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Legislatura 17ª – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 574 del 09/02/2016

SENATO DELLA REPUBBLICA—— XVII LEGISLATURA ——

574a SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO STENOGRAFICO

MARTEDÌ 9 FEBBRAIO 2016

 

 

 

RESOCONTO STENOGRAFICO

 

Presidenza della vice presidente FEDELI

 

 

Seguito della discussione dei disegni di legge:

(2081) CIRINNA’ ed altri. – Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze

(14) MANCONI e CORSINI. – Disciplina delle unioni civili

(197) ALBERTI CASELLATI ed altri. – Modifica al codice civile in materia di disciplina del patto di convivenza

(239) GIOVANARDI. – Introduzione nel codice civile del contratto di convivenza e solidarietà

(314) BARANI e MUSSOLINI. – Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi

(909) PETRAGLIA ed altri. – Normativa sulle unioni civili e sulle unioni di mutuo aiuto

(1211) MARCUCCI ed altri. – Modifiche al codice civile in materia di disciplina delle unioni civili e dei patti di convivenza

(1231) LUMIA ed altri. – Unione civile tra persone dello stesso sesso

(1316) SACCONI ed altri. – Disposizioni in materia di unioni civili

(1360) FATTORINI ed altri. – Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso

(1745) SACCONI ed altri. – Testo unico dei diritti riconosciuti ai componenti di una unione di fatto

(1763) ROMANO ed altri. – Disposizioni in materia di istituzione del registro delle stabili convivenze

(2069) MALAN e BONFRISCO. – Disciplina delle unioni registrate

(2084) CALIENDO ed altri. – Disciplina delle unioni civili

(ore 12,08)

 

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge nn. 2081, 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763, 2069 e 2084.

Ricordo che nella seduta antimeridiana del 4 febbraio è proseguita la discussione generale.

È iscritto a parlare il senatore Falanga. Ne ha facoltà.

 

FALANGA (AL-A). Signora Presidente, colleghi, consentitemi – forse i colleghi non me lo consentono – di premettere che non mi sento affatto intimidito dal fatto che taluno abbia inteso rivolgere a me ed ai colleghi del mio Gruppo l’epiteto «mercenario». Al di là dell’infondatezza dell’accusa, provata dalle singole storie individuali di ciascuno di noi, questo taluno, così attento alla nascita di AL-A e alla sua crescita, mostra assoluta distrazione rispetto all’andirivieni politico della di lui moglie, distrazione forse giustificata dagli abbagli che provoca l’assidua frequentazione di Villa Certosa (Applausi dal Gruppo AL-A).

Colleghi senatori, il dibattito dogmatico su questo o quello degli aspetti specifici del disegno di legge al nostro esame non mi appassiona, così come – mi vorranno perdonare i costituzionalisti – trovo surreali le anticipate eccezioni di incostituzionalità del testo. Sinceramente, ritengo che l’eccessiva tecnicità del confronto sia in realtà addirittura controproducente, per le ragioni tanto dei sostenitori dell’iniziativa, quanto di chi vi si oppone.

Senatrice Cirinnà, per quanto io le esprima apprezzamento, la ricerca ostinata e caparbia della formuletta o del neologismo che possa soddisfare tutte le parti è un’operazione velleitaria e inefficace. Da legislatori noi sappiamo bene che qualunque testo di legge, al di là delle regole ermeneutiche delle preleggi, vive di vita propria e si presta alle più varie e disparate interpretazioni, rispetto alle quali ciò che ci siamo raccontati, forse per mesi o per anni in quest’Aula, rappresenta soltanto un punto di partenza per destinazioni a volte lontanissime e impreviste.

Signori senatori, nulla è più distante da me della concezione marxista del diritto come mera sovrastruttura. È innegabile, però, che il diritto non può essere una tecnica di convivenza fine a sé stessa, ma deve avere necessariamente un rapporto con un valore, con un bene che, tra tutti, si sceglie di elevare a livello giuridico. Ed è su questo piano, quello delle scelte etiche, su ciò che è giusto fare, che io intendo svolgere il mio ragionamento.

Nel Giorno della Memoria… (Brusio in Aula. Richiami della Presidente).

 

PRESIDENTE. Come lei sa, io continuo ad invitare l’Assemblea a diminuire il tono della voce e ad ascoltare. Prego, senatore, continui pure.

 

FALANGA (AL-A). Nel Giorno della Memoria, il Capo dello Stato, il presidente Mattarella, intervenendo sul fenomeno dell’immigrazione, ha garbatamente criticato l’eventuale supposta ipotesi della sospensione del Trattato di Schengen e ha invitato tutti i popoli a non elevare muri. Ebbene, questa esortazione del Capo dello Stato mi ha fatto venire alla mente una poesia di un poeta greco omosessuale dei primi del Novecento, Costantinos Kavafis, che recita come segue: «Senza riguardo senza pietà senza pudore mi drizzarono contro grossi muri (…); con tante cose da sbrigare fuori! Mi alzavano muri, e non vi feci caso. (…). Murato fuori del mondo e non vi feci caso». Noterete che il poeta, mentre denunciava coloro che gli alzavano contro grossi muri, contemporaneamente denunciava sé stesso, dicendo: «non vi feci caso». Denunciava se stesso per non essersi accorto, per aver accettato supinamente di essere murato fuori dal mondo. Quei muri, senatore Gasparri – non so se è presente in Aula – in epoca fascista si irrobustirono notevolmente fino a considerare gli omosessuali, al pari degli zingari e degli ebrei, una razza impura da sterminare. E gli ebrei venivano mandati nei campi di concentramento, come abbiamo ricordato nel Giorno della Memoria. È bellissima quella invocazione di giustizia contenuta nella frase finale del monologo de «Il Mercante di Venezia» di Shakespeare, che domanda: «Se ci ferite noi non sanguiniamo?». Gli omosessuali più fortunati venivano mandati al confine, molti in un’isola siciliana. Ricordate il bellissimo film interpretato dalla Loren e da Mastroianni, intitolato «Una giornata particolare»?

Devo permettermi, molto sommessamente, di suggerire ai senatori Gasparri, Giovanardi, Sacconi e a tutti coloro che sono intervenuti in quest’Aula con i migliori argomenti, la lettura di un libro, dal titolo «La città e l’isola», che racconta la storia degli omosessuali confinati. In esso è contenuta una lettera straziante di una madre che scrive all’allora re d’Italia, chiedendo la liberazione del proprio figlio, giovane ventenne, domandandogli e domandandosi quale reato, quale delitto avesse commesso il proprio figlio ventenne per essere stato allontanato dal suo amore, dai suoi affetti, dalla sua famiglia. Si interrompeva il legame affettivo della famiglia, quella famiglia che in quest’Aula abbiamo sentito esaltare, quella stessa famiglia di cui molti parlano in termini di sacralità. Ovviamente quella madre dal sovrano non ebbe risposta e io vi anticipo fin d’ora che non porto rispetto per quei morti che non hanno saputo, durante la loro vita, rispettare la vita degli altri. Lo anticipo fin d’ora, sulla base delle prossime richieste che verranno avanzate dalla famiglia Savoia.

La persecuzione degli ebrei è cessata con l’affermazione della democrazia dei nostri popoli. La condizione degli omosessuali, ancorché non comporti più restrizioni della libertà personale, è rimasta soffocata; soffocata da una cultura che li vede comunque emarginati, dalla cultura del «si fa ma non si dice». Vuoi entrare a far parte delle Forze armate del nostro Paese? Sei omosessuale? E che problema c’è? Non c’è problema, purché non lo dichiari.

Tutto questo, signori senatori, trasferisce la questione oggi al nostro esame in una dimensione puramente ed esclusivamente umana, ed è per questa ragione – come ho già detto – che non intendo, pur essendo un giurista, abbandonarmi alla tecnicità del testo.

Vedete, signori, in natura capita che uomini e donne abbiano relazioni a prescindere, fuori dal matrimonio, e concepiscano un figlio. È questo un fatto naturale, rispetto al quale il legislatore, che deve trovare soluzioni giuridiche, ha fatto le sue scelte, come il superamento di quella odiosa distinzione tra figli legittimi e figli naturali: pur se nati entrambi da un atto d’amore, l’uno era legittimo e accolto dalla società, l’altro era denigrato e, anche sotto il profilo terminologico, ricorderete il termine che gli si appioppava: bastardo, un bambino bastardo perché, pur se nato da un rapporto amoroso tra un uomo e una donna, era stato concepito fuori dal matrimonio. Il legislatore intervenne con scelte, condivisibili o meno, ma intervenne.

Quando un rapporto amoroso, un’attrazione sessuale o un’unione spirituale tra un uomo e una donna uniti in matrimonio finisce è un fatto umano. E il legislatore, anche rispetto ad esso, è intervenuto. Ricorderete la legge sul divorzio che divise il nostro Paese, affollando le piazze dei contrari e di coloro che erano a favore. Per la verità mi piacerebbe sapere, per divertimento, quanti di coloro che hanno partecipato alle manifestazioni di piazza dei contrari sono oggi divorziati. (Applausi della senatrice Puppato). E anche questo fatto umano ha indotto il legislatore a trovare delle regole.

Signori senatori, non credo di scandalizzare alcuno se osservo che anche le relazioni sentimentali, sessuali e amorose tra persone dello stesso sesso sono fatto umano. E allora, se si tratta di un fatto umano (e lo è sotto il profilo sia del tempo che dello spazio), non si comprende perché sino ad oggi il legislatore non abbia dato ad esso delle soluzioni giuridiche, non lo abbia regolamentato. Probabilmente si è negata la natura umana di questo fatto – è il punto – e una tale negazione si è tradotta nella classificazione che ci siamo dati: uomini, donne, lesbiche, omosessuali; una finta classificazione che ci ha portato a non considerare che, quando si nega un fatto umano – badate – si nega l’umanità.

E questa classificazione si è inserita in maniera così radicata nella nostra società al punto che per le due categorie, gli omosessuali e le lesbiche, così come per il figlio bastardo, i dialetti regionali si sono sbizzarriti a trovare i termini più volgari e offensivi per indicarle, che non ripeto in quest’Aula tanta è la volgarità che li accompagna. Voi tutti li conoscete e anche lei, Presidente, per cui non vi è la necessità che ricordi i termini che i singoli dialetti regionali hanno coniato per indicare gli omosessuali e le lesbiche.

Questa finta classificazione (uomini, donne, omosessuali e lesbiche) si è così radicata nella nostra società che qualche poeta, per bizzarria o forse per diletto poetico, l’ha trasferita finanche nei fiori e nel mondo vegetale. In una bellissima poesia di Palazzeschi, «I fiori» – non viene proposta in studio ai giovani delle nostre scuole, ancorché Palazzeschi sia studiato – la rosa spampanata diviene «la puttana».

 

PRESIDENTE. Senatore Falanga, la prego di modificare il suo linguaggio.

 

FALANGA (AL-A). Chiedo scusa, Presidente. Diviene una prostituta. Il garofano diviene il maschio e il giglio diviene l’omosessuale. Anche nel mondo vegetale si trasferisce questa classificazione.

Credo che regina di una tale negazione nella nostra società sia stata l’ipocrisia: ci siete, ma non vi vedo. Apprezzo il profilo letterario, la superba poesia di Pasolini, ma gli nego di vivere serenamente la sua dichiarata omosessualità.

In questi giorni le piazze si sono affollate, senatrice Cirinnà, una volta di sostenitori del sì, un’altra di sostenitori del no. Ebbene, credo che esse non abbiano fatto altro e non facciano altro che innalzare ulteriormente i muri di Kavafis. Ecco perché esorto la senatrice Cirinnà e il senatore Lo Giudice, da una parte, e i senatori Sacconi e Giovanardi, dall’altra, ad abbattere questi muri e a dialogare, perché soltanto così forse riuscirete a ricondurre la questione su quel piano umano sul quale è necessario collocarla.

Come vedete, signori senatori, al fatto umano necessariamente devono darsi delle regole, ed è ciò che noi oggi in quest’Aula tentiamo di fare. Facciamo un’operazione di regolamentazione giuridica, certo, ma prima ancora di recupero: recuperiamo il coraggio di dare dignità a tanti uomini e a tante donne del nostro Paese, che vogliono vedere riconosciuti i loro sentimenti, i loro rapporti, i loro amori, le loro relazioni.

Il Senato oggi ha la grande opportunità di compiere un’operazione culturale straordinaria: buttarsi alle spalle la classica e finta classificazione uomo‑donna, omosessuale-lesbica per anteporre a tutto e a tutti la persona umana. Se noi facciamo questo, se comprendiamo culturalmente questo passaggio, ci renderemo conto che prima dell’omosessuale, del maschio, della femmina, della lesbica, c’è la persona che deve essere posta al centro della società, al centro della vita dell’universo.

È per questo motivo, signori senatori, che io non ho inteso commentare – come hanno fatto altri – né la sentenza della Corte di giustizia europea né la sentenza della Corte costituzionale, che si sono prestate – come abbiamo visto e sentito, e forse sentiremo ancora – alle più disparate e contrapposte interpretazioni.

Signori, quelle sentenze sono atti, sono prodotti dell’uomo e, in quanto tali, non possono essere perfetti; in quanto tali, si prestano alle più varie e disparate interpretazioni.

Io vi dirò di più, e concludo, Presidente. Non mi ha neanche interessato più di tanto l’esame comparativo con le legislazioni di altri Paesi europei o di oltreoceano. E non mi ha interessato perché ritengo – non so voi – che la Francia, il Belgio e l’Olanda non possano dare al mio Paese, agli italiani, a voi senatori e – consentitemi – a me lezioni di umanità. (Applausi dai Gruppi AL-A e PD).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice De Biasi. Ne ha facoltà.

 

DE BIASI (PD). Signora Presidente, il dibattito sul disegno di legge sulle unioni civili ha preso una curvatura a cui troppo tardivamente si sta cercando di porre rimedio, in un sistema mediatico più attento allo scoop e alle bagatelle interne a ciascun partito che alla sostanza del problema.

Oggi ci troviamo a discutere – e spero ad approvare – un disegno di legge che sancisce le unioni civili per tutti – uomini, donne, persone omosessuali, davvero per tutti – di fronte ad un diritto finalmente egualitario, tardivo nel nostro Paese, troppo tardivo in un Paese che ha fatto il grande balzo di civiltà con il divorzio e l’interruzione volontaria di gravidanza. E le pari opportunità per tutti sono costituzionali fino in fondo, e il dibattito svoltosi in questi giorni ha deviato in qualche modo lo spirito di questo provvedimento.

Ho sentito parole in quest’Aula che ci fanno tornare indietro di cinquant’anni. Le unioni civili sono certamente un’alternativa civile al matrimonio: certo, è così. Ciascuno di noi può pensarla come vuole. Personalmente non avrei avuto nulla in contrario all’affermazione del matrimonio anche per le coppie omosessuali, ma capisco che ci sono vincoli di carattere costituzionale. Benissimo, procediamo con le unioni civili.

E qui è stata fatta la prima obiezione: se noi affermiamo le unioni civili, nessuno si sposerà più. Ma è già così: il numero dei matrimoni è sceso drasticamente nel nostro Paese e, forse, qualche domanda dovremmo porci. Ma, a parte questo, le persone sono libere di non sposarsi per i più diversi motivi: non si vogliono sposare perché hanno un fallimento alle spalle e non vogliono ripetere l’esperienza del matrimonio; non si vogliono sposare perché preferiscono convivere; non si vogliono sposare perché la loro vita è più semplice rimanendo in unione civile e non in un matrimonio. Insomma, il mondo è vario e nessuna legge potrà mai imporre l’autenticità di un legame. La legge non può e non deve entrare nelle scelte private, nelle camere da letto e nella libertà di ciascun individuo.

Noi non stiamo facendo con questo disegno di legge una concessione alla diversità. Vorrei che fosse chiaro. Prendiamo solo atto che il mondo è cambiato. Quindi, abbiamo per di più una legge un po’ più arretrata rispetto a come è messa la società italiana, ma neanche questo va bene. È un vezzo tipicamente italiano pensare che le leggi debbano essere improntate prevalentemente ai divieti e la cosa importante non è cosa stiamo affermando, ma cosa dobbiamo assolutamente vietare. Io credo, invece, che il tema sia il rispetto della dignità delle persone.

Non c’è un solo tipo di famiglia. Non so se ve ne siete accorti girando per le vostre città e nella vostra vita quotidiana. Non c’è un solo tipo di famiglia: ci sono tante e diverse famiglie. La carta dei valori fondativa del PD, che per me rimane un vincolo d’adesione al mio partito, parla chiaramente di diversa condizione delle famiglie. Ci sono famiglie composte da più persone ormai, sono famiglie allargate e allora, nel loro ambito, i diritti come sono? Come li misuriamo? Ci sono famiglie formate da legami da affetto tra persone dello stesso sesso senza che vi sia sesso, perché ci sono dei legami – per esempio – tra persone anziane di mutuo soccorso e quella non è una famiglia? Certo, è una famiglia anche quella. (Applausi dal Gruppo PD). Stiamo attenti a dire che la famiglia si identifica con il matrimonio e con la generazione dei figli. Le coppie sterili? Un uomo e una donna che si sono sposati e non hanno potuto avere figli sono uniti in matrimoni di serie B? Hanno diritti di serie B? Attenti a dire che un bambino ha bisogno di un padre e di una madre. Le famiglie monoparentali? Le ragazze madri? Serie B, anche quelle. E gli orfani? I bambini che nascono e perdono il padre e la madre? Serie Z, immagino.

Non confondiamo le opinioni personali di un pediatra, come è stato affermato chiaramente, per la verità assoluta. (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Bencini). La genitorialità è fondata sulla stabilità delle relazioni, sull’affetto e sulla dedizione. Ci possono essere un padre e una madre e ci possono essere violenze e incesti. Come sappiamo, nel nostro Paese il 92 per cento delle violenze avviene nel segreto della famiglia. Allora, servono stabilità di relazione, affetto e dedizione per i propri figli e progetti educativi. Lo dice benissimo il presidente della società di psichiatria Claudio Mencacci e oggi lo dice altrettanto bene con altre parole Claudio Magris. Invito a leggere quell’articolo anche quelle persone che, nella vita, hanno visto dei western e il reazionario John Wayne allevare un bambino trovato nel deserto.

Insomma, la genitorialità biologico-riproduttiva va distinta da quella relazionale e affettiva. Non c’è niente da fare. È così perché la scienza, le tecnologie e l’epoca, che ci ha fatto passare dalla sessualità senza procreazione alla procreazione senza sessualità, ci portano in quella direzione. La cura della sterilità attraverso la procreazione medicalmente assistita, la cura di malattie, la non trasmissione ai propri figli malattie, il diritto genitorialità, come affermato dalla Corte europea, sono valori fondanti nel nostro Paese.

Certo, esiste la legge n. 40 del 2004, che norma questi aspetti, in modo assolutamente scellerato. La Corte costituzionale ha emanato una serie di sentenze e in Commissione abbiamo già incardinato la riforma della legge n. 40, perché a tali sentenze dobbiamo ottemperare, piaccia o meno agli alfieri della famiglia e dei figli fatti in modo naturale. Non si capisce bene, però, che cosa sia la natura: anche gli occhiali potrebbero essere considerati illegali, perché sono evidentemente una protesi non naturale.

Abbiamo dunque incardinato questo disegno di legge e ritengo sia quello l’ambito in cui discutere tale tema, senza evocare fantasmi che non esistono. È quello l’ambito in cui discutere se e come vogliamo rafforzare il divieto – che condivido – dell’utero in affitto e della maternità surrogata. Sono d’accordo con quel divieto, ma vorrei che non scempiassimo l’organicità del diritto, infilando il rafforzamento di un divieto in una legge in cui non c’entra assolutamente niente, se non come futura e possibile eventualità. E tale pratica è già vietata dall’articolo 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, che è il luogo giusto in cui discuterne.

Vorrei ricordare al ministro Lorenzin, con la quale sono d’accordo su molte cose, che il registro dei gameti e la trasparenza nel campo della donazione li ha voluti questo Parlamento e non il Governo. Ci tengo a dirlo (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Simeoni). Cerchiamo di mantenere ciò che questo Parlamento, all’unanimità, ha fatto di buono. Il Ministro non faccia l’equazione tra maternità surrogata e fecondazione eterologa, perché ciò è scientificamente sbagliato (Applausi dal Gruppo PD e delle senatrici Bencini e Simeoni).

Di certo, sono contraria ad un utilizzo del corpo della donna come contenitore, ma ricordo bene che la richiesta della donne come contenitore – ritornando al diritto romano – venne posta esattamente da chi intervenne sulla legge n. 40 del 2004, per giustificare l’elemento di naturalità nella procreazione. Sono contraria per la dignità delle donne, e tuttavia sono improntata ad un diritto mite. Non credo e non sono convinta che si possa negare quel potere irriducibile di generazione che viene dato alle donne. Se una donna vuole procreare, può farlo e, non se ne accorgerà nessuno e nessuno capirà con quale tecnica lo si è fatto. È chiaro? Penso vi sia chiaro.

Il problema allora riguarda gli uomini e, se riguarda gli uomini, evidentemente dietro c’è il pregiudizio. Ci si chiede: chissà due uomini con un bambino che cosa possono fare? Chiederselo è triste, squallido e fuori dal tempo. Credo che si debba normare la materia e si debba anche rafforzare il divieto, ma in un ambito di supporto e rispetto della dignità umana. Lo voglio dire, signora Presidente, al collega Formigoni, che chissà quanto si è divertito a scrivere su Facebook di checche di vario genere. Complimenti! (Applausi dal Gruppo PD e delle senatrici Bottici e Simeoni).

Infine ci sono i bambini, bambini trattati – sì – come pacchetti, tirati da una parte e dall’altra, che il diritto vorrebbe arbitri del loro destino quando sono troppo piccoli per decidere. E in questo sta anche il significato alto della genitorialità e dell’intervento della magistratura. La famosa stepchild adoption – se magari usassimo termini italiani, sarebbe meglio – è un inizio. È un inizio, che non porterà necessariamente tutti a fare le scelte peggiori. (Richiami della Presidente). Ho concluso, signora Presidente. È però un inizio importante, anche perché sappiamo che il percorso dovrà comunque concludersi con un provvedimento che riguardi le adozioni. Lo sappiamo perfettamente tutti.

Concludo con una citazione del professore Lingiardi contenuta nel suo libro intitolato «Citizen gay», che parla di affetti e diritti, la cui lettura consiglio a tutti coloro che pensano che il mondo sia una scatoletta chiusa. Lui cita il «Candide» di Voltaire facendo riferimento all’opera musicale di Leonard Bernstein. Vi leggo l’ultimo pezzo, sono pochissime righe, Presidente. Alla fine i vari personaggi entrano in scena e dicono: «Che i sognatori sognino pure i mondi che preferiscono; l’Eden non si può trovare. I fiori più dolci, gli alberi più belli, hanno radici nel terreno solido. Non siamo puri, né saggi, né buoni. Faremo del nostro meglio. Costruiremo la nostra casa, taglieremo il nostro bosco, e coltiveremo il nostro giardino». Quel giardino non è luogo privato ma è il luogo dell’avanzamento civile di questo Paese. (Applausi dai Gruppi PD e Misto).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Giovanardi. Ne ha facoltà.

 

GIOVANARDI (GAL (GS, PpI, M, MBI, Id, E-E)). Signora Presidente, colleghe e colleghi senatori, toccherò soltanto i due punti fondamentali che sono scaturiti dal dibattito.

Molti colleghi, specialmente dei Gruppi PD (la collega De Biasi poco fa) e Movimento 5 Stelle hanno inneggiato alle unioni civili, riservate esclusivamente alle coppie omosessuali, perché lo ritengono un passo verso il matrimonio, ricalcandone fin da ora la configurazione. Onestà intellettuale avrebbe richiesto allora una revisione dell’articolo 29 della Costituzione, visto che la Corte costituzionale ci ha detto chiaro e tondo che la famiglia, a Costituzione vigente, è una società naturale fondata sul matrimonio fra uomo e donna, con l’impossibilità di superare, con un’interpretazione creativa, questo vincolo normativo: ed infatti la Corte ci ha imposto di inquadrare la questione nell’ambito dell’articolo 2 della Costituzione, laddove la Repubblica garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Ho già ricordato in quest’Aula che Aldo Moro illustrando all’Assemblea costituente un emendamento all’articolo 2 sottoscritto anche da Amintore Fanfani, Nilde Iotti e Giovanni Amendola modificò il testo originario laddove parlava di diritto del singolo e delle formazioni sociali in diritti del singolo «nelle» formazioni sociali, spiegando da par suo – ed è un discorso di piena attualità – che i diritti inviolabili garantiti non sono quelli del partito, del sindacato, dell’associazione ed oggi della coppia, ma quelli dei singoli che svolgono la loro personalità nella formazione sociale. Il testo che stiamo discutendo corrisponde a queste indicazioni? Purtroppo assolutamente no, e la violazione dell’articolo 29 della Costituzione è stata denunciata da presidenti e vice presidenti emeriti della Corte costituzionale, come Riccardo Chieppa, Ugo De Siervo, Giovanni Maria Flick, Paolo Maddalena, Cesare Mirabelli, Paolo Maria Napolitano, Fernando Santosuosso, insieme a centinaia di altri illustri giuristi che hanno detto chiaro e tondo che questo testo è contrario alla Costituzione vigente. Per non parlare della palese e macroscopica violazione dell’articolo 72 della Costituzione per il quale stiamo presentando un conflitto di attribuzione presso la Corte costituzionale, che verrà depositato domattina, per l’esproprio delle competenze che quell’articolo garantisce ai senatori, tutte violazioni della Costituzione, lo ricordo al Presidente del Senato, non certo sanabili a colpi di maggioranza parlamentare. Si tratta oltretutto di un guazzabuglio affastellato di norme discriminatorie, ad esempio delle coppie eterosessuali di fatto la cui disciplina, mai approfondita dalla Commissione di merito, fa emergere nuove perle, come quella della locazione, denunciata da Confedilizia, o dell’obbligo degli alimenti anche senza vincolo matrimoniale. Sappiamo poi tutti che stralciare la stepchild adoption non risolve il problema dell’utero in affitto perché con questo testo le adozioni verrebbero imposte dalla giurisprudenza europea.

Per quanto riguarda la stepchild adoption, infatti, abbiamo sentito tesi la cui profondità giuridica e culturale è pari a quella dei messaggini dei Baci Perugina, essendoci stato riproposto come un mantra che «l’amore è l’amore e deve prevalere su tutto». Eppure, da quando esiste l’umanità in tutte le latitudini, in ogni continente, in qualsiasi contesto politico sociale o religioso, il matrimonio è sempre stato fra un uomo ed una donna. I nostri progenitori si erano già interrogati su alcune delle questioni che sono oggi in discussione. Già nel II secolo avanti Cristo il giurista Bruto aveva definito ripugnante qualificare come frutto il parto della schiava e Muzio aveva stabilito che il parto della schiava non andava ritenuto un frutto al pari di quello degli animali e dei prodotti agricoli. Giustiniano, sotto l’influenza del cristianesimo, nella sua compilazione giustificava la negazione della qualifica di frutto al parto della schiava – e vi invito a notare l’attualità del discorso – per evitare che taluno acquistasse e tenesse le schiave per adibirle al compito specifico della procreazione; esattamente quello che accade oggi in determinati Paesi.

