genitore B. È un vero e proprio imbroglio con l’obiettivo di fare scomparire, in quest’epoca sventurata, il fondamentale riferimento a un padre e una madre.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Puppato. Ne ha facoltà.

PUPPATO (PD). Signor Presidente, siamo in un tempo di cambiamenti e i cambiamenti non sono mai facili, trovano facilmente resistenze e producono paure.

Eppure, guardando la cartina geografica dell’Europa e la quantità di Paesi occidentali – ormai siamo quasi solo noi esclusi dalla volontà di garantire, di tutelare le coppie omosessuali – non avrei mai immaginato che si scatenasse un tale putiferio, dando sfogo a posizioni arretrate e omofobe, come lo è – non vi è dubbio – l’esposizione di cartelli alla manifestazione del Family Day con la scritta «sbagliato è sbagliato». Si è trattato di un vero atto d’accusa discriminante verso le coppie omosessuali. Difficile pensare che una cosa sbagliata in sé possa essere legittimata e, dunque, qual è la risposta? Esclusione? Discriminazione?

Siamo in aperto contrasto con due articoli della Costituzione e devo dire che ho visto con piacere che anche una parte del clero, oltre che molta parte dei cattolici, abbia ritenuto questa una vera offesa all’umanità. Gli articoli 2 e 3 della Costituzione – come abbiamo ricordato più volte nel corso di questi giorni – parlano di pari diritti civili individuali e sociali, così come della garanzia che tutti i cittadini abbiano pari dignità sociale senza distinzione – lo ripeto, senza distinzione – di religione, razza e sesso, nonché che è compito della Repubblica rimuovere ostacoli di ordine sociale che impediscano le vere uguaglianze e le vere libertà.

L’esperienza diretta mi ha portato nel tempo da una posizione di dubbio preconcetto nei confronti delle coppie gay a una di grande comprensione, di serena convinzione che risulti necessario convenire dal punto di visto legislativo sull’esistenza del matrimonio egualitario per le coppie omosessuali, compreso il diritto ad adottare, previa semplice e sistemica verifica dei requisiti, così come oggi già avviene per le coppie eterosessuali, senza pregiudizi.

In taluni momenti, durante quest’ultimo periodo e anche in quest’Aula, mi è parso si intendesse giocare al gatto e al topo o, per chi lo conosce, mi è tornato in mente il racconto dell’asino, del vecchio e del bambino in cammino verso la città, dove qualunque scelta decide il povero vecchio – mette se stesso o solo il bambino sopra l’asino, si mettono entrambi o lasciano l’asino senza carichi – trova sempre per strada qualcuno che contesta con riprovazione la scelta fatta.

Questo è il caso in esame. Si contesta l’unione civile perché diventa simil-matrimonio, affermando che – secondo il disegno di legge in esame – le coppie di fatto eterosessuali – questo si è sentito – non hanno gli stessi diritti di quelle omosessuali; contemporaneamente, però, si nega la possibilità di offrire con maggiore chiarezza il matrimonio egualitario alle coppie omo, così come esiste per le coppie eterosessuali. Solo così, infatti, si raggiungerebbe la piena parificazione dei diritti di ciascuno, mettendo a disposizione della libera scelta della coppia l’una e l’altra forma giuridica. Evidentemente questa parificazione aborrisce ancora più delle unioni civili. Se ne deduce che nulla vada bene, che nulla possa essere fatto per dare ad una coppia omosessuale che lo desideri la reciproca riconoscibilità in sede civile, garantendone i doveri reciproci e i rispettivi diritti.

Ho ascoltato le motivazioni del no. Si è anche detto che il matrimonio non potrà essere tale, perché è finalizzato alla procreazione, confondendo e mescolando codice civile e dottrina cattolica (quella più retriva, pre-concilio) e perciò negando, con un’accezione davvero fondamentalista, il diritto ad esistere alla luce del sole come coppia se non eterosessuale.

Ho ascoltato anche che non varrebbe il principio per cui c’è coppia laddove c’è amore, perché si è detto che il matrimonio prevede l’impegno reciproco, prima e – si presume – al di sopra del semplice amore. Recita la norma matrimoniale, ricalcata per l’occasione nel disegno di legge sulle unioni civili, che «dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni». Ebbene, secondo questo ragionamento e questa logica di vita a due, in comune, si prevede un doveroso impegno reciproco. Ciò dovrebbe farci cogliere come la forte richiesta proveniente dalle coppie omosessuali di vedersi certificare la propria unione sia cosa buona e giusta, soprattutto per la società, perché il riconoscimento pubblico garantisce i coniugi, l’uno verso l’altro, ma soprattutto determina doveri precisi, presenti, pesanti e circostanziati, determinando un parziale assolvimento delle tutele sociali, previste per il singolo, a favore di una cessione alla coppia, riconosciuta come nucleo della società. In tal modo ne trae un sollievo lo stesso Paese. Non si tratta solo di diritti individuali, dunque, come suggerisce una certa parte della componente cattolica, ma di un trasparente e positivo contratto di diritto-dovere, sociale e civile.

Concludo parlando della stepchild adoption: personalmente trovo necessario che l’adozione, come strumento vero e generoso per dare cura ed affetto ai bambini abbandonati e soli di qualunque parte del mondo, sia l’obiettivo a cui dovremmo tendere. Alla luce del dibattito sulla stepchild adoption, così come si è tenuto all’interno di quest’Aula, mi rendo conto che oggi anche la semplice adozione del figlio del partner, come minimo obbligo morale, venga considerata, da una parte consistente di questa Assemblea, come un eccesso. Si preferisce forse concedere alla magistratura, attraverso sentenze individuali e soggettive, di volta in volta, se debba essere o meno il compagno del genitore biologico non più esistente ad occuparsi del loro figlio? Onestamente, vi chiedo di pensarci: la politica ha il dovere di definire il quadro normativo, disciplinando per tutti un sistema uguale, con trasparenza e obiettività, garantendo una linea di condotta, in cui l’unico elemento di valutazione ulteriore sia quello della capacità di educare e di amare responsabilmente e individualmente. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Donno. Ne ha facoltà.

DONNO (M5S). L’Italia è l’unica delle sei Nazioni fondatrici dell’Unione europea che non riconosce ancora né le unioni civili né i matrimoni tra omosessuali. Per questo, nel luglio del 2015, è stata condannata dalla Corte di Strasburgo a risarcire tre coppie omosessuali per il mancato rispetto delle disposizioni relative alla vita privata e familiare. E ciò costituisce una ferita ancora aperta e sanguinante, che impedisce a decine di migliaia di persone di sentirsi pienamente cittadini italiani.

Nonostante il richiamo, il nostro Paese ha continuato – e continua tuttora – a violare l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani, ma ciò non basta. Lo scorso 8 settembre, in occasione dell’approvazione del rapporto sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea, è stato rivolto l’ennesimo invito all’Italia a garantire alle persone omosessuali l’accesso ad istituti giuridici, quali la coabitazione, l’unione registrata o il matrimonio. Sono proprio questi gli istituti giuridici che regolamentano la vita privata e familiare delle persone e devono essere rinnovati e perfezionati, in ragione del cambiamento e dell’evoluzione del tessuto sociale. Sarebbe assurdo, oltre che anacronistico, pensare il contrario, e non solo per una questione puramente assistenziale, contributiva o amministrativa. Si tratta, infatti, di diritti irrinunciabili, che sono stati per troppo tempo preda di contrattazione politiche da voltastomaco e calcoli da usurai, tanto che i diritti civili sono stati derubricati a merce di scambio per le larghe intese, entrando nel grande mercanteggiamento dei tempi trascorsi, in momenti in cui se ne sono viste di tutti i colori: promozioni da primo della classe, pubbliche dichiarazioni di inaspettate gravidanze, nomine governative sparse qua e là, sedute notturne interminabili in Commissione giustizia, richiami al regolamento comunale sulla tutela degli animali, citazioni bibliche e sermoni, opinioni di personaggi famosi e dello spettacolo, pareri di perbenisti e bacchettoni al Family Day.

La stessa gente, però, non batte ciglio se il ministro per le riforme, miss fiducia Boschi, sprofonda con tutte le scarpe in uno scandalo bancario. La stessa gente, poi, urla dai banchi, strepita e schiamazza se si tratta di riconoscere diritti alle persone, appellandosi a un ipotetico e personale codice del diritto. Ditemi voi se questa non è pura follia.

Oggi bisogna dare una svolta, e non ci sembra vero. Quest’Aula è pronta a discutere una legge che, per noi del Movimento 5 Stelle, è da sempre un provvedimento di civiltà e sensibilità. Lo testimonia il fatto che, già dal mese di ottobre 2014, chiedemmo agli iscritti al portale del Movimento di esprimere la propria opinione riguardo alla necessità di introdurre nel nostro ordinamento una normativa sulle unioni civili. Il popolo dei nostri sostenitori ed elettori discusse, approfondì e alla fine ci diede il via libera con convinzione, per sostenere questa riforma. Da allora, per quanto ci riguarda, non abbiamo mai cambiato idea: la nostra posizione è sempre rimasta chiara, ferma e coerente: le unioni civili si devono regolamentare.

Il Movimento 5 Stelle non ha mai fatto mistero sulla necessità di eliminare ogni tipo di ostacolo che si pone tra il cittadino e la libera espressione della sua personalità. La lista delle discriminazioni, per forza di cose, si deve accorciare, anzi eliminare totalmente. C’è la necessità di garantire elementari diritti anche alle coppie eterosessuali conviventi: nuove formazioni sociali che sono in fortissima crescita in questa nostra Italia sempre più povera, dove imperversano precariato, crisi abitativa, assenza di servizi sociali, e dove quindi le coppie – gay, lesbiche o eterosessuali, poco importa – faticano a costruire un progetto di futuro insieme come nucleo familiare. Ci si è dimenticati, a quanto pare, che dietro questi tira e molla ci sono esseri umani, persone, bambini ingiustamente sottoposti a tutele condizionate dal vento che tira o dall’umore dei rappresentanti di questa coalizione senza capo né coda.

Stiamo parlando di forme di garanzia su cui non si può rinviare, se vogliamo che il nostro sia un Paese democratico. Le culture, le relazioni, gli affetti non sono dei monoliti o materia inerte. Allo stesso modo, non esistono scale gerarchiche degli affetti per cui, se sei sposato, hai tutele e, se non lo sei, chi se ne importa. Così come non ci sono affetti migliori di altri e, per questo, meritevoli di maggiori garanzie. Farsi portatori di questo retropensiero è da ipocriti, oltre che profondamente scorretto: le persone non sono oggetti e non si trattano come tali. Bisogna necessariamente eliminare tutti quei retaggi culturali da Medioevo di cui le menti ristrette si alimentano.

Ribadisco che l’orientamento sessuale di una persona non è una condizione sufficiente per escludere la sua capacità di essere un buon genitore, affidato al giudice e segue altri criteri, comuni ad etero ed omosessuali ed incentrati su una migliore tutela. Il nostro ordinamento necessita di una disciplina legislativa chiara, efficace, che riconosca giuridicamente l’istituto delle coppie formate da persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale e delle coppie di fatto sia eterosessuali che omosessuali nell’ambito dei diritti e dei doveri delle coppie conviventi.

In conclusione, nel disegno di legge Cirinnà non c’è l’equiparazione al matrimonio. I diritti che verrebbero applicati sono quelli di successione, di restare nella casa affittata dal compagno o compagna, e tutti quelli che riguardano la vita di una coppia. Chi parla di equiparazione con il matrimonio o non ha letto il disegno di legge, e quindi ignora il testo, oppure cerca solo di fare confusione nell’opinione pubblica con la stessa pretesa di giudicare.

Infine, lo scorso 31 gennaio Papa Francesco, durante il suo Angelus della domenica, il giorno dopo il raduno del Family Day, ha detto: «Nessuna condizione umana può costituire motivo di esclusione dal cuore del Padre. Unico privilegio agli occhi di Dio è quello di non avere privilegio, ovvero di essere abbandonati nelle sue mani». Lo stesso Francesco – ricordo – qualche tempo prima, esprimendosi sulla condizione omosessuale, ha detto: «Chi sono io per giudicare?».

Ecco, io mi rivolgo a tutti coloro che ancora cercano di opporsi all’approvazione di questo testo e ripropongo loro la stessa domanda: chi siete voi per giudicare? (Applausi dal Gruppo M5S).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Marinello. Ne ha facoltà.

*MARINELLO (AP (NCD-UDC)). Signor Presidente, in queste ore ho ascoltato con grande attenzione in questa Aula le argomentazioni dei colleghi e, in particolar modo, ho apprezzato e ascoltato le argomentazioni che venivano dai colleghi che la pensano in maniera diversa dalla mia.

Innanzitutto, mi sono fatto un’idea sulla relatrice, che non ha di fatto relazionato sul testo di legge e, soprattutto, sulle conseguenze e scenari derivanti dal testo di legge qualora fosse approvato così come presentato. Si è limitata soltanto ad esporre una sua personale visione cercando di sollecitare una distorta umana pietà paventando l’esistenza di una sorta di apartheid sessuale presente, secondo la stessa, in molte coppie omosessuali. Non ha sfiorato nemmeno una delle questioni emerse durante il dibattito per l’esame delle pregiudiziali. Sappiamo quanto alcune di queste questioni siano fondate al punto da meritare l’attenzione di uno dei colli più alti della nostra Capitale. È falso che il nostro ordinamento lascia nell’ombra e quasi segregati gli omosessuali che vogliono condurre una vita assieme. Non a caso, l’ordinamento già riconosce in modo ampio diritti individuali ai componenti di un’unione omosessuale. In realtà, il testo proposto dalla senatrice Cirinnà non fa emergere in modo organico diritti già esistenti, magari rafforzandoli, ma mira ad individuare per le cosiddette unioni civili un regime analogo a quello matrimoniale. Si tratta di una sovrapposizione che contrasta con la Costituzione, che tratta in modo specifico la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, distinguendola dalle altre formazioni sociali. Il testo proposto, in sfregio agli articoli 29 e 31 della Costituzione, è ostile alla dignità della persona, all’interesse del minore, al bene della comunità familiare e al futuro dell’Italia.