Anche il paganissimo Virgilio in un famosissimo verso de «Le Bucoliche» scriveva: «Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem» e cioè tradotto in italiano: «Incomincia, bambino, a riconoscere dal sorriso la madre: lunga pena arrecarono i dieci mesi alla madre. Incomincia, bambino: colui al quale non sorrisero i genitori, né un dio lo degnò della sua mensa, né una dea del suo letto». Chi non gode, dice Virgilio, del sorriso della madre era considerato talmente sfortunato nella vita che gli dei non vorranno sedersi al suo tavolo né le dee giacere nel suo letto. Per non parlare della splendida e terribile poesia che Pier Paolo Pasolini dedicò alla madre e al suo amore insostituibile.

Ho sentito tanti parlare di Europa, Europa e ancora Europa; a chi vuole rottamare le certezze di tutte le generazioni in nome di una travolgente modernità, ricordo la quasi totalità del consenso che hanno avuto storicamente i giacobini, i comunisti, i nazisti e tutti quelli che volevano creare l’«uomo nuovo» e, dopo giganteschi disastri, sono finiti nel dimenticatoio della storia.

Il collega Lo Giudice ci ha detto nel suo intervento, riferendosi al bambino, che assieme al suo partner si è procurato in California ottenendo a pagamento un ovocita da una donna e la gestazione da un’altra, che non esiste nessuno sfruttamento delle donne perché tali pratiche, per le coppie omosessuali, sono consentite solo nei Paesi avanzati. Purtroppo le cose non stanno assolutamente così perché mentre l’ovocita viene acquistato dopo un bombardamento ormonale da donne che devono avere precise caratteristiche di salute, bellezza, intelligenza, razza (eugenetica sostanzialmente), per risparmiare la gestazione viene commissionata a un’altra donna in Paesi come la Cambogia, la Moldavia, la Bulgaria, il Nepal, il Messico o l’India, dove malgrado i divieti delle autorità la pratica rimane ampiamente diffusa.

Ho recentemente indicato una tabella dell’organizzazione senza scopo di lucro Men Having Babies, che assiste coppie omosessuali che vogliono procurarsi un bambino; il prezzo per ottenere un bambino “chiavi in mano” oscilla dai 170.000 ai 70.000 dollari, dipendendo in larga parte dalla possibilità che la gestante possa essere affittata in Paesi del Terzo mondo, approfittando della situazione di povertà e di disperazione di chi è costretto a vendere il figlio dopo nove mesi di gestazione (quando non capiti, in base al contratto, che la donna sia costretta ad abortire il bambino non all’altezza delle aspettative dei committenti).

È offensivo che qualcuno ci venga a raccontare che questa forma di adozione speciale, l’adozione del figliastro, viene introdotta per risolvere il problema di circa 500 bambini che già oggi in Italia vivono con una padre e una madre biologici e un partner “sociale”, come viene definito: l’articolo 44, lettera a), della legge sulle adozioni risolve il problema. Non c’è alcuna discriminazione rispetto ai figli di qualsiasi altra coppia, perché, in caso di eventuale decesso del vero padre o della madre naturale si consente il giudice può decidere per l’adozione speciale da parte del partner superstite nel caso valuti esistere un consolidato rapporto di affetto fra questo e il bambino cresciuto dalla coppia. Nessun bambino finisce in orfanotrofio, come viene detto, perché il partner può prenderlo in adozione. Rendere automatica viceversa l’adozione significa legalizzare il ricorso all’utero in affitto all’estero con la certezza di poter poi adottare il bambino una volta tornati in Italia. Un vero e proprio ritorno a forme di schiavitù che pensavamo non potessero più esistere né trovare sostenitori.

In questa situazione poi il bambino, che viene già programmato fin dall’inizio come orfano di padre o di madre, viene privato del suo diritto di crescere in una famiglia dove ci sia un punto di riferimento paterno ed uno materno.

In questi giorni è scoppiata una polemica sul fondamento di studi e ricerche che dimostrerebbero che un bambino cresciuto con due padri o con due madri non ha alcun problema per l’equilibrio della crescita, né nei rapporti con i genitori «1» e «2», né con la società che lo circonda. Senatrice De Biasi, io non mi vergogno a dire che sono preoccupato. Il Governo italiano, nello specifico l’UNAR, collabora con il circolo Mario Mieli, intitolato a un signore che scriveva a favore della pedofilia e della pederastia e del dovere di ogni madre di congiungersi con le figlie e ogni padre con i figli. E il Governo italiano continua a farlo nonostante le interrogazioni presentate! Ma non vi vergognate a collaborare con un circolo intitolato a un signore pederasta e pedofilo? È come se il Governo, nel contrasto all’antisemitismo, collaborasse con un circolo intitolato ad Adolf Hitler o Hermann Göring. Mi sembra fuori posto. Visto che ci sono persone che inneggiano a queste patologie, esistono anche preoccupazioni di questo tipo.

Signora Presidente, è davvero singolare che tale tesi venga sostenuta proprio dai settori politici che fanno del principio di precauzione un dogma anche quando ci siano da proteggere da rischi eventuali ambiente ed animali, sino al punto di aver imposto tramite l’allora assessore Cirinnà (nessuno lo ha smentito: basta andare a controllare) il divieto di togliere per alcuni mesi i cuccioli dei cani e dei gatti appena nati alle rispettive madri, perché non subiscano traumi. I figli di cani e gatti, non quelli partoriti da donne! Si pensa invece di sperimentare sui bambini l’effetto che farà sul loro sviluppo nel ritrovarsi con due padri o con due madri, senza sapere chi è il vero padre o la vera madre. Ricordo che il Papa citatissimo l’11 aprile 2014 affermava: «Occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva (…) vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del “pensiero unico” (…)».

Ribadiamo allora, ancora una volta e con convinzione, che temi così delicati non possono essere affrontati in Aula in maniera così avventurosa e la necessità che il provvedimento torni in Commissione per sanarne almeno i più eclatanti vizi di costituzionalità. (Applausi dal Gruppo AP (NCD-UDC) e del senatore Gasparri. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Finocchiaro. Ne ha facoltà.

 

FINOCCHIARO (PD). Signora Presidente, onorevoli colleghi, intervengo per cercare di dare un contributo ad un dibattito che, per la qualità della materia di cui discutiamo, ha registrato e registra ancora una incomponibilità di posizioni che, per quanto sia fisiologica e anche legittima, rischia di far perdere il filo di razionalità sistemica che dovrebbe sostenere ogni legislatore dinanzi a qualsiasi questione.

Dico subito, colleghi, che quanto dirò adesso è frutto di una riflessione, anche difficile, che ho condotto in questi mesi e che ovviamente è stata alimentata dall’incontro con tanti colleghi ma che è soprattutto frutto di un confronto con me stessa e con le mie convinzioni profonde.

Non torno sulla questione dell’introduzione dello strumento delle unioni civili, perché mi pare ovvio che non sia più questo l’oggetto sul quale concentrarci. Affronterò invece la questione dell’articolo 5 del disegno di legge e cioè dell’estensione dell’ambito di applicazione di quella adozione in casi particolari prevista dall’articolo 44, lettera b), della legge n. 184 del 1983 sulle adozioni.

Il sistema quindi nel quale stiamo operando è quello della legge sulle adozioni e stiamo parlando di una riforma di un articolo di tale legge.

Come tutti i colleghi sanno, il sistema valoriale cui quella normativa si ispira è riferito non solo essenzialmente, ma direi proprio esclusivamente al preminente interesse del minore ad essere adottato in condizioni nelle quali gli venga garantita stabilità e continuità affettiva, educazione ed istruzione. Tale scelta, come sappiamo, noi l’abbiamo recentemente ribadita e rafforzata, per esempio equiparando l’adozione alla filiazione legittima e a quella naturale, anche con riguardo ai rapporti con gli ascendenti.

Operiamo dunque in un ambito in cui il fine che il legislatore ha inteso e intende soddisfare non è quello di una coppia ad avere un bambino, ma quello di un bambino a vedersi assicurata quella continuità affettiva ed educativa di cui parlavamo.

Con l’articolo 44, lettera b), oggi, a normativa vigente, un figlio, anche adottivo, di uno dei coniugi può essere adottato dall’altro per garantirgli, in ipotesi di premorienza del genitore, stabilità e continuità affettiva. Con il testo in discussione, tale possibilità viene estesa anche al caso in cui il bambino sia figlio, anche adottivo, di uno dei componenti l’unione civile. Questo è il punto quindi, che consiste nel diritto del bambino – figlio, a legislazione vigente, di uno dei coniugi, domani, con l’approvazione della riforma che proponiamo, figlio di uno dei componenti l’unione civile – a vedersi assicurate continuità e stabilità affettiva ed educazionale.

La scelta valoriale che si compie con l’articolo 5 del disegno di legge è dunque in piena e continua coerenza con la legge del 1983. Non stiamo quindi parlando di un diritto dei componenti l’unione civile all’adozione, diritto che nel nostro sistema non esiste neppure per la coppia dei coniugi, bensì del diritto di ciascun bambino a godere di quella stabilità e continuità di cui ho parlato. (Applausi delle senatrici Cirinnà e De Biasi). Per questa ragione, il provvedimento di adozione viene assunto dal tribunale per i minorenni in un procedimento complesso, che guarda esclusivamente al preminente interesse del minore ed è regolato minutamente dagli articoli da 45 a 57 della legge n. 184. Io invito il senatore Giovanardi a leggerlo, piuttosto che sostenere che stiamo parlando di adozione automatica. Non è così! (Applausi dal Gruppo PD).

 

GIOVANARDI (GAL (GS, PpI, M, MBI, Id, E-E)). È così.

 

FINOCCHIARO (PD). È un procedimento complesso, analogo a quello delle adozioni, che prevede tutta una serie di interventi da parte di giudici ed esperti. Il relativo articolo comincia dicendo che il bambino può essere adottato – ripeto: può essere adottato – se, alla fine di questo scrutinio, venga accertato quel preminente interesse del minore a continuare in quella stabile continuità affettiva ed educazionale di cui abbiamo parlato.

Dai colleghi di alcune forze politiche viene però sollevata l’obiezione fondata sul fatto che la genitorialità di uno dei componenti delle unioni civili derivi da maternità surrogata. Naturalmente non è sempre così, perché un genitore omosessuale può aver avuto il figlio da un precedente matrimonio o da una relazione con una donna; parliamo ovviamente, come ha detto anche la collega, di coppie omosessuali maschili. Ma accade anche che sia così, accade cioè che si tratti di un bambino figlio di una maternità surrogata; come è finora accaduto, a legislazione vigente, per tutte quelle coppie eterosessuali unite in matrimonio che hanno utilizzato questa forma di adozione speciale, perché, essendo sterili, avevano fatto ricorso alla maternità surrogata (Applausi dal Gruppo PD e delle senatrici Bencini e Mussini); tali coppie rappresentano la stragrande maggioranza tra i soggetti che fanno ricorso ad essa: ovviamente le percentuali non sono esatte, ma gli esperti parlano di una percentuale che supera circa l’80 per cento. Eppure finora non avevo mai sentito, da quei banchi, denunciare l’adottabilità di un minore figlio di una coppia sposata (adottabilità da parte del coniuge, ovviamente), seppure nato a seguito di maternità surrogata.

Se quindi l’articolo 5 rappresenta, secondo alcuni, un incentivo al ricorso all’utero in affitto, lo ha costituito e lo costituisce, fino ad oggi, per quell’80 per cento almeno di coniugi italiani che hanno fatto e fanno ricorso all’utero in affitto. Questo vuol dire e da questo logicamente deriva che abolire l’articolo 5 non avrebbe alcun effetto deterrente sensibile sul ricorso alla maternità surrogata. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore De Cristofaro). Potrebbe invece averlo – come ha suggerito il collega Lo Giudice e su questo dobbiamo riflettere – una riforma della legge sulle adozioni.

Ma è sulla maternità surrogata che voglio esprimere con chiarezza la mia posizione politica. Mi conoscete: io sono una donna della sinistra italiana ed entrambe le caratteristiche, per quello che dirò, sono essenziali per la mia cultura politica e per i miei convincimenti. In quanto donna di sinistra, penso che la sinistra italiana non possa sottrarsi dal riflettere sulla questione della maternità surrogata. Si dirà: niente di nuovo, visto che abbiamo voluto testardamente, nella legge n. 40, il divieto per l’utero in affitto. In questo, lasciatemelo dire, non siamo secondi a nessuno; a me pare che quella deriva libertaria di cui parlava il senatore Palma semplicemente non esista. Ma la mia contrarietà alla maternità surrogata non si fonda solo sulla ragione, più immediata, dell’inaccettabilità dello sfruttamento del corpo di una donna. Mi rincresce, ma non posso nascondere che è possibile che esistano donne che, fuori da condizionamenti economici, sessisti o familiari, decidano liberamente di portare a termine una gravidanza su commissione. Io lo trovo inconcepibile; ma è possibile che accada e in effetti accade. Ma la mia ostilità si fonda anche su un’altra ragione, che ritengo almeno equivalente quanto a gravità: quella secondo cui la maternità surrogata è finalizzata alla produzione di corpi destinati allo scambio, assai spesso economico. Si tratta di bambini destinati ad essere prodotti da madri surrogate, su commissione, per essere destinati allo scambio; questo è il punto, e la sinistra non può non avere una parola su questo. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Formigoni e Giovanardi).

Mercificazione del valore e plusvalore oggi si declinano in mercificazione dei corpi e loro scambialità in un mercato internazionale, attraverso lo sfruttamento del corpo di una donna oppressa da vincoli sessisti, economici, familiari, e si esaurisce nella monetizzazione del potere esclusivo di procreare, che è del corpo femminile, e del valore di un neonato. Ciò avviene attraverso organizzazioni che operano in maniera transnazionale, con base in Paesi in cui l’utero in affitto non è vietato e che ha appresso un’assistenza medica, legale, assicurativa e logistica a pagamento. Non è difficile, colleghi, saperne di più: digitate «maternità surrogata» sul vostro computer. L’offerta di servizi, comprensiva di tariffe, vi sommergerà, eppure la legge n. 40 del 2004, all’articolo 12, comma 6, prescrive anche che venga punita la pubblicità e l’organizzazione finalizzata all’utero in affitto. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Formigoni). Bisognerà richiamare le istituzioni, le forze investigative di polizia e la magistratura all’osservanza di questo articolo.

Faccio allora tre proposte, colleghi, e mi avvio a concludere.

Innanzitutto una mozione, che depositerò a breve, con la quale il Senato impegni il Governo ad un’iniziativa per la messa al bando a livello internazionale della pratica dell’utero in affitto in ogni Paese del mondo (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori D’Ambrosio Lettieri, Formigoni e Giovanardi), in nome della dignità della persona umana e dei diritti di ciascun bambino.

In secondo luogo, una riforma della legge sulle adozioni – è un campo sul quale dobbiamo cominciare a riflettere – che abbia caratteristiche e generosità mirate sul preminente interesse del minore ad essere adottato, senza necessità di essere coppie o coppia sposata eterosessuale.

Infine, colleghi, chiedo di riflettere su un’altra proposta che faccio: il Senato, nell’ambito delle proprie prerogative – nelle forme che sceglieremo – sia messo in condizione di farsi un’opinione informata e colta sul sistema di procacciamento, intermediazione e assistenza finalizzata allo sfruttamento del corpo delle donne e alla creazione di esseri umani destinati allo scambio.

Per quanto mi riguarda e per quanto ho detto, voterò questo provvedimento in ogni suo articolo con ogni convinzione. (Applausi dal Gruppo PD e delle senatrici Bencini e Mussini. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore D’Ascola. Ne ha facoltà.

 

D’ASCOLA (AP (NCD-UDC)). Signora Presidente, vorrei fare una premessa, seppur io credo superflua: nella posizione di Area Popolare non c’è alcun intento discriminatorio: noi ci vergogneremmo se soltanto avessimo pensato all’idea di una discriminazione nei confronti di soggetti che hanno orientamenti sessuali di natura per l’appunto omosessuale; tantomeno c’è il rifiuto di una disciplina legislativa del rapporto omosessuale, quindi delle unioni civili da intendersi come unioni regolative dei rapporti tra soggetti dello stesso sesso. Tuttavia noi non possiamo peccare di quella superficialità che indurrebbe a trascurare le modalità di una disciplina legislativa, ritenendo che essa debba essere accettata in qualsivoglia forma soltanto perché regolativa dei rapporti tra soggetti dello stesso sesso.

Ora, noi siamo in grado di spiegare le ragioni della nostra posizione politica, ma anche di quelle scelte morali, di quella visione della società che inevitabilmente costituisce la parte fondativa di ogni posizione che deve essere assunta su temi che riguardano la posizione etica, l’orientamento sessuale, ma anche la visione complessiva della società che si immagina di progettare per il futuro. Quindi non un no aprioristico, non una chiusura determinata da ragioni di discriminazione, ma la possibilità di poter spiegare in maniera del tutto analitica e del tutto chiara la nostra posizione.

D’altronde – e lo anticipo – ho condiviso gran parte dell’intervento della senatrice Finocchiaro appena pronunciato: alcune parti sono davvero condivisibili e in un certo senso dimostrative di come all’interno di questa nostra Assemblea vi sono posizioni che ovviamente si intrecciano, al di là della differenza delle posizioni politiche che qui inevitabilmente sono scontate. Illustri senatori e senatrici, c’è un filo rosso che lega alcune delle variabili principali di questo complesso discorso sulle cosiddette unioni civili: matrimonio, da una parte (come categoria di ordine generale), adozioni e utero in affitto. È questo, per l’appunto, l’argomento su cui poc’anzi la senatrice Finocchiaro, da par suo, intratteneva tutti noi che, con molto rispetto e partecipazione, abbiamo seguito il suo intervento.

Perché mi permetto di parlare di un filo rosso comune che collega questi tre argomenti che taluno ha pensato di poter separare, banalizzando il significato che si deve necessariamente connettere a ognuno di essi individualmente, ma che poi soprattutto li lega in un rischio davvero drammatico che noi vorremmo scongiurare e che soprattutto non vorremmo che il nostro Paese corresse? L’ho fatto perché non c’è dubbio che il tema del matrimonio sia direttamente collegato a quello delle adozioni. Saremmo superficiali, saremmo ingenui, peccheremmo anche della capacità di immaginare la prevedibile evoluzione del diritto se non fossimo nella condizione di prevedere da subito che se le unioni civili ricalcano in maniera integrale il matrimonio già esse stesse implicano la possibilità delle adozioni a prescindere da ogni riferimento – ed in questo caso concordo con un’altra senatrice che preferisce, come me, la lingua italiana alle denominazioni anglosassoni – a quel brutto termine di adozione del figliastro, per come si traduce in italiano la stepchild adoption.

Da un lato, quindi il matrimonio, se di natura omosessuale, inevitabilmente non potrà essere discriminato già per effetto dell’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), quindi del divieto di discriminazione rispetto al matrimonio eterosessuale; si ha, quindi, una implicata e necessariamente connessa idea di adozione come caratteristica di ogni unione matrimoniale. Il matrimonio entra pertanto in questa dinamica proprio per effetto dell’impossibilità di separarne il suo significato, la sua portata giuridica, dal tema delle adozioni.

Inoltre, il tema delle adozioni, di cui all’articolo 5 del disegno di legge in esame, come disposizione specialmente dettata per il tema delle unioni civili, inevitabilmente apre la strada all’utero in affitto. Come si fa a non vedere questo elemento di collegamento? Si tratta di un similmatrimonio che inevitabilmente comporterà il potere di adottare; ovviamente il potere di richiederlo al giudice, ci mancherebbe altro: non c’è un’adozione diretta che possa essere disposta per iniziativa dei privati, ci sarà sempre un magistrato ovviamente a dover decidere. Tuttavia, è un matrimonio omologato in maniera del tutto evidente, basterebbe il quarto comma dell’articolo 3 in cui si stabilisce che in tutte le disposizioni, le espressioni «coniuge» o «coniugi» devono intendersi equivalenti alle correlative espressioni «partner» o «partners» delle unioni civili. Inevitabilmente, ciò determina una sovrapposizione di un istituto, quello dell’unione civile, con il matrimonio, al quale inevitabilmente è connessa l’idea della adozione.

Quanto alle adozioni, siccome nel contesto delle unioni civili non sarà possibile disporre sempre e necessariamente di un bimbo da adottare, salvo il caso della preesistenza di un figlio naturale ovvero di un figlio adottivo (cosa certamente possibile, ma non necessariamente costante e presente in tutte queste vicende), l’articolo 5 del disegno di legge in esame aprirà inevitabilmente la porta alla pratica dell’utero in affitto, della quale si diceva poc’anzi essere rappresentativa della commercializzazione, non soltanto del proprio corpo, ma del prodotto del proprio corpo in un contesto nel quale questo prodotto non soltanto sarà oggetto di uno scambio (il corpo di un bambino appena nato contro il prezzo), ma addirittura finirà per essere una ragione di sottomissione di categorie deboli ed indifese nei confronti di soggetti dotati di capacità di persuasione economica. Sono considerazioni in tutto e per tutto sovrapponibili a quelle che sono state da poco pronunciate. Era ovvio che l’orgoglio, ma anche la tradizione, di una cultura femminista, che si è formata attraverso le grandi battaglie che hanno davvero rappresentato la promozione del nostro Paese, si dovesse fermare su questo argomento. È impensabile, infatti, che a una idea di civiltà sia sconnessa l’idea secondo la quale il corpo e il prodotto del corpo di una donna non possano essere oggetto di uno scambio, la controparte del quale è rappresentata dal pagamento di una somma di denaro.

Se questi, onorevoli senatori e onorevoli senatrici, sono i termini della questione, io devo tornare – e mi sia consentito – su un tema che non può essere dimenticato. Veniva detto poc’anzi che l’utero in affitto è proibito dal sesto comma dell’articolo 12 della legge n. 40 del 2004; ma è chiaro che la punibilità di questa condotta è soltanto finta, apparente. Noi questo lo dobbiamo dire con perentorietà, non tanto perché costituisca una mia personale convinzione (che sarebbe ovviamente cosa fin troppo irrilevante perché venisse comunicata in quest’Aula), ma perché già importanti sentenze dei tribunali italiani lo dichiarano, per effetto di una situazione giuridica sul punto del tutto evidente e incontestabile: se è punibile in Italia l’utero in affitto, è fuori discussione che sia consentito all’estero. Quindi, anche in Italia non è punibile una condotta se è compiuta in un Paese estero laddove questa è consentita. Manca quella che noi chiamiamo clausola della doppia incriminazione e, d’altronde, i fatti noti, che sono all’attenzione di ognuno di noi, sono perfettamente dimostrativi della circostanza che, non per tutte le coppie omosessuali, ma per le coppie omosessuali ricche è consentito recarsi all’estero, creare, attraverso lo strumento dell’utero in affitto, una famiglia artificiale, tramite l’incarico a una donna di partorire un bambino che le verrà immediatamente dopo sottratto, tornare in Italia e determinare una situazione di fatto che l’articolo 5, ma anche gli articoli 1, 2 e 3 determinerebbero come perfettamente sovrapponibile a una situazione di diritto.

È questo il punto che Area Popolare – e coloro i quali la pensano come noi – vuole impedire: non c’è una opposizione preconcetta alle adozioni sconnessa dall’uso che del sistema delle adozioni con certezza si può fare. Chi è contrario all’utero in affitto non può, poi, essere favorevole alle adozioni, perché l’adozione crea il presupposto perché la pratica dell’utero in affitto venga incentivata. Noi avremo una serie di coppie che saranno nient’altro che committenti di uteri in affitto, nel tentativo di creare, in via artificiale, una famiglia che dal punto di vista naturale sarà una famiglia impossibile.

Se il punto di arrivo del nostro ragionamento è allora quello costituito dal fatto che l’utero in affitto si deve vietare, è chiaro che noi, prima ancora, dobbiamo proibire le condizioni che daranno luogo all’utero in affitto.

A dire la verità, e dando una risposta alla senatrice Finocchiaro, quella sua dichiarazione, del tutto condivisibile, mi sento di sottoscriverla; anzi, in un certo senso l’ho sottoscritta ancor prima, con la presentazione di un emendamento, nella parte in cui chiediamo ragionevolmente – mi sia consentito di sottolineare l’avverbio che mi permetto pronunciare – che alle pratiche di utero in affitto sia trasferita la disciplina giuridica che sta, per il turismo sessuale, già nel codice penale, all’articolo 604; rendere, cioè, punibile anche in Italia una condotta di utero in affitto commessa all’estero, su di un territorio dove quella condotta è consentita.

Senatori e senatrici di questo splendido Senato italiano, possiamo allora vedere come alla fine le distanze non sono poi così tante, perché quella pratica costituisce l’obiettivo di una proibizione che si regge sul diritto naturale – mi sia consentito di affermarlo prima – oltre che su considerazioni che renderebbero il nostro ordinamento giuridico strabico (si valuta in un certo modo una vicenda e una vicenda analoga la si valuta in maniera diametralmente opposta, non seguendo quei criteri di eguaglianza e ragionevolezza che vogliono che vicende simili siano trattate analogamente, nel rispetto addirittura di presupposti di natura costituzionale). Questo è il nostro comune modo di sentire; un modo di vedere – mi sia consentito perché essere sospettati di forme di regressione culturale è un’accusa che ovviamente non fa felice nessuno, soprattutto coloro i quali non avrebbero mai pensato di poter essere catalogati dalla parte dei soggetti che non vogliono la felicità degli altri, che la ostacolano in tutti i modi – che è stato condiviso recentemente in maniera pubblica da un filosofo marxista, Giuseppe Vacca, il quale ha detto le stesse cose che abbiamo detto noi prima. Non è il vezzo di utilizzare una copertura culturale o ideologica che mi induce a fare questi riferimenti: è semmai la voglia di sottolineare la fondatezza delle nostre osservazioni. C’è un collegamento ovvio, inevitabile. Insomma chi si predispone a favore delle adozioni deve sapere che stimolerà le pratiche di utero in affitto congiuntamente a quella sua ulteriore affermazione. I diritti individuali vanno tutelati, ci mancherebbe altro. Da posizioni liberali nessuno può dire cosa contraria rispetto alla tutela del diritto individuale, ma il diritto individuale, in un Paese che conosce la complessità di una dinamica sociale estremamente delicata al riguardo, va coordinato in un contesto di coesione sociale.

Noi non possiamo semplicemente e soltanto dire che ogni diritto va riconosciuto; per quanto riguarda la mia personale convinzione, andrebbero anche riconosciuti i doveri (e i cittadini andrebbero anche richiamati ogni tanto all’osservanza dei doveri). In un contesto di questo genere noi altro non facciamo che rischiare di creare una società ancor più liquida di quella che ci troviamo a gestire con enorme difficoltà, una civiltà che non ha direzionalità, che si limita soltanto ad affermare che siccome una cosa è moderna, siccome l’hanno fatta gli altri, per questa ragione anche noi dovremmo farla, senza nemmeno riflettere, senza nemmeno che queste parole fossero pronunciate all’interno di un’Assemblea, che può certamente rifiutarle e classificarle negativamente, ma che possono determinare una riflessione e anche un’unità delle forze politiche se si individua il giusto punto di equilibrio.

Con queste considerazioni, eccellenti senatori ed eccellenti senatrici, io mi permetto di dire che la storia non si sviluppa sempre e necessariamente per accrescimenti lineari. Noi non possiamo sempre dire che una novità è comunque un fatto positivo, perché allorquando si tratta di disciplinare la struttura antropologica di una futura società non si può semplificare il dibattito dicendo che tutto ciò che rappresenta una modernità è un fatto da condividere, e al contrario ciò che non si iscrive nel quadro delle novità non dovrebbe essere condiviso. Infatti la storia – lo ripeto per l’ultima volta – non si sviluppa per accrescimenti lineari. Abbiamo avuto momenti di gravissimo regresso. Noi che abbiamo vissuto gli anni recenti della nostra storia nazionale lo sappiamo: quante cose ci sono state presentate come necessarie perché i tempi lo richiedevano? E di quante di queste cose ci siamo dovuti, purtroppo, pentire?

Concludo, forse anticipatamente rispetto al tempo che mi è stato assegnato, ma non credo che ciò rappresenti una limitazione per chi interviene, né tantomeno per il contenuto del dibattito.

Il filo rosso del quale parlavo, che lega matrimonio omosessuale, adozioni nel contesto del matrimonio omosessuale e conseguentemente utero in affitto è un legame di tutta evidenza. Se noi riteniamo che l’utero in affitto debba essere proibito in maniera radicale, perché una pratica del genere non diventi lo strumento ordinario di creazione di una famiglia artificiale, con grave sopraffazione per i diritti della donna e con una grave mortificazione della sua natura e della sua funzione sociale, non soltanto dobbiamo impedire queste evidenti connessioni, ma dobbiamo far sì che l’utero in affitto costituisca un reato punibile in Italia ovunque esso sia commesso. (Applausi dai Gruppi AP (NCD-UDC) e LN-Aut).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Buccarella. Ne ha facoltà.

 

BUCCARELLA (M5S). Signora Presidente, quando ho iniziato il mio attivismo, che poi è diventato politico, cercavo di spiegare agli amici e ai cittadini che si avvicinavano cosa stavo facendo raccogliendo firme e diffondendo informazione. Per sintetizzare l’obiettivo del Movimento 5 Stelle, dicevo che il mio sogno era che l’Italia diventasse un po’ più simile a tanti altri Paesi con i quali ci piace confrontarci. Lo dicevo pensando a tanti argomenti come la libertà di informazione, che per il nostro Paese è ancora in basso in tutte le classifiche internazionali, ovvero al livello di corruzione, che nel nostro Paese non è a livelli accettabili se confrontato con gli altri. Pensavamo a sistemi di tutela per i cittadini in difficoltà. E, infatti, stiamo insistendo tanto in ogni sede sul reddito di cittadinanza. Sono tutti strumenti che mancano in questa Italia così stranamente diversa da Paesi a noi vicini.

Tra questi c’erano anche i diritti civili, il tappeto di fondo delle recriminazioni che facevamo anni fa e facciamo oggi in sede parlamentare. Esse rappresentano il vero humus di un Movimento che vuole rivoluzionare pacificamente e democraticamente questo Paese rendendolo, dal nostro punto di vista, un po’ migliore. Non si tratta di copiare esperienze altrui ritenendole, quasi con una sorta di complesso di inferiorità, migliori delle nostre, ma di verificare, per chi ha adottato certe sperimentazioni sociali, economiche e legislative, che effetti hanno prodotto. Il primo quesito che dovremmo porci per dare risposta ad alcune domande, chiaramente strumentali, è se veramente c’è stata una mutazione antropologica delle famiglie e delle società in questi Paesi. Abbiamo detto più volte – lo sanno ormai anche i sassi – che tutti i Paesi europei, e non solo, nel loro ordinamento già hanno il matrimonio egualitario – e ciò vuol dire che le coppie omosessuali si possono semplicemente sposare avendo gli stessi diritti e obblighi tra di loro nei confronti dell’eventuale prole – oppure hanno strumenti analoghi alle unioni civili, che ora vorremmo introdurre, che non parificano neanche nominalmente la disciplina di un rapporto affettivo all’istituto matrimoniale.

Andiamo a vedere questa esperienza non perché gli altri sono più bravi di noi. Credo non possa essere smentita l’osservazione che le mutazioni antropologiche, lo smantellamento della famiglia e la degenerazione della società verso una depravazione o una deriva che vuole assumere atteggiamenti contro natura con l’unione di più persone – ne abbiamo lette e sentite di tutte – o con animali o altro non si sono verificati. Questo dovrebbe essere di conforto per chi si vuole approcciare in maniera pragmatica, serena e ragionevole alla tematica che stiamo affrontando.

Quindi, passo al cuore della discussione, ovvero all’articolo 5 del disegno di legge in esame, che evidentemente contiene l’argomento su cui si sono scatenate le polemiche, molto spesso strumentali. Le definisco così, pur con tutto il rispetto dovuto a chi crede davvero nella propria posizione e a chi ha legittime perplessità. È un rispetto che dobbiamo a chiunque, a qualsiasi cittadino italiano, quale che sia la formazione politica a cui si senta vicino: ciò deve essere fuori discussione. È indubbio però che si debbano scremare le legittime perplessità da un vomitatoio di ipocrisia, che a mio parere ha pervaso anche questa Assemblea. L’ipocrisia è quella di nascondere argomentazioni contrarie al disegno di legge nel suo insieme, nonché all’istituto previsto all’articolo 5, che prevede l’estensione della genitorialità al partner del padre o della madre biologica della coppia. L’ipocrisia traspare quando analizziamo, come in parte è già stato fatto dai colleghi che mi hanno preceduto, gli effetti pratici e razionali della norma che vorremmo introdurre e che estende la possibilità di questa para‑adozione. Ricordiamolo: la cosiddetta stepchild adoption non è un’adozione legittimante e il rapporto che nasce, nasce solamente tra il partner del genitore biologico e il figlio, con l’evidente scopo di aumentare le tutele per il minore (Applausi del senatore Airola). Per favore: diciamolo chiaramente, per cercare di smontare la controinformazione che viene fatta nelle piazze e sui media. Stiamo parlando di uno strumento che serve a garantire i bambini e, dunque, chi ha a cuore veramente la famiglia, la procreazione, la prole e il futuro della nostra società non può che vedere favorevolmente l’intenzione di queste persone, che vogliono mettere in gioco il proprio sé, la propria persona, il proprio futuro e i propri averi a garanzia di un’altra persona che nasce. L’ipocrisia deriva dalla descrizione di situazioni tragicomiche, che deriverebbero dall’approvazione di questa norma: ne parlerò in seguito, ma non cambierebbe sostanzialmente niente rispetto a quello che già accade nei tribunali. Vengono descritti infatti bruti omosessuali, che andrebbero nei Paesi poveri a sfruttare donne in miseria, con le pratiche turpi dell’inseminazione artificiale o dell’utero in affitto.

Ho sempre trovato sgradevole l’espressione «utero in affitto», preferisco la terminologia che parla di gravidanza per altri, o GPA, se vogliamo utilizzare un acronimo. (Applausi della senatrice Cirinnà). La descrizione di questi bruti, che vanno nei Paesi poveri per poi strappare via questo figlio dal seno materno, è tragicomica e per dimostrarlo basta guardare a come in effetti vengono praticate queste operazioni. Abbiamo già detto e lo ribadiamo, che ad utilizzare questo strumento, ad oggi, per quanto riguarda l’Italia, sono in grandissima prevalenza coppie eterosessuali, ovvero coppie che non possono avere figli e che ricorrono a questa tecnica censurabile. Che piaccia o meno, questo è il dato di fatto.

Quindi, c’è questo primo livello di ipocrisia da segnalare: come mai vi svegliate solamente adesso, stracciandovi le vesti e pensando alla tutela di queste povere madri indiane, tailandesi, russe o ucraine, che svendono il proprio corpo per questa turpe compravendita di bambini? Perché lo fate solo ora, che si parla di coppie omogenitoriali? Perché, se non per il motivo che dietro tutto questo c’è un pregiudizio? I pregiudizi esistono nelle società, vanno compresi, concepiti, combattuti o accettati, a seconda del pregiudizio. Questo è un pregiudizio che, secondo me, secondo noi, l’Italia deve superare, così come abbiamo superato in passato altri pregiudizi, che facevano parte del retaggio storico e culturale della società. Anche in questo caso, il pensiero corre ai pochi decenni trascorsi da quando è stato riconosciuto il diritto di voto alle donne. A noi sembra incredibile che, meno di cento anni fa, le donne non potessero votare. Un analogo salto culturale è stato fatto introducendo il divorzio. Anche in quel caso risuonavano nelle Assemblee, nel dibattito politico e sulla stampa scenari apocalittici, che parlavano di mutazioni antropologiche; si diceva che la famiglia sarebbe stata uccisa e ci si chiedeva cosa ne sarebbe stato dell’istituto fondante della società. Si diceva inoltre che era inutile guardare ad esperienze altrui, perché non abbiamo nulla da copiare e nessuno deve insegnare niente a noi, che siamo la patria del diritto.

Abbiamo visto che il divorzio, ad esempio, difeso in quel referendum dalla maggioranza degli italiani, ha comportato alcune necessarie modifiche che il corpo sociale ha vissuto nel corso del tempo e continuerà a vivere. Quindi, non c’è alcuna mutazione antropologica ma la necessità che la legislazione, e quindi la classe politica, affronti in maniera pragmatica e serena le problematiche che via via emergono in un corpo sociale, inevitabilmente in evoluzione, che devono essere affrontate nella maniera migliore, cercando di non essere strumento o vittima di speculazioni ideologiche. Infatti, è quello che rovina tutto. L’ideologia diventa il fine cui bisogna tendere, costi quel che costi, anche a costo di negare l’evidenza e le prove che l’esperienza insegna.

Vale la pena ricordare che questo rischio non esiste. Non solo non stiamo autorizzando nulla di più di quanto già accade ma ricordo che le coppie omosessuali, coppie composte da uomini, evidentemente non possono accedere a queste tecniche in Paesi come l’India, la Thailandia o addirittura in Russia e Ucraina, dove l’omosessualità è ancora un reato. E allora di cosa parliamo? Sappiamo per esperienza che oggi la GPA per le coppie omosessuali viene praticata in alcuni Stati degli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito, molto spesso per fini solidaristici: non c’è alcun compenso, non c’è l’acquisto della donna o del suo corpo. Ripeto, fatto salvo quello che ognuno possa pensare di questa pratica (e anch’io personalmente non ne sono entusiasta) dobbiamo prenderne atto tutte le volte in cui non c’è la costrizione di una volontà o un danno oggettivo fatto a qualcuno.

È ora di superare le ipocrisie e anche di respingere quegli attacchi e quelle strumentalizzazioni forzate di parte del mondo più conservatore, che molto spesso si identifica con settori del cattolicesimo. Abbiamo un’altra occasione per affermare che questo è uno Stato laico. Ci sono legittime convinzioni personali, rivenienti magari da principi religiosi e qui in Aula è stato citato il libro del Levitico, nell’Antico Testamento. Ma veramente dobbiamo regolare le nostre scelte in base a quello che credevano, legittimamente all’epoca, popolazioni mediorientali di 3.000 anni fa? Sgraviamoci da questi pesi, da questi condizionamenti. Affrontiamo la realtà per quella che è.

A proposito di disinformazione o di fraintendimenti, il senatore Giovanardi, adesso assente, ancora una volta, a mio modo di vedere, cerca di avvelenare i pozzi del dibattito, perché ancora oggi parla dell’articolo 29 della Costituzione che, lo ricordiamo, non viene chiamato in causa in questo disegno di legge, parlando di matrimonio che la Costituzione prevedrebbe tra uomo e donna. Cortesemente, andate a vedere cosa dice l’articolo 29 della Costituzione e scoprirete che il senatore Giovanardi continua ad avvelenare i pozzi dicendo e scrivendo cose non corrispondenti al vero.

Comunque, quand’anche non dovessimo arrivare noi a questa conclusione, volta a tutelare il bene dei minori, ci sta già arrivando la giurisprudenza, come è stato detto, sia quella italiana che quella europea. È di pochi mesi fa, ad esempio, una sentenza della Corte d’appello di Milano che nel caso di due donne italiane sposate in Spagna e che poi hanno divorziato, volendo tutelare il figlio comune, ha avallato non già l’adozione non legittimante della stepchild adoption ma l’adozione legittimante, cioè l’adozione vera e propria, perché a questo ci obbligano anche i trattati internazionali che abbiamo sottoscritto.

Pertanto, è un’occasione che il Parlamento italiano non può perdere, dopo più di 30 anni che questo Paese aspetta una legge di civiltà, a tutela soprattutto dei figli e delle nuove vite. Chi sventola la tutela della vita dovrebbe fare una riflessione veramente pacata su questo e addivenire a posizioni non dico un po’ più moderne ma più ragionevoli. (Applausi dal Gruppo M5S e dei senatori Cirinnà e Lumia. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Fattorini. Ne ha facoltà.

 

FATTORINI (PD). Signora Presidente, onorevoli colleghi, voglio con tutte le forze che questa legge sia un’occasione di festa per tutti. Sì, di festa, perché allargare finalmente tutti i diritti, dico tutti, alle coppie che, indipendentemente dal loro orientamento sessuale, scelgono di vivere con responsabilità e amore un rapporto stabile e solidale è una conquista di civiltà per tutti. Ripeto: per tutti.

Abbiamo sentito tutti che la famiglia è cambiata. Ma tutti vogliono essere famiglia e non potrebbe esserci prova più chiara della sua persistenza e resistenza. Eppure, invece di essere festeggiata questa legge è diventata ancora una volta occasione di scontro furioso, di quel bipolarismo etico che speravamo facesse parte di una stagione ormai passata. È invece una paralizzante polarizzazione che non esprime, cari colleghi, non traduce il sentimento della maggioranza delle persone, che nelle esperienze affettive di tutti i giorni hanno meno certezze adamantine, meno blocchi ideologici.

Le stesse comunità omosessuali sono articolate, non monolitiche, non caricaturali, come le rappresentano certe lobby privilegiate e interessate; così come i cattolici non sono tutti conservatori, non si ritrovano più in un modello idealizzato di famiglia modello Mulino Bianco.

Sarebbe stato bello (e spero lo sia ancora) che la politica desse voce e percepisse queste sensibilità dell’Italia reale, invece di essere megafono delle contrapposizioni ideologiche. Infatti, non è stato detto, ma è bene ricordarlo prima che si entri nel vivo delle votazioni, che il ritardo sui temi bioetici in questo Paese non è dovuto allo scontro tra laici e cattolici ma molto di più dall’uso strumentale che la politica ne ha fatto, per calcolo e cinismo, per interesse opportunistico e non per convinzione.

E io voglio sperare che il voto segreto non nasconda queste miserie. Non strumentalizzate, perché noi del Partito Democratico che siamo in dissenso su alcuni punti di questa legge, che ora illustrerò, non facciamo giochetti, siamo trasparenti e abbiamo sempre condotto questa battaglia con trasparenza. Non strumentalizzate quindi voi temi così delicati per calcoli politici.

E veniamo al punto di merito. Molti di noi, laici e cattolici, avevano presentato già all’inizio della legislatura un disegno di legge che prevedeva tutti i diritti alle coppie omosessuali (cioè la prima parte del disegno di legge ora presentato) lasciando fuori il tema delle adozioni, da trattare in un’altra sede. In tutti i Paesi del mondo che ahimè ci hanno preceduto, infatti, queste leggi hanno visto due tappe, come del resto quella tedesca alla quale la nostra si dovrebbe ispirare. La famosa legge lebenspartnerschaft implica due fasi: la prima, quella di tutti i diritti e la seconda, venuta molti anni dopo, quella delle adozioni o, comunque, della registrazione dei figli. Ma così non è stato. Noi abbiamo chiesto questo, ma così non è stato.

Molti di noi in questa Aula e moltissimi nel Paese credono che la stepchild adoption, che è l’esito del nostro dissenso, nella sua versione attuale non si limiti a riconoscere tutti i diritti ai bambini che già vivono all’interno della coppia (come è sacrosanto) e a dare tutti i doveri al partner del genitore naturale (perché è dei bambini avere diritti ed è dei genitori avere doveri). Su questo siamo tutti d’accordo. E lasciatemi dire che è più che irrispettoso attribuire a chi critica l’articolo 5, come facciamo noi, poca considerazione per la tutela dei figli già nati. Questa è una falsità piena. Guardate, ogni polemica è accettabile, ma non strumentalizzare i bambini. Questo io non lo accetto assolutamente.

Chi di noi sostiene l’affido rafforzato (e siamo in tanti) pensa che sia una mediazione che garantisca di più i diritti dei bambini, perché garantisce a entrambi i partner tutte le funzioni genitoriali, anche in caso di morte e di separazione, tenendo presente, per il futuro, non per quelli già esistenti, la differenza fondamentale che esiste tra il crescere i figli e il procrearli, per me una distinzione fondamentale.

Sulla stepchild adoption convergono diverse critiche e perplessità, alcune forti e alcune meno, e di varia natura. Prendo le due più consistenti, che non riguardano certo solo i cattolici.

C’è chi pensa che l’adozione del figlio preesistente legittimi la omogenitorialità, il fatto tanto dibattuto che il bambino avrebbe il diritto ad avere un padre e una madre. Su questo sono diverse le posizioni, tutte legittime. Così come è divisa la comunità scientifica. Anche qui eviterei di brandire l’un contro il pedagogista di turno, che si schiera da una parte o dall’altra. La verità è che su questo le prove sono poche, perché i bambini sono pochi e perché gli esperimenti sono recenti e chi è più serio nella comunità scientifica li sospende. Sono però posizioni entrambe sacrosante.

C’è poi una seconda considerazione critica della stepchild adoption, niente affatto pretestuosa, che per me è essenziale e riguarda il futuro, quella cioè legata al procreare.

L’argomentazione che la stepchild adoption introdurrebbe il ricorso alla maternità surrogata è stata strumentalizzata ai fini di boicottare la legge e questo è inaccettabile, ma che non c’entri, come è stato detto anche autorevolmente negli interventi che mi hanno preceduto, non è vero e si sarebbe più credibili se, criticando questa ipotetica strumentalizzazione, che da parte nostra non c’è, non si rispondesse glissando, dicendo che non c’è nessun rapporto tra la stepchild adoption così come è e la maternità surrogata. È ovvio che vi fanno ricorso in misura maggiore gli eterosessuali, è ovvio che in Italia è negata, è pero altrettanto ovvio che con l’attuale formulazione della stepchild adoption una coppia gay è legittimata come condizione, non come opzione od eccezione, ad utilizzare l’utero di una donna straniera (frutto di sfruttamento o di dono, questo si pone in un altro punto della discussione), tornare in Italia, fare l’unione civile e iniziare le pratiche di adozione. Questo è un dato di fatto.

Se per i bambini già nati non si dovrà mai sindacare la provenienza (ci mancherebbe!), per i bambini futuri i legislatori devono fare uno sforzo di fantasia per trovare la forma ed il modo di intervenire, così come, ovviamente, per le coppie eterosessuali che vi fanno ricorso.

Bisogna essere chiari e franchi su questo, e pochi lo sono stati. Penso, tra i pochissimi, al collega Sergio Lo Giudice, a Ivan Scalfarotto e a Emma Bonino, che con onestà e chiarezza hanno rivendicato che la pratica della maternità surrogata, qualora sia una libera scelta, è non solo accettabile ma da valorizzare. Una posizione chiara, che rimanda a un umanesimo legittimo, ma che non è il mio, che non è il nostro, che non fa parte della tradizione della sinistra italiana, quella umanista e non quella positivista. (Applausi dal Gruppo PD).

Questo dobbiamo dircelo: so benissimo che la maggioranza la pensa in un altro modo e che il lallare del tempo è un altro, però – e mi rivolgo soprattutto alla senatrice Finocchiaro – non possiamo dire che queste scelte fanno parte della tradizione della sinistra.

E allora, delle due l’una: o si ammette che sia giusto procreare – non dico allevare e crescere, che si può discutere – usando il corpo delle donne, posizione che rispetto ma che non condivido, o si trova, tutti insieme, una forma che stigmatizzi queste pratiche firmata da tutti. Abbiamo un emendamento che ribadisce quanto già previsto dalla legge n. 40, una legge che essendo ormai del tutto screditata va rimessa a punto. Facciamolo tutti insieme, naturalmente anche per le coppie eterosessuali, che vi ricorrono maggiormente.

Già sarebbe utile distinguere tra sfruttamento disumano e consenso femminile. Sappiamo che proibizionismo e pene non saranno mai un argine definitivo quando il desiderio diventa così potente da non fermarsi davanti ad alcun limite, ma troviamo – e ringrazio molto la senatrice Finocchiaro di aver capito e aver recepito questa istanza e la sua motivazione forte – una soluzione che stigmatizzi questa pratica, come stanno facendo, a livello internazionale, i movimenti che si battono per i diritti di chi davvero non ha voce e protezione. Perché questa è la scommessa dei diritti, oggi: le nuove battaglie dei diritti stanno lì, non nel proclamarli in modo pletorico ma facendosi carico di chi non ha voce.

È chiaro che alla condanna della procreazione sullo sfruttamento della donna-madre deve seguire un’organica riforma delle adozioni che le faciliti e da fare in tempi certi. La condizione morale e materiale di centinaia di migliaia di bambini nel mondo, di bambini e non di adulti desideranti del nostro mondo ricco, richiede un diverso rapporto con l’infanzia, che non può più essere quello del secolo scorso. Diamo un altro senso alle adozioni, rendendole più aperte. Apriamole, cari colleghi, apriamole con la legge e con il cuore.

Mi avvio a concludere, signora Presidente. Non so come andranno le nostre votazioni. Comunque andranno, voterò questa legge. Per più di due anni ho cercato di migliorarla, di convincere i colleghi ad avere più prudenza e meno confusione sul tema delle adozioni, l’ho fatto insieme ad altri, che qui ringrazio. L’abbiamo fatto con convinzione, in buona fede e con spirito costruttivo.

Non siamo stati ascoltati, a volte addirittura derisi come minoranza residuale, ma sono lo stesso molto contenta di averlo fatto con loro, per avere allargato la riflessione ad alcuni principi irrinunciabili, come quelli della difesa del corpo femminile, e per i diritti concreti dei bambini, per avere segnalato il rischio politico che su temi così importanti occorre tenere unito e non diviso il Paese. Non dunque per pontificare, per togliere diritti, per reprimere ed essere prescrittivi, come ci è stato rimproverato.

Al di là di ogni risultato, se siamo riusciti ad aggiungere anche un minimo o solo un pezzettino di consapevolezza alla nostra discussione, beh, colleghi, sono contenta e molto orgogliosa di averlo fatto. (Applausi dal Gruppo PD).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Pagliari. Ne ha facoltà.

 

PAGLIARI (PD). Signora Presidente, gentili colleghi, sento l’esigenza di rimettere la palla al centro. Una discussione avvitata su se stessa, infatti, ha avuto sia l’effetto di mutilare la portata del disegno di legge, cancellando dal dibattito il titolo relativo alle convivenze, sia quello di far apparire il tema delle adozioni come costitutivo della disciplina delle unioni civili, così inducendo l’idea che chi si oppone o ha dubbi sull’articolo 5 non voglia riconoscere le unioni stesse.

Procedo con ordine. È merito del PD, di tutto il PD, l’aver portato al voto in Aula questo provvedimento che, in linea con gli articoli 2 e 3 della Costituzione, regola le convivenze, completando il quadro ordinamentale di quello che io amo chiamare il diritto dell’affettività. E andando contro corrente, sottolineo che la regolamentazione delle convivenze civili non è meno importante, non solo per l’estensione del fenomeno, di quella delle unioni civili. La disciplina delle convivenze, infatti, offre tutela non solo alle convivenze more uxorio, ma anche alle convivenze di solidarietà, che spesso sono la conseguenza dell’abbandono delle persone da parte dei familiari e della fuga di questi dai loro doveri etici e giuridici. E ancora: la disciplina delle convivenze riconosce, giusto il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione, il diritto delle persone di scegliere il grado di vincolatività giuridica da dare alle proprie relazioni affettive. lo non credo che tutto questo incentivi alla deresponsabilizzazione, ma credo al contrario che aiuti ad una maggiore consapevolezza, oltretutto tutelando la parte debole.

È parimenti merito del PD, di tutto il PD, aver portato la disciplina delle unioni civili al voto in quest’Aula; una disciplina che offre alle coppie omossessuali la possibilità di formalizzare il loro legame e di dare riconoscimento e tutela legale allo stesso. In questo contesto (e non in altri artificiosamente costruiti) si inserisce, quanto alle unioni civili, il tema dell’adozione del figlio del partner. È di tutta evidenza – ribadisco – che discutere questo profilo non significa mettere in discussione il riconoscimento delle unioni medesime, che dell’adozione, al contrario, sono l’ineludibile presupposto. Peraltro, è altrettanto evidente che porre il problema di una disciplina dell’adozione che, in coerenza con la disciplina della legge n. 40, si preoccupi di rendere più effettivo il divieto della maternità surrogata, è iniziativa che, lungi dall’essere oppositiva, si pone il problema di rendere più adeguata la regolamentazione legale delle adozioni medesime.

Muoversi in questo orizzonte, infatti, significa non negarsi il problema della necessità di una normativa non solo e non tanto coerente con il quadro ordinamentale, che prevede il reato della maternità surrogata, ma soprattutto attenta al bilanciamento tra il diritto di essere genitori e quello di essere figli, entrambi riconducibili ai diritti inviolabili dell’uomo, che la Repubblica deve riconoscere e tutelare, ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione. Tale normativa va declinata alla luce del secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione, notoriamente norma fondante della nostra Carta, frutto del superamento della visione illuministica (limitata alla declaratoria legale dei diritti) e che si fonda sul riconoscimento dell’assoluta centralità della persona umana, di ciascuna e di tutte, ponendo così la questione del limite del diritto di ciascuno in rapporto al diritto dell’altro. Questo rende incostituzionale ogni visione assoluta di un diritto, che inevitabilmente sarebbe inconciliabile con il principio fondamentale del bilanciamento dei e tra i diritti, che impedisce che qualcuno, in nome del suo diritto, prevarichi quello di altri. È la città di tutti per tutti: quella degli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale e del pieno sviluppo della personalità umana.

In questo quadro colloco la mia riflessione sull’articolo 5, ossia sulla stepchild adoption. I corni del problema sono riassumibili nel momento seguente. Da un lato mi affido alle parole di chi ha sostenuto che: «Occorre assicurare che chi si prenda cura del bambino adottato abbia la giusta motivazione e abbia anche i mezzi e le capacità per assicurarne una crescita serena. Chi è in tale condizione? Certamente anzitutto una famiglia composta da un uomo e una donna che abbiano saggezza e maturità e che possano assicurare una serie di relazioni interfamiliari (…). In mancanza di ciò è chiaro che anche altre persone, al limite anche i single, potrebbero dare di fatto alcune garanzie essenziali. Non mi chiuderei perciò a una sola possibilità, ma lascerei ai responsabili di vedere quale è la migliore soluzione di fatto, qui e adesso, per questo bambino o bambina. Lo scopo è di assicurare il massimo di condizioni favorevoli concretamente possibili. Perciò, quando è data la possibilità di scegliere, occorre scegliere il meglio».

Dall’altro, rinvio alla seguente riflessione: «È un’epoca in cui ci sentiamo sottoposti a varie minacce, il discrimine tra il naturale e l’artificiale si mescola, non ci sono solo “magnifiche sorti e progressive”. È una deriva per cui la società non esiste ma esistono solo gli individui. Come si fa a dire, per esempio, che avere un figlio è un diritto? Come si può pensare di declinare tutto nella chiave della libertà individuale, come se ciò che accade prescindesse dal modo in cui si compongono le volontà e le coscienze dei gruppi umani?».

Sono le riflessioni di Carlo Maria Martini e di Giuseppe Vacca: le riflessioni di due personalità con storie e culture profondamente diverse, ma mosse con evidenza da quell’onestà intellettuale che non impedisce ad un principe della Chiesa (già nel 2008) di riconoscere che l’adozione non può essere preclusa anche ad «altre persone, al limite anche i single», purché tutto si muova con attenzione all’interesse del bambino per assicurargli «il massimo di condizioni favorevoli», e ad un filosofo marxista di dire che avere un figlio non è un diritto e che non tutto si può declinare nella libertà individuale e nei diritti individuali atomisticamente considerati.