Abbiamo anche ascoltato in diversi interventi una sorta di obbligatorietà all’approvazione della legge in ottemperanza ai richiami delle corti europee. Prima di rispondere a questa obiezione, mi sia consentito leggere da un libro, «Memorie e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni», scritto da tal san Giovanni Paolo II, la seguente frase: «Penso alle forti pressioni del Parlamento europeo affinché siano riconosciute le unioni omosessuali come forma alternativa di famiglia alla quale si attribuirebbe anche il diritto di adozione. Si può e si deve porre la questione di sapere se non si tratti, qui ancora, di una nuova ideologia del male, forse più insidiosa, forse più occulta, che tenta di sfruttare contro l’uomo e la famiglia anche i diritti dell’uomo». Al di là della citazione, che mi è piaciuto fare anche per smentire alcune cose sentite poc’anzi in interventi di colleghi che mi hanno preceduto che, in maniera inappropriata, hanno confuso il Concilio Vaticano II con altre situazioni, non voglio eludere il richiamo delle corti europee. Collega Cirinnà, è vero che i giudici di Strasburgo, con la sentenza del 21 luglio 2015, hanno condannato l’Italia per inottemperanza all’obbligo positivo di dare attuazione ai diritti fondamentali alla vita privata e alla vita familiare delle coppie dello stesso sesso, ma è anche vero – sottolineiamolo subito – che le stesse lasciano ai Parlamenti nazionali la libertà di trovare la regolamentazione più adeguata. E il legislatore italiano ha un’ampia gamma di possibilità per disciplinare queste unioni, che giustamente chiedono di essere tutelate. Chi si vuole sottrarre alla questione? Dalla sentenza del luglio 2015, però, non si può dedurre una modalità obbligatoria. Anzi: il Parlamento deve tener conto di una sentenza della Corte costituzionale, la n. 138 del 2010, che ribadisce che la nostra Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Di conseguenza, il disegno di legge Cirinnà, così com’è scritto, non rispetta i paletti che la Corte costituzionale ci ha ricordato.

I diritti delle persone omosessuali si possono e si devono salvaguardare allo stesso tempo garantendo i diritti individuali, tutelando le persone che hanno una relazione di tipo sociale stabile, ma che non può essere equiparata a una famiglia. Sono cose completamente diverse.

Né è sufficiente inserire nel testo una clausola come quella che definisce le unioni omosessuali come «formazioni sociali specifiche». Questo è un puro e semplice cambio nominalistico. La legge proposta, lo ribadisco, così com’è scritta, equipara le unioni omosessuali alla famiglia. Chi la propone in maniera diversa sta tentando un inganno nemmeno ben costruito.

Voglio ricordare che l’articolo 29 della Costituzione recita: «La Repubblica tutela la famiglia quale formazione naturale fondata sul matrimonio». Riconosce quindi la famiglia in quanto preesistente alla Costituzione e alle leggi, non solo di questo Stato, ma a qualunque legge. Fondamento sociale e culturale, formazione sociale e prima di tutto naturale e biologica: è la natura che ha stabilito come avviene la procreazione ovvero tra un uomo e una donna, né più né meno.

Ecco perché la Costituzione la riconosce: la famiglia c’è già, e il fatto che questo rapporto sia stabile e duraturo è una delle ragioni che rende la nostra specie – supponendo che la nostra sia a tutti gli effetti una specie animale – diversa dalle altre.

Nessun’altra formazione può essere paragonata alla famiglia che, come detto, è una cosa che esiste in natura; in natura non ci sono i partiti, né le cooperative, né i sindacati, tutte formazioni rispettabili ma costruite dall’uomo, così come sono costruiti tutti gli altri rapporti di solidarietà tra gli individui.

Né possiamo sottacere come la sostanziale equipollenza e parificazione tra matrimonio e unioni civili condurrebbe inevitabilmente al cosiddetto diritto ad avere figli, aprendo sostanzialmente la strada alle adozioni omosessuali, ampliando a dismisura l’abominevole e criminale – dico criminale – pratica dell’utero in affitto, di cui diremo in seguito. (Applausi del senatore Consiglio).

Intanto sottolineo con convinzione che non esiste il diritto a tutti i costi ad avere un figlio, bensì il vero unico diritto da tutelare è quello di tutti i figli ad avere un padre e una madre. Non possiamo gabellare desideri né tantomeno capricci per diritti. Questa è una visione che amplifica il relativismo, l’individualismo, l’egoismo verso una dimensione universale dalle disastrose conseguenze.

Ha scritto un noto psichiatra, peraltro non cattolico: «L’uomo è un essere desiderante. Viviamo perché desideriamo e desideriamo perché viviamo. E sempre per il nostro vantaggio. (…) Ma il desiderio ha un limite. Se non ci accorgiamo che non stiamo mettendo limite al desiderio arriva la nevrosi, la psicosi, la follia. Oggi la società non vuole porsi limiti, sta diventando folle».

Presidenza della vice presidente FEDELI (ore 17,57)

(Segue MARINELLO). Dovremmo interrogarci sul limite della nostra follia di onnipotenza: senatrice Cirinnà, colleghi senatori, quis ut deus?

Nessuno parla della tutela dei minori, della crescita dei minori, delle figure educative di riferimento, della naturale emulazione verso i modelli di riferimento. Per questo non può essere affrontato con furbesche e maramalde manovre il tema delle adozioni, semplificando il tutto a casi particolari magari con pietistiche argomentazioni.

Le adozioni da parte di coppie omosessuali con l’ulteriore furbata della stepchild adoption, inglesismo del quale potevamo fare benissimo a meno, pone in via generale quesiti ai quali abbiamo il dovere di rispondere. Possono questi diventare modelli di riferimento?

Parimenti è inaccettabile, quale alternativa alla stepchild adoption, l’ipotesi ventilata del cosiddetto affido rafforzato, cioè la trasformazione dell’affido in una adozione rispetto alla quale il decorso del tempo può far giungere a una sistemazione definitiva nella famiglia di destinazione. Affido e adozione rispondono a logiche differenti, avendo avuto finora entrambi come riferimento l’interesse del minore, variabile a seconda della situazione di partenza: nell’affido vi è una momentanea difficoltà della famiglia originaria, nell’adozione vi è lo stato di abbandono del minore.

È inutile nascondere, con una velata ipocrisia, che dall’approvazione del disegno di legge così com’è si perviene alla maternità surrogata, che edulcorate con l’espressione più elegante di «gestazione per altri». Si tratta di utero in affitto; abbiate il coraggio di chiamarlo con nome e cognome. (Commenti dal Gruppo M5S). L’utero in affitto è una delle forme contemporanee di sfruttamento e di umiliazione della donna più gravi, ostile a quel rispetto della persona che è cardine del nostro ordinamento; sfruttamento, neoprostituzione, neoschiavitù del corpo della donna, del ricco nei confronti del povero, del più forte nei confronti del più debole. Un’idea proprietaria della vita che distrugge il concetto stesso di procreazione, svilendolo ad una produzione, in cui la gestante è una sorta di incubatrice e in cui il neonato diventa prodotto, merce, cosa. Riportiamo così le lancette dell’orologio al giorno antecedente il 25 marzo 1807 per l’impero britannico e, più in generale, ad un dibattito di civiltà che si tenne al Congresso di Vienna nel 1815.

Si può strappare un bambino alla madre dopo pochi secondi dalla sua nascita? Le leggo, signora Presidente, il regolamento comunale sulla tutela degli animali della città di Roma (Commenti dal Gruppo M5S), che all’articolo 8, comma 6, dice: «È vietato separare i cuccioli di cani e gatti dalla madre prima dei 60 giorni di vita se non per gravi motivazioni certificate da un medico veterinario». Chi ha firmato questo regolamento? La delegata del sindaco alle politiche sui diritti degli animali, Monica Cirinnà, relatrice di questo provvedimento, che in questo momento non vedo in Aula. (Commenti dal Gruppo PD). Collega Cirinnà, lei ha fatto bene ad inserire questa norma, che io condivido. È grave che non ci sia il relatore.

PRESIDENTE. Per favore, concluda, senatore Marinello.

MARINELLO (AP (NCD-UDC)). Sì, se non mi interrompono.

Signora Presidente, colleghi, la città di Roma dà più tutele ai cuccioli di cani e di gatti di quanto la pratica dell’utero in affitto ne garantisca ai cuccioli d’uomo.

Signora Presidente, Abramo non pensò mai di separare Ismaele… (Commenti del senatore Fornaro).

PRESIDENTE. Senatore Fornaro, la prego.

MARINELLO (AP (NCD-UDC)). Signora Presidente, Abramo non pensò mai di separare Ismaele dalla madre, nemmeno quando fu costretto ad allontanare Agar dal suo nucleo familiare e tribale. Trovo abominevole qualsiasi mercimonio del corpo umano e la pratica dell’utero in affitto, tra i mercimoni del corpo umano, ha l’orrido primato di aggiungere al traffico per denaro il peggiore dei crimini, la separazione del neonato dalla madre naturale; è per questo che dobbiamo inserire tale pratica tra i crimini universali, anche se praticati all’estero, sia da coppie eterosessuali che omosessuali.

Un’ultima riflessione. Siamo in un’epoca in cui la tutela della natura e dell’ambiente sono diventati ormai valori universalmente apprezzati e oggetto di trattati internazionali. Tutela della biodiversità, tutela dei diritti delle diverse specie animali, valorizzazione delle pratiche biologiche nei cicli di produzione agroalimentare e nella trasformazione dei prodotti, consapevolezza della natura e del rapporto tra natura e uomo, inteso non più come padrone ed arbitro, ma come usufruttuario e custode. Si tratta di valori che valgono in tutti i campi, tranne che nell’apprezzamento della reale, naturale, anatomica, biologica essenza della specie umana; valori sottaciuti ed ignorati solo in un caso, cioè nell’apprezzamento della diversità e complementarietà dell’uomo e della donna e nell’immutabile genesi della procreazione.

Questa è una vera ed incredibile schizofrenia dei nostri tempi, sino al punto di sovvertire soltanto per gli umani l’ordine naturale delle cose, arrogandoci il diritto di essere ingegneri del creato, sino ad un razionalismo che si spinge all’esasperazione dell’ingegneria genetica e sociale, con la quale pensiamo di poter cambiare, veicolare e reinventare tutto. Stiamo attenti alle dittature della minoranze, che, utilizzando il conformismo del politicamente corretto e con la complicità spesso interessata di mezzi di informazione influenzati e talvolta al soldo di poteri forti e di lobby, vogliono stravolgere il ciclo naturale della vita, non ascoltando il buon senso e il comune sentire del Paese, di quel Paese che il 20 giugno 2015 e il 30 gennaio 2016 ha fatto sentire senza se e senza ma la sua voce.

Queste considerazioni non sono frutto della mia personale formazione e sensibilità. Nel mio intervento non ho utilizzato tutte le argomentazioni a me care e che potevano esporre le mie riflessioni a critiche di eccessivo appiattimento sulla visione religiosa cristiano-cattolica del mio personale vissuto. Non voglio aprire, in questo momento, un dibattito su valori e identità, ma voglio che si valuti l’approccio scientifico-biologico e quindi laico del mio intervento.

A tal fine colgo con grande interesse le perplessità di autorevoli membri del PD che spingono a modifiche per evitare censure di carattere costituzionale e leggo con molta attenzione le perplessità di uomini come Giuseppe Vacca, Mario Tronti, Pietro Barcellona, Vannino Chiti e di tante donne che hanno scritto la storia del femminismo in Italia (Dacia Maraini, Livia Turco, Simona Izzo, Stefania Sandrelli, Francesca Marinaro); costoro con onestà intellettuale e in chiave assolutamente laica hanno colto le contraddizioni, le incongruenze del testo in esame.

Oggi il Parlamento è a un bivio: approvare una pessima legge che produrrà guasti alla società e che tra l’altro sarà demolita dalla Corte costituzionale oppure aprire un serio dibattito al fine di riconoscere diritti e garanzie, che ci vogliono realmente, alle coppie di conviventi etero ed omosessuali.

Su questo terreno vi ha sfidato con la sua proposta il leader di Area Popolare – NCD Angelino Alfano. Vi ha proposto lo stralcio dell’articolo 5 con l’impegno di trattare l’argomento delle adozioni nell’ambito proprio, cioè quello di un intero restyling della legge sulle adozioni, l’eliminazione di tutti i richiami al codice civile contenuti nel testo proposto, e soprattutto all’articolo 3 che di fatto equiparano le unioni civili al matrimonio, ed infine riconoscere la pratica dell’utero in affitto come reato universale e quindi perseguibile anche se compiuto all’estero. In cambio assicureremmo così una buona legge che potrebbe avere il nostro voto favorevole.

Auspichiamo una seria riflessione da parte dei colleghi del PD convinti che anche all’interno di quel partito oggi sia in atto un forte dibattito e che anche in quel partito, per quanto plurale, si abbia la consapevolezza che diritti e principi universali non possano soggiacere alle mode, ai desideri, ai capricci, all’interesse di pochi, anche se titolati e blasonati, alla dittatura delle minoranze.

Su questa proposta apriamo un dialogo: se voi ci starete noi non ci sottrarremo. (Applausi dal Gruppo (AP (NCD-UDC) e del senatore Bruni. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Moscardelli. Ne ha facoltà.

MOSCARDELLI (PD). Signora Presidente, nell’intervenire in questo dibattito vorrei esprimere un disagio che motiverò nei minuti che ho a disposizione. Proprio per questo, voglio premettere che voterò a favore di questo provvedimento e non per disciplina di partito, ma perché sono convinto che siano necessari una regolamentazione e un riconoscimento dei diritti per le coppie omosessuali ed eterosessuali che intendano accedere al nuovo istituto che penso approveremo la prossima settimana.

Esprimo disagio perché considero le espressioni, le qualificazioni e le liquidazioni sbrigative di ogni voce di dissenso su un provvedimento presentato già come mediazione, nel corso del dibattito e del confronto, espresso come un elemento di grave preoccupazione e perplessità, anche e soprattutto perché reso in un campo nel quale immaginavo che la comune militanza politica potesse portare ad un maggiore rispetto reciproco. Ma vedo che purtroppo – ahimè – così non è stato.

Rivendico una tale posizione non perché oggi penso sia utile e necessaria – e siamo anche in ritardo – questa regolamentazione, ma perché ho anche un trascorso personale da questo punto di vista. Dieci anni fa sono stato primo firmatario di una proposta di legge presentata al Consiglio regionale del Lazio per riconoscere gli stessi diritti riservati alle famiglie disagiate a tutte le convivenze di fatto, anche di persone dello stesso sesso, che si trovassero nelle medesime condizioni.

L’ordinamento regionale mi consentiva solo il presupposto di fatto per far scaturire dei diritti. Oggi, nella sede del Parlamento nazionale noi facciamo un passo avanti e riconosciamo un nuovo istituto giuridico da cui discendono diritti e doveri per le persone che si trovano nella condizione prevista nell’elaborato normativo.

Tuttavia, ascoltare interventi di colleghi che dicono che questa proposta di legge rappresenta già una mediazione massima rispetto alle proprie convinzioni è legittimo. Ascoltarlo dal primo intervento della collega Cirinnà non lo trovo corretto e per un semplice motivo: non si può dire che questo testo rappresenta la mediazione massima possibile quando su di esso solo oggi ci confrontiamo tutti come Gruppo, perché è quello scaturito dalla maggioranza espressa nella Commissione giustizia. Infatti, affermare qui di essere a favore del matrimonio delle coppie omosessuali e che, presentando questo disegno di legge sulle unioni civili, si fa già il massimo della mediazione, non è – mi dispiace – un’impostazione corretta. La Corte costituzionale, infatti, ha sancito molto chiaramente, con la sentenza n.138 del 2010, che c’è una necessità di tutela e di riconoscimento di pieni diritti, ma non può essere utilizzato l’istituto del matrimonio. E nelle considerazioni in diritto della sentenza, ciò viene indicato in maniera molto chiara.