I termini di una discussione realmente laica e costituzionalmente orientata sono, a mio parere, esattamente questi. Su queste basi, come dimostrano anche emendamenti a mia prima firma, riconosco che il partner dell’unione civile possa adottare il figlio dell’altro partner, non per un suo diritto alla genitorialità (che non ha neanche il coniuge), ma se ed in quanto ciò sia nell’interesse esclusivo del figlio.

E aggiungo che, nel contesto di una riforma della legge sulle adozioni, sono convinto che debba essere disciplinata, sottraendola alle possibili oscillazioni della giurisprudenza, anche la legittimazione dei componenti delle unioni civili all’adozione tout court, purché nell’interesse esclusivo del bambino. Come ha ammonito il cardinale Martini, infatti, l’orfanotrofio o la casa famiglia non sono, sempre e comunque, la soluzione migliore in assenza di una coppia eterosessuale di genitori adottivi. Al contrario, l’esperienza concreta porta oggettivamente a constatare la superiore qualità di rapporti personalizzati e stretti e la decisività di questi ultimi per la crescita dei bambini ove manchi la condizione naturale.

Aggiungo anche che, ferme restando tutte le verifiche previste dalla legge sulle adozioni, ho presentato più emendamenti che riconoscono l’adottabilità da parte del partner per i figli già nati. Per il futuro, però, non si può prescindere dalla effettività del divieto della maternità surrogata. Lo dicono in tanti, con sensibilità diverse, con storie diverse, avendo attenzione tanto alla condizione della donna, che affitta l’utero, quanto al bambino così concepito. E sappiamo che, purtroppo, il problema è universale, cioè etero e omo, con le deviazioni che giungono fin alla pretesa di essere madre e genitori senza nemmeno l’onere della gravidanza, fino alla possibilità della scelta a tavolino della madre e del padre biologici da parte dei genitori legali. Summa lex, summa iniuria.

Davvero vogliamo non aprirci laicamente all’evidenza della questione? Davvero vogliamo negarci l’oggettività del tema? Davvero non vogliamo aprirci al dubbio e ammettere che il problema della maternità surrogata vada affrontato in connessione con le stepchild adoption (sia chiaro, pure per le coppie eterosessuali)? Davvero vogliamo ostinarci a credere che una disciplina più analitica, che, riconosciuta l’adottabilità dei bambini già nati, garantisca, per il futuro, una maggiore effettività del divieto della maternità surrogata sia una cancellazione o, peggio, dell’articolo 5? Accettiamo la sfida del confronto, e non della contrapposizione pregiudiziale, e costruiamo in quest’Aula la soluzione: è già scritta in molte riflessioni emerse in questa discussione generale e in tanti emendamenti a questo disegno di legge.

Mi auguro, davvero, che il Senato sappia essere protagonista e sappia realizzare una mediazione alta, nobilitando l’ultimo suo miglio di cammino. (Applausi dal Gruppo PD).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Razzi. Ne ha facoltà.

 

RAZZI (FI-PdL XVII). Signora Presidente, onorevoli colleghi, in relazione all’argomento in analisi, indubbiamente dobbiamo riconoscere due verità appurate: la prima è che lo stato di fatto di due conviventi omosessuali stretti dal vincolo dell’amore vada disciplinato dal punto di vista dei diritti; la seconda è che, comunque la si metta, la questione risulta spinosa anche per i più progressisti quando si parla di minori e di adozioni da parte di genitori omosessuali. Perciò, a queste due verità se ne deve aggiungere un’altra che, a parere di chi parla, è già disciplinata dal diritto e dalla legge ed è protetta rispetto a un qualsiasi altro interesse: mi riferisco ai diritti del minore, alla loro salvaguardia giuridica ed al loro benessere psicofisico. Pertanto, prima ancora dei diritti degli adulti, siano essi etero oppure omo, dobbiamo considerare quelli facenti capo ai bambini, ai figli naturali o adottati che essi siano.

Onorevoli colleghi, noi ci sentiamo competenti al punto tale da assicurare ai bambini adottati da due padri senza una mamma, oppure da due mamme senza un padre, che essi non patiscano turbe di carattere psicofisico tali da menomarne le personalità nel loro normale iter di crescita? Io dico di no. Almeno personalmente mi ritengo digiuno per quanto riguarda qualsiasi implicazione di carattere psicofisico che possa influire negativamente sulla personalità del fanciullo adottato da una coppia omosessuale.

Chi è competente a stabilire tutto questo? Chi deve consigliare oppure sconsigliare vivamente alla politica di legiferare oppure no in questa materia? Quali studi ci offre la scienza per poter confortare nella scelta di una legge, di provvedimenti seri ma giusti, senza fare ulteriori danni al normale sviluppo dei bambini? Personalmente, so che i tribunali per i minorenni sono attentissimi alla tutela dei minori, che prevarica e supera per importanza ed attenzione quella degli adulti; so anche che le decisioni dei giudici tutelari sono imposte dall’irrinunciabile certezza della tutela minorile. Tuttavia, mi scuso ovviamente per la mia ignoranza in questo caso avvalorata da una prassi di vita millenaria (quella cioè in cui vi sono uomo e donna, questo me lo concederete), se la scienza, gli operatori della psicologia infantile, della psichiatria e dei disturbi del comportamento non sono stati interpellati, se da questi non è mai pervenuto uno studio accurato e meticoloso sulle conseguenze comportamentali e caratteriali dei bambini adottati da due genitori dello stesso sesso, non credete che azzardiamo uno sconfinamento di competenze irresponsabile?

Il nostro compito, signori colleghi, è quello di legiferare, di adeguare le normative alle esigenze dei nuovi millenni, all’evoluzione dell’uomo in tutte le sue manifestazioni e quindi anche nelle unioni civili, una volta posto il problema che ha indubbiamente un fondamento; tuttavia, allo stesso tempo non è utile e neanche sensato legiferare ad ogni costo pur di farlo, ignorandone colpevolmente tutte le conseguenze. Sto cercando di dire, onorevoli colleghi, che non è importante e neanche moderno o progressista approvare una legge; l’importante è approvarla secondo i canoni della ragionevolezza e della certezza affinché questa risulti utile, risolutiva e non arrechi danni peggiori in futuro. (Applausi del senatore Giovanardi).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Lo Moro. Ne ha facoltà.

 

LO MORO (PD). Signora Presidente, chiedo fin d’ora di essere autorizzata a depositare il testo scritto, per la necessità di essere sintetica e di rispettare i tempi.

 

PRESIDENTE. La Presidenza l’autorizza in tal senso.

 

LO MORO (PD). Signora Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, la discussione generale sul disegno di legge n. 2081 in materia di unioni civili ha già registrato numerosi interventi, in molti dei quali mi ritrovo pienamente, a partire dalla relazione della collega Cirinnà.

Sono stati richiamati vari articoli della Costituzione: l’articolo 2 in materia di diritti inviolabili dell’uomo, indicato dalla Corte costituzionale come fondamento dell’auspicato riconoscimento giuridico dell’unione omosessuale, l’articolo 3 e l’articolo 29.

Si è detto che sarebbe discriminatorio riservare l’istituto giuridico delle unioni civili alle coppie dello stesso sesso e non estenderlo alle coppie eterosessuali. Non è così. Si parte da una situazione, quella attuale, che esclude le coppie omosessuali dal matrimonio. Si ricorre ad un istituto giuridico ad hoc per queste ultime perché, nell’ordinamento giuridico italiano, il matrimonio come disciplinato dal codice civile è riservato espressamente a persone di sesso diverso. Con l’istituto dell’unione civile si colma un deficit di tutela delle coppie omosessuali, peraltro in adempimento di un obbligo positivo del legislatore, più volte segnalato dalla Consulta. Estendere il nuovo istituto alle coppie di sesso diverso avrebbe significato porre il nuovo istituto in concorrenza con il matrimonio, mettendo in discussione quella centralità dell’istituto matrimoniale che il nostro ordinamento garantisce.

Nel mio intervento sulle pregiudiziali, al quale rimando sul punto, mi sono soffermata sulla giurisprudenza della Corte costituzionale e segnatamente sulla definizione dell’unione omosessuale contenuta nella sentenza n. 138 del 2010.

Oggi vorrei soffermarmi, in particolare, sulla giurisprudenza internazionale della Corte europea dei diritti dell’uomo, con un richiamo anche alla giurisprudenza della Corte di giustizia del Lussemburgo. Si tratta di un aspetto non adeguatamente valorizzato che merita un approfondimento, anche in considerazione del valore che viene attribuito alla CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), che vincola ben 47 Stati, tra cui l’Italia, soprattutto a seguito delle cosiddette sentenze gemelle della Corte costituzionale italiana.

Voglio richiamare innanzitutto, per rendere tutto più comprensibile, le norme della Convenzione su cui si è sviluppata la discussione. Si tratta dell’articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare), dell’articolo 12 (Diritto al matrimonio), dell’articolo 14 (Divieto di discriminazione). A queste norme occorre aggiungere l’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo la quale «Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio».

Passando alla giurisprudenza della Corte, con riferimento alle coppie omosessuali e ai loro diritti, particolarmente importanti sono le sentenze che di seguito si richiamano, insieme ad alcuni significativi stralci, tradotti dal francese o dall’inglese, da sentenze che comunque fanno parte della rassegna depositata agli atti della Commissione giustizia.

Comincio con il citare la causa di Schalk e Kopf contro l’Austria del 24 giugno 2010. La Corte, dopo aver richiamato l’interpretazione tradizionale dell’articolo 12 della Convenzione che riguarda il diritto al matrimonio, fondata sul dato letterale (la norma si riferisce a «l’uomo e la donna»), opera una comparazione tra il predetto articolo 12 e l’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Osserva la Corte (leggo testualmente perché è importante usare proprio i termini che si ricavano dalle sentenze): «Il commentario alla Carta, che è divenuta giuridicamente vincolante nel dicembre 2009, conferma che l’articolo 9 vuole avere un campo di applicazione più ampio dei corrispondenti articoli contenuti in altri strumenti di tutela dei diritti umani. Allo stesso tempo, il riferimento alla legislazione nazionale riflette la diversità delle regolazioni nazionali che spaziano dal riconoscimento dei matrimoni omosessuali al loro divieto esplicito. Facendo riferimento alla legislazione nazionale, l’articolo 9 della Carta lascia decidere agli Stati se permettere o meno i matrimoni omosessuali. Nelle parole del commentario – prosegue la Corte – si legge: che “Si può affermare che non vi è ostacolo al riconoscimento delle relazioni omosessuali nel contesto del matrimonio. Tuttavia, non vi è alcuna disposizione esplicita che preveda che le legislazioni nazionali siano tenute a favorire tali matrimoni”». E su tale presupposto afferma:«Tenuto conto dell’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la Corte non ritiene più che il diritto al matrimonio di cui all’articolo 12 (della CEDU) debba essere limitato in tutti i casi al matrimonio tra persone di sesso opposto. Conseguentemente non si può affermare che l’articolo 12 sia inapplicabile alle richieste dei ricorrenti. Tuttavia, allo stato attuale, la questione se permettere o meno il matrimonio omosessuale è lasciata alla legislazione nazionale dello Stato contraente».

In un altro punto della stessa sentenza si legge che la Corte considera artificioso mantenere il punto di vista in base al quale, a differenza delle coppie eterosessuali, una coppia omosessuale non possa godere di una vita familiare ai sensi all’articolo 8. Conseguentemente, l’unione dei ricorrenti – una coppia dello stesso sesso che coabita e vive in una stabile unione di fatto – rientra nella nozione di vita familiare, così come l’unione di due persone di sesso diverso che si trovano nella stessa situazione. La Corte conclude, quindi, che le vicende del caso in esame rientrano sia nella nozione di «vita privata» sia in quella di «vita familiare», ai sensi dell’articolo 8. Conseguentemente, trovano applicazione, in combinato disposto, gli articoli 8 e 14 della Convenzione. La Corte arriva a tale conclusione partendo dalla premessa che le coppie dello stesso sesso hanno la medesima capacità di quelle di sesso diverso di entrare in una stabile e seria relazione. Pertanto, esse si trovano in una situazione molto simile – dice la Corte – a quella delle coppie eterosessuali per quanto riguarda il bisogno di riconoscimento legale e di protezione del loro rapporto.

Potrei citare un’altra causa, contro la Grecia del 7 novembre 2013, in cui la Corte sostanzialmente ribadisce quanto affermato. Mi soffermo invece sulla causa Oliari e altri contro l’Italia (del 21 luglio 2015). Nella sentenza si legge che la Corte ritiene che la necessità di ricorrere ripetutamente ai tribunali interni per sollecitare parità di trattamento in relazione a ciascuno dei molteplici aspetti che riguardano i diritti e i doveri di una coppia, specialmente in un sistema giudiziario oberato come quello italiano, costituisca già un ostacolo non irrilevante agli sforzi dei ricorrenti volti a ottenere il rispetto della propria vita privata e familiare. E ancora, la Corte ritiene che, in assenza di matrimonio, le coppie omosessuali quali i ricorrenti abbiano particolare interesse a ottenere la possibilità di contrarre una forma di unione civile o di unione registrata, dato che questo sarebbe il modo più appropriato per poter far riconoscere giuridicamente la loro relazione e garantirebbe loro la relativa tutela senza ostacoli superflui.

In sintesi, dalle sentenze della Corte citate, si evince che: le unioni omosessuali sono protette dagli articoli 8 e 14 della Convenzione; alle coppie omosessuali può in astratto essere riferito anche l’articolo 12 della Convenzione in materia di matrimonio, salva la competenza dei singoli Stati a legiferare in questa materia; non vi è l’obbligo di estendere il matrimonio alle coppie omosessuali, vi è però un obbligo positivo per il legislatore di intervenire per disciplinare le unioni omosessuali, con una regolazione non discriminatoria.

La citata giurisprudenza della Corte europea converge con i desiderata e i moniti della Corte costituzionale italiana (nello specifico, faccio riferimento alle sentenze nn. 138 del 2010 e 170 del 2014).

Quanto alla giurisprudenza della Corte di giustizia di Lussemburgo – alla quale accenno soltanto – occorre ricordare come essa, in tutti i casi in cui sia stata investita delle questioni di disparità di trattamento tra il matrimonio e le unioni civili, abbia sempre ritenuto l’insussistenza di ragionevoli motivi che giustificassero tali disparità di trattamento. In particolare, fino ad oggi, è stata ritenuta illegittima la disparità di trattamento con riguardo alla materia fiscale, alle imposte di successione al trattamento dei lavoratori (sussidio di malattia), al trattamento pensionistico, con particolare riguardo all’accesso alla pensione di reversibilità.

Passo quindi all’altro argomento. È molto importante non essere emotivi quando si parla di questi temi, e, anzi, mi fa piacere avere affidato a riflessioni scritte questo mio pensiero.

Con riferimento al tema dell’adozione del figlio del partner e dell’adozione in generale, va segnalato che nella giurisprudenza della Corte europea non emerge un obbligo di garantire l’adozione agli omosessuali (singoli o in coppia) ma, se l’adozione è prevista per i single, questa deve essere garantita indipendentemente dall’orientamento sessuale. Lo si legge scritto in particolare in una sentenza contro la Francia del 22 gennaio 2008 (ricorrente E.B.). Scrive la Corte che le autorità interne, per rigettare la domanda di adozione presentata dalla ricorrente, hanno operato una distinzione basata su considerazioni riguardanti l’orientamento sessuale, distinzione che non può essere tollerata in base alla Convenzione. Vi è quindi violazione del combinato disposto degli articoli 8 e 14 della CEDU. Ancora, se è consentita l’azione per le coppie conviventi di sesso diverso, deve esserlo anche per le coppie dello stesso sesso.

Cito un’altra sentenza contro l’Austria (ricorrenti X e altri) del 19 febbraio 2013. Si legge nella sentenza: «In conclusione la Corte ritiene che vi sia stata una violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione, poiché la situazione del ricorrente è equiparabile a quella di una coppia eterosessuale non coniugata nella quale uno dei partner desidera adottare il figlio dell’altro». Inoltre, c’è sempre attenzione all’interesse del minore, che deve prevalere su ogni altra considerazione. Nello stesso senso si era d’altra parte orientata la Corte costituzionale in materia di riconoscimento dello status filiationis dei figli incestuosi con la sentenza n. 494 del 2002. In sintesi, i principi che se ne ricavano sono quello di non discriminazione degli omosessuali e quello dell’interesse superiore del bambino.

Ci sono state polemiche negli ultimi giorni, a seguito di un messaggio pubblicato su Twitter dal segretario generale del Consiglio d’Europa e di un’intervista all’ANSA del commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa. C’è chi ha vissuto questi interventi come un’interferenza. In realtà, il commissario dei diritti umani e il segretario generale del Consiglio d’Europa non hanno fatto altro che richiamare la giurisprudenza della Corte europea.

Mi avvio alle conclusioni – del resto c’è il testo scritto – richiamando la sentenza della Cassazione n. 4184 del 2012. Questa sentenza testimonia due cose importanti: che l’interpretazione delle norme può evolversi nel tempo e che le innovazioni introdotte dalla giurisprudenza internazionale della Corte europea, se rappresentano una risposta a singoli casi, non possono non incidere sul sistema giuridico dei singoli Stati.

Siamo in grave ritardo sui temi affrontati dal disegno di legge n. 2081. Dobbiamo procedere senza pregiudizi, ricordando che, come si legge nella sentenza della Corte costituzionale che ho richiamato poco fa, la Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti. Ben venga dunque il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, con connessi diritti e doveri. Ben venga una normativa che tenga distinti unioni civili e matrimonio, anche se personalmente la trovo fuori tempo. Evitiamo però mediazioni al ribasso che portino a soluzioni irragionevoli e discriminatorie. Non riconoscere l’adozione del figlio del partner dell’unione civile mentre per via giudiziaria la si sta riconoscendo per le coppie omosessuali, ancor prima dell’approvazione della normativa sulle unioni civili, sarebbe discriminatorio e soprattutto lesivo dell’interesse superiore del bambino al riconoscimento formale di un vincolo familiare che già esiste nella realtà. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Fasano. Ne ha facoltà.

 

FASANO (FI-PdL XVII). Signora Presidente, la mia sarà una testimonianza su un argomento che, come tutti sappiamo, sta dividendo non solo Parlamento, ma l’intero Paese. Svolgerò alcune considerazioni molto semplici e dirette per dichiarare il mio voto contrario al provvedimento in esame.

Personalmente, senza avere la pretesa di reiterare il dettato costituzionale, vorrei ribadire che durante i lavori preparatori della Carta costituzionale la questione delle unioni omosessuali rimase non dico del tutto estranea, ma assai marginale al dibattito benché non fosse certo sconosciuta ai Costituenti, che, elaborando l’articolo 29, tennero conto di un istituto che aveva una precisa conformazione e un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. Essi ebbero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile ed entrata in vigore nel 1942 che stabiliva e tuttora stabilisce che i coniugi devono essere di sesso diverso. Ciò è stato ribadito da alcune sentenze della suprema Corte, ma anche recentemente nel 2015 da una pronuncia del Consiglio di Stato, in cui si afferma che il matrimonio tra persone dello stesso sesso deve intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate con i diritti e gli obblighi connessi, proprio in quanto privo dell’ineludibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che si configura quale connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio. In questo senso, l’articolo 29 della Costituzione è chiaro e si riferisce al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto. In un’altra sentenza del 2010 la Corte costituzionale stabiliva che la coppia deve essere di sesso diverso e che l’unione tra persone dello stesso sesso rappresenta anche qui una formazione sociale non idonea a costituire una famiglia fondata sul matrimonio per l’imprescindibile finalità procreativa del matrimonio. E oggettivamente ritengo che, in sede di discussione per l’approvazione di una nuova norma, non si possa prescindere da questi importanti paradigmi richiamati dalla Corte costituzionale. Più in generale, devo dire che ho ascoltato molti interventi in questo dibattito e vorrei ricordare quello pregevole di una collega, di cui non ricordo il nome, in cui si richiamava l’attenzione di tutti sul fatto che il mondo cambia. Ce ne rendiamo conto: nessuno di noi vive sulla luna. Il mondo cambia e, per fortuna, cambierà, ma credo che non possa cambiare il fatto che la famiglia si fonda sul papà e sulla mamma. Se dovesse cambiare pure questo, sarebbe un mondo in cui avrei difficoltà a vivere. Lo dichiaro personalmente e senza enfasi: questa è una mia convinzione personale e di coscienza, che rappresento all’Assemblea.

Ci sono un po’ di confusione e un po’ propaganda anche sul richiamo all’Europa e al fatto che ce lo chieda l’Europa. Non mi risulta, infatti, che esistano disposizioni che trasferiscono all’Unione europea le competenze in materia di diritto di famiglia nazionale. Il diritto di famiglia sostanziale è competenza esclusiva degli Stati membri. L’Unione europea ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri, ma da ciò non deriva assolutamente l’imposizione di provvedimenti simili a quello che stiamo esaminando.

A mio avviso, in questo provvedimento esistono delle analogie inaccettabili. Ciò riguarda anche la simbologia: per la costituzione di una unione civile sarà necessaria la celebrazione di un rito davanti ad un ufficiale di stato civile, alla presenza di testimoni e si renderà una promessa di impegno, così come accade nel matrimonio. Sarà data, dunque, lettura degli articoli del codice civile, da cui deriverà l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione, così come nel matrimonio. I coniugi potranno altresì stabilire di assumere un cognome comune, avranno diritto alla pensione di reversibilità, godranno del medesimo regime patrimoniale e successorio che il codice civile riconosce ai coniugi e, come se ciò non bastasse, il provvedimento prevede che tutte le disposizioni che si riferiscono al matrimonio si applicheranno anche lessicalmente, prevedendo le parole: «coniuge-coniugi».

Per quello che mi riguarda, si tratta di un’equiparazione sbagliata, ingiusta e dannosa, poiché crea giuridicamente nuovi modelli familiari. In precedenza si è detto – ed è vero – che ci sono più famiglie e che vanno tutelate anche queste realtà e queste domande nuove che il mondo moderno ci affida. Questo non significa che tutto ciò debba andare a scapito della maggioranza delle famiglie, che si riconosce in certi valori. Quindi, sono contrario, perché ciò aprirà la strada a una ridefinizione del concetto di famiglia, che finirà sicuramente per depotenziare la vera famiglia. Per essere chiaro, si dirà che le famiglie sono tante e si finirà per non averne più nessuna. Successivamente, l’unione civile definita «specifica formazione sociale» diventerà, a mio avviso, un pretesto – come è stato ampiamente dibattuto – per prevedere l’adozione del figlio naturale o adottivo di uno dei due partner. Ciò è assolutamente inaccettabile, sia perché – come richiamato da tante colleghe e colleghi – si rafforzerebbe la pratica della fecondazione eterologa e si aprirebbe la strada alla pratica immorale ed inaccettabile dell’utero in affitto, come in tanti abbiamo detto.

I promotori, alcuni almeno, di questo provvedimento sostengono di voler far riconoscere i diritti di cui godono le coppie eterosessuali coniugate per rimuovere inaccettabili disparità. Tale rivendicazione, che appare innocua e persino giusta, in alcuni casi diventa una pretesa profondamente iniqua perché nasconde un fine non solo simbolico, ma persino ideologico. A mio giudizio, essa tutela solo ed esclusivamente i desideri di alcuni adulti e non tiene in alcun conto i diritti dei più piccoli, ai quali nega quello più naturale di questo mondo: quello di avere per genitori un padre e una madre.

Personalmente non nego alcun diritto individuale, già riconosciuto ampiamente nell’attuale ordinamento giuridico, ma qui siamo di fronte ad una vera ingiustizia, peraltro incostituzionale perché due fattispecie strutturalmente differenti come unioni civili e matrimonio sono forzatamente disciplinate allo stesso modo.

L’adozione, anche se non dovesse essere inserita o, come si pensa in queste ore, stralciata, non tarderebbe ad essere riconosciuta legittima, come purtroppo accaduto in altri Stati, dalle Corti di giustizia.

Infine ricordo a me stesso che in Italia la pratica dell’affitto dell’utero e vietata ma non lo è in atri Paesi ed è già accaduto che non sono stati puniti dai giudici coloro che sono tornati dall’estero con bimbi in braccio frutto di utero in affitto. È già accaduto ed è stata solo punita la falsa dichiarazione genitoriale dei piccoli per cui anche su questo delicatissimo aspetto indulgere a testi poco chiari è gravissimo.

Confermo pertanto il mio voto contrario per gli argomenti che ho testé illustrato. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore De Poli. Ne ha facoltà.

 

DE POLI (AP (NCD-UDC)). Signora Presidente, cari colleghi, nel mio breve contributo in questa fase di discussione del disegno di legge sulle unioni civili che è all’esame del Parlamento, oggi intendo richiamare la vostra attenzione sull’importanza di dare un prospetto valoriale al provvedimento di cui stiamo discutendo.

Intorno al dibattito su questo disegno di legge tante parole sono state spese. Quella maggiormente ricorrente è: «diritti». Ma diritti di chi? Degli adulti. Come quello degli adulti ad avere un figlio. Ma nessuno parla dei diritti dei più piccoli, dei bambini. Il punto forse più dibattuto di questi giorni, nell’ambito della discussione di questo disegno di legge, è proprio quello che riguarda le adozioni da parte di coppie dello stesso sesso. Questo disegno di legge, nato per il riconoscimento dei diritti dei singoli e delle unioni tra persone dello stesso sesso da una parte e delle convivenze di fatto dall’altra, ha perso la sua natura originaria introducendo un altro diritto, quello alla genitorialità, che è assolutamente inopportuno e fuori dall’ambito legislativo di cui oggi stiamo dibattendo.

Con l’introduzione delle adozioni da parte di persone dello stesso sesso, o della stepchild adoption, questo disegno di legge ha snaturato il ruolo di riconoscimento dei diritti civili della convivenza. Oggi il Parlamento, dunque, è chiamato a rivedere e decidere le ingiustificate trasformazioni che con questo disegno di legge, appunto, rischiano di affossare i diritti dei singoli e delle persone.

Dobbiamo farlo a maggior ragione dopo la grande partecipazione alla manifestazione tenutasi al Circo Massimo sabato scorso. La piazza del Family Day ci chiede di difendere l’unicità della famiglia, ci chiede, e su questo punto ritornerò a breve, di rispettare i dettami previsti dalla nostra Costituzione. La famiglia è un istituto che oggi non può assolutamente essere confuso con quello delle unioni civili.

E vengo ora brevemente ai tre no sul disegno di legge Cirinnà: il primo no è all’equiparazione dell’unione civile con il matrimonio. Non si possono creare confusioni nominalistiche. Farlo equivarrebbe a svilire il valore della famiglia tradizionale e del matrimonio che è difeso, come sappiamo, dalla nostra Carta costituzionale. Ritengo significativo aver configurato come specifica formazione sociale le unioni civili ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione che recita: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

Tuttavia, ritengo indispensabile rafforzare e tenere divisi i due istituti, per evitare confusione. L’istituto del matrimonio, come recentemente ha dichiarato Papa Francesco, non può essere confuso con altre situazioni, che pure vanno disciplinate. Si tratta di un orientamento in sintonia con il sentire del Paese, che guarda alla famiglia come a un valore da tutelare e non da stravolgere.

In questo dibattito, superando le divisioni ideologiche ritengo indispensabile per tutti avere come punto di riferimento la Costituzione. La Carta costituzionale deve essere il faro del Parlamento nel delicato compito dell’attività legislativa.