Allora non si può sostenere che una propria convinzione personale, legittima e responsabile, rappresenti il punto rispetto al quale si media, ma che non è riconosciuto nel nostro ordinamento costituzionale. Allora, si cambi prima la Costituzione, e poi si potrà fare un’affermazione del genere, che viene resa dal primo firmatario di un testo sul quale oggi ci confrontiamo.

Provo che, da questo punto di vista, sia stato fatto un errore che, solo negli ultimi giorni, si è tentato di correggere. Il clima di divisione, l’aver rievocato una serie di fantasmi e l’utilizzo di termini che pensavo fossero superati, almeno tra noi, mi fanno trovare questo dibattito datato, anche se fosse retrodatato a trent’anni fa. Ma oggi è questo ciò con cui ci confrontiamo. Sarebbe stato, invece, più utile valorizzare il fatto che siamo tutti d’accordo nel riconoscere la necessità di approvare, e in tempi più brevi possibili, il nuovo istituto delle unioni civili. (Applausi del senatore Di Biagio).

Non è possibile poi fare un’obiezione, che questa trova immediatamente una demonizzazione, perché si dice, venendo magari messi all’indice su qualche sito, che, se si hanno obiezioni sulle adozioni, si vuole far saltare la legge.

Rispetto alle motivazioni poste dai colleghi sul tema delle adozioni, faccio rilevare che, per quanto riguarda i figli già nati, ai quali si dice che si vuole dare tutela e che non è possibile fare discriminazioni, esiste già la legge sulle adozioni speciali. Grazie all’articolo 44, lettera d), della suddetta legge, ormai la giurisprudenza di merito ha esteso in via interpretativa la possibilità di adottare anche al convivente del genitore naturale, quando anche fosse dello stesso sesso. (Applausi del senatore Di Biagio). Quindi, per le persone e i minori già nati, esiste già una tutela.

Introdurre in via indiretta, con l’articolo 3 del disegno di legge, o esplicitamente con l’articolo 5, l’istituto della stepchild adoption, significa fare un passo in avanti nel nostro ordinamento per consentire di procurarsi un figlio e poterlo adottare, nonostante la legge n. 40 del 2004 lo preveda come reato, utilizzando la maternità surrogata.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MOSCARDELLI (PD). Ancora un minuto, signora Presidente.

PRESIDENTE. Veramente gliene ho già concessi altri due.

MOSCARDELLI (PD). Da questo punto di vista, aver ascoltato che ci sono Paesi che hanno una civiltà giuridica avanzata perché consentono la maternità surrogata mi fa pensare che siamo davvero fuori linea.

Sul tema delle adozioni si deve fare un discorso più approfondito, a parte: il desiderio di genitorialità è legittimo, ma esiste un diritto da tutelare, che è quello dei figli minori; la pratica della maternità surrogata deve essere combattuta e contrastata. E si è dimostrato insufficiente averla prevista come reato solo se compiuta in Italia, come previsto dalla legge n. 40 del 2004. Da questo punto di vista faremo bene a fare uno stralcio o a intervenire normativamente, perché questa pratica venga davvero contrastata. Altrimenti, andiamo su una deriva dove il desiderio individuale diventa unico soggetto e unico elemento di giudizio, calpestando i diritti dei più deboli, quelli dei fanciulli e delle donne che vengono sfruttate da chi ha soldi, dalle coppie omosessuali o eterosessuali che possono spendere 100.000 euro, o di più, per procurarsi un figlio.

Questo è assolutamente da rigettare. Il sostegno a tale posizione non può essere demonizzato, come purtroppo ho sentito fare in interventi di alcuni colleghi. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Di Biagio).

PRESIDENTE. Per correttezza di gestione dei lavori d’Aula, voglio avvertire che il microfono lampeggia quando sono trascorsi i minuti assegnati dai Gruppi.

Lo ricordo perché, ovviamente, ciò significa anche non poter completare l’intervento e per tutti avere una regola generale.

È iscritto a parlare il senatore Bruni. Ne ha facoltà.

BRUNI (CoR). Signora Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, voglio iniziare questo mio intervento con una riflessione sulla realtà emersa nelle numerose piazze dove le persone si sono riunite per manifestare la propria opinione sul disegno di legge in esame. E mi preme sottolineare che mi sto riferendo a tutte le manifestazioni, di impronte marcatamente diverse, da «Sveglia Italia, l’unica famiglia è quella felice» di due settimana fa, all’altra, il Family Day di sabato scorso.

Ebbene, quello che ho sentito in quelle piazze esprime – a mio giudizio – un’unica e fondamentale esigenza: vedere correttamente disciplinata la situazione di tutte quelle coppie che ad oggi vivono nella terra di nessuno. E parlo non solo delle coppie omosessuali, ma anche delle coppie di fatto eterosessuali – legittime forme di aggregazione tra persone – non formalizzate nel matrimonio, che attualmente non posseggono forme di adeguata tutela, se non quella fornita dai diversi tribunali attraverso orientamenti troppo ondivaghi, e spesso creativi, nati proprio sull’ordito dell’assenza di una trama legislativa.

È, dunque, arrivato ormai il momento che il Parlamento interpreti correttamente le legittime richieste della società che rappresenta, e non perché a ciò costretto da Diktat europei, da direttive o altre pronunce, bensì in adempimento del nostro preciso dovere di rappresentare la Nazione.

E arriviamo qui al punctum dolens. Mi domando, infatti, se questo disegno di legge dia una reale risposta alla domanda del Paese, una risposta capace di esistere e resistere nel nostro attuale sistema giuridico. Purtroppo, la risposta al momento non può che essere negativa.

Le molteplici indicazioni forniteci dalla Corte costituzionale in merito ad un percorso, costituzionalmente orientato, da seguire nel riconoscimento dei diritti delle coppie formate da persone dello stesso sesso, restano totalmente disattese dal disegno di legge che ci accingiamo a votare.

Il disegno di legge Cirinnà è un garbuglio, prima ancora che politico, giuridico che, sotto l’etichetta dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, quale specifica formazione sociale, segue un’impostazione che assimila ed identifica, in tutto e per tutto, l’unione civile al matrimonio. E questa non è l’opinione dei Conservatori e Riformisti, bensì quella espressa persino dal presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli. Eppure, la senatrice Cirinnà ben dovrebbe conoscere i binari entro i quali avrebbe dovuto muoversi per garantire veramente, oltre gli opportunismi politici, i tanto sbandierati diritti alle coppie omosessuali e – mi vien da dire – non solo a quelle. Ce lo ha detto ha detto a più riprese lo stesso giudice delle leggi, giudice avanti al quale sarà inesorabilmente destinato a cadere questo provvedimento: l’unione civile deve trovare suo fondamento nell’articolo 2 della Costituzione e non negli articoli 29, 30 e 31 della stessa, che sono stati dal Costituente pensati e strutturati a tutela della famiglia quale unione di un uomo e di una donna.

Con questo provvedimento possiamo, al più, ingannare tutte quelle persone che credono sia sufficiente una legge, una qualunque, che riconosca loro ciò che la Carta fondamentale non consente. Di certo, non potremo ingannare la Consulta.

Come giustificare – e cito solo questo esempio tra i molti – la lettura degli articoli del codice civile previsti per la celebrazione del matrimonio, che ricordano agli sposi i reciproci diritti e doveri, ovvero quelli nei confronti dei figli? Questo ultimo richiamo mi pare l’emblematico coronamento della completa sovrapposizione al matrimonio, soprattutto se rapportato al successivo disposto dell’articolo 5 a proposito della famosa stepchild adoption.

L’obiettivo di questo disegno di legge dovrebbe essere quello di dar vita ad un istituto giuridico autonomo con caratteristiche diverse e graduate rispetto al matrimonio stesso. Se l’istituto giuridico è diverso, anche la qualità e la quantità dei diritti e dei doveri dovrebbero essere diverse. Ma così non è.

E che dire del fatto che il sacrosanto riconoscimento di diritti in capo alle persone che decidono di esprimersi all’interno delle nuove formazioni sociali transita da una discriminazione basata proprio sull’identità sessuale?

Penso, colleghe e colleghi, che questo sia un punto che meriterebbe una seria riflessione, scevra da faziosità e preconcetti. E noi Conservatori e Riformisti lo abbiamo fatto, proponendo modifiche al testo in esame che lo rendano efficace strumento di tutela nei confronti delle svariate forme di unioni solidaristiche affettive, evitando che l’unione civile sia accessibile alle sole coppie omosessuali.

Riconoscere diritti non può significare negarne altri, sulla base di una diversa, ma identica, discriminazione: quella basata sul sesso. Riconoscere diritti non deve significare negarne altri, lo ripeto. Peraltro, quanto ai diritti delle cosiddette coppie di fatto, il disegno di legge al nostro esame cerca maldestramente di risolvere la regolamentazione di tale fattispecie, limitandosi ad una mera razionalizzazione di norme e principi già rinvenibili nelle leggi vigenti. Infatti, in tale capo si fa riferimento ai diritti dei conviventi, quale che sia il loro orientamento sessuale, quando uno dei due è detenuto (come peraltro previsto già dalla legge 354 del 1975), ovvero in caso di malattia (principio già fissato nella legge n. 91 del 1999), o per quanto attiene al diritto di occupare l’abitazione quando uno dei due muore (ma su questo già la Corte costituzionale, sin dal 1988, si era espressa con la sentenza n. 404). Sono ancora disciplinati gli obblighi di mantenimento nel caso di cessazione della convivenza, i casi di nullità e quelli di risoluzione della convivenza. Come si vede, si tratta di previsioni già presenti nella legislazione vigente che non comportano alcuna innovazione effettiva.

Dopo aver parlato dell’irrilevanza della seconda parte del testo al nostro esame, la mia e la vostra attenzione deve soffermarsi su un altro nodo cruciale affrontato dal disegno di legge in esame, relativo alla stepchild adoption. L’estensione della genitorialità alle coppie omosessuali, così come concepita nel provvedimento, non ha di mira il caposaldo di tutto il sistema delle adozioni, cioè tutelare l’interesse del minore. È inutile nascondere che, tramite questo sistema, si consente l’adozione del figlio, anche adottivo, che una delle due persone aveva, ma è altrettanto vero che in tal modo si apre la strada all’adozione del figlio che l’altro partner in qualche modo – e sottolineo, in qualche modo – si è o si potrebbe procurare.

Si tratta di una scelta squisitamente politica, dato che l’accesso all’adozione piena di certo non avrebbe trovato l’accordo neppure all’interno dei sostenitori del provvedimento in esame. Di sicuro non si è pensato alla fondamentale tutela dei minori, bensì, nell’ottica di un mero accordino che scontenta tutti e non accontenta nessuno, si è voluto anteporre il pur comprensibile desiderio di genitorialità a tutti i costi delle coppie omogenere a discapito del sacrosanto diritto del minore – a mio avviso prevalente – di avere un padre e una madre.

Non sarebbe stato più saggio e prudente seguire la strada percorsa da altri Paesi, come la Gran Bretagna, che hanno prima approvato atti che hanno riconosciuto tutela giuridica alla coppie omosessuali (anche nell’ottica di verificarne l’impatto nei rispettivi contesti socioculturali), per poi passare alla controversa questione delle adozioni?

Abbiamo tentato e stiamo tentando tuttora di evitare tutto ciò, proponendo anche noi lo stralcio dell’articolo 5, per rinviare il tema delle adozioni ad una più organica riforma della legge 4 maggio 1983, n. 184, scontrandoci però con l’inspiegabile indifferenza del Partito Democratico.

Concludo sollevando un ulteriore problema. La segretezza circa l’identità dei genitori biologici sottesa alle tecniche di procreazione medicalmente assistita si pone in diretta rotta di collisione con un principio giuridico antagonista ormai affermato a livello internazionale: conoscere le proprie origini come diritto fondamentale del minore. Questo è quanto espresso nella Convenzione sui diritti dell’infanzia approvata a New York e recepita in alcune legislazioni nazionali come quella tedesca.

La consapevolezza dell’essere i bambini persone e non oggetto di appartenenza ad nucleo familiare, piuttosto che ad un altro, ha indotto il Gruppo Conservatori e Riformisti a predisporre una serie di emendamenti volti a garantire il rispetto di tale fondamentale diritto.

Le ragioni fin qui illustrate, salvo che non vi siano auspicabili inversioni di rotta, ci inducono a ribadire la nostra convinta contrarietà al presente disegno di legge, che rappresenta un’occasione mancata per dare risposta a problemi così complessi e delicati come quelli evidenziati nell’intervento. (Applausi dai Gruppi CoR e AP (NCD-UDC e del senatore Floris. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Spilabotte. Ne ha facoltà.

SPILABOTTE (PD). Signora Presidente, ci troviamo a vivere giornate storiche, che vedono l’Assemblea discutere di unioni civili.

Come ha detto stamani il senatore Lo Giudice nel suo intervento, la prima proposta di legge riguardante il tema delle unioni civili è stata presentata circa trent’anni fa. Siamo, quindi, in notevole ritardo e arriviamo con un testo che – ahimè – è fin troppo superato. Insieme ad alcuni Paesi dell’Europa dell’Est siamo rimasti tra gli ultimi nel panorama europeo a non aver ancora regolamentato la materia.

Sono stata attenta e ho ascoltato tanti interventi a favore e contro il cosiddetto disegno di legge Cirinnà. Mi dispiace aver ascoltato qualche minuto fa l’intervento del senatore Marinello, che come argomento a discredito della relatrice ha voluto utilizzare il suo impegno a tutela dei diritti dei cuccioli dei cani e dei gatti. Egli mi ha, però, fornito un assist su un piatto d’argento.

A questo proposito ricordo quali sono state le argomentazioni utilizzate da chi sostiene il no e si è opposto all’equiparazione dell’unione civile al matrimonio, per far capire quale sia il livello della discussione svolta da questo punto di vista. Qualche nostro eminente collega ha detto che, mentre il matrimonio è nullo se non è consumato, non si riesce a capire bene chi vada a stabilire che tipo di rapporto c’è tra coloro che stipulano le unioni civili. Qualcun altro ha avuto il coraggio di affermare che la presenza non solo della madre, ma anche del padre permette che la nostra specie abbia una possibilità di sviluppo maggiore e con un cervello più grande di quello degli altri animali della nostra statura. Questi sono stati gli argomenti utilizzati a favore della tesi che non si può equiparare l’unione civile al matrimonio.

Poi ho sentito quelli che io definisco, in questa e in altre sedi, i benaltristi, cioè tutti quelli che ci ricordano che in questo Paese c’è ben altro da fare: ci sono le questioni del lavoro, dell’emigrazione, dell’economia. Sono tutti temi dei quali questo Governo si sta occupando pienamente. Vi ricordo che abbiamo ereditato un Paese con un tasso di disoccupazione altissimo, con un PIL a -2,3 per cento e ora possiamo guardare a numeri positivi, cioè al +0,8 per cento. Ci stiamo, quindi, occupando a 360 gradi della ripresa e del rilancio del nostro Paese, mentre quelle stesse persone che io chiamo benaltristi, che hanno avuto la responsabilità di Governo negli ultimi venti anni, si sono effettivamente occupati a fare ben altro e ci hanno lasciato tutto questo in eredità. Non credo, inoltre, che i diritti civili siano qualcosa di cui occuparsi in secondo luogo, perché ritengo siano assolutamente centrali nella vita dei cittadini.

Dicevo che è una giornata storica. Bene hanno fatto il senatore Zanda e il presidente Renzi a dire che indietro non si torna. Io ringrazio la senatrice Cirinnà e i colleghi che, in Commissione giustizia, hanno dato l’anima per portare questo testo così come è in Aula. Si tratta – secondo me – non di un testo che è un compromesso al ribasso, ma di una delle mediazioni più alte che si potesse fare, perché ci consente perlomeno il riconoscimento e l’estensione di diritti sociali.

Per quanto riguarda la tematica della stepchild adoption, non credo assolutamente che il tema vada stralciato, ma che sia la proposta più corretta possibile per garantire il diritto dei bambini a vivere in un contesto familiare amorevole, ad essere amati da genitori, di qualunque sesso essi siano. In nessun caso nel testo si parla di riconoscimento del diritto dei genitori ad avere figli, ma del diritto dei bambini a essere amati e ad avere riconosciuto il loro diritto a essere amati nelle loro famiglie.

PRESIDENTE. Senatrice, la invito a concludere.

SPILABOTTE (PD). È stato anche utilizzato come argomento di errata comunicazione il fatto che la stepchild adoption apra all’utilizzo della pratica dell’utero in affitto. Non è scritto da nessuna parte. C’è la legge n. 40 del 2004, che è pessima, che è stata smontata dalle sentenze dei giudici e a cui mi auguro questo Parlamento rimetta mano, per dare una legge decente al nostro Paese. Il testo in discussione non ne parla e non ho sentito nessuno di quelli che hanno svolto accorati interventi contro questo tema affermare, invece, che si tratta di una pratica adottata dall’84 per cento delle coppie eterosessuali, che ritengono più moralmente accettabile comprarsi un bambino all’estero, piuttosto che adottarne uno, visto che hanno la possibilità di farlo nel nostro Paese. Non li ho mai sentiti muovere un dito o fare un accurato intervento, come invece li ho sentiti fare, nel momento in cui detta pratica viene seguita solo dal 2 per cento delle coppie gay. (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Bencini).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Scoma. Ne ha facoltà.

SCOMA (FI-PdL XVII). Signora Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, tanto è stato detto nel dibattito pubblico su questo disegno di legge; filosofi, giuristi ed ecclesiastici hanno espresso le proprie opinioni, così come tantissimi cittadini, in modo organizzato e non, hanno fatto sentire la propria voce in un senso o nell’altro. Certamente, in un tale turbinio di dichiarazioni ed interviste, è capitato di ascoltare imprecisioni ed affermazioni un po’ azzardate. D’altra parte, argomenti che toccano così da vicino la sensibilità di ognuno di noi suscitano emozioni, che talvolta possono compromettere una lucida analisi.

Ci sono tuttavia alcuni punti fermi che non dovrebbero mai essere persi di vista, neppure in una fase concitata come questa. Siamo tutti d’accordo sul fatto che i diritti non possano essere riservati solo ad alcune categorie di cittadini, privando di alcune fondamentali tutele altri, che pure si trovano in situazioni soggettivamente simili, ma giuridicamente, finora, irrilevanti. II legislatore ha il compito di rispondere alle richieste provenienti da una società in continua trasformazione, adeguando l’ordinamento agli sviluppi della coscienza collettiva, anche in temi così delicati, come quello delle unioni omosessuali. Tuttavia, il giusto appello per riconoscere tutele a tutti i cittadini non può implicare la pretesa di prevedere per tutti le stesse tutele. Il principio di uguaglianza deve essere interpretato nel senso di uguaglianza sostanziale, secondo la quale devono essere trattate in modo omogeneo situazioni uguali, ma in modo differenziato situazioni diverse. In questo caso, secondo le norme della Costituzione, così come interpretate dalle recenti sentenze della Corte costituzionale, la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio rappresenta un unicum, da tutelare in quanto tale e in modo distinto rispetto ad altre formazioni sociali, come le unioni omosessuali.

Invece, quella che il disegno di legge Cirinnà propone è una sostanziale equiparazione tra matrimonio e unione omosessuale. Entrando nel merito del disegno di legge, i diritti relativi alla cittadinanza, alle pensioni, alle successioni, al sostegno al partner vengono previsti nelle stesse modalità, tanto nel primo che nel secondo caso. Ad esempio, la cittadinanza si acquista dopo sei mesi di residenza legale sul territorio o dopo tre anni dal matrimonio o unione civile e, per l’eredità, i diritti per i componenti dell’unione civile sono gli stessi della legittima da matrimonio: metà ciascuno, a parte la quota per i figli. Una tale equiparazione è contraria agli orientamenti della Consulta, rispetto a quanto scritto nella nostra Costituzione. Il riconoscimento delle tutele a favore di persone dello stesso sesso, che vogliono iniziare un percorso di vita insieme, non può essere realizzato, secondo la Corte, soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. Il Parlamento, come confermato anche dalle differenti esperienze degli altri Paesi europei, deve introdurre «una forma alternativa e diversa dal matrimonio». Una sovrapposizione tra matrimonio e unioni omosex non è neppure richiesta al nostro Paese dall’Europa. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha infatti espresso la necessità che il nostro Paese si doti di una normativa a tutela di coloro che vogliono formare un’unione con persone dello stesso sesso, ma non ha imposto alcuna forma giuridica, né suggerito alcuna modalità di tutela, lasciando invece alla discrezionalità del legislatore nazionale la definizione concreta dei diritti e dei doveri.

Un altro punto molto dibattuto riguarda la possibilità dell’adozione del figlio del partner, la cosiddetta stepchild adoption. Allo stato attuale si applica in via residuale e in casi particolari di minori in gravi difficoltà e coppie eterosessuali: il disegno di legge in esame prevede la sua estensione anche ai casi di coppie omosessuali. Questa norma apre un duplice fronte di discussione: quello relativo alla possibilità o al diritto di una coppia ad avere un figlio e quello, ad esso connesso, relativo alla maternità surrogata.

Dal primo punto di vista e partendo alla lontana, la natura ha imposto all’essere umano condizioni inderogabili per procreare e contribuire alla sopravvivenza della specie. Un figlio può essere il risultato soltanto dell’unione sessuale tra un uomo e una donna, che diventano i genitori del bambino o della bambina. Quando uno dei due partner o entrambi non sono fisicamente in grado di contribuire alla procreazione, l’ordinamento consente a certe condizioni che la scienza arrivi in supporto con tecniche che permettono di bypassare il problema; alternativamente, si può scegliere la strada dell’adozione. Siamo ancora ben all’interno di un paradigma che vede una coppia formata da un uomo e una donna.

Riteniamo che bisogna opporsi al tentativo di introdurre la possibilità di avere figli attraverso modi estranei non solo alla natura dell’essere umano, ma anche alla cultura e alle tradizioni cristiane del nostro Paese. I figli non sono un diritto, ma una diretta conseguenza di un’unione eterosessuale e di una famiglia formata da un uomo e da una donna. Non possiamo immaginare anche in questo campo una parificazione, nel modo surrettizio del disegno di legge Cirinnà, tra famiglia tradizionale e unioni omosessuali.

Dal punto di vista dei rischi di maternità surrogata, il testo Cirinnà incentiva indirettamente il ricorso a condotte non ammesse nel nostro Paese, che sono molto costose, quindi praticabili da una ristretta cerchia di persone, e che implicano in molti casi lo sfruttamento del corpo della donna.

Questo disegno di legge rappresenta quindi un tentativo azzardato e incostituzionale di disciplinare una materia assai delicata, che senza dubbio necessita di essere all’attenzione del Parlamento e da quest’ultimo ben regolata. Strumentalizzare questa necessità di colmare un vuoto normativo, che pure esiste, introducendo elementi di palese contraddizione con quanto scritto nella Costituzione e ricordato dalla Corte costituzionale, sembra un modo di fare politica massimamente scorretto. Disegnare un panorama politico per presentare una parte che vuole difendere e tutelare i cittadini, contrapposta ad un’altra parte ciecamente conservatrice che rimane ancorata ad un lontano passato, non è una operazione accettabile.

Questo è ancora più vero se consideriamo che, come ai solito, il Governo mira a far approvare la legge il prima possibile, con poco riguardo per i contributi che possono venire dal dibattito parlamentare e solo per permettere al Premier di rivendicare sui media un nuovo risultato raggiunto.

Anche stavolta, purtroppo, abbiamo dovuto assistere ad una nuova telenovela tutta interna al Partito democratico, che è riuscito a dividersi lungo assi nuovi, quelli tra cattolici e non cattolici. Per la verità, negli ultimi giorni, la maggioranza è sembrata più disponibile al confronto parlamentare, riconoscendo che la delicatezza della materia sconsigliava fortemente di mettere in atto la solita prova di forza.

Proprio Forza Italia, ancora una volta da opposizione costruttiva e responsabile, è stata la prima a mettere in campo proposte alternative. I testi delle proposte di legge dei nostri parlamentari rappresentano una sintesi in cui si coniugano i diritti per le unioni formate da persone dello stesso sesso e il rispetto di alcuni punti irrinunciabili e innegabili, come l’unicità del matrimonio e la tutela dei minori. Sono soluzioni che garantiscono fondamentali diritti alle coppie gay, così come ci chiede una parte importante della società, ci indica la Costituzione e ci sollecita l’Europa; allo stesso tempo sono soluzioni che rispettano le sensibilità alla base del sentire più tradizionale di un’altrettanto ampia parte di nostri concittadini. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Compagna. Ne ha facoltà.

COMPAGNA (GAL (GS, PpI, M, MBI, Id, E-E)). Signora Presidente, nella seduta di ieri, all’avvio del nostro dibattito, la senatrice Cirinnà affermava con molto ardore che la disciplina delle unioni civili da lei proposta non fosse assolutamente sovrapponibile a quella del matrimonio; già, ma subito dopo di lei, il collega Nitto Palma ha rilevato come il disegno di legge – cito testualmente dal suo intervento ma anche dal testo lessicale del disegno di legge – preveda che «due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni». Come vedete, si tratta di un testo non simile, non analogo, ma identico alla normativa della costituzione del matrimonio prevista dal codice civile. Quindi, qualora il testo avanzato dalla collega Cirinnà diventasse legge, noi avremmo un codice civile che ha una parte dedicata agli omosessuali e un’altra agli eterosessuali: nello specifico, citando e rifacendomi al progetto della collega Cirinnà, gli articoli da 1 a 10 e gli articoli da 11 a 23. A mio giudizio, questo è aberrante. Capisco le considerazioni di molti colleghi che dicono che la Costituzione viene prima del codice civile. Sono d’accordo, ma, al di là dell’insoddisfacente retorica di questa affermazione, che ce ne facciamo di una Costituzione che consenta al diritto civile di distinguere tra norme per gli omosessuali e norme per gli eterosessuali? È aberrante non solo per la nostra Costituzione democratica, ma rispetto all’idea moderna di codice civile con il quale nell’Ottocento si uscì dall’antico regime dopo la disgregazione che la Rivoluzione francese ne aveva operato.

Ma allora, che senso ha l’affermazione fatta in premessa dalla collega Cirinnà, poi attaccata frontalmente nel discorso seguito al suo del collega Nitto Palma? Pensate che lo stesso scioglimento dell’unione civile avviene attraverso le leggi sulla separazione e il divorzio, cioè le stesse norme che portano alla conclusione del matrimonio. Non solo, ma al di là di questa identità – non analogia – tra l’atto costitutivo e l’atto finale delle unioni civili con il matrimonio, nel testo del disegno di legge Cirinnà leggiamo, all’articolo 3, comma 3, che si applicano alle unioni civili le stesse e identiche disposizioni che regolamentano il matrimonio.

Sono anch’io d’accordo con chi ha detto che la nostra discussione non deve essere uno stucchevole ping pong tra sentenze della Corte costituzionale di ieri e – auspicabilmente negli intenti dei promotori – sentenze della Corte costituzionale di domani per ottenere l’equiparazione, ma, una volta dimostrato – e il senatore Nitto Palma lo ha fatto – che siamo di fronte a una sovrapposizione tra l’istituto delle unioni civili e quello del matrimonio tra omosessuali, mi domando: perché? Che senso ha? Non è una vergogna rispetto alle libertà costituzionali e ai diritti individuali prevedere un trattamento diverso per le coppie di fatto? «Convivenze» è il termine che si usa dall’articolo 11 all’articolo 23 della normativa proposta dalla collega Cirinnà. Non sono anche queste formazioni sociali? Non hanno anche queste diritto agli stessi diritti e alle stesse aspettative? A meno che non si sia voluto furbescamente immaginare un incentivo per indurre le coppie di fatto eterosessuali a contrarre matrimonio; se fossi così, sarebbe davvero meschino pensando alla storia del nostro diritto di famiglia. Nella storia del nostro diritto di famiglia, la riforma Reale della metà degli anni Settanta ha libero corso perché ha dalla sua quello che aveva stabilito la Fortuna-Baslini, cioè quella normativa non tanto sul cosiddetto divorzio quanto sullo scioglimento dei vincoli civili del matrimonio.

Ma allora c’è da domandarsi se non avesse ragione questa mattina, in un bell’articolo inserito sul «Corriere della Sera» tra interventi e repliche, il mio concittadino Paolo Cirino Pomicino, il quale osserva come un testo come questo sia immaginabile soltanto in una sensibilità e in una cultura insofferente alla libertà, alla diversità. Del resto, prima del termine «gay», che ha vent’anni nel nostro lessico, una volta la condizione omosessuale si legava al termine «diversi». Ha ragione Cirino Pomicino quando dice che, almeno nell’Occidente, la diversità non è più sinonimo di emarginazione, di sofferenza, talvolta di persecuzione. In Occidente la diversità, tanto in natura quanto nella società (per rifarmi, ad esempio, all’intervento del senatore Marinello), viene ritenuta una risorsa, una ricchezza da sviluppare e da tutelare. La si tutela e la si rispetta quando si equiparano i diritti civili dei diversi, nel caso specifico degli omosessuali e degli eterosessuali. Ma, con questa affermazione sul culto della diversità, occorre giustificare perché all’istituto che nasce (le unioni civili) le coppie di fatto, gli eterosessuali – quella specie di cestino dell’immondizia che il disegno di legge Cirinnà prevede, dall’articolo 11 al 23 – non hanno diritto.