È innegabile che sia in atto nel Paese un grande cambiamento culturale. Ritengo, personalmente, che sulla scia del grande atteggiamento di apertura su alcuni temi, anche da parte della chiesa, sia positivo che l’Italia si dia una legge che deve avere solo e esclusivamente l’obiettivo di rimuovere le discriminazioni attualmente esistenti e non di introdurre il diritto alla genitorialità.

E qui mi ricollego al secondo no, che è quello alle adozioni gay. L’articolo contestato è l’articolo 5 che consente di adottare un figlio biologico del partner anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso. Cito questo riferimento legislativo non a caso, perché questo ci fa capire che questo provvedimento si è trasformato in qualcos’altro. Siamo passati dal riconoscimento delle unioni civili al riconoscimento legislativo della genitorialità delle persone dello stesso sesso, che è in contrasto con i principi dettati dalla Costituzione e da una sentenza della Consulta, la n. 138 dell’aprile 2010, secondo cui matrimonio e famiglia possono essere attribuiti in via esclusiva all’unione di due persone di sesso opposto.

Ecco perché noi diciamo no alle adozioni. I desideri degli adulti non possono trasformarsi in diritti. Il diritto alla genitorialità non può prevaricare sul diritto del bambino ad avere una mamma e un papà.

L’articolo 5 apre un varco pericoloso, anche per la conseguente pratica dell’utero in affitto. Mai, nella storia repubblicana, è stata introdotta una norma che sancisce il diritto alla genitorialità senza minimamente tenere conto dell’interesse del minore.

È notizia della scorsa settimana un autorevole parere espresso dal presidente della Società italiana di pediatria, Giovanni Corsello (per carità, a titolo personale): «Non si può escludere che convivere con due genitori dello stesso sesso non abbia ricadute negative sui processi di sviluppo psichico e relazionale nell’età evolutiva».

Nessuno di noi vuole fermare questo disegno di legge che, originariamente, aveva un obiettivo (il riconoscimento dei diritti dei singoli) e, invece, ora sembra perseguirne un altro: il riconoscimento, appunto, del diritto alla genitorialità. Noi questo obiettivo non lo condividiamo. Si rendono necessarie profonde correzioni che, tra l’altro, come ho sottolineato poco sopra, sono auspicate da autorevoli costituzionalisti. Lancio un appello: cogliamo l’occasione di questo dibattito su un tema così delicato e divisivo per modificare il disegno di legge in questi punti: stralciando la parte relativa alla stepchild adoption e, di conseguenza, alla pratica dell’utero in affitto; garantendo i diritti previsti dalla Costituzione per il matrimonio, rafforzando e tenendo distinti i due istituti (matrimonio, da una parte, e unioni civili dall’altra).

I diritti dei figli, dei più piccoli, non possono essere subordinati e schiacciati dai diritti della coppia, qualsiasi essa sia: eterosessuale o omosessuale. Quest’Assemblea ha il dovere, a mio modesto avviso, di non lanciare un messaggio omofobo al Paese! Il nostro messaggio è molto semplice: rimettiamo al centro gli interessi del minore.

 

Presidenza del vice presidente CALDEROLI (ore 14,29)

 

(Segue DE POLI). Ripartiamo da qui per correggere e modificare il disegno di legge sulle unioni civili. Rimettiamo al centro la dignità della donna. E qui arrivo al terzo punto. Il terzo no è all’utero in affitto.

Come abbiamo letto dai giornali, a Parigi, non nell’altra parte del mondo, ma nella vicina Francia, nella sede dell’Assemblea Nazionale, è stata lanciata la Carta per l’abolizione universale della maternità surrogata. Si tratta di un documento che chiede la messa al bando globale della pratica dell’utero in affitto. La procreazione, cari colleghi, non si può trasformare in un mercato.

Al di là delle convinzioni religiose e personali di ciascuno, sono convinto che dietro questa sacrosanta battaglia ci sia il diritto della donna a non trasformarsi in un oggetto di mercato.

Così come un bambino non può essere ceduto come se fosse una cosa, allo stesso modo il corpo di una donna non può essere oggetto di baratto, come se fosse una merce. Difendiamo la dignità delle donne!

Sono convinto che dietro questo disegno di legge – e mi avvio alla conclusione – si celi una cultura fortemente individualista, estremamente egoista e non cattolica. Forse non è un caso che chi difende questo provvedimento spesso dica: adeguiamoci agli altri Paesi del mondo e dell’Europa! Guarda caso, facendo riferimento a culture dove l’individualismo più sfrenato ci riporta indietro di mille anni.

I bambini non possono essere ignorati, non rottamiamo la famiglia e diciamo i tre no per difenderne il primato e l’unicità e per garantire i diritti di tutti i bambini. (Applausi dei senatori Romano Lucio e Di Biagio).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Manconi. Ne ha facoltà.

 

MANCONI (PD). Signor Presidente, senatrici e senatori, l’intervento, di poco precedente, della senatrice Lo Moro mi esime dal ricorrere ad alcuni argomenti giuridici e ad alcuni riferimenti costituzionali che la senatrice ha saputo utilizzare con grande puntualità e competenza. Posso dunque tentare un ragionamento assai differente.

Sono tornato in Parlamento, dopo un lungo intervallo di tempo, nel 2013. Già senatore nel periodo tra il 1994 e il 2001, mi capitò allora la fortunata opportunità di presentare uno dei primissimi disegni di legge, forse il secondo dopo quello della senatrice Alma Cappiello, in materia di unioni civili. Dico questo perché tale circostanza mi consente di osservare con una certa attenzione le trasformazioni intercorse nella società nazionale tra la metà degli anni Novanta ed oggi, i grandi mutamenti nell’opinione pubblica e quella consapevolezza, oggi così matura, sul tema in questione.

Tuttavia, scorgo la riproduzione di un rischio ricorrente: il rischio è ancora quello di una sorta di falsa rappresentazione di un conflitto simulato tra due schieramenti fittizi, l’uno che si vorrebbe titolare esclusivo – questo è il punto: titolare esclusivo – di valori forti, di una concezione morale e di principi non rinunciabili né negoziabili e, all’opposto, uno schieramento che si concentrerebbe interamente su interessi parziali, circoscritti, di minoranza e, nella migliore delle ipotesi, di una sommatoria di minoranze.

Da una parte, dunque, l’etica e, dall’altra, il desiderio. Per un verso, una concezione ispirata da valori morali e, all’opposto, una concezione tutta di natura edonistica, consumistica, alla resa dei conti egoistica, della vita e delle relazioni sociali. Ecco, questo è il cuore della falsa rappresentazione che rischia di dominare la discussione pubblica, perché io penso l’esatto contrario. Penso che nella domanda di unione civile ci sia e possa esservi una forte istanza morale.

Cos’altro è, se non un’istanza morale, quella che motiva un’unione che si affida alla reciprocità, alla mutualità, al vicendevole affidamento, all’assistenza, alla proiezione nel tempo, alla stabilità e, infine, alla coniugalità e alla genitorialità? E non è tutto questo forse la base morale di una relazione e di un’unione civile? Non è forse questo un fattore che può contribuire a rafforzare la coesione della comunità e a ridurre il disordine sociale?

Ecco, è questa una delle molte ragioni che mi inducono a ritenere come essenziale il disegno di legge in questione e a criticare incondizionatamente l’ipotesi che vorrebbe lo stralcio del capitolo sulle adozioni e l’amputazione, dal disegno di legge Cirinnà, di quella sua parte così significativa. Ritengo che chi persegue questa ipotesi riveli una sorta di impostazione economicistica, un’impostazione che propone uno scambio tra le garanzie materiali e sociali da un lato e la rinuncia al riconoscimento giuridico-morale dell’unione civile dall’altro; uno scambio, cioè, tra garanzie patrimoniali, previdenziali, ereditarie, fiscali, assicurative e amministrative e un’idea parziale e dimidiata della condizione omosessuale. Una condizione che, secondo questa impostazione, si presenterebbe come inevitabilmente monca; una condizione omosessuale che non prevede un cittadino intero e una persona intera, titolari di una dignità piena, senza eccezioni e senza deroghe, ma all’opposto presuppone una condizione omosessuale ridotta alla sua dimensione sociale e materiale e dunque priva di quei requisiti e di quei diritti che costituiscono il tratto proprio dell’unicità della personalità umana e della sua irripetibilità. (Applausi dal Gruppo PD).

Ecco, questo è il punto cruciale; io credo che sia questo il nodo che dobbiamo considerare e il punto sul quale dobbiamo riflettere ed impegnarci. Se noi non consideriamo questo tratto essenziale della personalità umana, che si traduce in una domanda e in un diritto all’affettività e alla pienezza emotiva, alla sessualità e al sentimento, alla genitorialità e alla coniugalità e a quel pezzo di felicità condivisa che ci è consentito, quel pezzo così limitato e gracile che ci è permesso in questo nostro mondo, alimenteremo comunque l’idea di un omosessuale dimidiato. Ed è quello che appunto non possiamo permettere con un provvedimento di legge; dobbiamo operare esattamente in una direzione opposta.

È per questo che lo stralcio significherebbe non solo accettare questa riduzione dell’omosessuale alla sua dimensione sociale e materiale (sacrosanta, legittima e da tutelare attraverso diritti adeguati, ovviamente essenziali); ma altrettanto inevitabilmente una simile impostazione ridurrebbe l’unione civile ad un mero contratto privato e dunque lo neutralizzerebbe di ogni suo contenuto morale, che è ciò che poi costituisce il cuore della domanda di unione civile come si è manifestata in questi anni.

Ecco, se noi consideriamo tutto questo, ci renderemo conto che la discussione pubblica in atto è, certo, un grande dibattito culturale e politico che richiama dilemmi morali e visioni del mondo, ma è in primo luogo, innanzitutto e soprattutto, un grande tema di uguaglianza e di pari dignità. E quella che può apparire una problematica di pochi, qualcosa che statisticamente riguarda alcune migliaia di persone, si rivela alla resa dei conti una questione di libertà per tutti. Siamo allora di fronte a una classica controversia: quella sul diritto ad avere diritti, ovvero sul fondamento stesso dell’idea di democrazia. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

Signor Presidente, chiedo di poter allegare il mio intervento scritto ai Resoconti della seduta odierna.

 

PRESIDENTE. La Presidenza la autorizza in tal senso.

È iscritto a parlare il senatore Mineo. Ne ha facoltà.

 

MINEO (Misto). Signor Presidente, vorrei cominciare il mio intervento segnalando all’Aula un paradosso: tante volte, quasi sempre, nel corso della legislatura il Governo e i partiti hanno sequestrato la volontà e la possibilità di voto di questo Parlamento, di questa Assemblea imponendo loro con vari metodi – non li ripeterò perché li conoscete benissimo – i loro punti di vista. Questa volta no: questa volta Governo e partiti dicono a questo Senato, che fra qualche mese non sarà più tale, e ai senatori: sbrigatevela voi, decidete voi la sorte della legge sulle unioni civili, decidete voi se il partner debba avere o no la facoltà di adottare il figlio del compagno o della compagna omosessuale. È un paradosso, senza dubbio, ma davanti a una questione di coscienza ed etica si dice che bisogna lasciare libertà di coscienza.

Se però continuiamo nell’analisi, dobbiamo dirci con franchezza che questa è la conseguenza di una trasformazione del dibattito sulla legge Cirinnà in qualcosa di altro: non un dibattito su un provvedimento che vuole allargare alle coppie omosessuali diritti che sono già delle coppie sposate, eterosessuali; che vuole garantire anche al figlio di un omosessuale, che viva con un compagno dello stesso sesso, di poter dire a scuola «ho due genitori» e di poter spiegare che quella persona che lo sta accompagnando non è un estraneo, ma è l’altro papà o l’altra mamma, in una famiglia che lo ama come il papà o come la mamma naturale. Questo era l’intento della legge Cirinnà. Ma non di questo si parla, non dell’allargamento dei diritti: si parla della questione sostanziale e, cioè, della famiglia.

La famiglia patriarcale è in crisi e si potrebbe dimostrarlo con poche parole. Credo che persino il senatore Giovanardi sappia che la famiglia patriarcale è in crisi in tutto il mondo. D’altra parte – sapete – quel tipo di famiglie che trovate nella Bibbia funziona se c’è un’eredità da trasmettere, fosse anche un tetto sotto il quale ripararsi, oppure due pecore che si passano di padre in figlio.

Ma quando si va a una proletarizzazione di massa dei ceti medi, come sta succedendo nell’Occidente, quel ruolo della famiglia obiettivamente cambia. Le componenti affettive e culturali, l’impegno all’educazione dei figli diventano molto più importanti della trasmissione dell’eredità, che si passa a qualcuno che è di tua proprietà, avendo i geni e l’eredità biologica di tuo padre, di tuo nonno, del tuo bisnonno che a loro volta ti hanno trasferito le loro proprietà.

Questa crisi c’è dovunque nel mondo, ma non tocca a noi, non tocca a quest’Aula dire quale sarà la famiglia del futuro. Non tocca a quest’Assemblea dire se in futuro evolveremo verso altri tipi di convivenza. Mentre è di questo si sta parlando sui giornali. E se voi chiedete alle persone che seguono distrattamente – com’è naturale – il nostro dibattito, vi diranno che di questo si parla. Io ho incontrato una amica ebrea sefardita che mi ha detto di essere molto d’accordo sui diritti degli omosessuali, che devono avere gli stessi diritti degli altri, ma ha aggiunto: «Attenzione, il figlio fabbricato è una cosa che mi preoccupa». E non preoccupa anche me? Le manipolazioni della specie umana non preoccupano anche me?

Io vengo da una tradizione liberale e marxista – vi sembra un ossimoro, ma non lo è – nella quale mi è capitato di discutere quasi cinquanta anni fa (anzi quarantacinque anni fa) di un gruppo di intellettuali che viveva a Parigi, che pensava che la natura dell’uomo – che cambia nel tempo, ma molto lentamente – si potesse cambiare con un’azione di tipo volontaristico. Ne sono venuti fuori dei guai spaventosi. Alcuni di questi intellettuali hanno provato le loro teorie in Cambogia, dove c’erano Pol Pot e altri, e sapete che disastro ne è venuto fuori.

Sono immunizzato rispetto all’idea che si possano prendere a calci la storia e il cambiamento della natura umana o del rapporto dell’uomo con la natura e, quindi, ho i miei dubbi sul tipo di famiglia che sarà in futuro. Chiederei – e chiedo, per esempio – a un amico omosessuale per quale motivo vuole trasmettere al proprio figlio le tare e i meriti della sua famiglia di origine, piuttosto che vivere e accudire come figlio uno che ha i meriti e le tare di una tribù africana o di una storia italiana non fortunata per cui è stato abbandonato in un istituto. Il mio amico (o la mia amica) omosessuale mi risponderebbe che non glielo fanno adottare e su questo avrebbe largamente ragione. Tuttavia, mi pongo un problema rispetto al fatto che la nuova famiglia debba essere per forza segnata da un rapporto biologico con i figli.

Sono padre di quattro ragazzi che adoro a prescindere dall’eredità biologica che talvolta riconosco o credo di riconoscere nei loro visi o nei loro comportamenti e, quindi, ho delle posizioni che potrebbero consentire un dibattito franco, interessante, culturale, filosofico, con alcune obiezioni che dal mondo cattolico (per parlare di quel mondo) vengono alle nostre tesi o a quelle che sono oggi nel dibattito politico culturale del Paese. Ma il punto è un altro, ed è che in questa sede stiamo discutendo non di ciò, ma – come ha detto benissimo la senatrice Lo Moro – di diritti. E, pertanto, vi dico che una sentenza della Corte suprema americana, che sicuramente con una maggioranza fortemente di destra non dà per morta la famiglia patriarcale, non ignora che ci sono milioni di cristiani fondamentalisti negli Stati Uniti e non chiude la porta al loro sentire, alla loro cultura e, quindi, non gli impone un modello di famiglia o di genitorialità, afferma che i diritti sono un’altra cosa e non possono essere negati.

A questo riguardo vorrei dire ad alcuni colleghi della destra, anche raffinati, che però tradiscono la loro stessa origine – penso al collega Malan, che è di origini valdesi, e io conosco bene le posizioni di molti valdesi italiani al riguardo – che i diritti evolvono nel tempo e sono il risultato di contratti. Il diritto che deriva da Dio è un qualcosa che è finito con la grande rivoluzione del 1789. Il diritto è il risultato di un contratto libero stipulato da cittadini, che tiene conto della evoluzione lenta del rapporto dell’uomo con la natura – l’uomo cambia natura, la cambia profondamente – dell’umanità dell’uomo, del suo processo di umanizzazione, dei rapporti che l’uomo costruisce con altri individui e – se volete, con una digressione marxista – del processo di individuazione dell’individuo che libera l’umano che è nell’uomo o il divino che è nell’uomo.

Questa è la questione di fondo. Il punto è se si possono negare diritti alle persone. Io credo di no. Se due persone si amano, vivono sotto lo stesso tetto, si sostengono l’una con l’altra, come facciamo noi a dire loro: «No, voi non avete gli stessi diritti di una coppia sposata»? Come facciamo a negare loro questi diritti? Se un bambino è figlio naturale di un omosessuale che convive con il partner, come facciamo a dire a quel bambino: «No, noi la tua situazione non la riconosciamo. Ti devi vergognare di vivere in questa condizione, tu sei un paria»? Questa è la questione della legge Cirinnà.

Noi siamo caduti in questo pasticcio per il nostro opportunismo. Se avessimo avuto il coraggio di chiamare questa legge non «unioni civili», ma «matrimonio», come fanno gli americani e i francesi, probabilmente si sarebbe capito meglio che stavamo parlando di un diritto e non di un cambiamento sociale e culturale che non possiamo improvvisare. Non stavamo parlando neanche di valori, come si fa finta di credere nel nostro dibattito politico.

Se avessimo evitato quei bizantinismi – ho seguito i lavori in Commissione, dove si è parlato di «formazione sociale specifica»: ma che vuol dire? – avremmo probabilmente evitato lo scadere nel sostanzialismo etico, che non è quello che vogliamo e che impedisce tra di noi il dibattito.

Se non avessimo parlato di stepchild adoption, ma avessimo detto semplicemente: signori, ci sono bambini che già oggi vivono questa condizione, cosa vogliamo fare nei loro confronti? Vogliamo trattarli come paria o vogliamo dar loro gli stessi diritti dei loro compagni di scuola? Forse avremmo evitato lo scadere in una dimensione di tal genere.

Vorrei dire che la società italiana non è divisa sui diritti. È evidente che, se diamo una rappresentazione falsa delle questioni che stiamo discutendo, le divisioni e le preoccupazioni emergono, ma, come vi dicevo, emergono in molti di noi, sono trasversali a tutti i partiti e a tutte le forze politiche e dovremmo affrontarle con una serena e seria discussione ideale, culturale e politica.

Per quanto riguarda la proposta di legge Cirinnà, ovviamente voterò a favore, anche per la possibilità di adozione da parte del partner omosessuale del figlio naturale del suo compagno o della sua compagna. Questa, infatti, è la stessa questione – vi prego di leggerle, sono sei righe – che è stata affrontata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti ed è stata risolta esattamente così, come doveva essere risolta, come una pura questione di diritto.

Se noi, essendoci impelagati in una discussione sostanzialista, ipocrita, negheremo i diritti alle persone, saremo condannati dall’opinione pubblica, quando, passata la sbornia, ci si renderà conto di quale era la partita in gioco. (Applausi dal Gruppo Misto-SEL e del senatore Lo Giudice).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Puglisi. Ne ha facoltà.

 

PUGLISI (PD). Signor Presidente, cari colleghi, domani inizieremo a votare un provvedimento atteso da molti anni che ha aperto un grande dibattito nel Paese e che ci assegna una grande responsabilità. La legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso è un passo che migliaia di persone attendono da troppi anni. È la legge che manca per realizzare definitivamente l’articolo 3 della Costituzione, il più bello: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». E se non c’è uguaglianza, come ricordava la senatrice Cirinnà all’inizio di questo dibattito, c’è discriminazione.

Il nostro compito di legislatori è far sì che tutti i cittadini di questo Paese siano pienamente riconosciuti dallo Stato, qualsiasi sia il loro orientamento sessuale. Se la tua relazione d’amore è riconosciuta pienamente nei diritti e nei doveri dal tuo Paese, sei più forte anche nei confronti della violenza di chi vorrebbe cancellarti o ferirti, del bullismo omofobico e dell’omofobia.

Noi, votando questo provvedimento, a due anni e mezzo dal suicidio di Andrea Spezzacatena, «il ragazzo dai pantaloni rosa», possiamo riportarlo a scuola, come ha scritto la mamma in una straziante lettera.

Rifiuto la semplificazione che la divisione in questa Aula sia tra laici e cattolici. Non mi sento meno cattolica di chi osteggia l’articolo 5 di questo disegno di legge.

Il Paese era spaccato in due anche in occasione della legge sull’aborto e sul divorzio. Ma anche allora legislatori cattolici che non avrebbero mai né abortito, né divorziato permisero di non limitare le libertà individuali, facendo fare un passo avanti al nostro Paese. Anche in quelle occasioni non mancarono i profeti di terribili sventure. Durante il dibattito sulla legge sul divorzio, dalle colonne del «Corriere della Sera» arrivavano le geremiadi di alcuni intransigenti moralisti: «gli scrittori saranno perseguitati, gli intellettuali dispersi nelle galere e nei manicomi (…) i confini saranno aperti ai carri armati sovietici». Nulla di tutto questo è accaduto, come sappiamo.

Evitiamo, come ha detto Emma Bonino, che l’«io non lo farei» diventi «allora tu non lo devi fare».

Siamo rimasti l’unico Paese in Europa a non disciplinare le unioni tra persone dello stesso sesso e a non tutelarne i figli riconoscendo ad entrambi i componenti dell’unione le medesime responsabilità genitoriali. Dall’Irlanda alla Spagna, Paesi profondamente cattolici, l’estensione dei diritti alle coppie dello stesso sesso, anche attraverso il matrimonio ugualitario, non ha portato alcun danno alle famiglie tradizionali.

Dare diritti a chi oggi non ne ha non toglie alcun diritto alle famiglie eterosessuali, alle quali questo Governo sta restituendo risorse che la destra aveva tagliato: dal bonus bebè ai 600 milioni della legge di stabilità per le famiglie con figli in condizioni di povertà, dal fondo per la non autosufficienza ai 100 milioni per la povertà educativa dei bambini e delle bambine. Molto si sta facendo per le famiglie di questo Paese.

Ma vengo al tema su cui si è concentrato il nostro dibattito: l’adozione del figlio del partner disciplinato dall’articolo 5. Si dice che apra alla maternità surrogata. Non è vero: resta vietata. Ma, in assenza di questo provvedimento, c’è comunque chi fa ricorso alla gestazione per altri all’estero: l’84 per cento sono coppie eterosessuali. Non approvando l’articolo 5 di questo disegno di legge, nulla cambierebbe rispetto al ricorso all’estero della gestazione per altri. Semplicemente lasceremmo senza tutele i bambini figli di coppie dello stesso sesso. Ci sono bambini figli di coppie lesbiche nati grazie alla fecondazione assistita o figli di precedenti unioni eterosessuali.

In quest’Aula abbiamo ascoltato di tutto, da orrendi paragoni con gli OGM a frasi del tipo: «I bambini hanno bisogno di una mamma e di un papà, perché è la mamma che dà le carezze, ma se c’è un problema da risolvere… eh, serve un papà!».

Questo provvedimento chiama in causa ciascuno di noi, le nostre coscienze e la nostra responsabilità. Sta a noi decidere domani se bambine e bambini che crescono nel nostro Paese con due genitori dello stesso sesso possono avere gli stessi diritti degli altri, vedendo riconosciuti ad entrambi i genitori le stesse responsabilità genitoriali con un passaggio davanti al giudice per l’adozione speciale; oppure se si pensa di voler discriminare i bambini in base all’orientamento sessuale di chi li ha generati o ha contribuito a farlo; o ancora, se questo Parlamento non se la sente di assumersi questa responsabilità e la vuole delegare al Governo – come si sa, al nostro Presidente del Consiglio il coraggio non manca – ma poi nessuno pianga più sostenendo che il Governo decide da solo e umilia il Parlamento. E ancora, se non saremo noi a decidere, saranno i tribunali a farlo. Tre sentenze sono pronte alla Corte costituzionale per salvaguardare l’uguaglianza dei minori di fronte all’inerzia del Parlamento.

Il tribunale dei minorenni di Bologna e la corte di appello di Milano chiedono alla Corte di verificare la legittimità costituzionale della nostra legge sulle adozioni – altro che vizi di costituzionalità del disegno di legge Cirinnà! – che non permette di riconoscere in Italia la sentenza straniera di adozione di un minore in favore del coniuge del genitore dello stesso sesso. Al giudice viene di fatto impedito dalla legge n. 184 di verificare quale sia l’effettivo superiore interesse del minore, in palese violazione di ogni principio garantito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo al rispetto della vita familiare e ai diritti dei bambini e delle bambine.

Sono contraria allo stralcio e mi permetta di spiegare perché, Presidente. Il riconoscimento dei diritti dei bambini non può aspettare oltre e – guarda caso – la proposta che rinvia ad una delega al Governo sulla riforma delle adozioni arriva poi sempre da chi, poco tempo fa, è stato contrario persino alla possibilità che i single che hanno da anni un bambino in affido familiare, qualora diventi adottabile, possano ricorrere all’adozione. Il motivo lo ha detto con chiarezza il senatore Giovanardi: aveva paura che dietro a quel single si celasse un gay o una lesbica.

L’utero in affitto, qui, allora non c’entra proprio nulla. C’entra il pregiudizio, che deve aver avuto anche il Presidente della Società italiana di pediatri e, immediatamente contraddetto dai colleghi della Federazione italiana medici pediatri. Bisogna che un pediatra mi spieghi se il bambino in carne ed ossa che ha davanti, che cresce con due persone dello stesso sesso, non è più sereno se ha due genitori che condividono le stesse responsabilità genitoriali o se, invece, è meglio dirgli chiaro e tondo che l’altro è a responsabilità limitata. Se finisce in ospedale, non è detto che possa assisterlo. Mi si deve spiegare se un adolescente non cresca meglio se lo Stato lo riconosce come cittadino qualunque sia il suo orientamento sessuale.

Questa è la responsabilità che ci assumiamo votando il provvedimento in esame: rendere tutti i cittadini uguali, ugualmente riconosciuti nella loro capacità di amare, ugualmente liberi e felici. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cardiello. Ne ha facoltà.

 

CARDIELLO (FI-PdL XVII). Signor Presidente, senatrici e senatori, membri del Governo presenti in Aula, per un attimo vorrei soffermarmi sul ruolo politico che ognuno di noi ha in questa Aula e su quanto dovrebbe dire e fare.

Mi volevo astenere dal parlare di alcuni colleghi che ho sentito stamattina evocare addirittura i campi di concentramento o di altri che da uno schieramento di destra sono passati ad uno di sinistra, cambiando anche i valori della vita e della famiglia. Per un attimo vorrei evocare i nostri valori.

Signor Presidente, io sono un uomo di destra. Vengo dal vecchio Movimento Sociale Italiano e da una destra non radicale, ma di confronto con l’allora Partito Comunista Italiano. Ricordo che nelle università, quando era iscritto a giurisprudenza a Salerno, era in atto uno scontro in atto tra i ragazzi di destra e quelli di sinistra sui valori. Noi, insieme ai cattolici, dicevamo no al divorzio, alla droga libera e all’aborto. Dall’altra parte, nelle aule delle università un confronto era aspro, serrato e, a volte, eccessivo diretto a promuovere la preminenza di alcuni valori su altri.