Non voglio fare un confronto tra situazioni numeriche; l’ha fatto il senatore Caliendo, l’ha ripreso il senatore Palma e non so quanto sia affidabile. Il punto non è questo; il punto è che la condizione di omosessuale va corredata con tutti i diritti, con tutte le parificazioni e le pacificazioni possibili, non con l’abrogazione di questa concessione, non con l’abrogazione della diversità, inventandosi ad hoc questo ipocrita strumento delle unioni civili, che oggi sembra dettare privilegi positivi per la condizione omosessuale, ma che non è detto sia sempre così (la mia non vuol essere una minaccia).

PRESIDENTE. Senatore, deve concludere.

COMPAGNA (GAL (GS, PpI, M, MBI, Id, E-E)). Concludo dicendo che qualora invece si ritenesse che all’eguaglianza dei diritti dovesse accompagnarsi una omologazione lessicale con cui definire unioni profondamente diverse, come il matrimonio e l’amore omosessuale (rispettabilissimo, importantissimo nella storia, nella poesia, nella storia letteraria: c’è una bellissima poesia di Pier Paolo Pasolini dedicata a sua madre, in cui sente con sofferenza la propria condizione di omosessuale) questo vorrebbe dire vergognarsi, quasi discriminare (non era il caso di Pasolini, che viveva con sofferenza ma non con vergogna la propria condizione di diversità).

Questo ci porta sostanzialmente lontani da quella civiltà occidentale. (Applausi dai senatori Caliendo, Giovanardi e Perrone).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Bignami. Ne ha facoltà.

BIGNAMI (Misto-MovX). Signora Presidente, Governo, cari colleghi, eccoci qui oggi a discutere e a decidere su qualcosa che va al di là di noi e che interessa molte persone, che molti di voi chiamate «diversi» o con peggiori titoli (dei quali in questa sala abbiamo ottimi creatori), ma certamente uguali nel bisogno di veder riconosciuto il sentimento più adorato e svenduto della storia dell’umanità: l’amore. Persone uguali, quindi, persone bisognose di quel diritto universale che può essere chiamato diritto d’amore, tant’è vero che proprio Dio stesso è considerato amore e gli antichi greci ne avevano persino due: Eros e Agape.

Questa non è una legge progressista; è una legge, tanto per usare il solito motto, che ci chiede l’Europa. Siamo qui a rincorrere altri Paesi, come la Spagna, che ha adottato la legge sulle unioni civili nel 2005, il Portogallo, che l’ha adottata nel 2009, la Francia, che l’ha adottata nel 2013, l’Islanda e gli Stati Uniti, che l’hanno adottata nel 2015. Là, nel Paese neoliberista per eccellenza, la Corte suprema ha stabilito che il matrimonio è un diritto garantito dalla Costituzione anche alle coppie omosessuali. E da tutti questi Paesi non sono mai arrivate notizie allarmanti o preoccupanti sulle conseguenze dell’applicazione di tali leggi. Anzi, gli studi dicono il contrario.

Questa legge, da un lato, è la dovuta e necessaria riorganizzazione di ciò che è stato sancito da molto tempo in tanti Paesi democratici (anche la Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2015 ha condannato l’Italia per non prevedere alcuna forma di riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso), dall’altro invece questa legge, anche se opinabile nella forma e nella struttura, che renzianamente non è passata al vaglio della Commissione, è comunque una rivoluzione copernicana sotto l’aspetto ideologico e sociale, legata all’identità di genere e ai diritti umani e civili; una rivoluzione legata al riconoscimento sociale e alla tutela di coloro che per vari motivi, legittimi o illegittimi, non possono appellarsi all’istituzione del matrimonio, ancora troppo egemonica per quanto riguarda l’eterogeneità sessuale.

Sarebbe bastata una piccola modifica alla Costituzione, come fatto in Irlanda, e non avremmo avuto più il bisogno di questa legge e dei suoi compromessi, ma purtroppo la percezione della gravità delle modifiche costituzionali è inversamente proporzionale alla percezione della gravità dell’applicazione di un diritto naturale. Questo è quello che sta succedendo. Non nascondiamoci dietro alle espressioni politically correct.

Ho sofferto e ho votato no alla riforma costituzionale, perché ledeva i diritti di tutti i cittadini, perché impediva a ciascuno di noi la scelta del proprio rappresentante in Parlamento, ma nessuno mi ha mandato e-mail, nessuno mi ha fatto una richiesta, nessuno dei benpensanti si è fatto avanti cercando di convincermi del contrario. Ora che si danno dei diritti ad una minoranza di cittadini, molti si ergono sulle barricate per impedire che vengano riconosciute le unioni civili.

Non nascondiamoci dietro alle espressioni politically correct. Il cosiddetto problema del trade-off, inteso nel senso di scelte politiche mirate al consenso in termini di voto, non mi riguarda, perché non sono in un partito tradizionale o in un movimento autocratico a caccia di voti, ma devo solo – si fa per dire – rendere conto a coloro che considero miei elettori e a tutti i cittadini che interpello nella vita reale e digitale. Ho solo bisogno di risposte democratiche e rispettose dei diritti umani e costituzionali con cui confrontarmi.

Gian Antonio Stella ci ricorda, in un suo libro, quanto l’omofobia sia stata presente nella storia umana, senza esclusione alcuna, passando dagli antichi fino ai giorni nostri, ricordandoci in particolare che fino a poco tempo fa il rifiuto e il disprezzo verso gli omosessuali era trasversale e bipartisan. Dalle persecuzioni naziste con lo sterminio nei campi alle cure ormonali obbligatorie degli inglesi, dalla destra alla sinistra, tutti insieme appassionatamente, passando per il centro e senza dimenticare la Chiesa; purtroppo la mia cara Chiesa, anch’essa lontana dalle invocazioni di tante minoranze interne, tra cui Don Gallo, a me tanto caro.

Voglio a tal proposito ricordare Alfredo Ormando che nel 1998 si diede fuoco in Piazza San Pietro per ricordare tutti coloro che hanno sofferto a causa di se stessi, innocenti, nella propria naturalità. Queste le parole che ha lasciato: «Spero che capiranno il messaggio che voglio dare: è una forma di protesta contro la Chiesa che demonizza l’omosessualità, demonizzando nel contempo la natura, perché l’omosessualità è sua figlia».

Due sono i concetti ideologici reali e portanti, legati a questa proposta di legge: l’omosessualità in sé da un canto, e la genitorialità omosessuale dall’altro. Ma se un genitore non omosessuale può avere un figlio omosessuale non capisco perché non possa valere il reciproco negato della proposizione suddetta, valido nella logica e nel contenuto. Non mi chiedo perché un genitore omosessuale possa avere un figlio; mi chiedo, invece: perché no? Non chiedo perché un genitore omosessuale non possa avere una famiglia; mi chiedo, invece: perché no?

A chi affidiamo i figli abbandonati?Ah, dimenticavo, abbandonati da chi? Da una famiglia! Da una famiglia tradizionale. Tradizionale? E su quale tradizione? Su quali tradizioni sono basate le nostre famiglie? La posizione della donna è stata equiparata al marito da pochi decenni. Sono queste le tradizioni? Fino a poco tempo fa esisteva il delitto d’onore, fino al 1975 c’era un uomo a capo della famiglia, per anni in contrasto con la nostra Costituzione, ma nessuno ha mai detto niente.

L’80 per cento degli abusi sessuali sui minori avviene in famiglia, nelle nostre famiglie e un’altra piccola parte anche in parrocchia. Sono queste le vostre tradizioni? È questa la vostra famiglia? Quella di cui parlate? (Applausi dal Gruppo PD e delle senatrici Bencini e Taverna).

L’Italia è al primo posto in Europa per il turismo sessuale. Che ci andate a fare là? Sono queste le vostre tradizioni?

Solo nella mia Busto Arsizio vengono effettuati in media 200 aborti l’anno. Dalla relazione del Ministero della salute relativa alla tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza scopriamo che le interruzioni di gravidanza sono quasi 100.000 all’anno! Come sono 100.000 i bambini che mancano all’appello tra gli immigrati clandestini. Che fine hanno fatto? Si potevano aiutare diversamente queste donne? Perché voi cattolici non vi occupate di tutti questi bambini e, pardon, feti con lo stesso fervore di oggi sulle comode poltrone dei salotti televisivi? Non hanno anche quelli dei diritti naturali? Tacete. Per forza: che c’è da dire? Quanti si sarebbero potuti salvare e dare in affido a chi vuole amare? Quanti di fronte alla non-vita avrebbero scelto diversamente?

E dell’esempio? Che avete da dire? La metà è separata, e più della metà dei non separati tradisce. Tradisce il marito, tradisce la moglie, e contemporaneamente tutti i figli. Anche questi sono dei bambini.

Torniamo ai figli abbandonati: a chi diamo tutti i nostri figli abbandonati? Quante tipologie di famiglia educativa differenti da una coppia eterosessuale conosciamo? Case famiglia, istituti laici e religiosi, comunità. Eppure queste le tolleriamo, anzi, in molti casi le stimiamo e le portiamo ad esempio e in alcune ci rinchiudiamo persino i vecchi e i disabili. Non sono forse esempi di famiglie? Credete sia meglio la suora dei «Blues Brothers» a una coppia omosessuale per accudire un ragazzo?

Il nocciolo della questione è tutto concentrato nella relazione e nella presenza del rapporto sessuale e della sua tipologia. La dimensione del rapporto sessuale con il quale un’unione manifesta il suo amore. Evitandolo o praticandolo.

Le società e le religioni hanno sempre puntato, durante il corso dell’intera umanità, al controllo della sessualità, in un modo o nell’altro, da un eccesso all’altro, sempre con due obiettivi: da un lato, quello di garantire gli equilibri sociali e la sopravvivenza stessa della società e, dall’altro, quello di esercitare il potere di controllo delle classi dominanti e del sistema religioso.

Questa dimensione del rapporto sessuale e delle forme che esso prefigura è determinante nella discriminazione del lecito e dell’illecito, del confine tra l’amore e lo sfruttamento del corpo, l’insulto e la violenza verso l’altro.

È facile distinguere dove manca il rapporto di reciprocità e dove il tutto si riduce a mercificazione, violenza e stupro, ma l’omosessualità non è parte di questo discorso. Questo appartiene al collettivo, mentre invece è la pedofilia la cosa mostruosa che avete in mente .

Infatti, in molte delle sopracitate famiglie e comunità si è insinuato il vero orrore, quello dell’abuso dei minori, della pedofilia e della violenza, talvolta omertosamente nascosto dalla comunità e dalle figure religiose responsabili o colpevoli, mascherate dalla parola «peccato», facile cortina, surrogato della parola «reato».

Se giustamente possiamo inserire la pedofilia nella politica del disgusto e nel disturbo della sessualità, non possiamo e non dobbiamo farlo per l’omosessualità, definita dall’Organizzazione mondiale della sanità, il 17 maggio del 1990, una semplice variante naturale del comportamento umano (ma forse si pensava tutti al campionato del mondo di calcio).

Il sì a questa legge, senza il ricatto della fiducia, vista come estensione di diritti che nulla tolgono alla libertà altrui, è veramente semplice, se non per un punto critico, quello relativo all’adozione; ma critico solo se interpretato come mezzo di bieca volontà di sopraffazione altrui per il soddisfacimento del proprio egoismo narcisistico; egoismo, vogliamo puntualizzare, non ad uso esclusivo di una particolare identità sessuale.

Però, riguardo a questo punto, la legge Cirinnà non consente l’adozione se non nel caso straordinario, previsto dalla legge sull’adozione del 1984, quello relativo cioè all’adozione del figlio del compagno, che può essere seguito con attenzione dalla legislazione senza incorrere nella ratifica della pratica illegale dell’utero in affitto, proibita dalla legge n. 40. È proibito per tutti. Quindi, se ci atteniamo a questo punto, non temiamo particolari problematiche.

Siamo consci di lasciare aperto uno spiraglio importante per il futuro, quello dell’adozione, e quello di spingersi fino al riconoscimento totale del matrimonio anche per le coppie dello stesso genere. Riconoscimento che in moltissimi Paesi, come già detto, è già avvenuto e che da noi potrà avvenire in futuro, magari dall’evidenza dei risultati positivi di questa legge negli altri Stati.

Noi del Movimento X Abbiamo posto sul web il disegno di legge Cirinnà, sottoponendolo al parere dei cittadini della rete. Abbiamo visto che la rete ad oggi non è assolutamente rappresentativa dal punto di vista dell’universalità e della rappresentatività, specialmente quando i voti e le risposte sono poche centinaia o poche migliaia; ma sappiamo che non lo è neanche la piazza, i cui numeri oramai sono manipolati dai media e dagli stessi promotori. Entrambe, però, sono dei campioni di rappresentatività che vanno considerati e rispettati. Con rammarico dobbiamo anche dire che la questione delle unioni civili ha denotato una grossa inciviltà di molti, sia in rete che in piazza, da entrambe le fazioni, che hanno concesso ai media l’ennesima distrazione da ciò che attanaglia davvero la nostra Repubblica: la mancanza di lavoro.

Don Gallo, con cui volevo terminare il mio discorso diceva: «Non ho intenzione di sostituire il cliché diffuso che presenta l’omosessuale tutto in negativo (…) con quello che lo presenta tutto in positivo (…); non esiste un tipo unico e riconoscibile di omosessuale e di omosessualità. Esiste solo la persona. Mi pare di poter dire a tutti, in particolar modo a chi si definisce cristiano, che proprio l’ascolto delle persone fa scoprire una grossa base comune, dove le differenze sono molto meno rilevanti di quanto si pensi. Saper tenere insieme il rispetto delle diversità e la gioia di ritrovare sintonie è il segreto della convivenza. Quando è stata indetta l’assemblea festosa del “Genova pride” ho sofferto per il silenzio della mia Chiesa (…). Era una buona occasione per aprire il dialogo (…). Queste anime vanno salvate non dal loro orientamento sessuale, ma dalla solitudine. Io c’ero, ero sul carro colorato (…) e Gesù era in mezzo a noi. (…) L’Amore tra uguali non è diverso».

Forse oggi, per la prima volta, voterò insieme alla maggioranza e sarà un raro caso dove le necessità di una minoranza, anzi i diritti di una minoranza, si faranno legge.

PRESIDENTE. Senatrice, concluda per cortesia.