Quando in Assemblea i colleghi si schierano a favore o contro i diritti delle persone, devono allora anche rendere conto e fare un’autoanalisi su quello che hanno fatto in questa Aula e su quanto faranno per il futuro. E parlo di quelli eletti con il centrodestra e passati poi al centrosinistra. Vorrei capire se, rimanendo nel centrodestra, avrebbero votato questo provvedimento. Il problema reale è quello di un confronto serio.

Resto convintamente contrario all’impostazione di questo disegno di legge perché, da padre e cattolico credente, penso che la famiglia sia una sola, quella tra uomo e donna. Io faccio l’avvocato e nelle aule di tribunale, quando vi è una separazione o divorzio, il presidente del tribunale o il giudice istruttore nella prima fase assegna i bambini minorenni, soprattutto quelli piccoli, per il 90 per cento alle madri. Qualche collega poco fa ha sostenuto che i bambini possono crescere anche senza madre. Ma se c’è una preminenza nell’assegnazione da parte dei magistrati dei bambini alle madri, vuol dire che esiste un qualcosa di diverso tra l’uomo e la donna. Evidentemente la donna – ed è la verità – riesce a crescere, a dare un senso di serenità, di educazione e anche di pulizia. Noi uomini siamo diversi dalle donne, e lo dobbiamo ammettere. Resto convinto di quello che in passato mi hanno inculcato i miei genitori. La famiglia è fatta da un uomo e una donna.

È vero: Strasburgo, così come la Corte costituzionale, hanno chiesto al Parlamento italiano di disciplinare le unioni omosessuali. Ma sottolineiamolo subito: questo Senato non può assolutamente essere svuotato di competenze. Noi parlamentari dobbiamo ribadire la nostra libertà di trovare la regolamentazione adeguata. Il legislatore italiano ha un’ampia gamma di possibilità per disciplinare queste unioni, che giustamente chiedono di essere tutelate.

Dalla sentenza del luglio 2015 non si può dedurre una modalità obbligatoria e, quindi, non è detto che il disegno di legge Cirinnà sia la scelta corretta. Anzi, i parlamentari devono tener conto della sentenza n. 138 del 2010, sempre della Corte costituzionale. Senza questo riferimento giurisprudenziale è inutile arrampicarsi sugli specchi, come ha fatto qualche collega della maggioranza. È fondamentale, infatti, sottolineare come la Corte ha stabilito che «le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio», richiamandosi all’articolo 29 della nostra Carta costituzionale, che riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Di conseguenza questo provvedimento, così com’è scritto, non rispetta i paletti posti dalla Corte costituzionale, che ho appena ricordato. La legge si può leggere solo in un modo: così com’è scritta, essa equipara le unioni omosessuali alla famiglia. Non esiste altro modo di comprenderla, a meno che non si voglia raccontare alle gente qualcosa di ingannevole.

La collega Cirinnà non vorrebbe cambiare nulla del suo testo, perché è persona coerente alla sua idea e io la rispetto, ma non condivido assolutamente l’intenzione di equiparare le unioni civili alla famiglia.

Da quello che emerge, però, ho l’impressione che qualcuno all’interno del PD stia spingendo per fare qualche passo indietro, almeno dal punto di vista nominalistico, per evitare censure di carattere costituzionale. Forse avrete capito che il 70 per cento della popolazione è composto da coloro che non vogliono questa legge e, quindi, è meglio essere meno sfacciati e cercare di mettere qualche pezza. State dunque cercando di svolgere delle riunioni, per evitare di fare una brutta figura con il voto segreto.

Durante questi anni di esperienza parlamentare ho imparato che alla critica, però, deve seguire una proposta, per essere quantomeno credibili. Garantendo – ad esempio – i diritti individuali, si possono allora comunque tutelare le persone che hanno una relazione di tipo sociale stabile, che non può essere però equiparata a una famiglia. Sono due cose completamente diverse, mentre il disegno di legge in discussione regolamenta questi rapporti come se costituissero una famiglia, violando in tal modo la Costituzione. Dunque, questo provvedimento andrebbe rimesso alla Commissione competente e riformulato, ma voi avete l’intenzione di andare fino in fondo, perché il vostro padrone, Renzi, ha detto che deve essere approvato senza modifiche.

Si dice che non accettiamo lezioni dai nostri amici europei: ebbene se il Presidente del Consiglio continua a dire che non tutto quello che viene detto a Strasburgo è vincolante, come mai il disegno di legge prende esempio proprio dai nostri amici europei?

Le unioni in questione non sono una famiglia, ma unioni che hanno caratteristiche diverse. Nel disegno di legge si parla di «formazione sociale specifica» per nascondere la realtà giuridica, ma questo tentativo non basta. Vi appellate dicendo che i tempi sono cambiati, ignorando che il 30 gennaio scorso a Roma due milioni di persone hanno testimoniato che i tempi, per loro, non sono cambiati; gente comune, arrivata in piazza per difendere la famiglia naturale, quella descritta nella nostra Carta costituzionale.

Bisogna, quindi, dimostrare che i tempi sono cambiati e non basta dirlo. Come si può leggere e interpretare la Costituzione in base al periodo storico? Allora, mettiamola così: se il Parlamento ha la forza di dimostrare che i tempi sono cambiati, abbia il coraggio di modificare la Costituzione, perché la ritiene inadeguata al contesto sociale, storico e culturale di oggi. Ripeto, sotto un profilo giuridico, la Costituzione dice una cosa precisa sulla famiglia. Violarla sarebbe come fare un colpo di Stato, non senza conseguenze politiche e, poi ne parleremo.

Arrivo poi all’articolo 5 sulle adozioni, che è la norma più contestata. Dico subito che ci sono tante persone buone, competenti e amorevoli che possono prendersi cura dei bambini. Non è questo il problema, ma l’educazione si esercita in via ordinaria, attraverso la presenza di una duplice figura: quella maschile e quella femminile. Da sempre i bambini sono stati cresciuti ed educati in un rapporto tra uomo e donna. Alcuni aspetti della formazione del bimbo hanno bisogno di determinate caratteristiche femminili e altri di caratteristiche maschili. È stato Sigmund Freud, autore non propriamente cattolico, a mettere in evidenza gli aspetti fondamentali di un uomo e di una donna trasferiti al bambino. La legge, dunque, deve regolare situazioni di carattere generale, che valgono per l’intera società e non per qualche club.

Mettetevi nei panni di un bimbo adottato, e riflettete su quella sensazione che poi, con il passare del tempo, diventa una domanda senza risposta, cioè capire chi effettivamente fosse la madre o il padre al momento della nascita. Nessuno, e dico nessuno, può toglierle di dosso quella sensazione. Rimane, anche se sembra superata, e quell’interrogativo torna quando meno te lo aspetti a farti compagnia. Neanche l’amore di una mamma e di un papà adottivi meravigliosi possono colmare quel piccolo, fragile senso di abbandono che hai dentro, e non oso immaginare due uomini o due donne.

L’adozione non è un gioco, cara collega Cirinnà. È roba seria. Il figlio adottivo, conoscendo la sua storia, così com’è andata, sa di avere una ferita. Ma immaginate per un attimo quei bimbi che provengono da madri che hanno venduto il proprio utero. Che fragilità interna potrebbero avere? Cari genitori adottivi o quasi, si può non dire la verità ad un figlio adottato; se magari, poi, è del tuo stesso colore di pelle, te la cavi perché ti assomiglia, ma in quel figlio ci sarà sempre, e dico sempre, qualcosa di strano, un piccolo tarlo, un tassello che non combacerà mai e la ferita tornerà a galla: la ferita di non poter essere stato anche solo per cinque minuti in braccio alla donna che ti ha tenuto nel grembo e non aver potuto sentire vicino a te quel battito del suo cuore che ha scandito il tempo per nove mesi. Lo chiamano utero in affitto, forse perché vogliono creare una certa surreale distanza tra madre e figlio e ovviamente a parole, perché nella realtà dei fatti questo legame determinerà per sempre la vita e la storia di ognuno.

Capite come la materia sia fin troppo delicata per derubricarla come un provvedimento voluto da Strasburgo? È una scelta che potrebbe cambiare, in negativo, la nostra storia, la nostra cultura, la nostra società; una scelta che graverà inevitabilmente e politicamente su questo Governo, perché la maggioranza che ne verrà fuori non rispecchierà minimamente, nonostante le alchimie delle ultime settimane, il voto del popolo.

Cari colleghi di centro e forze cattoliche presenti in questa Aula, non sarò allora io a dirvi cosa fare, ma spero caldamente in un vostro sussulto di dignità e coerenza. Non sarà facile spuntarla ma, tutti insieme, possiamo dare un segnale di grande libertà politica contro questo disegno di legge. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Quagliariello. Ne ha facoltà.

 

*QUAGLIARIELLO (GAL (GS, PpI, M, MBI, Id, E-E)). Signor Presidente, colleghi senatori, vorrei innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco: non stiamo discutendo delle unioni civili come vengono intese dal senso comune. Non stiamo discutendo del riconoscimento di diritti di mutua assistenza e solidarietà ai conviventi indipendentemente dalla natura sessuale della loro convivenza. Soprattutto non stiamo discutendo di un provvedimento finalizzato a stabilire una condizione di uguaglianza tra i cittadini italiani a prescindere dalle loro scelte sessuali.

Se infatti fosse così, signor Presidente, oltre che con l’uguaglianza questa legge avrebbe a che fare con la libertà. Con la libertà di scegliere senza avere per questo minori diritti personali rispetto a chi ha compiuto scelte differenti dalle mie. Con la libertà di scegliere senza che lo Stato entri nella mia camera da letto per stabilire quali siano i miei diritti e quali non lo siano; se posso contrarre una unione civile o debba limitarmi a stipulare un contratto, o se non abbia accesso a nulla di tutto ciò. Avrebbe a che fare con la laica libertà di scegliere senza pretendere che la mia scelta comporti il diritto di contraddire la natura, comprimere i diritti dei più deboli, mercificare il corpo e la dignità altrui.

Usciamo dall’ipocrisia! Usciamo dall’ipocrisia di una legge che, ipocritamente appunto, introduce un surrogato di matrimonio per le coppie omosessuali dal quale i conviventi eterosessuali vengono esclusi, e attribuisce loro il diritto di diventare genitori che forza e contraddice il dato di natura e, andando oltre ciò che per natura è possibile, incoraggia nei fatti la gestazione surrogata.

“È la modernità, bellezza!”, ci è stato detto. E ci è stato detto che chi si oppone a detta legge, come ha ribadito in quest’Aula la senatrice Cirinnà nell’intervento che ha aperto questa discussione, è retrogrado e oscurantista. Un po’ come quando – cito Pier Paolo Pasolini – «essere incondizionatamente abortisti garantiva a chi lo era una patente di razionalità, illuminismo, modernità».

Io credo che le cose siano meno semplici di come la collega Cirinnà vorrebbe fare intendere. Non solo perché non sempre la storia si evolve in linea retta. Ancor più perché la sfida che questa contesa parlamentare in qualche modo incarna, rappresenta in realtà il cuore stesso della grande dicotomia del XXI secolo, tra la laicità più autentica incarnata dal sentimento popolare e il falso laicismo delle élite illuminate.

Essa si inscrive in uno spazio pubblico nel quale il vuoto lasciato dalle ideologie tradizionali rischia di essere occupato da un pensiero unico, conformistico e dominante, che intellettuali anticonformisti dei quali sentiamo oggi una grande nostalgia, come Pier Paolo Pasolini e Augusto Del Noce, descrissero come radicalismo di massa.

Questa evoluzione, ammesso che di evoluzione si possa parlare (cosa che personalmente non ritengo), ci fa comprendere anche il ruolo nuovo assunto dalla religione in un Paese tradizionalmente cattolico come il nostro. E ci aiuta a capire meglio cosa ci sia al fondo di quella piazza chiamata Family Day, fatta di persone tutte diverse, ma tutte irregolari, che si sono ritrovate nello stesso giorno e nello stesso posto, per lo più senza la guida di strutture organizzate né il richiamo di parole d’ordine precostituite, e che hanno così dato vita a una delle più imponenti manifestazioni che la storia d’Italia ricordi.

La dinamica che quella piazza oggi ci propone Pasolini l’aveva compresa già quasi mezzo secolo fa, come dimostra una sua riflessione del 1973: «L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che omologava gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale omologatore che è l’edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo».

Sono trascorsi cinquanta anni e la liquidazione ha avuto il tempo e il modo di compiersi. Quel che allora era egemone oggi è minoritario e si trova paradossalmente a interpretare una opposizione al pensiero egemone, come tale politicamente scorretta e, dunque, in grado di incarnare una passione irregolare per la libertà.

Quella piazza ha tuttavia ribaltato il paradigma. E, proprio come avvenne in occasione della legge sul divorzio, ancorché a parti invertite, potrebbe ritrovarsi a incarnare l’onda maggioritaria del senso comune, nel Paese, fuori di queste Aule.

A questa deriva omologante, per la quale a ogni desiderio deve corrispondere un diritto – Pasolini lo avrebbe chiamato «un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili» – è possibile limitarsi a contrapporre la forza di una tradizione? Ci si può limitare a dire che il diverso ruolo del padre e della madre, o l’obbligo di non correre neppure il rischio che la donna possa degradarsi a mero strumento di riproduzione, siano capisaldi imprescindibili per il solo fatto che si sono sedimentati e tramandati negli anni, nei secoli e talvolta nei millenni?

Io ho molto rispetto per ciò che resiste al trascorrere del tempo, ma non credo che la sola tradizione basti a legittimare un valore. Nel tempo si sono tramandate anche cose infami che non meritano di essere conservate. È il valore che fonda una tradizione, non viceversa. E oggi, in quest’Aula, stiamo parlando evidentemente non del progresso contro la conservazione, ma di valori contrapposti. Perché per noi difendere il diritto di un bambino ad avere genitori di sesso differente è un valore. Perché per noi opporsi all’utero in affitto, sia che a servirsene siano gli omosessuali sia che siano gli eterosessuali, è un valore. Perché per noi insistere sulla responsabilità personale in luogo della codificazione di diritti positivi è un valore.

Alcuni di questi valori, peraltro, sono stati recepiti e scolpiti nella nostra Costituzione, ed è questa la ragione per la quale, da qualsiasi visuale lo si guardi – come abbiamo dimostrato in sede di illustrazione delle pregiudiziali – il disegno di legge Cirinnà è in insanabile contrasto con la nostra Carta fondamentale.

È dunque sul terreno dei valori che si fonda l’opposizione a questa legge.

A dispetto di ciò che si vorrebbe far credere, il fatto che una persona debba essere libera e resa libera nelle proprie scelte sessuali, il fatto che da un’affettività che produca una convivenza prolungata debbano derivare dei diritti, è un dato indiscutibile e che nessuno ha mai messo in discussione.

Il dissenso nasce quando da questo terreno si passa alla forzatura dell’elemento naturale tesa alla creazione dell’«uomo nuovo», fine ultimo di ogni perfezionismo, radice di ogni totalitarismo, conseguenza della presunzione fatale di dover realizzare un ordine supremamente razionale. Se nel XX secolo questa presunzione si esprimeva essenzialmente in campo economico, oggi il suo terreno di applicazione è soprattutto quello antropologico. Ed è lì che la dimensione della modernità e quella dell’arretratezza vengono impropriamente contrapposte: sarebbe “arretrato” tutto ciò che si oppone alla predeterminazione forzata della vita, della sua imprevedibilità e della sua meraviglia; sarebbe “moderno” ciò che invece conduce a pianificare la propria esistenza pretendendo che nel suo corso ogni desiderio possa realizzarsi.

Tradotto nei termini della questione di cui discutiamo, non vi è alcuna libertà e non vi è alcuna laicità nella pretesa di forzare ciò che è dato dalla natura. Sgomberiamo il campo dalla pretesa di una genitorialità che non può esistere e che tantomeno può essere oggetto di diritto, sgomberiamo il campo da un falso e illiberale laicismo che impone i desideri degli uni sui diritti di altri più deboli, e potremmo discutere laicamente di come assicurare con pienezza ad ogni uomo l’esercizio della propria libertà.

Presidente, colleghi, questa falsa contrapposizione tra arretratezza e modernità riflette in realtà due visioni differenti dell’uomo, della sua essenza e della sua libertà. Ed è una sfida che va raccolta, perché incarna drammaticamente il conflitto di questo nuovo secolo.

Scriveva sempre Pasolini (Commenti del sottosegretario Scalfarotto) che nell’Italia repubblicana, in realtà, una grande destra non è mai esistita. Perché essa nasca, non ci si può esimere dal proporre una visione antropologica alternativa a quella dominante, e farlo senza titubanze e senza complessi di inferiorità.

È questo il terreno sul quale si giocherà il nuovo conflitto politico e culturale. Ed è su questo terreno che può nascere un’alternativa al radicalismo di massa, in grado di rispettare le opinioni dei propri avversari ma anche di contrapporre ad esse una diversa visione del mondo.

Era la grande scommessa di questa legislatura: ritrovarsi su regole comuni per poter poi contrapporre valori forti e fortemente alternativi. Ben altro rispetto alla melassa intrisa di piccole furbizie con la quale un accordo di Governo che avrebbe dovuto essere di emergenza e circoscritto viene trascinato oltre il suo perimetro e oltre il suo tempo fisiologico.

Colleghi del Nuovo Centrodestra, lo dico senza recriminazioni e senza astio: è possibile stringere un accordo tra pensieri diversi ma ugualmente forti e consapevoli della propria reciproca differenza. Ma quando si ha a che fare con un pensiero debole, e prepotente perché consapevole della propria debolezza, da alleati si diventa succubi.

Il nostro “no” a questa legge, dunque, è un “no” senza compromessi non per radicalismo e tantomeno per fanatismo, ma perché nel nostro Paese c’è un disperato bisogno di chi dia corpo e sostanza a una visione più liberale, più cristiana e perciò più scandalosamente sovversiva rispetto al pensiero unico dominante che questa legge incarna alla “perfezione”. (Applausi dal Gruppo GAL (GS, PpI, M, MBI, Id, E-E). Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Maturani. Ne ha facoltà.

 

MATURANI (PD). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, voterò convintamente il testo del disegno di legge Cirinnà, frutto di un lavoro lungo ed approfondito che, nel corso di questi anni, è stato oggetto di tante modificazioni, tese a raccogliere la più ampia partecipazione e condivisione. La discussione che si è svolta in questi giorni in Aula ha ampiamente evidenziato come questo provvedimento abbia lo scopo prioritario di prevedere diritti per chi oggi nel nostro Paese non ne ha. Tra questi diritti, vi sono quelli fondamentali dei bambini e delle bambine. Si tratta di riconoscere ai bambini e alle bambine, che non sono un desiderio, ma che sono tra noi, che frequentano gli asili nido, le scuole, i parchi e che giocano con i nostri figli e i nostri nipoti, il diritto alla continuità e alla stabilità affettiva e al prioritario interesse delle loro vite.

Dobbiamo guardare con animo libero da pregiudizi a quei Paesi dove quella al nostro esame è una realtà indiscussa da tempo e dove non si sono prodotti sconvolgimenti sociali di nessun tipo. L’Italia è uno strano Paese, un Paese nel quale l’accesso ai diritti è garantito dalla giurisprudenza anziché dalla politica. Ce l’ha detto la Corte di Strasburgo questa estate, quando ha condannato l’Italia per l’inerzia in materia di rapporti tra persone dello stesso sesso, per averle private di una tutela giuridica e costrette ad un interminabile pellegrinaggio tra i diversi tribunali ordinari del nostro Paese, in un ordinamento nel quale – spesso non ce lo ricordiamo – il precedente giurisprudenziale non è vincolante. Prima di Strasburgo, si era già ripetutamente pronunciata la Corte di cassazione e, non da ultimo, la Corte costituzionale, che aveva sollecitato il legislatore italiano ad intervenire già dal 2010.

Il tema del riconoscimento dei diritti delle coppie dello stesso sesso non è nuovo alle Aule parlamentari, già con la legislatura del 2006 si è cercato di mettere mano alla materia, con gli esiti che oggi tutti vediamo. L’Italia è il Paese della legge 40, una legge orribile, di cui la giurisprudenza italiana ed europea hanno fatto brandelli, sancendo una volta per tutte l’incapacità della classe dirigente politica di assumere decisioni inclusive fuori da un bipolarismo etico esasperato.

Oggi abbiamo una nuova occasione. Quello che la senatrice Cirinnà ha depositato è un disegno di legge che rappresenta un compromesso, certo; ma possiamo dire che è un buon compromesso. Si tratta senza dubbio di temi di forte impatto sociale, di fronte ai quali non possiamo rimanere indifferenti. Quelli in discussione sono infatti argomenti certamente delicati, che coinvolgono non solo il diritto, ma anche la morale, l’etica, il comune pensiero. Proprio per questa ragione, sono dell’idea che l’Italia non debba perdere l’opportunità di adeguarsi alla richiesta sociale, riconoscendo, come già ampiamente hanno fatto altre legislazioni, diritti e doveri alle coppie di fatto e in special modo a quelle omosessuali.

D’altro canto, l’impostazione della normativa sulla famiglia, nella sua originaria stesura, non contemplava certo il divorzio: se fosse stato un paradigma intoccabile, un totem, non avremmo certo avuto la riforma del diritto di famiglia.

Il nostro Parlamento si trova di fronte a un’importante prova di civiltà e di rispetto dell’evoluzione della società e del principio di uguaglianza; un compromesso come dicevo, ma un buon compromesso. Certo, per fare questo l’impianto della legge deve tenere e non si può pensare di fare a meno dei punti più significativi di questo disegno di legge, ovvero la facoltà di adottare il figlio biologico del partner e il riconoscimento della reversibilità, che, come peraltro chiarito definitivamente dal Ministero dell’economia e delle finanze, gode di un’adeguata copertura finanziaria. Diversamente, non solo approveremmo una legge con macroscopici difetti di costituzionalità, ma finiremmo con il replicare la disastrosa esperienza della legge n. 40 del 2004; solo che ad essere smantellata pezzo a pezzo sarebbe una legge che porterebbe la nostra firma (ed io non la voglio mettere, questa firma).

La nostra classe politica è oggi a un bivio. Il tempo delle decisioni non è più rinviabile e non è più accettabile che il nostro vuoto sia colmato dalla giurisprudenza.

Serve un nostro scatto, serve la forza di traghettare l’Italia in un tempo nuovo, tanto più in una legislatura che ci ha chiamato a ridefinire l’impalcatura di questo Stato; pensare di farlo senza passare dalla strada del riconoscimento dei diritti, dalla costruzione di uno spazio pubblico inclusivo, dove possano trovare piena cittadinanza le differenze tutte, sancirebbe l’ennesima sconfitta di un’intera classe dirigente: la nostra. (Applausi dal Gruppo PD).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Formigoni. Ne ha facoltà.

 

FORMIGONI (AP (NCD-UDC)). Signor Presidente, voglio iniziare il mio intervento dicendo con chiarezza che se il contenuto di questo disegno di legge fosse coerente con il titolo, che parla di unioni civili tra persone dello stesso sesso e di disciplina delle convivenze, io sarei qui oggi, e credo con me molti altri, per intervenire a favore di un disegno di legge di tal fatta. Infatti, sia io personalmente sia gli appartenenti al mio Gruppo siamo del tutto favorevoli al riconoscimento pieno dei diritti di ogni persona, qualunque sia l’orientamento sessuale o il tipo di convivenza che questa persona sceglie di avere o mette in campo, senza discriminazione alcuna e con il pieno totale rispetto che si deve ad ogni persona, ciascuna portatrice di un’identità grande, che ha lo stigma del divino – a nostro modo di vedere – e che non può mai essere limitata, riassunta in un aspetto delle sue scelte di vita. Riconoscimento pieno dei diritti di cui si è parlato nel dibattito pubblico nel corso di queste settimane, perché sono calpestati: riconoscimento all’assistenza reciproca, all’assistenza in tutte le situazioni di difficoltà, il diritto al subentro nei contratti di varia natura, i diritti patrimoniali e i diritti ereditari. Su questi temi, io e il mio partito siamo sempre stati pronti a votare a favore. Area Popolare ha anche presentato un disegno di legge autonomo che va in questa direzione e vari emendamenti a questo disegno di legge che proporremo e illustreremo nel corso del dibattito.

Purtroppo, questa mia premessa è però smentita dalla lettura dell’articolato, la quale è in totale discontinuità e contraddizione con il titolo, e questo rende il disegno di legge per noi del tutto inaccettabile. La proposta della collega Cirinnà parla di unioni, ma nella realtà introduce nell’ordinamento italiano il matrimonio omosessuale. Non c’è alcuna differenza tra la disciplina del matrimonio di un uomo e una donna e la disciplina delle unioni civili secondo questo disegno di legge. Questa è la realtà che nessuna descrizione ipotetica può cancellare; cambia soltanto il nome, ma la sostanza è identica. Tutte le norme del codice civile e delle leggi speciali che si riferiscono al matrimonio vengono trasferite tal quale alle unioni civili. Questo è inaccettabile per noi, ma anche – e voi lo sapete – per la maggioranza del popolo italiano che, come tutti i sondaggi riportano, dice sì ai diritti dei conviventi omosessuali e no ai matrimoni gay.

Certo, si cerca di dire all’opinione pubblica che la differenza tra i due istituti sarebbe insita nel loro diverso fondamento costituzionale, ma è un inganno. La disciplina prevista dal disegno di legge in esame è esattamente identica a quella derivante dall’articolo 29 e non dall’articolo 2 della Costituzione. Ricordo brevemente che, sia per i matrimoni che per le unioni civili previste dal disegno di legge in discussione, le nullità e gli impedimenti sono gli stessi; sono identiche le forme della celebrazione che avviene alla presenza dell’ufficiale di stato civile e di due testimoni; è identica la facoltà di assumere lo stesso cognome. Sono identici gli effetti del matrimonio e dell’unione civile, tanto che l’articolo 3 del disegno di legge richiama espressamente tutte le norme relative ai coniugi eterosessuali. Il regime successorio relativo al coniuge è esteso, senza alcuna eccezione, al partner dell’unione civile; la disciplina del divorzio e della separazione è integralmente estesa anche alle unioni civili.

Su questi punti abbiamo più volte invocato la strada della ragionevolezza, a partire dall’analisi delle pregiudiziali di costituzionalità che abbiamo sollevato, non con intenti ostruzionistici, ma allo scopo di prevenire un pronunciamento futuro della Corte che, se non interverranno emendamenti significativi, mi pare del tutto scontato. Ricordo, anche in questo caso sinteticamente, che ad essere in contrasto con la Costituzione è l’insieme del provvedimento, che contrasta fortemente con gli articoli 29 e 31; c’è una violazione chiara dell’articolo 3, laddove viene assimilato al regime della famiglia quello di una formazione sociale diversa, mentre il compito del legislatore è quello di trattare fattispecie uguali in modo eguale e fattispecie diverse in modo diverso.

Un altro punto di illegittimità è relativo al doppio binario costruito dal provvedimento per le coppie omosessuali e quelle eterosessuali. In questo caso siamo giunti ad una forma di discriminazione indiretta delle coppie etero. Se le unioni civili omosessuali sono una formazione sociale, non lo sono anche le coppie di fatto eterosessuali? Quando la Costituzione richiama le formazioni sociali e i diritti dei componenti omosessuali o eterosessuali, mette sotto accusa proprio la discriminazione che è propria di questo disegno di legge e cioè un trattamento per le unioni civili omosessuali e un trattamento completamente diverso per le coppie di fatto eterosessuali.