BIGNAMI (Misto-MovX). Presidente, chiedo di poter allegare agli atti la restante parte del mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza l’autorizza in tal senso.

BIGNAMI (Misto-MovX). Concludo con un’ultima frase: «Donna, ecco tuo figlio!»; figlio «ecco tua madre». Non era una famiglia naturale, ma era il segno dell’amore di Dio, che va al di là delle leggi e sancisce l’amore che da lui arriva.

Prendiamo esempio dalla filosofia di quell’uomo, un girovago non sposato, seguito da una piccola e variegata umanità. (Applausi dai Gruppi Misto, PD e M5S).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Angioni. Ne ha facoltà.

ANGIONI (PD). Signora Presidente, colleghi senatori, non sempre accade, ma ci sono provvedimenti normativi che più di altri rappresentano, per i cittadini o per una parte di essi, una speranza: uno strumento per migliorare la propria condizione di vita o anche solo per affermare giuridicamente una propria condizione sociale. Io credo che il disegno di legge Cirinnà sia uno di questi provvedimenti.

Un disegno di legge che riguarda due fattispecie distinte – le unioni civili e le convivenze – accomunate, però, dall’obiettivo del riconoscimento giuridico di relazioni affettive e familiari, che il legislatore ritiene finalmente pienamente degne di considerazione sociale.

Dopo decenni di confronti e scontri su temi che sono stati considerati fino ad oggi dal Parlamento non prioritari, e quindi sempre rinviabili, solo la giurisprudenza è riuscita negli ultimi anni a dare qualche risposta a situazioni che, senza previsioni normative, prima di creare forme di discriminazione tra i cittadini, offendono il senso di dignità e di umanità delle persone.

Quello sottoposto oggi al nostro esame è un provvedimento atteso e richiesto da migliaia di persone di diversi orientamenti sessuali e di diverse generazioni, ma direi ancor prima sollecitato dalla nostra Carta costituzionale nei suoi principi fondamentali al fine di superare quelle forme di discriminazione sociale tra i cittadini del nostro Paese.

È un provvedimento sollecitato dalla nostra Costituzione quando essa richiama i diritti inviolabili dell’uomo, quando afferma il diritto di pari dignità sociale dei cittadini, quando chiede alla legge di assicurare ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale.

Signora Presidente, alcune forze politiche presenti in quest’Aula ancora ieri hanno avanzato eccezioni di costituzionalità su questo disegno di legge. Io sono al contrario convinto che esso, superando un colpevole, anzi doloso ritardo normativo, applichi finalmente e pienamente la nostra Costituzione.

In questi mesi abbiamo sentito parlare spesso di una riforma che rischia di certificare definitivamente la dissoluzione della famiglia italiana. Io credo sia vero il contrario, e semmai il maggior contributo alla sua dissoluzione lo dà chi non si arrende al fatto che il concetto di nucleo familiare sia già mutato anche nel nostro Paese e nella coscienza dei nostri cittadini. Lo dimostrano i dati sull’enorme diminuzione del numero dei matrimoni nel nostro Paese e quelli sulla crescita esponenziale dei figli nati fuori dal matrimonio, in tutta Europa e anche nel nostro Paese.

È già oggi, quindi, più corretto pensare ad una famiglia dai diversi volti e dalle diverse espressioni, ma comunque sempre famiglia. In particolare, con le unioni civili non stiamo cercando di tutelare – come dire – indistinte comunità sociali; stiamo riconoscendo una connotazione di famiglia. Famiglia che non deve essere costruita a tavolino dal legislatore o nel laboratorio di qualche scienziato, ma che esiste già. (Applausi della senatrice Mattesini). Migliaia di famiglie che già esistono e che non possiamo ancora una volta ignorare. Anzi, in un certo senso, il battersi per il riconoscimento giuridico di queste nuove espressioni rappresenta la più concreta rivitalizzazione del concetto di famiglia (dalla fuga della famiglia paradossalmente si ritorna, dopo decenni, ad una nuova affermazione del suo valore sociale e istituzionale, anche se in forme diverse); significa rivendicare il diritto non di essere semplicemente tollerati, ma riconosciuti come cittadini con pieni diritti e come un’espressione della comunità sociale del nostro Paese.

Dopo decenni di inutili tentativi è arrivato oggi il momento di dare risposte a queste aspirazioni di affermazione di diritti e in cui il nostro Paese assume una piena responsabilità. Questo è il motivo per cui non è neppure concepibile stralciare l’articolo 5 del cosiddetto disegno di legge Cirinnà, rimandando il confronto sulla stepchild adoption ad un’altra fase e rinviando la tutela della continuità affettiva non tanto dei genitori, ma di migliaia di bambini che, non in futuro ma già oggi, avrebbero maggiori opportunità con l’approvazione di quella norma.

PRESIDENTE. Senatore Angioni, la invito a concludere.

ANGIONI (PD). Mi avvio a concludere, signora Presidente.

E, poi, quanto si dovrebbe aspettare? Rinviare ancora una volta la trattazione di questo argomento indubbiamente molto delicato per le sue implicazioni di diversa natura (e solo perché, diciamola tutta, fino ad oggi non si è riusciti a trovare una formulazione normativa che impedisca in maniera quasi taumaturgica l’utilizzo di pratiche già oggi considerate illegali nel nostro Paese e, come noto, praticate per la stragrande maggioranza da coppie eterosessuali) significherebbe di fatto far scomparire ancora una volta il tema dal dibattito pubblico e parlamentare chissà ancora per quanti anni. Questo è il momento di decidere e siamo già oggi in ritardo nel farlo.

Signora Presidente, ho concluso…

PRESIDENTE. Senatore Angioni, la invito a concludere davvero perché ha già avuto a disposizione due minuti di tempo in più.

ANGIONI (PD). Considero oggi un privilegio per il Senato contribuire a legiferare per riconoscere nuovi diritti a dei cittadini che oggi ne sono ancora privi. Credo che quando si riconoscono nuovi diritti ai cittadini ci sia un particolare carico di responsabilità per tutti noi. Sono certo che sapremo farci carico di questa responsabilità, votando in maniera convinta a favore del disegno di legge in esame. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Romani Maurizio. Ne ha facoltà.

ROMANI Maurizio (Misto-Idv). Signora Presidente, onorevoli colleghi, desidero subito collegarmi a quello che ho sentito facendo un’affermazione: quando perdiamo il diritto di essere differenti, sicuramente perdiamo anche il privilegio di essere liberi. Il mio intervento si baserà soprattutto su questo principio.

Quando i politici latitano e il Parlamento dorme, è ovvio che i magistrati ne prendono il posto. Lo scambio dei ruoli che in Italia ha spesso luogo in materia di diritti civili solleva subito il dubbio se non vi sia una distorsione della democrazia e dello Stato di diritto. Testamento biologico ed eutanasia, sperimentazione con cellule staminali e scambio di embrioni, pillola abortiva (la famosa RU486) e obiezione di coscienza per le interruzioni volontarie di gravidanza, fecondazione eterologa e unioni civili sono rimaste questioni su cui per vent’anni il legislatore non ha saputo o voluto prendere alcuna decisione, lasciando il campo libero ai giudici italiani ed europei, ad amministratori comunali regionali e perfino alla giustizia amministrativa.

A questo punto è dunque legittimo chiedersi se la Corte costituzionale, intervenuta con centinaia di sentenze a tutela dei diritti della persona su vita, morte e sesso, abbia agito secondo le prerogative che le sono proprie, oppure sia andata al di là dei propri poteri. In assenza di una legislazione soddisfacente o in presenza di normative abnormi, i giudici costituzionali, sollecitati dalle corti inferiori, hanno tutelato quei diritti, impropriamente definiti questioni bioetiche, che la legislazione non è stata in grado di garantire.

Di più, non è stata solo la Consulta a colmare i vuoti per rispondere alle esigenze dei cittadini, essendo intervenuta anche la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per surrogare il vuoto legislativo e correggere gli irragionevoli provvedimenti a sfondo confessionale votati dai parlamentari sotto pressione delle gerarchie ecclesiastiche.

La legge n. 40 del 2004 sulla fecondazione assistita è stata sottoposta innumerevoli volte all’esame dei tribunali e della Corte costituzionale, che in undici anni ha emesso un considerevole numero di sentenze che hanno riscritto l’intera normativa, smantellando tutti gli obblighi e i divieti contrari ai diritti della persona imposti dai legislatori alla generalità degli italiani, laici e cattolici, credenti e non credenti. Quei diritti che i cittadini avrebbero potuto conquistare con il voto, sono stati garantiti dall’intervento dei giudici di ogni ordine e grado, inclusi gli europei. Passavano gli anni, si alternavano maggioranze di centrodestra e centrosinistra, ma il Parlamento non assumeva alcuna decisione.

Veniamo ora alla telenovela delle unioni di fatto. Nel primi anni 2000, quando in Italia si cominciò parlare di regolamentare le unioni di fatto sul modello francese dei patti civili di solidarietà (PACS), gran parte dei Paesi europei aveva già risolto la questione con leggi più o meno liberali. Senza citare il caso della Danimarca, che già nel 1991 aveva riconosciuto i matrimoni omosessuali, nel 2015 nei 32 Paesi dell’area economica europea si contavano 14 Paesi con le nozze gay e quasi tutti gli altri con le unioni civili, ad eccezione della Grecia, dei Paesi balcanici e dell’Est europeo. In Italia, tuttavia, la resistenza restava tenace. Nonostante le aperture di Papa Bergoglio, ancora nell’estate 2015 l’ombra degli ecclesiastici sovrastava l’ennesimo inconcludente dibattito parlamentare. Dichiarava il cardinale Nunzio Galantino, segretario generale della CEI che il testo Cirinnà sulle unioni civili «vuole fare una forzatura ideologica (…) non è opportuno chiamare con lo stesso nome realtà oggettivamente diverse tra loro, come le unioni civili e la famiglia fondata sul matrimonio». Il cardinale Bagnasco insisteva: «Applicare gli stessi diritti della famiglia ad altri tipi di relazione (…) è un criterio scorretto anche logicamente».

Di fronte a tanta inettitudine politica, nel 2010 la Corte costituzionale esortava il Parlamento a disciplinare con estrema sollecitudine i diritti delle coppie gay con le stesse cartelle riservate ai coniugi, mentre si moltiplicavano i casi risolti per via giudiziaria: nel gennaio 2013 la Cassazione apriva alla possibilità che i figli fossero cresciuti dalle coppie gay; nel novembre 2013 il tribunale per i minorenni di Bologna legittimava l’adozione di una bambina da parte di una single avvenuta negli Stati Uniti; nell’agosto 2014 il tribunale per i minorenni di Roma sanciva la possibilità di adozione da parte della madre biologica della figlia della partner (cioè legittimava la cosiddetta stepchild adoption, che ci fa tanta paura); nel febbraio 2015 la Cassazione decretava che l’unione tra persone dello stesso sesso «può acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello matrimoniale», anche se a due omosessuali la legge italiana non permette di sposarsi. La mancanza del legislatore – continuava la sentenza – è particolarmente grave perché nel trasgredire i pronunciamenti della Corte costituzionale reiterati nel tempo: «mina potenzialmente la responsabilità del potere giudiziario». La diffusione delle convivenze stabili, omosessuali ed eterosessuali, era ormai divenuta una questione coinvolgente anche una massa di minori (stima di 100.000 figli con almeno uno dei genitori omosessuale) che la legge italiana non poteva più ignorare.

Nell’autunno 2014 le iniziative assunte dalle singole città, nonostante le dichiarazioni di illegittimità del ministro dell’interno Angelino Alfano, venivano messe in atto nei Comuni maggiori con sindaci di sinistra: Milano, Roma, Bologna, Firenze e Napoli e pure in un capoluogo, Verona, amministrato dal sindaco leghista Flavio Tosi.

In un sistema fondato sui codici come il nostro, c’è chi ritiene legittimo contestare le corti quando si sostituiscono al Parlamento; ma la realtà del sistema politico-istituzionale è ben diversa: è il cronico vuoto legislativo che provoca l’intervento delle corti quando è in gioco la tutela di un diritto costituzionalmente protetto. Questa e solo questa è la ragione per la quale le corti superiori hanno formulato numerosi richiami al legislatore sia in presenza di maggioranze di centrodestra che di centrosinistra.

È fuor di dubbio che la seconda Repubblica sia stata il periodo più nero per i diritti civili, malgrado l’alternanza al Governo di moderati e progressisti, che avrebbero potuto soddisfare i diversi orientamenti dei cittadini. In altri Paesi europei, dove pure si sono alternate al Governo forze politiche di opposte ispirazioni, le leggi sulle coppie di fatto sono rimaste in vigore anche quando le destre, come i conservatori in Inghilterra o i popolari in Spagna, sono subentrate ai socialisti e ai riformatori. Ecco il motivo per cui le sentenze della Corte costituzionale, quando cancellano gli aspetti confessionali di leggi come la n. 40 del 2004 sulla fecondazione assistita, e quando danno attuazione a diritti negati, come avviene per le unioni di fatto, sono giuridicamente legittime e politicamente necessarie.

Quindi, in una situazione del genere, accade che molte coppie di italiani, nati nel nostro Paese, sono obbligate a espatriare per avere il riconoscimento di un diritto. Non mi riferisco al diritto ad avere figli, che, come ho sentito dire in quest’Aula, non è scritto da nessuna parte, ma quello all’uguaglianza, formale e sostanziale, che è scritto in Costituzione all’articolo 3, primo e secondo comma. Ecco allora che siamo costretti a vedere i cosiddetti viaggi dell’amore. Si tratta dunque del diritto non ad avere, ma ad essere uguali, senza discriminazioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Così si è costretti ad espatriare, non solo per potersi sposare, ma anche per avere figli: ricordiamo che la legge sulla fecondazione assistita, prima che la Corte costituzionale la demolisse, proibiva quasi tutto alle coppie sterili. Siamo costretti ad espatriare per adottare – sempre meno purtroppo – per studiare o lavorare o in tutti e due i casi, fino ad espatriare per avere la possibilità di realizzarsi. Molti poi vanno all’estero per curarsi e, infine, si va all’estero per morire, non essendoci alcuna legge che dia ai nostri cittadini la libertà, riconosciuta in altri ordinamenti, di scegliere sul proprio fine vita (Applausi delle senatrici Albano, Bignami e Cirinnà). Tutto questo crea, a mio avviso, delle orribili discriminazioni, anche all’interno del novero degli stessi discriminati, dei malati o dei bisognosi di ciò che qui manca, tra chi può permettersi alcuni diritti e chi no, grazie al reddito o al possesso di informazioni. Ciò pone l’intero Paese in una condizione astorica, dentro un quadro giuridico completamente avulso dalla realtà.