Infine, contrariamente alla collega che mi ha preceduto, ritengo sia manifestamente violato l’articolo 81 della Costituzione, perché la copertura di bilancio prevista è del tutto insufficiente. È palese che l’onere della reversibilità nel caso della pensione non può essere stimato solo in presenza di coppie omosessuali giovani, come è stato fatto, ma deve essere stimato su un periodo temporale di lungo respiro (almeno trent’anni), quando si porrà con tutta evidenza la questione di un numero molto più alto di pensioni di riversibilità da erogare.

Per tutto questo sono convinto che la Corte, come ha già fatto nel recente passato, non potrà fare altro che intervenire per ribadire la non omologabilità del matrimonio con le altre formazioni sociali.

Faccio notare, per incidens, come vi sia un altro tema su cui la Corte potrà intervenire ed è quello segnalato dal nostro e da altri Gruppi nelle questioni sospensive che sono state respinte da quest’Aula. È evidente a tutti che la procedura che stiamo seguendo non è quella prevista dal Regolamento del Senato, né dalla Costituzione. È una procedura scorretta che non potrà che essere sanzionata dalla Corte, così come accadde per la dichiarazione di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi.

Ecco perché, signor Presidente, colleghi, su questi punti che ho voluto tratteggiare la proposta del nostro Gruppo è chiara e netta e torno a dire che fa appello alla ragione. L’invito è a depurare il testo del disegno di legge da tutti quegli impropri riferimenti che lo rendono surrettiziamente identico al matrimonio eterosessuale; avremo così una buona legge, che non spacca il Paese, che in tantissimi – forse tutti – potremo votare e che riconosce più diritti alle persone nelle formazioni sociali. Il che fra l’altro, colleghi, è esattamente ciò che ci chiede l’Europa: una legge sulle convivenze omosessuali, non il riconoscimento di matrimoni.

Prendo ora in esame un altro aspetto a mio avviso gravemente critico del provvedimento, quello che riguarda le adozioni e, in particolare, la stepchild adoption trattata all’articolo 5 ma già prevista negli articoli precedenti.

In primis, voglio sottolineare un dato di fatto poco ricordato nel dibattito sin qui svolto: il bambino del padre biologico o della madre biologica non è destinato affatto a restare solo e privo di tutela: già dal 1983, l’articolo 44, lettera a), della legge n. 184 prevede che in caso di morte del genitore biologico, chi con quel bambino ha avuto una consuetudine di vita perdurante nel tempo può procedere all’adozione. Evitiamo, quindi, di attribuire alla norma prevista all’articolo 5 presunti aspetti salvifici che sono già presenti nel nostro ordinamento.

Ricordiamo anche che stiamo parlando di un numero di bambini attualmente esistente in carico a coppie omosessuali non pari ai 100.000 di cui si favoleggia, ma, secondo i dati ISTAT, 528. Si tratta di 528 persone, 528 bambini cui vanno garantiti con chiarezza tutti i diritti. Ritengo che l’esame delle leggi esistenti mostri come queste garanzie già esistano, ma dico con altrettanta fermezza che, se si volessero prevedere i loro diritti in una forma anche più cogente, noi siamo pronti a farlo: i bambini che già ci sono devono avere pari diritti, come tutti gli altri.

Ma, colleghi, non nascondiamoci dentro varie forme di ipocrisia: la stepchild adoption è tutta un’altra cosa, com’è evidente a chi guarda la realtà. Chi è il figliastro del partner? Per una coppia omosessuale maschile i casi sono due e solamente due: o il figliastro è nato da un precedente matrimonio o relazione eterosessuale di uno dei componenti della coppia omosessuale (e allora questo bambino ha già i due genitori e non è possibile inventarne un terzo) ed è difeso e protetto dalle legislazioni che ho ricordato, oppure c’è un solo altro modo con cui due maschi possano avere un figlio, non potendo essi né concepirlo, né partorirlo da soli, e questo modo è prendere in affitto l’utero di una donna affidandole il seme di uno dei due maschi affinché essa partorisca un figlio che le sarà strappato immediatamente.

Torno a dire: l’intento del disegno di legge, ancorché negato a parole, pare essere rivolto a consentire questa pratica, che comunque la vogliamo chiamare è e rimane una pratica barbara, disumana. Possiamo chiamare la «maternità surrogata», «gestazione per altri»: si tratta sempre e comunque di utero in affitto, una pratica condannata con forza da tutti gli Stati europei, nei confronti della quale le parole del Parlamento europeo nella risoluzione del 2011 sono senza scampo: si chiede agli Stati membri di riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili; si rileva che le donne e i bambini sono soggetti alle medesime forme di sfruttamento e sono considerati merci sul mercato internazionale. Parole chiarissime e pesantissime; altro che dire «ce lo chiede l’Europa»!

Bene ha fatto il ministro Lorenzin a definirlo «ultraprostituzione». D’altra parte, l’utero in affitto è la premessa indispensabile, senza la quale non ci sarebbe stepchild adoption e bisogna qui ringraziare la brutale chiarezza del senatore Lo Giudice, che ha reso evidente per tutti con il suo racconto ciò che era già chiaro: due omosessuali maschi possono avere un figlio soltanto comprandolo da una donna.

D’altra parte, questa pratica di cui le leggi italiane impediscono anche ogni forma di pubblicità, è ormai invece facilmente accessibile. Esistono siti Internet e cataloghi patinati che spiegano a chiunque le semplici modalità con cui è possibile acquistare un figlio, con prezzi che variano dai 50.000 euro in su. Non dimentichiamo poi che questa pratica prevede anche la condizione crudelissima che alla madre che genera il bimbo debba essere strappato subito dopo il parto.

Mi si può obiettare – com’è stato fatto – che l’utero in affitto è escluso dalla legge italiana vigente e il disegno di legge non ne parla: lo ha ripetuto più volte la senatrice Cirinnà. La voglio prendere sul serio, collega Cirinnà. Colleghi del PD, se la vostra opposizione all’utero in affitto è vera – e io lo vorrei credere – unitevi a noi nel votare l’emendamento che prevede che l’utero in affitto (pratica utilizzata sia da omosessuali sia da eterosessuali) sia dichiarato reato universale, cioè punibile per ogni cittadino italiano anche quando commesso all’estero.

Avviandomi alla conclusione, mi rivolgo ai colleghi del Partito Democratico, perché il disegno di legge è una loro iniziativa e perché sono il Gruppo di maggioranza dentro questo Senato.

Voi sapete, colleghi, che il tema di cui stiamo parlando vede nettamente contraria la stragrande maggioranza del Paese. Tutti i sondaggi lo dicono, ultimo quello dell’Istituto Ixè per Agorà, che ha attestato un 73 per cento di contrari ad adozioni per i gay e alla stepchild adoption e solo un 20 per cento di favorevoli; ed è un divario che è aumentato di sette punti in due settimane, il che significa che più i cittadini sono informati più si dicono contrari, anzi disgustati (e noi rivendichiamo a nostro merito questo risultato perché in questi mesi ci siamo battuti e ci siamo spesi per informare correttamente il massimo numero di cittadini, e questo è certamente uno dei risultati più positivi della mobilitazione del Family Day).

Colleghi, credo che tutto questo meriti una riflessione. Faccio una ulteriore sollecitazione. Credo sia profondamente sbagliato trattare questo tema distorcendolo in una contrapposizione tradizionale tra destra e sinistra, cattolici e laici, progressisti e retrogradi, oscurantisti e portatori di luce: sui temi etici le divisioni sono trasversali e la prudenza che è richiesta a tutti noi non significa volontà di rimandare l’approvazione di una norma che sia equilibrata, ma è una prudenza resa indispensabile dalla necessità di trovare, appunto, un equilibrio e di impedire il varo di un provvedimento che potrebbe portare a conseguenze pesantissime per il nostro Paese, per la società italiana e per il suo futuro, minandone alla base l’istituzione fondamentale, che è la famiglia.

Ancora una volta, colleghi della sinistra, colleghi del Partito Democratico, mi rivolgo a voi perché la vostra è anche una storia in cui è presente una componente umanitaria, attenta – io credo – a queste riflessioni. Non è un caso che molti esponenti del mondo di sinistra in queste settimane hanno manifestato profonde perplessità. È stato citato il presidente dell’Istituto Gramsci, Giuseppe Vacca, che ha esposto chiaramente i propri dubbi e la propria contrarietà. Così hanno fatto numerose esponenti del femminismo storico, italiano e internazionale; alcune di loro sono state messe a tacere altre coraggiosamente continuano ad esprimere la loro contrarietà. Dubbi e perplessità sono stati esposti da personaggio come Giulietto Chiesa e in quest’Aula dal senatore Tronti e da altri senatori del Partito Democratico, che si sono rammaricati del fatto che non sia stata accolta la proposta di modifica dell’articolo 5 né la proposta di fare due leggi diverse, trattando il tema delle adozioni in una sede appropriata ed in modo autonomo. Lo stesso è accaduto al livello internazionale. Cito il clamoroso evento di quindici giorni fa all’Assemblea nazionale francese, voluto e diretto dalla Vice Presidente socialista di quell’importante consesso, insieme a numerose associazioni della sinistra; evento che ha avuto in Francia e sui media europei vasta eco, anche se da noi – non a caso – nessuno ne ha praticamente parlato.

Colleghi, in conclusione credo che, di fronte a temi come questi, nessuno di noi possa in coscienza pensare di approvare una legge che veda all’opposizione una percentuale così grande di cittadini. Il mio invito alla riflessione vale ovviamente anche per il Presidente del Consiglio: non è giusto spaccare il Paese e non credo sia neppure conveniente per il Governo che siano varati provvedimenti così osteggiati dalla grande maggioranza dei cittadini: non credo che la maggioranza del popolo italiano, contraria a questo provvedimento, aumenterebbe la propria stima e considerazione, già a livelli non eccelsi, nei confronti del Governo. Neppure credo possiamo pensare di sostituire all’adozione una sorta di affido rafforzato o di pre-affido che avrebbe le stesse conseguenze pratiche e in più sfregerebbe e stravolgerebbe un istituto che è dono e generosità, in una pretesa egoistica di genitorialità.

Riflettiamo bene tutti dunque; si tratta di un tema straordinariamente sensibile, che divide così clamorosamente il Paese e tale da sconsigliare di affrontarlo con delle forzature ideologiche rispetto al sentire comune medio del nostro popolo e con una maggioranza occasionale, spuria o minima. Se passerà, sappiamo tutti che nei punti cruciali i voti di differenza saranno minimi.

Colleghi, credo che su questi temi occorra una dose di umiltà e di realismo. Bisognerebbe scegliere di procedere a piccoli passi, magari per tappe successive, cominciando con ciò che è largamente condiviso. L’abbiamo detto e sappiamo tutti ciò che è largamente condiviso: il riconoscimento dei diritti dei conviventi anche omosessuali. Una legge di questo tipo sarebbe già una novità nel panorama italiano. Abbiamo la possibilità di farlo. Ogni altra forzatura ci porterebbe su una strada sbagliata. Credo che nessuno di noi debba in coscienza poterla percorrere. (Applausi del senatore Serafini).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cervellini. Ne ha facoltà.

 

CERVELLINI (Misto-SEL). Signor Presidente, Melita Cavallo, magistrato, già presidente del tribunale per i minorenni di Roma, sostiene che la sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale è molto chiara. Ve ne leggo un breve passo: «Per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico». In questo diritto di vivere liberamente una condizione di coppia c’è anche il diritto di avere un figlio e i doveri conseguenti riferiti innanzitutto al rispetto per il bambino allevandolo responsabilmente, improntando tutto verso l’interesse superiore del bambino. La famiglia deve essere questo: amore e cura del minore; empatia e relazione fluida. Quindi, prosegue il magistrato, la Corte costituzionale afferma chiaramente: «Voi legislatori dovete dare riconoscimento giuridico dell’unione omosessuale».

A noi, quindi, spetta la responsabilità e la seria consapevolezza di affrontare un atto legislativo che parla ai valori fondamentali della nostra Costituzione; ne ho sentito parlare molto in questi giorni nella discussione generale e tantissimi sono stati i riferimenti alla nostra meravigliosa Costituzione. Dato che non mi ci sono ritrovato in quelle citazioni, leggo alcuni passi fondamentali. Articolo 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Articolo 27: «La responsabilità penale è personale» (mi chiederete perché faccio questo riferimento. Più avanti cercherò di spiegarlo). Articolo 29: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare». Articolo 30: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio». Articolo 31: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose». Aggiungo l’articolo 37: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore…».

Quindi stiamo parlando dei diritti fondamentali e non può esistere alcuna mediazione al ribasso, né sono più tollerabili le ambiguità, che sono solo dovute al termometro delle posizioni ideologiche o peggio opportunistiche dei partiti o dei movimenti, né alle sembianze della stessa maggioranza, che sembra cambiare continuamente la sua pelle. È paradossale discutere di diritti e di doveri in relazione all’orientamento o all’identità sessuale delle persone, entrando e quasi frugando nella loro sfera privata, in un’Assemblea in cui da tempo non sono più chiari identità, orientamenti politici e valori. Colleghi, chiariamoci le idee almeno su un punto: i diritti civili e l’uguaglianza di tutte le persone sono questioni che vanno oltre i partiti e devono rientrare a pieno titolo nella sfera dei diritti di cittadinanza, che l’Italia deve garantire universalmente e che in tutta Europa sono riconosciuti. La nostra Costituzione parla chiaro e lo fa con un linguaggio incontrovertibile, nel merito e nella chiarezza assoluta e nella assoluta comprensibilità delle parole: non come le orribili, criptiche modifiche che avete recentemente apportato, con un linguaggio oscuro, escludente, che rinvia, afferma e nega, rimanda, auspica ed allude. Ma tant’è: con il referendum i cittadini porranno rimedio a quello scempio.

La nostra Costituzione e i passi che vi ho letto non consentono interpretazioni.

Si tratta di scelte chiare, di campo. Il Paese di cui ci sentiamo parte è inclusivo e al passo con le più importanti realtà europee. Lo abbiamo ribadito nelle scorse settimane e nelle piazze, a fianco di migliaia di persone, tra famiglie arcobaleno e associazioni LGBT, che a Roma e in altre 90 città hanno partecipato alla manifestazione intitolata Sveglia Italia, per scuotere il fariseismo nostrano. In Piazza del Pantheon e in tutta Italia si è ribadito che è ora di essere civili.

Per questo, sempre in ascolto e in sintonia con la società civile, al Senato ci impegneremo per l’approvazione del disegno di legge Cirinnà, pur considerandolo il minimo sindacale, in termini di unioni civili, rispetto alle proposte che noi di Sinistra italiana e SEL avevamo presentato. Esso, da questo punto di vista, rappresenta un passo indietro rispetto al riconoscimento pieno, pulito e chiaro del matrimonio, in quanto discriminatorio nei confronti persino delle coppie di fatto eterosessuali.

Sinistra italiana è a favore dei matrimoni egualitari, perché difendiamo i diritti, nella loro interezza, per tutte e per tutti. Uguali sono le persone e uguali siano i diritti e i doveri. Uguaglianza tra tutte e tutti, davanti alla legge, con gli stessi doveri e diritti: semplice e chiaro. Il punto è questo e riguarda ciò che si pensa sotto sotto, anche tra chi non usa termini medievali, insulti e provocazioni machiste che – ahimè – hanno trovato accoglienza non solo sui social network, ma anche in questa Assemblea. A volte, per riparare ad affermazioni di enorme gravità e ad insulti squallidi, si tenta di mettere pezze che sono peggiori dello sgarro. In questo senso il senatore Formigoni si è prodotto, in questi giorni, in tale attività: peccato che tutti sentano con fastidio il rumore stridulo, che si produce scivolando lungo uno specchio. Egli sostiene infatti che si riferiva a persone specifiche, a lui note. Gli suggerisco un rimedio, credo l’unico possibile: dica a chi si riferiva, con nome e cognome, altrimenti c’è solo tanta pena nei confronti di chi, nella compulsione di twittare, perde ogni ragionevolezza e comportamenti civili. (Applausi dei senatori Cirinnà e Lumia). Si parte infatti dal presupposto che non si sta parlando di cittadini uguali, di donne e uomini con uguali diritti e doveri; il ragionamento è: concediamo il minimo indispensabile per fermare l’indignazione di un popolo che è molto più avanti (forse perché conosce la vita e le persone tutti i giorni, nei luoghi di lavoro e di studio, nelle famiglie: madri, figli, padri, fratelli e sorelle in carne ed ossa, con i loro sogni, le loro speranze e le loro quotidiane mortificazioni).

Rimane un retropensiero: che l’omosessualità sia un reato e quindi, in quanto tale, riduciamo il danno. Altrimenti non si capisce perché si evochino reati che vedono come protagonisti assoluti gli etero, e in particolare gli uomini etero. Forse sarà per la legge dei grandi numeri ma non credo, credo purtroppo che sia per una questione di responsabilità soggettive indotte da una cultura di sopraffazione: sono infatti gli uomini etero quelli che commettono i reati più turpi, spesso proprio contro i minori e le donne, e che si rendono responsabili dentro il nucleo familiare di azioni e comportamenti gravissimi, reati orribili.

Per questo consideriamo il disegno di legge un compromesso necessario ma non sufficiente a porre l’Italia in una condizione di maturazione in direzione della giustizia sociale e civile. Resta però ideologico e contraddittorio, perché ha di fatto ridotto il rinvio diretto ad articoli del codice civile che riguardano il matrimonio e la scelta è caduta proprio su quelli che contengono il riferimento alla famiglia, procedendo nell’operazione, anche lessicale, di ostacolare la possibilità che le coppie formate da persone dello stesso sesso siano trattate come famiglie. Quelle omosessuali sono «formazioni sociali specifiche» non meglio definite. Ed è paradossale che questa distinzione provenga proprio dal PD, che ha sempre insistito nel dichiararsi ispirato al modello tedesco: forse non si ricorda che le unioni civili tedesche sono inserite nel codice civile e utilizzano proprio lo strumento del richiamo agli articoli relativi al matrimonio.

Rileviamo quindi, nell’impianto del disegno di legge Cirinnà, una violazione del principio di uguaglianza formale, evidente anche rispetto alle tutele previste per le coppie omosessuali che restano di fatto inferiori a quelle prestabilite dall’istituto del matrimonio. Troviamo poi discriminatorie alcune parti specifiche, come la necessità di un nuovo matrimonio in caso di rettificazione anagrafica del sesso di uno dei due partner, o anche la mancanza di considerazione per le persone omosessuali che provengano da Paesi insensibili alla loro tutela.

Eppure la discussione viene sviata dalle questioni di merito e spostata su temi che scaldano l’opinione pubblica, producendo l’effetto di una plateale distrazione di massa. Il dibattito sulla stepchild adoption, ad esempio, sta distogliendo l’attenzione dal disegno di legge nel suo complesso. Certamente noi siamo favorevoli all’istituto dell’adozione e per questo abbiamo presentato alcuni emendamenti al testo unificato proposto dalla Commissione giustizia del Senato, che ricalcano due nostri disegni di legge già depositati, sul riconoscimento delle unioni civili per tutte le coppie maggiorenni, eterosessuali ed omosessuali, sul matrimonio e sull’adozione per le coppie omosessuali, che abbiamo depositato ex novo.

Ma il disegno di legge Cirinnà presenta molte contraddizioni, come l’essere avulso per alcuni aspetti rispetto alle leggi già esistenti. Proprio la parte che prevede l’adozione è in conflitto con una legge che vieta la maternità surrogata.

Vero è anche, però, che il disegno di legge Cirinnà è il prodotto di una mediazione molto complessa, dopo due anni di dibattito e costituisce pur sempre una base, assolutamente perfettibile, per una piattaforma di diritti che metta al centro del dibattito politico i temi dell’affettività. Né il legislatore può più esimersi dal predisporre il quadro normativo necessario a rispondere alle nuove esigenze che una società in continua evoluzione pone allo Stato.

Sono squadernate una realtà e una società civile ormai mature per il cambiamento, se il rapporto ISTAT 2011, «La popolazione omosessuale in Italia», ha messo in evidenza che il 62,8 per cento degli intervistati è d’accordo con l’affermazione: «È giusto che una coppia di omosessuali che convive possa avere per legge gli stessi diritti di una coppia sposata».

Pochi giorni fa, un articolo di un noto quotidiano ha riportato i dati di alcune indagini ISTAT per provare a quantificare le coppie omosessuali con i loro figli. Credo che ridurre tutto ad una questione meramente numerica sia riduttivo: qui stiamo parlando della piena uguaglianza di tutti i cittadini, tema sollecitato ormai da troppe realtà territoriali, attraverso l’istituzione del registro delle unioni civili in moltissime città d’Italia – oltre 150 – Roma compresa, che ha ottenuto questo risultato anche grazie all’apporto e all’impegno di Sinistra Italiana SEL in Consiglio comunale e nella città.

Era il 1993 quando il sindaco di Empoli, per primo, riuscì ad istituire il registro delle unioni civili. In mezzo ci sono state Milano, Firenze, Napoli e tantissime realtà piccole e grandi, che hanno dato il proprio contributo a questa rivoluzione. Ma da tutti i territori è stata chiesta – una unanimità diffusa a macchia di leopardo – una legge nazionale sulle unioni civili e sui matrimoni.

Né è più possibile lasciare alla giurisprudenza la responsabilità dell’evoluzione del diritto. Anche perché era in voga un ritornello a quei tempi. Quando ci sarà una legge sarò il prima ad applicarla. Questo dicevano i sindaci che magari erano contrari nel merito e si riparavano dietro questo ritornello. E ne abbiamo conosciuti: molti! E li abbiamo combattuti: molti!

In tantissimi casi le sentenze dei tribunali hanno fatto discutere, rimandando alla legislazione nazionale. È il caso, tanto per fare un esempio recente, della prima sentenza che in Italia ha riconosciuto l’adozione di una bimba da parte della compagna e convivente della madre, confermata il 23 dicembre 2015 dalla Corte d’appello di Roma. Era il 29 agosto 2014, quando dal Tribunale dei minori uscì una sentenza definita storica, la prima italiana, ovvero il riconoscimento del progetto di maternità di due donne che convivevano stabilmente da dieci anni. Le due compagne si erano sposate in Spagna ed iscritte nel registro delle unioni civili di Roma; nel 2009 una di loro aveva avuto una figlia con la procreazione assistita all’estero.

Quindi, la Consulta ha affermato che le coppie di fatto devono avere un riconoscimento giuridico. Per l’Italia, lo ripetiamo, è tempo di essere civili. Per moltissime ragioni e per una in particolare, semplice, forse banale, che va oltre il diritto all’uguaglianza e supera la contrapposizione ideologica delle piazze favorevoli e contrarie al disegno di legge Cirinnà: le unioni civili non sono in contrapposizione alla famiglia.

La legge sulle unioni civili è la cornice giuridica per il riconoscimento della famiglia in tutte le forme sociali in cui si struttura. Per questo ogni strumentalizzazione politica è assolutamente anacronistica e priva di senso: nessuno può opporsi all’evoluzione di una società, né la vita e i diritti delle persone possono diventare ostaggio di equilibri politici dentro nessuna maggioranza. Il riconoscimento dell’uguaglianza dei diritti per tutti è da sempre una nostra battaglia, che in quest’Assemblea porteremo avanti fino in fondo, con le opportune valutazioni, anche in collaborazione con le associazioni LGBT.

Il nostro obiettivo è quello di dare al Paese una legge che garantisca effettivamente, e non solo sulla carta, piena uguaglianza e inclusione contro ogni forma di discriminazione. Muovere un primo e importante passo nella direzione di una assoluta uguaglianza di tutte le donne e gli uomini del nostro Paese. È questo il nostro compito. Oggi, qui ed ora! (Applausi dai Gruppi Misto e PD).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Santini. Ne ha facoltà.

 

SANTINI (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, penso che la disciplina sulle unioni civili debba essere approvata, dopo molti anni di attesa, come richiesto esplicitamente dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Nei tanti interventi a sostegno dell’approvazione sono state due le principali argomentazioni: la imprescindibile necessità di riconoscere diritti civili e sociali a coppie dello stesso sesso, fino ad oggi escluse. Principi e norme, quindi, di inclusione, non discriminazione, legittimazione legislativa della propria scelta di rapporti affettivi e la conseguente parità di una serie importanti di diritti civili, patrimoniali, assistenziali, previdenziali. Il valore assoluto della tutela dei minori, in particolare dei figli preesistenti all’unione civile, come sottolineato con particolare enfasi in alcuni interventi.

Esprimo la mia convinta condivisione di entrambe le esigenze e penso che l’approvazione della legge sulle unioni civili possa corrispondere alle aspettative e alle necessità imposte al legislatore dai due fronti di tutela. Tuttavia, in questo ambito e mantenendo questa coerenza ai principi di inclusione e tutela, vanno affrontati alcuni punti che meritano significative correzioni rispetto ad disegno di legge. Tralascio, per motivi di tempo, il rapporto tra unioni civili e matrimoni, che eventualmente ritroverete nel testo.

Intendo invece motivare la necessità di modificare la parte relativa all’articolo 5 sull’adozione del figlio del partner. Questa mia convinzione non ha intenti discriminatori, ma di oggettiva attenzione rispetto agli effetti anche indiretti che questa norma può determinare ben oltre l’obiettivo che si pone di dare migliore tutela ai figli preesistenti. Obiettivo, questo, che va assolutamente salvaguardato e potenziato e al cui proposito l’introduzione (in alcuni emendamenti che anche io ho sottoscritto) dell’affido rafforzato darebbe ampie garanzie, fino ai 18 anni. L’affermazione, al contrario, di un incondizionato diritto di adozione al pari dei coniugi trascina, invece, all’interno di questa legge un tema rilevantissimo – quale la maternità surrogata – estraneo all’oggetto principale della discussione odierna, che meriterebbe una sede ampia e autonoma di trattazione e non certo meramente incidentale come quella attuale.

Si tratta – è vero – di una pratica già vietata e sanzionata penalmente dal nostro ordinamento, ma che, in quanto ammessa in altri Paesi, sta alimentando forme di «turismo procreativo» da parte di coppie italiane, prevalentemente eterosessuali, in elusione o violazione delle leggi vigenti in materia di adozione o di accesso alla procreazione medicalmente assisitita.

Si è molto discusso del legame tra la stepchild adoption e la maternità surrogata. Alcuni interventi lo hanno decisamente negato, classificandolo come invenzione, fantasma o rischio inesistente. Non voglio confutare queste convinzioni, ma voglio porre in evidenza il fatto che nessuno può escludere che questa norma possa avere un effetto incentivante rispetto ai due componenti dell’unione civile che per loro natura non sono in grado di procreare congiuntamente.

Mi chiedo allora se come legislatori possiamo a cuor leggero varare una norma che, seppure indirettamente, incentivi un comportamento effettivo di illegalità, che contraddice un’altra norma del nostro ordinamento.

Colleghi, anche se esistesse solo un’ombra, penso che dovremmo essere tutti d’accordo a fermarci prima di legiferare in questo senso, senza per questo contravvenire ai due principi di inclusione e di tutela dei minori ricordati.

A questo scopo la soluzione più coerente appare quella di considerare l’opportunità di una generale riforma della disciplina delle adozioni, da affrontare però in una sede diversa da quella attuale, sulla base di due oggettive situazioni. Anzitutto, la pratica della maternità surrogata cambia radicalmente il quadro di riferimento legislativo sul tema del riconoscimento dei figli e quindi va attentamente valutato il rapporto che può determinarsi con la riforma della disciplina delle adozioni. Con quali esiti oggi nessuno può dirlo, ma credo fin d’ora escludendo semplicistiche ed automatiche estensioni.

In secondo luogo, cambia anche, proprio per effetto della legge che stiamo approvando, la platea dei soggetti di riferimento per le politiche adottive.