La legge che vuole introdurre dei surrogati di matrimonio tra persone omosessuali, chiamandole unioni civili, è già un compromesso, che però colmerebbe almeno un pezzetto di distanza tra vita reale e diritto scritto, tra società e politica. Queste famiglie, piaccia o no ad un fronte che si professa cattolico e che sta mandando in soffitta anche l’immagine di apertura data da Papa Francesco alla sua Chiesa, esistono ed esistono dei minori, il cui futuro dipende dalla tenuta dei legami che li sostengono, o dalle reti di sicurezza che scattano, se quei legami per qualsiasi motivo saltano. Non sono figli di un dio minore, come non lo sono quei quasi 140.000 bambini nati lo scorso anno fuori dal matrimonio, che sono un terzo del totale dei neonati. Scendere in piazza in nome dei bambini, per affossare i diritti di una parte di loro, è davvero una cosa difficile da spiegare in un Paese normale. Così si ha una falsa rappresentazione delle posizioni in conflitto, che crea una profonda frattura tra mondo dei principi e mondo degli interessi. Ciò è stato spiegato molto bene in un articolo del senatore Luigi Manconi, che vi invito a leggere, in cui si afferma che le argomentazioni dei sostenitori dei diritti, e in particolare dei diritti per le minoranze sessuali, vengono raffigurate come espressione di una concezione egoisticamente individualista, consumistica e libertaria-libertina della vita e dei rapporti umani, che troverebbe il suo fondamento nell’assolutizzazione del desiderio come criterio supremo e funzione dominante della vita sociale; all’opposto, i critici di un’interpretazione troppo espansiva ed egualitaria delle unioni civili, farebbero riferimento a valori forti e non negoziabili, ad una morale comprensiva ma rigorosa, ad una concezione severa dell’etica pubblica destinata a combinarsi virtuosamente con quella privata. Tutto questo rischia di ridurre quella stessa mobilitazione alla somma di una serie di interessi individuali, a loro volta frutto di particolarismi egoistici.

Le cose non stanno così. Questo è un rapporto tra persone dello stesso sesso, costituito intorno ad alcuni fini: la reciprocità e il mutuo affidamento, un progetto di vita condiviso, la promessa di un vicendevole sostegno, la volontà di una continuità nel tempo e di una prospettiva futura. In altri termini, almeno nelle intenzioni, siamo in presenza di un rapporto affettivo costruito su valori forti e dotato di una sua intensa moralità. Non a caso, i suoi detrattori tentano di screditare quel rapporto attraverso una sorta di riduzione a mero contratto economico. Così questa unione civile perderebbe qualsiasi rilevanza e soprattutto qualunque spessore morale.

Sentendo in quest’Aula i discorsi di alcuni colleghi, sembra che sia partita una crociata in difesa di questi poveri bambini, fino ad arrivare ad affermazioni del tipo: «(…) la presenza non solo della madre ma anche del padre permette che la nostra specie abbia una possibilità di sviluppo maggiore, con un cervello più grande degli altri animali rispetto alla nostra statura». A questi crociati chiedo allora dove erano a combattere mentre dei minori stranieri non accompagnati sono arrivati in Italia avendo davanti a loro un lungo viaggio attraverso l’Europa. Tutti ragazzi tra tredici e sedici anni silenziosi, fragili, indifesi; arrivano principalmente da Egitto, Eritrea, Somalia, Albania, Gambia; quando arrivano, perché dei 3.200 morti in mare nel 2015, 700 sono bambini o addirittura neonati.

Eppure un anno fa, il 13 gennaio 2015, il ministro dell’interno Angelino Alfano lanciava un allarme: 3.707 minori non accompagnati (dei 14.243 registrati) erano scomparsi dai centri di accoglienza del nostro Paese, solo nel 2014. Nel 2015 il numero dei minori scomparsi è quasi raddoppiato: erano 5.902 al 30 novembre.

I nostri crociati moralisti, che difendono l’alto valore della famiglia che deve partire dalla difesa del bambino-figlio, dov’erano a combattere, mentre questi bambini correvano pericolosi rischi di sfruttamento come prostituzione, traffico di organi, matrimoni precoci, sfruttamento lavorativo? Erano per caso partiti al galoppo per chiedere all’Unione europea un quadro normativo comune, un visto automatico che garantisca tutela e rintracciabilità dei minori nel momento stesso in cui arrivano nei nostri Paesi? Un fondo europeo dedicato? Lo snellimento delle pratiche di affidamento temporaneo per le famiglie disponibili? Assolutamente no. Dovevano vincere la grande battaglia per impedire che minori indifesi finiscano nelle maglie perverse di una coppia omosessuale, che potrebbe compromettere profondamente la loro crescita intellettiva per la mancata guida educatrice del «naturale partner di sesso opposto». Quindi tutti schierati in Commissione e in Aula non in difesa del bisogno di amore, linfa vitale per la crescita di un bambino, ma dell’irrinunciabile bisogno per la crescita dello stesso di una mamma e di un papà. (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Bencini).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Collina. Ne ha facoltà.

COLLINA (PD). Signora Presidente, colleghe senatrici e colleghi senatori, nei cinque minuti che ho a disposizione credo che sia opportuno dare un contributo di approfondimento sul tema, considerando che i discorsi più generali sono stati affrontati da chi ha avuto più tempo per poter discutere le tematiche in modo più complessivo. Il nostro ruolo di legislatori io lo intendo come il tentativo di cercare di affrontare temi e realtà che esistono nel nostro Paese, quindi apprezzo l’approccio dei vari colleghi che sottolineano i contenuti specifici di questo disegno di legge. Però non dobbiamo nasconderci il fatto che c’è anche il tema più ampio della battaglia dei diritti, che comprende obiettivi maggiori di quelli raggiungibili attraverso questo disegno di legge. Sono diritti che si evolvono con le leggi, ma anche con le sentenze e i ricorsi. Nel nostro Paese c’è una dinamica più ampia che fa progredire le cose e, quindi, si disegnano delle traiettorie per il prossimo futuro. Questo è stato detto anche in questa Aula: matrimonio ugualitario, adozioni liberalizzate per single e coppie omosessuali, surrogazione di maternità. Sono traiettorie che vengono lanciate per il futuro e che cercano di fare base su questo provvedimento. Questo ci impone di fare una valutazione più complessiva su alcuni temi perché oggi varare una legge significa cercare di scriverla bene per capire che tipo di opportunità e di possibilità ci sono per il futuro. È importante quello che stiamo facendo, l’esito e anche come lo stiamo facendo. La legge va fatta. Questo è stato ampiamente detto e il Gruppo del PD ha raggiunto questo tipo di determinazione in maniera compatta e consapevole.

Voglio fare un approfondimento sui diritti del bambino. Quando parliamo di diritti degli adulti – è stato detto anche oggi in vari interventi – ci confrontiamo sull’esercizio delle libertà; mentre i diritti del bambino necessitano di una cosa: dell’esercizio da parte degli adulti di doveri perché non sono in grado autonomamente di garantirsi i diritti. Questo è punto profondamente vero affrontato nella nostra legislazione proprio nella legge sull’adozione. Con la disciplina sull’adozione ci preoccupiamo di valutare la capacità da parte degli adulti di assumersi dei doveri. Vogliamo delle garanzie da quegli adulti; vogliamo che quegli adulti siano capaci di assumersi quei doveri e, quindi, di garantire nei fatti i diritti dei bambini. Sono garanzie oggettive perché la legge parla di tre anni di matrimonio o di convivenza stabile. Sono garanzie soggettive perché vogliamo vedere e analizzare quella coppia e valutarne la sua idoneità ad adottare. Io, allora, dico: no. Non credo che nella traiettoria dell’evoluzione dei diritti ci sia lo spazio per l’adozione dei bambini da parte di coppie omosessuali e da parte di single perché, nel momento in cui valutiamo le realtà di quei bambini, scopriamo che sono bambini che hanno vissuto un abbandono e dei traumi che sicuramente non vorremmo augurare a nessuno. Noi ci poniamo nelle condizioni di valutare quale sia la famiglia entro la quale questi bambini possano essere accolti pienamente con tutta la loro storia, per essere capiti e avere una vita migliore. Questo io credo che lo facciamo per dare potenzialmente il meglio a questi bambini. Credo che in questo senso vada l’idea fondamentale. Non credo neppure che l’adozione generalizzata sia l’antidoto alla maternità surrogata. I profili psicologici di chi vuole a tutti i costi un figlio per sentirlo suo sono molto diversi da quelli di chi è disponibile a farsi scegliere per dare una famiglia a un bambino con una sua storia da accogliere ed accettare e, alla fine, sentirsi padre di quel bambino.

Molti di questi temi li propongo alla valutazione di tutti perché in queste traiettorie ci sta anche questo. Molti di questi temi li ho sentiti vicini in tanti interventi. Dove sta il punto? Il punto sta nella capacità di scrivere la legge; sta nella capacità di affrontare questa complessità di temi nelle sedi adeguate e non, di sfuggita, adottando un provvedimento come questo senza dare il senso compiuto a tanti aspetti. Bisogna scriverla bene la legge. Io non credo che le espressioni «coniuge», e «parti dell’unione civile» sia la risposta che contiene questa complessità.

Ci siamo esercitati con grande volontà e con grande onestà nel cercare di trovare le indicazioni giuste, ma forse questo è un lavoro che ci attende nei prossimi giorni. Questa – e concludo – è quella che sento, soprattutto per me, come responsabilità in questo momento. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Piccoli. Ne ha facoltà.

PICCOLI (FI-PdL XVII). Signora Presidente, signor Ministro, colleghi, la discussione sul disegno di legge di cui stiamo trattando e le riserve che da più parti giungono verso un testo che, a mio avviso, intende essere più una bandiera ideologica che una disciplina organica sulle unioni di fatto nel rispetto dei principi costituzionali, mi inducono ad alcune semplici considerazioni.

La comunità familiare garantita dalla nostra Costituzione, all’articolo 29, consiste unicamente nella sola famiglia legittima, com’è dimostrato dal contestuale riferimento al matrimonio fondato sul libero consenso dei coniugi. L’idea di una famiglia di fatto, inclusiva della convivenza o di unioni di fatto tra persone dello stesso sesso, non ha in questa sede alcun tipo di rilievo. Senza dubbio essa rientra fra le formazioni sociali genericamente riguardate dall’articolo 2, ma non ne deriva l’esigenza di una equiparazione integrale alla famiglia legittima, tanto più che si tratta di comunità esorbitanti per definizione da ogni inquadramento giuridico preciso e tassativo.

Del resto, lo stesso articolo 1 del disegno di legge in esame rappresenta un tentativo definitorio delle unioni di fatto assolutamente tautologico. I rapporti in questione, essendo privi dei caratteri della stabilità e della reciprocità dei diritti e doveri coniugali, non possono comportare alcuna pretesa di parità di trattamento rispetto alla famiglia legittima. La stessa Corte costituzionale, pur avendo fatto applicazione del principio di eguaglianza, ad esempio in materia di locazione di immobili urbani beneficiando i conviventi abituali, non è mai pervenuta nella sua giurisprudenza ad una parità di trattamento tout court. Palazzo della Consulta, infatti, pur ritenendo in linea con la Costituzione la disciplina di forme di rapporto di coppia diverse dalla struttura giuridica del matrimonio, ha sempre riconosciuto alla famiglia legittima «una dignità superiore».

Questo significa, leggendo con attenzione l’articolato del disegno di legge sottoposto all’esame di quest’Aula, che da una parte esso scardina proprio il paradigma della dignità superiore della famiglia legittima, prevedendo diritti e doveri simili a quelli scaturenti dal matrimonio (tra i tanti i diritti successori), dall’altro stravolge la natura stessa di un’unione, fatto che dovrebbe costituire invece una scelta di libertà nei confronti di quegli schemi precostituiti dal legislatore per la famiglia legittima originata dal matrimonio.

Particolarmente iniqua è la previsione della possibilità di adottare da parte della coppia dello stesso sesso, se pure transitando dalla via della stepchild adoption: in tal modo la crescita di un minore all’interno di una coppia omosessuale viene fatta equivalere a quella in una coppia eterosessuale, e il bambino è privato dal legislatore della varietà delle figure educative derivanti dal sesso diverso dei genitori. In base all’orientamento delle Corti europee, l’adozione non resterà a lungo limitata ad alcuni casi: verrà, invece, progressivamente estesa per ogni coppia omosessuale, perfino a scapito del genitore biologico, che potrebbe anche essere sollevato dal proprio ruolo a vantaggio del convivente dello stesso sesso. In tal modo il diritto al figlio dell’aspirante genitore sostituisce il superiore interesse del minore, sul quale finora si è fondato il diritto minorile, mettendo in crisi quest’ultimo.

Né sarebbe accettabile, quale alternativa alla stepchild adoption, il cosiddetto affido rafforzato, cioè la trasformazione dell’affido in una adozione rispetto alla quale il decorso del tempo può far giungere a una sistemazione definitiva nella famiglia di destinazione. Affido e adozione rispondono a logiche differenti e perseguono obiettivi non sovrapponibili, avendo avuto finora entrambi come riferimento l’interesse del minore, variabile a seconda della situazione di partenza: nell’affido è una momentanea difficoltà della famiglia originaria, nell’adozione la stato di abbandono del minore.

Scriveva San Giovanni Paolo II: «La famiglia è lo specchio in cui Dio si guarda e vede i due miracoli più belli che ha fatto: donare la vita e donare l’amore».

Come ho detto inizialmente, signora Presidente, gli articoli 29 e seguenti della Costituzione riconoscono e definiscono la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, luogo naturale dell’incontro tra un uomo e una donna, ai quali si attribuisce l’esclusiva responsabilità nell’educazione dei loro figli, per costruire il bene comune della società italiana attuale e futura. Approvare questo disegno di legge significa violare questi principi costituzionali, a mio avviso. Votare per questo disegno di legge significa disconoscere il diritto della famiglia naturale ad essere l’istituzione fondamentale e unica della società verso la quale è necessario indirizzare decise azioni politiche di sostegno. Votare a favore di questo disegno di legge significa negare ai bambini il diritto di avere un papà e una mamma, di fatto discriminandoli; bambini che non devono divenire in nessun modo oggetti di cui disporre a piacimento. Sostenere questa leggo disegno di legge significa privare di tutela e protezione la maternità, l’infanzia e la gioventù, in contrasto, a mio avviso, con l’articolo 31 della Costituzione. Condividere questo disegno di legge significa di fatto consentire e legalizzare la pratica dell’utero in affitto, avallando lo sfruttamento delle donne con una pratica disumana e gravissima.

Onorevoli colleghi, ci sono momenti nella vita in cui si può essere chiamati ad assumere scelte che coinvolgeranno, nel bene o nel male, le generazioni future e i propri figli, scelte dalle quali difficilmente si potrà tornare indietro: tali decisioni vanno prese assumendosi in prima persona, nei confronti di ogni cittadino e della propria Nazione, la responsabilità delle conseguenze delle proprie decisioni. Ritengo che questa responsabilità richieda certo azioni ponderate e forti nel campo dei diritti individuali della persona, ma che, allo stesso tempo, imponga di garantire tutta l’energia e l’attenzione per la cellula fondante della nostra società, la famiglia, mettendola al riparo da modificazioni intollerabili, che potrebbero minare la stessa esistenza della nostra convivenza.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Lucherini. Ne ha facoltà.

LUCHERINI (PD). Signora Presidente, mi è capitato stamattina di ascoltare uno degli interventi dei colleghi del centrodestra, in cui ci veniva ricordato che esistono ricerche, in America, da cui risulta che, se un bambino vive all’interno di una coppia dello stesso sesso, ha poi un indice di devianza molto più alto rispetto ai bambini che vivono nelle coppie eterosessuali. Mentre sentivo questo intervento, leggevo un articolo sul quotidiano «la Repubblica» (ma lo riportava anche «Il Messaggero») che ci ricordava quello che è successo in Italia qualche giorno fa, il 1° febbraio: in ventiquattr’ore, a Catania una donna è morta per mano del marito, strangolata davanti al figlio; a Pozzuoli un’altra donna, incinta, è stata incendiata, cioè le è stato dato fuoco dal compagno, che poi è fuggito; il giorno dopo un’altra donna è stata quasi decapitata dal marito. Questo per dire un’ovvietà: sappiamo tutti che la famiglia può essere il miglior terreno di coltura per lo sviluppo di un bambino, ma che, al contempo, può essere anche l’inferno in cui un bambino spesso si trova a vivere e a crescere. Sappiamo tutti che la cosa dipende dai genitori, dal livello di consapevolezza del loro essere genitori e dalla loro capacità di svolgere questo ruolo così difficile. Sappiamo tutti che non sta scritto da nessuna parte che due omosessuali possono essere peggiori genitori rispetto a due eterosessuali. Così come non è vero neanche il contrario e cioè che due omosessuali possano essere genitori migliori rispetto a due eterosessuali. Dipende dai genitori. Quindi non credo sia opportuna questa santificazione della famiglia in una fase in cui sappiamo tutti, perché leggiamo tutti le cronache giudiziarie, che la famiglia spesso è un luogo dove accadono le peggiori nefandezze e dal quale spesso i bambini devono essere costretti ad uscire per potersi sviluppare in modo più giusto ed equilibrato.

Sappiamo tutti, inoltre, che oggi esiste una pluralità di famiglie. Non c’è più un’unica famiglia. Lo sappiamo dalle statistiche e dal nostro vissuto quotidiano; e sappiamo tutti che una legge che prenda atto di questa situazione mutata in Italia è in ritardo di trent’anni. Personalmente sono molto preoccupato per un solo motivo. Ho firmato il cosiddetto disegno di legge Cirinnà perché trovo che sia un testo equilibrato, che non mette sullo stesso piano il matrimonio tra due eterosessuali e le unioni civili di due eterosessuali o di due omosessuali. Il testo contiene una distinzione netta che dà una risposta giusta e opportuna al dettato costituzionale. Dunque il disegno di legge al nostro esame non va contro la Costituzione e riconosce diritti a chi diritti oggi non ha.

Inoltre, ho firmato il disegno di legge Cirinnà perché su di esso convergono in quest’Aula numerose forze parlamentari che possono determinare finalmente l’approvazione di tale normativa. Vi ricordo che l’approvazione del disegno di legge ce la giochiamo in quest’Aula, nelle prossime ore, la prossima settimana. Sarebbe gravissimo anche per noi non riuscirci. In questione non c’è il Governo perché quest’ultimo se ne è tenuto fuori; l’iniziativa è parlamentare e probabilmente, così com’è stato per il divorzio e per l’aborto, voteranno a favore di questo disegno di legge anche forze che non sostengono il Governo ed è giusto così perché sul tema dei diritti è giusto che il Parlamento si esprima senza vincoli di maggioranza. Ma il rischio peggiore che corriamo è quello di non approvare la legge e sappiamo che ci giochiamo tutto di qui ai prossimi giorni, nella discussione che stiamo facendo e nei voti che ci saranno, anche in quelli segreti. E sarebbe un atto di grandissima irresponsabilità se anche in questa legislatura (dopo aver fallito, come ricorderete tutti, nelle precedenti occasioni, negli ultimi decenni e nelle scorse legislature), non approvassimo una legge sui diritti per le coppie omosessuali e per le coppie di fatto eterosessuali.

Concludo, signora Presidente, con una riflessione sulla possibilità di adozione da parte delle coppie omosessuali. Io credo che se noi usciamo fuori dalle ricostruzioni che spesso ci affascinano e ragioniamo solo in termini di diritti non possiamo non chiederci perché dovremmo negare ad un bambino che già è nato, che esiste, che è già in mezzo a noi e che è figlio di un omosessuale che ha un compagno (tale questione, poi, riguarda in particolare le coppie omosessuali di uomini), di avere una tutela maggiore, cioè il diritto ad avere due genitori. Infatti, se ad uno dei due genitori, al genitore vero o meglio quello che per legge è il genitore, accade qualcosa, l’altro non può continuare a svolgere la funzione di genitore e quindi quel bambino non ha più tutele, non ha una garanzia che tutti gli altri hanno. Ma che facciamo di sbagliato e di male se approviamo una legge che dà a questo bambino la sicurezza di avere due genitori, la sicurezza di avere più tutele? Questo non darà la stura alle adozioni, all’utero in affitto, così come il divorzio non è stato la fine della famiglia, così come l’aborto non ha fatto venir meno la nascita di bambini né è diventato, come all’epoca veniva detto, una pratica che avrebbe portato anch’esso alla fine della famiglia.

Facciamo un’opera di giustizia, con una legge sacrosanta che dobbiamo approvare. (Applausi dai Gruppi PD e Misto-SEL).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Divina. Ne ha facoltà.

Le ricordo, senatore, che l’orario di chiusura della seduta è alle ore 20.

DIVINA (LN-Aut). Signora Presidente, proverò a concludere nei tempi che mi sono concessi.

Abbiamo sentito tante affermazioni, anche toccanti, ma devo dire, in tutta onestà, che non c’è buona fede in questo dibattito, perché si dice di volere perseguire una cosa ma, in effetti, se ne vuole perseguire un’altra.

Se si fosse onesti, in quest’Aula discuteremmo probabilmente soltanto di convivenze. È da anni che si afferma che le convivenze devono essere regolamentate e che non abbiamo certezza dei diritti. Tutti gli interventi che abbiamo ascoltato convergono sul fatto che ciò che adesso è un riconoscimento giurisprudenziale potrebbe essere un riconoscimento legato a norme ben precise. Quando muore un convivente, ad esempio, oggi i tribunali consentono di trasmettere il contratto di affitto della casa. Ebbene, si può prevedere con norma che il convivente abbia una serie di diritti, anche magari gli obblighi del mantenimento, fino ad arrivare alla reversibilità, che forse era il punto più difficile da combinare, perché avrebbe comportato risvolti di natura economica. Questo si sarebbe potuto adeguare ed estendere anche a persone dello stesso sesso. Probabilmente, avremmo trovato una giusta collocazione di riconoscimento dei diritti.

Ma voi avete fatto un’altra cosa. Chi ha steso e sostiene questo testo dice di volere le unioni civili, ma per come è il testo, si scrive unioni civili e si legge matrimonio.

Perché non possiamo accettare che sia lo stesso che la famiglia sia composta da un uomo e una donna, da due donne o due uomini? Perché la famiglia, nel bene e nel male, ci lega tutti finché vi è una Costituzione, a quei grandi principi che dovremmo riconoscere se ci riconosciamo nella Costituzione italiana. Quando la Costituzione dice che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale», parla di famiglia, non di unioni, di società naturale, della naturalezza dell’unione. Per meglio interpretarla abbiamo due articoli: all’articolo 31 della Costituzione si legge che la Repubblica «Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù». E la maternità si lega alla famiglia naturale, perché la maternità non può venire in altra maniera.

Ho sentito dei bei ragionamenti. Si parlava di principi distinti dalle regole. Ma come legislatori dobbiamo approvare regole che diano attuazione a questi principi, non possiamo con delle regole scavalcare, soverchiare e invertire i principi, addirittura sanciti in Costituzione.

Non è scritto da nessuna parte che vi sia il diritto ad avere dei figli.

Come ho detto, noi dobbiamo, per i principi sacrosanti della Repubblica italiana, tutelare i minori, i figli. Questi sono i nostri obblighi. Non stravolgere con delle regole i principi costituzionali.

Cosa succede se noi riconosciamo le unioni civili parificate al matrimonio? Dovremmo, come conseguenza logica, consentire le adozioni, perché due persone dello stesso sesso non possono figliare.

Abbiamo, in silenzio, ascoltato affermazioni non condivisibili. Qui c’è una componente di modernismo che vede la società che muta e che avanza e siccome lo fanno altri, dobbiamo rincorrerla anche noi. Altri invece sono legati alle tradizioni e all’arretratezza, negativa. Qualcuno dice che i tempi cambiano. Bene, io dico: per fortuna, i valori rimangono, ancorché i tempi cambino!

Se questo disegno di legge sciagurato dovesse passare, qualora due uomini decidessero di avere un figlio che cosa dovrebbero fare? Dovrebbero, ahimè, ricorrere ad una donna (gestante prima, partoriente dopo), che poi si disfa di questo figlio per donarlo amorevolmente a questa coppia omosessuale. Ma perché lo dovrebbe fare? L’unico motivo è perché verrebbe pagata. Ma se, come concezione non tanto cristiana, ma moralistica, aborriamo la prostituzione o le persone che vendono il proprio corpo, se condanniamo moralmente la prostituzione, ovvero una donna che vende il proprio corpo per alcuni minuti o per qualche ora, come possiamo, per legge a questo punto, scrivere che è normale la prostituzione atipica di una donna che utilizzi il proprio corpo a pagamento addirittura per nove mesi? Come possiamo pensare che questa sia una cosa naturale?

Io mi rimetto sempre al saggio re Salomone. Se una donna che ha partorito un figlio e l’ha poi donato alla nuova coppia, coppia nella quale egli ha vissuto ed è cresciuto, rivolesse quel figlio, che cosa dobbiamo prevedere noi per legge? Che una volta ceduto, questo atto d’amore, di concessione, diventa irreversibile? Chi dovrebbe poi decidere a chi attribuire, a chi dare, a chi riconoscere questo figlio? Mi rendo conto che stiamo aprendo una porta, la porta del modernismo, che non sappiamo dove poi ci porterà.

Non voglio offendere la sinistra, però c’è sempre stata una concezione molto diversa tra i tradizionalisti ed i riformisti: la sinistra non ha mai visto con simpatia la famiglia. (Commenti della senatrice Cardinali). D’altra parte, se si vuole regolare con un sistema collettivista-comunista tutti gli uomini, li si deve trattare alla stessa maniera e non si possono accettare differenze, quel timbro che dà la madre ad ognuno di noi, che è diverso da tutti gli altri. Tutti gli uomini sono uguali e regolati dal supremo ordine dello Stato: questo è il fine del comunismo.

Chi ha superato i cinquant’anni ricorda cos’erano le comuni, ovvero la ripresa di quel movimento che veniva dagli Stati Uniti, chi erano i figli dei fiori. Nella comune si viveva tutti assieme; ognuno contribuiva come era capace e nella comune nascevano i figli. La madre è semper certa, quindi si conosceva, mentre non aveva importanza conoscere chi era il padre: il figlio era della comune, che si faceva carico di questo figlio, per cui erano tutti figli dello Stato: comunismo perfetto. Per fortuna, io dico, quel progetto di società è finito. Però, onestamente, a noi sembra che oggi si tenti di ridare un’altra spallata alla famiglia.

Chi non ha parola in questo contesto, in questo dibattito? L’unico soggetto: i figli. I figli non hanno diritto di tribuna, ma i figli non hanno dei diritti?

Il primo diritto di un figlio dovrebbe essere quello di poter vivere nel miglior contesto per la sua crescita e la sua formazione ed avere due figure di riferimento, un padre e una madre, sicuramente serve come contesto migliore anche per la crescita psichica di ogni figlio.

Si è parlato a dismisura, perché sicuramente troveremmo esempi esecrabili di famiglie tradizionali: padri irresponsabili, probabilmente tante madri sciagurate, ma noi non possiamo…

PRESIDENTE. Senatore Divina, la invito a concludere. Se ritiene, può depositare il suo intervento.

DIVINA (LN-Aut). Mi avvio a concludere, signora Presidente.

Non possono essere siffatte forme patologiche di famiglia a farci dire che la famiglia naturale non è il migliore ambiente in cui far crescere dei figli.

Sappiamo che ci sono tanti bambini negli orfanotrofi che, probabilmente, non sono i migliori luoghi dove vivere. Quante coppie, sposate e non, hanno incontrato mille e più ostacoli nel percorso di adozione di un bambino, a partire dal requisito dei quarant’anni di differenza di età tra l’adottante e l’adottato? Pensiamo alle donne che hanno ricercato la maternità fino alla fine, oltre i quarantacinque o cinquant’anni, le quali non possono più avere un bambino da adottare. Perché non avete pensato a questi casi, se dite che volete anche il bene dei figli? Perché non avete pensato ad alleggerire il carico di burocrazia per portare i bambini fuori dagli orfanotrofi e offrirli a delle famiglie? Ma noi abbiamo capito che non è questo l’obiettivo che chi perora il provvedimento in esame vuol perseguire. Lo abbiamo capito benissimo.

Per questi motivi, non possiamo votare a favore del disegno di legge in esame che, così come scritto, scardina la prima cellula della nostra società, cioè la famiglia naturale fondata sul matrimonio. (Applausi dal Gruppo LN-Aut).

PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.

Allegato B

Integrazione all’intervento della senatrice Bignami nella discussione generale dei disegni di legge nn. 2081, 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763, 2069 e 2084

No, oggi la maggioranza si farà minoranza e il diritto farà un passo in avanti, insieme alla vera democrazia, quella dello spirito e non dei numeri.

Citando il miglior presidente mancato della nostra Repubblica, Stefano Rodotà: «Non sarebbe la prima volta che la conquista di spazio e di cittadinanza da parte di minoranze ha come conseguenza l’arricchimento e la ridefinizione di libertà e diritti per tutti».

Ma, aggiungo io…

«Madre, ecco tuo figlio! Figlio, ecco tua Madre». Non era una famiglia naturale, ma era il segno dell’amore di Dio, che va al di là delle leggi e sancisce l’amore che da lui arriva. Prendiamo esempio dalla filosofia di quell’uomo, un girovago non sposato, seguito da una piccola e variegata umanità.

Facciamo tutti uno sforzo non in nome del diritto, in nome di quell’amore che ci rende felici e dà pienezza alla nostra vita.

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