Infine, ma non meno importante colleghi, è la considerazione che il Senato ha in questi giorni un’occasione straordinaria di interpretare con equilibrio, rifuggendo da facili tentazioni divisive, quanto emerso in queste settimane nel Paese, con manifestazioni molto partecipate.

Auspico che il Senato approvi una legge sulle unioni civili, dopo anni di attesa, affidando la disciplina delle adozioni ad un altro specifico provvedimento. Se non ci fidiamo di noi stessi, approviamo una delega che vincoli il Governo a farlo in breve tempo. Su questo, credo, il Senato può votare con un consenso molto ampio, dando un segnale positivo di avanzamento civile a tutto il Paese.

Ed allora perché non farlo? (Applausi dal Gruppo PD).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Malan. Ne ha facoltà.

 

MALAN (FI-PdL XVII). Signor Presidente, vorrei approfittare di questo intervento per affrontare alcuni punti sollevati a proposito di questo disegno di legge sia in quest’Assemblea, durante una discussione generale molto interessante, sia al di fuori, dove la comunicazione – come sappiamo – è schierata in modo almeno opposto rispetto ai cittadini. La maggior parte dei cittadini italiani, come dicono tutti i sondaggi, è contro l’equiparazione delle unioni civili al matrimonio e, in particolare, è contro le adozioni da parte delle coppie dello stesso sesso. In base ai rilevamenti effettuati, questo numero sta aumentando, nel giro di poche settimane, nonostante nell’informazione si trovi una proporzione all’incirca contraria: mentre i quattro quinti degli italiani sono contrari, i quattro quinti dell’informazione sono favorevoli, indice di un distacco tra questa sorta di proprietari dei mezzi di produzione delle idee (per usare un termine vagamente marxista) e invece coloro che sono titolari di queste idee. Infatti, fintanto che siamo in democrazia, dovrebbe contare di più l’opinione della maggioranza del popolo italiano piuttosto che quella della maggioranza di qualche autonominatosi intellettuale; poi, naturalmente, basta schierarsi con la sinistra e diventi automaticamente intellettuale, anche se hai la terza elementare (con tutto il rispetto per chi ha avuto l’opportunità di fare pochi studi).

Vengono sollevate molte questioni del tutto inventate e lontane dalla realtà, mentre invece altre vengono completamente ignorate, pur essendo strettamente connesse a questa legge. Ne affronterò alcune. Ho sentito un intervento accorato poco fa in quest’Aula, che ho anche apprezzato per certi versi, in cui si diceva sostanzialmente che chi è contro questa legge è contro i diritti degli omosessuali, è perché siano discriminati, è per ritornare ai tempi del nazismo, quando gli omosessuali venivano messi nei campi di sterminio; per cui la situazione sarebbe questa. Invece non è assolutamente così.

Noi tutti del Gruppo di Forza Italia siamo sicuramente contro le discriminazioni nei confronti delle persone omosessuali e devo dire che questa è già la realtà che viviamo nella società. Oggi vi sono omosessuali dichiarati – non si tratta di entrare nella loro privacy, perché lo dichiarano – che sono pressoché in tutti i settori della società, molto spesso in posizione di vertice, senza che il proprio orientamento sessuale abbia in alcun modo ostacolato la loro carriera e la loro posizione. Forse, in alcuni casi, l’ha persino favorita, nel senso che è una cosa trendy e di moda, per cui in certi casi è addirittura una marcia in più, così come, in altri, potrebbe aver fatto loro incontrare delle difficoltà. Ma questo succede a tutti, alle minoranze religiose o a chi ha qualche difetto fisico, vero o presunto. Se andiamo a vedere tutte le ragioni per cui, tra i ragazzini, qualcuno viene preso in giro, l’elenco sarebbe lungo: quelli che sono troppo alti, quelli che sono troppo magri, quelli che sono troppo grassi, quelli che non sono nessuna di queste cose, ma che sono magari vittima di sfottò da parte di qualcuno, nelle scuole o negli stadi (le ragioni non mancano).

Però, coloro che oggi si schierano e dicono che chi è contro la legge Cirinnà è per le discriminazioni degli omosessuali io non li ho visti reagire alla visita del signor Rouhani, presidente della Repubblica iraniana, dove l’omosessualità è sempre e comunque punita, spesso con pene corporali molto pesanti, spesso con la morte. Ci sono degli studi, da parte di istituti internazionali che studiano i diritti delle minoranze (in particolare i diritti delle persone omosessuali), che hanno affermato, perché non è molto facile capirlo, che durante gli ormai più di trent’anni (trentasei, anzi trentasette anni) di regime teocratico in Iran, gli omosessuali uccisi per questa ragione, cioè per il fatto che lo sono, sono centinaia e forse addirittura secondo alcuni migliaia. Bene, quando è venuto il rappresentante di questa bella società a Roma, il Governo, quello stesso Governo che nei fatti spinge questa legge, ha pensato bene di fare una figuraccia a livello planetario, inscatolando alcune opere d’arte per non offendere l’illustre visitatore. Di questo episodio nessuno è responsabile; dunque il responsabile è il Presidente del Consiglio, perché, se non sai cosa succede nel tuo Governo, il responsabile sei tu. È stata citata una certa funzionaria, che però sta lì tranquillissima al suo posto; di conseguenza, ciò vuol dire che non è lei la responsabile oppure che è stata ritenuta brava e che ha fatto bene.

Mentre io, insieme ad alcuni altri, sono stato a manifestazioni contro Rouhani. Ma il problema che i gay negli altri Paesi vengano impiccati, emarginati davvero, presi a frustate o incarcerati non si pone; va tutto bene. L’importante è avere le adozioni per le coppie gay, perché questa è la misura dei diritti umani; in Italia, naturalmente, perché di quello che succede altrove chi se ne importa (poi si cita l’estero quando non c’entra).

Altra bugia – e l’ho sentita anche poco fa – è che questa legge mette sullo stesso piano le coppie omosessuali e quelle eterosessuali: semplicemente non è vero. Questa legge mette sullo spesso piano le coppie omosessuali che decidono di accedere alle unioni civili con le coppie sposate, ovviamente eterosessuali, perché questa è la legge attualmente vigente in Italia: questo sì.

È un matrimonio in tutto salvo per tre aspetti. In primo luogo, il nome, ma sappiamo che il nome è davvero una cosa poco importante. Se è per questo, in altri Paesi il matrimonio non si chiama così, ma si chiamerà con una parola straniera. Lei, sottosegretario Scalfarotto, l’ha anche detto, e non mi faccia ancora citare l’intervista su «La Repubblica», nella quale lei ha dichiarato che non si tratta di un matrimonio di serie B, ma della stessa cosa, che viene chiamata con altro nome per motivi di realpolitik. Ma noi non abbiamo scritte autodileggiative in fronte! La prima differenza è quindi del tutto ininfluente.

Seconda differenza. Le coppie unite da unione civile possono accedere all’adozione del cosiddetto figlio del partner, tradotto così in italiano, ma la parola sempre usata, stepchild adoption, vuol dire adozione del figliastro da parte del coniuge, e dunque si conferma che è un matrimonio. Questo lo possono fare, ma non possono farlo per l’adozione dei figli esterni alla coppia. Chiedo scusa se torno a citarla, onorevole Scalfarotto, ma sono sue parole ed immagino che, avendole dette, si possano citare. Lei ha dichiarato che agli omosessuali interessa avere figli propri – e la stepchild adoption è proprio questo – e non avere figli che, si sa sin dall’inizio, sono di altri e vengono adottati. In ogni caso questa differenza c’è, ma è del tutto marginale.

Terza differenza. Non ci sono le pubblicazioni per le unioni civili, mentre invece, come voi sapete – questo sì che sarebbe qualcosa di innovare – ci sono per i matrimoni. Nell’epoca di Internet quando due si sposano l’unione viene pubblicata nell’albo del Comune, che nessuno guarda più perché non siamo mica negli anni Sessanta o prima, quando si andavano a vedere le pubblicazioni per sapere chi si sposava; nessuno va più a vedere l’albo pretorio. Comunque è un modo di dare pubblicità perché, come si dice nella formula classica, se qualcuno ha qualcosa contro questo matrimonio parli ora o taccia per sempre. No, per le unioni civili non si può fare perché vengono fatte riservatamente.

Questa non è una differenza rispetto al matrimonio che la declassa un po’, bensì un privilegio. Infatti, tanto per dire, può succedere che qualcuno faccia un’unione civile con un’altra persona dello stesso sesso – perché con quelle dell’altro sesso non la puoi fare, c’è una certa rigidità e ci si scopre molto moralisti; certe cose non si fanno con persone dell’altro sesso, ma solo con persone dello stesso sesso – senza che nessuno lo sappia; magari non lo sanno neanche i figli, ai quali nel frattempo viene chiesta una particolare assistenza, o magari se collaborano in una ditta si chiede qualche onerosa partecipazione all’attività della ditta familiare, e non sanno (mentre invece lo saprebbero, se fosse un matrimonio) che questo padre o questa madre ha sposato una persona dello stesso sesso – pardon, ha fatto un’unione civile – e di conseguenza vengo deprivati di una parte della loro eredità. Tutto bene, ma bisognerebbe saperlo, per cui è addirittura un vantaggio rispetto alle coppie sposate.

Invece le coppie eterosessuali che non si sposano, che non sono sposate (ce sono 1,5 milioni in Italia e sono enormemente più numerose delle coppie omosessuali), fruiscono dei diritti previsti dalla seconda parte di questo disegno di legge e questi diritti sono quasi impalpabili. E soprattutto è molto poco chiaro chi vi accede e chi no, perché è possibile che vengano riconosciuti questi pochi diritti non per volontà dei titolari; è il giudice che decide se una coppia che vive insieme lo fa per caso o per stabilire un patto duraturo: una cosa davvero curiosa.

Ebbene, queste coppie non avranno – tanto per parlare di una cosa che interessa – la reversibilità. Magari un uomo e una donna hanno avuto parecchi figli e la donna ha rinunciato alle opportunità lavorative e dunque contributive per seguire i figli. E quando muore ad esempio l’uomo (o la donna), non ci sarà alcuna reversibilità, il che può anche essere una scelta, e ci sarà la sua motivazione. Ma due signori o due signore che decidono di fare un’unione civile e quindi di sicuro non avranno figli propri, anzi non avranno figli, questi invece hanno la reversibilità. Questa è la bella eguaglianza che si vuole stabilire. Altra cosa che si dice è che il presente disegno di legge non c’entra nulla con l’utero in affitto. Per carità, non c’entra nulla con l’utero in affitto. Da dove vengono i figli delle coppie dello stesso sesso? Qualcuno sostiene che magari vengono da relazioni eterosessuali che hanno avuto prima ed è anche possibile. Vi è, però, un piccolo fatto da considerare: se l’altra persona, per esempio la donna con cui un uomo ha avuto dei figli, è in vita (e ordinariamente succede così: generalmente si muore da anziani, per cui i minorenni sono tutti figli di persone in vita), non è che perché uno sposa una donna può adottare i suoi figli, che però sono di un altro uomo vivente. Non si può fare, eterosessuali e non eterosessuali.

Questa stepchild adoption è per adottare i figli frutto di fecondazione avvenuta con la partecipazione di una persona esterna, un uomo o una donna. In entrambi i casi questo bambino nasce preventivamente programmato per essere orfano di padre o di madre. Dire che non c’è relazione tra la stepchild adoption (l’adozione del figliastro) e l’utero in affitto (la gravidanza per altri) è come dire che non è vero che ad ogni furto corrisponde una persona derubata, che ad ogni vendita corrisponde un acquisto; è come dire che abolire il reato di ricettazione non favorirebbe il furto, cioè una follia. Però la logica è in pericolo quando si vuole imporre a dei bambini di avere due padri o due madri. Se si fa una cosa di questo genere, effettivamente tutto è possibile: è possibile che due più due faccia uno e mezzo; è possibile che un triangolo abbia sette lati e che la somma dei suoi angoli faccia 420 gradi. Tutto è possibile. Se è possibile avere due padri e due madri si può fare anche questo.

Tuttavia si dice che non bisogna discriminare questi bambini. Ho anche sentito il senatore Mineo dire che chi non vuole la stepchild adoption dice al bambino figlio che è cresciuto da una coppia di donne o di uomini che si deve vergognare di vivere in questa condizione. Chi lo ha mai detto? Il bambino che viene cresciuto, educato, accudito da uno dei genitori e dai nonni o solo dai nonni o dalla zia, senza che questi abbiano titolo di essere loro padri, o i bambini dei quali il secondo marito della madre (o la seconda moglie del padre) si prende cura più del loro genitore vero sono forse discriminati perché questa persona magari qualche volta li va anche a prendere all’uscita dall’asilo?

Peraltro, questa dell’uscita dall’asilo è un’altra balla gigantesca. I miei figli sono stati presi all’uscita dalla scuola o dall’asilo da una serie di persone; a volte sono andato anche io con un altro uomo e nessuno mi ha chiesto il certificato di matrimonio con quest’altro uomo. Tu fai la delega alla scuola, statale e pubblica, e va a prenderlo chi decidi tu. Poi non hai bisogno di specificare se quello è tuo marito, quello con cui vai a letto, è il tuo collaboratore domestico o è tuo fratello. È una grandissima balla. La balla è quella della discriminazione. Qui sì che si vuol fare discriminazione: si vogliono discriminare questi bambini e condannarli a vita a non avere mai una madre o un padre. Però si dice che questo non c’entra nulla con la stepchild adoption. No, no, non c’entra nulla.

Un’altra balla che viene fatta girare è che questo disegno di legge mette da una parte i cattolici conservatori, che sono contrari, e dall’altra tutti gli altri che sono favorevoli. Innanzitutto non sapevo che in Italia ci fosse il 75 per cento di cattolici conservatori, ma ultraconservatori mica poco conservatori: per dire, Giovanardi sarebbe ancora un moderato. Il 75 per cento degli italiani è così? No, il 75 per cento degli italiani pensa – la logica è logica – che un bambino ha diritto ad avere un padre e una madre. Possono essere cattolici, conservatori e progressisti; possono essere protestanti e la maggior parte dei protestanti in Italia (non quelli più visibili, ma quelli più numerosi) è schierata su questa posizione, cioè sono contrari all’adozione da parte delle coppie dello stesso sesso. Ci sono ortodossi, ci sono atei, ci sono omosessuali, anche famosi, che, per aver dichiarato queste cose, sono stati attaccati in modo particolarmente violento dagli omosessualisti militanti. Questa è la realtà e mi sento in dovere di rispondere al senatore Mineo che mi ha detto: come fai tu che sei valdese ad avere queste posizioni? In queste posizioni non c’è nulla di strano. Il mio popolo-chiesa è sempre stato sulle mie posizioni, finché, ad agosto dell’anno scorso, hanno modificato un documento ecclesiastico riguardante il matrimonio, che fino ad allora era l’unico esistente e vigente (lasciamo perdere che poi fosse ampiamente violato) e che era su posizioni un po’ più conservatrici di quelle di Papa Ratzinger: di divorzio non si parla neppure perché non dovrebbe esistere. Così era trattato in questo documento il matrimonio, quindi lasciamo stare. Io sono sulle posizioni che il mio popolo e la mia chiesa hanno avuto almeno per ottocento anni (e più, credo), per cui semmai sono altri che dovrebbero dare spiegazioni.

Altra mistificazione: con la stepchild adoption si tolgono i bambini dagli orfanotrofi. In primo luogo, non è vero: trattandosi solo dell’adozione del figlio del partner, del figliastro, nessuno di questi bambini è in orfanotrofio, perché il padre e la madre li hanno e quindi non c’entra nulla. Ma cosa succede, potenzialmente, se muore il padre naturale di un bambino che è stato cresciuto da suo padre naturale e dal compagno del padre? Questo bambino non va in orfanotrofio perché, fin dal 1983, vi è una legge che dice che, in caso di mancanza di entrambi i genitori, un bambino può essere adottato con l’adozione speciale, cioè direttamente, oltre che da altri congiunti, da persona con la quale questo bambino abbia una relazione stabile e duratura. Voglio vedere qual è il magistrato oggi che non darebbe la preferenza addirittura a questa relazione anche se magari la persona non è così raccomandabile – non perché omosessuale, per carità, ma perché ci sono persone poco raccomandabili di qualunque orientamento sessuale – rispetto a nonni, zii e così via. Con la temperie che c’è adesso, figuriamoci. Comunque questo è già previsto: nessun bambino va in orfanotrofio. Infatti, se per caso non c’è nessun altro, a quel punto è sicurissimo che il bambino possa essere adottato – a meno che il tribunale lo giudichi del tutto inidoneo per altri motivi – direttamente dal compagno del padre o della madre, a seconda delle situazioni.

Va detta, inoltre, una cosa sulla logica di dover prevedere ogni caso. Prima di tutto, anche in caso di morte, la situazione si risolve nel modo che ho detto. Ma allora, con questa logica, si dovrebbe permettere a ciascuno di avere diverse mogli e diversi mariti. Infatti, cosa succede se uno muore, in una coppia? Se muore il padre, accidenti il bambino rimane senza padre: facciamo in modo che la signora possa sposare due o tre altri mariti così non c’è problema e, anche se ne muore uno, ce n’è sempre un altro, come le ruote di scorta (almeno una ci vuole). Sono logiche del tutto folli. Pensare che, poiché se un genitore muore poi il bambino rimane solo, è necessario appioppargli due padri, così siamo sicuri: una follia totale.

In realtà, è tutto un pretesto e una costruzione per scardinare il concetto di paternità e di maternità (adesso si usa questa orribile parola, «genitorialità», che io rifiuto), per sganciarlo completamente dalla procreazione, infangare il nobile istituto dell’adozione, che consiste nel dare un padre e una madre a un bambino che non li ha, e sostituirlo con la cosa opposta: programmare un bambino perché nasca orfano in modo da poterlo adottare da parte di due uomini o di due donne.

Chiudo sull’ultima frottola: i matrimoni e le adozioni sessuali stanno dilagando nel mondo, sono dappertutto in Europa e siamo noi gli ultimi. Piccolo elenco dei Paesi, solo in Europa (in tutto il mondo sono 160), che non hanno le adozioni da parte delle coppie dello stesso sesso: Albania, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Cipro, Cipro del Nord, Città del Vaticano (sarebbe strano), Croazia, Estonia, Fær Øer, Georgia, Gibilterra, Grecia, Kosovo, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Macedonia, Moldavia, Principato di Monaco, Montenegro, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Russia, San Marino, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Svizzera, Ucraina, Ungheria. Il 28 febbraio di quest’anno la Svizzera farà anche un referendum per stabilire se il matrimonio è solo tra un uomo e una donna: i sondaggi dicono che il sì è in testa tra gli elettori di tutti i partiti, ivi inclusi quelli di sinistra. Auguri, Partito Democratico (mica tanto). (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII e del senatore Milo).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Idem. Ne ha facoltà.

 

IDEM (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, ormai stiamo camminando soltanto su quel muro che divide chi è favorevole alle adozioni e chi non lo è. Il fatto curioso è che si potrebbe osservare, a ragione, che il fattore di conflitto più acceso non sia nemmeno oggetto di questa legge.

Sorvolo sulle teorie cospirative espresse in quest’Aula per cui, partendo da questo testo, si teme un’evoluzione inevitabile verso l’accettazione totale della cosiddetta ideologia gender, che presumibilmente ci porterebbe ad accettare pedofilia e poligamia. Garantisco che si tratta di una citazione. Non oso immaginare le paure ancestrali che nutrono posizioni del genere, ma esprimo la mia compassione; potrei sforzarmi di comprenderle traslocando mentalmente, tornando indietro nel tempo per alcuni secoli – sento odore di Medioevo – ma, grazie a Dio, viviamo nel presente, in uno Stato moderno.

Uno Stato europeo che si sta muovendo verso l’affermazione di diritti e doveri per persone che ancora oggi, purtroppo, sono discriminate per il loro orientamento sessuale (non condiviso dalla maggioranza delle persone, ma le pratiche sessuali sono aspetti di dominio esclusivamente personale) e pertanto impossibilitate dalla legge vigente a costruire convivenze riconosciute, basate sull’amore. Un amore che reclama il diritto di potersi prendere un impegno reciproco.

Voglio ricordare che sta nascendo un diritto valido tanto per le coppie dello stesso sesso quanto per tutte quelle eterosessuali, che vorranno scegliere la disciplina di questa legge per la loro lebensgemeinschaft, la loro comunità di vita.

Vengo al punto più discusso, la stepchild adoption: in apparenza, il più grande timore è quello che sia un passaggio mascherato per legittimare la pratica dell’utero in affitto, peraltro già vietata per legge e di cui il disegno di legge Cirinnà non tratta. Questi sono i dati riscontrabili.

Per quanto concerne i dati non riscontrabili, invece, il presidente della società italiana di pediatria, Giovanni Corsello, ha recentemente sostenuto che non si può non escludere che convivere con due genitori dello stesso sesso non abbia ricadute negative sui processi di sviluppo psichico e relazionale nell’età evolutiva. Il che equivale a dire: vivere nella Terra dei fuochi potrebbe avere ricadute negative sulla salute, intendendo per Terra dei fuochi non l’ambito familiare della coppia omoaffettiva, bensì la nostra società, troppo tossica da essere in grado di accogliere la modernità. Perché, ipocrisia a parte, è evidente che il vero problema per gli adopted stepchildren non è l’amore che esperiscono in una famiglia composta da due genitori dello stesso sesso ma il contesto culturale tossico, appunto, che non ammette questa opzione, in quanto discrimina chi compone nuclei familiari nel senso inteso dal disegno di legge che stiamo attualmente discutendo.

Un provvedimento che, per me, deve passare così come proposto dalla collega Cirinnà. Anzi, vado oltre e mi allineo agli onorevoli colleghi che, come me, considerano l’attuale versione un minimo sindacale. Sarei per estendere i diritti al massimo grado e pertanto ho firmato alcuni emendamenti per ammettere le adozioni tout court, e non solo quelle dei figli biologici del proprio partner. Il motivo è piuttosto semplice; se è vero che è già un insulto alla Costituzione negare un diritto, è una mostruosità negare diritti ai bambini. Quindi, pur essendo contraria alla gestazione per altri a pagamento, dico con forza: nessuno ha il diritto di negare la possibilità di adozione per un bambino in ragione delle scelte dei genitori. Se ciò avvenisse, saremmo di fronte ad uno Stato che ripudia i suoi figli perché incapace di far rispettare norme e di accogliere l’inevitabilità e la gioia di una vita che viene al mondo. Mi avvio alla conclusione.

Trovo insopportabile l’idea che in un mondo sempre più globalizzato, da un lato assistiamo – pigramente, e non troviamo rimedio – a scene in cui, letteralmente, si buttano via bambini, mentre dall’altro, anche in quest’Aula, si discute, con fare medievale, se qualcuno abbia titolo per amare e adottare il figlio del partner oppure no.

Trovo insopportabile l’ipocrisia con la quale ci si esprime preoccupati per l’incolumità psicologica dei figli che vivono con due genitori dello stesso sesso e, allo stesso tempo, non si trova rimedio ai modelli ammalati della nostra società che si perpetuano, indisturbati, generando fenomeni pericolosi come la violenza assistita, il bullismo, il cyberbullismo. Chi si preoccupa delle giovani ragazze anoressiche o bulimiche che inseguono modelli di magrezza irraggiungibili? Altro che genitori omosessuali!

Raramente mi riferisco alla mia esperienza al Governo, ma va detto che le mie ripetute richieste di dare il patrocinio al Pride di Palermo sono tutte state rispedite al mittente. E non solo. Sono anche stata invitata a lasciare perdere, a non combattere per i diritti delle persone LGBT, a non partecipare al convegno che inaugurava la manifestazione. Ci sono andata lo stesso, con convinzione, sapendo che la mia presenza avrebbe dato fastidio. Oggi, a tre anni da quel Pride – e chiedo di concedermi questa trasgressione grammaticale – dico: I am pride of having been there, sono orgogliosa di esserci stata.

Concludo il mio intervento. Il collega Malan prima ha detto che le unioni civili sono uguali al matrimonio. Avrei preferito che questo diritto l’avessimo chiamato subito così, però mi adeguo al compromesso e voterò questo testo. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cappelletti. Ne ha facoltà.

 

CAPPELLETTI (M5S). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi senatori, il momento che sta attraversando il nostro Paese è veramente grave: pensate che rischiamo addirittura di estendere i diritti civili alle coppie gay, esattamente come avviene praticamente in tutto il resto d’Europa. In Spagna per le coppie gay è possibile sposarsi e anche adottare dei figli. In Francia e in Gran Bretagna l’adozione è legale da parte di coppie omosessuali, come anche, peraltro, il loro matrimonio. In Germania è consentita la stepchild adoption e anche l’unione civile. Si potrebbe continuare con Olanda, Belgio, Norvegia, Svezia, Danimarca, Irlanda, Austria eccetera. Ma qui siamo in Italia, un Paese dove anche il riconoscimento di diritti fondamentali, sui quali non si dovrebbe transigere, diventa oggetto di un’aspra battaglia politica, peraltro, alimentata in parte da partiti ridotti al lumicino in termini di consenso elettorale; anzi, forse proprio per quello.

Ho sentito spesso in questa Aula parlare di necessità di tutelare la famiglia tradizionale, ma ne ho sentito parlare da parte di parlamentari che verranno ricordati più per i loro tentativi di giustificare festini, droghe e prostitute che per la loro attività di parlamentari. Altri che ora si stanno strappando le vesti per la tutela della famiglia tradizionale sono arrivati addirittura ad umiliare l’intero Parlamento depositando emendamenti per la tutela della pedofilia. Sono stati ritirati, non senza imbarazzo. I colleghi che sono con me in Commissione giustizia ne hanno ben memoria. Certo, un bel modo quest’ultimo di tutelare la famiglia; è sicuramente originale. Altri ancora non hanno esitato a sdoganare l’abuso sessuale di minorenne difendendo l’indifendibile, come nel caso di Ruby. Ecco, io credo, Presidente, che sia sacrosanta la necessità di dare maggiori tutele alla famiglia. Mai forse come adesso la famiglia è sotto attacco, ma non certo per il disegno di legge Cirinnà, ma per politiche scellerate di un Governo che non parte dalle necessità fondamentali della famiglia. Per esempio, per dare un primo sollievo concreto alle famiglie si potrebbe partire dall’introduzione anche nel nostro Paese del reddito di cittadinanza. Questo disegno di legge ha trovato una ferma opposizione proprio nel Presidente della Commissione lavoro, altro esponente politico che a parole si spende a tutela della famiglia, ma che nei fatti è uno dei maggiori responsabili della crisi in cui si trovano le famiglie oggi nel nostro Paese. Basti pensare alle precarietà introdotte nel mondo del lavoro. Faccio un altro esempio: quanti aborti si potrebbero evitare se ci fosse nel nostro Paese una vera tutela della famiglia? Penso ad un sistema serio di assistenza, come già avviene, peraltro, nella maggioranza dei Paesi europei. Probabilmente parliamo di decine di migliaia all’anno. Ma per il Parlamento questo non rappresenta un problema sociale di cui discutere.

Tornando al provvedimento in discussione, è stato più volte ricordato – e vorrei ribadirlo io stesso – che l’Italia è già stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per non aver ancora introdotto una disciplina sulle unioni omosessuali nel nostro Paese e vorrei ribadire che la stessa Corte costituzionale ci ha più volte richiamato, in quanto legislatori, a provvedere. Certo, mi viene detto spesso che ciò è pur vero, ma che ci sono ben altre priorità nel nostro Paese. È verissimo che ci sono molte priorità, ma delle unioni civili in Italia si discute da trent’anni. La prima proposta di legge risale addirittura al 1988, poi ci sono stati i cosiddetti diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi (DICO) e i patti civili di solidarietà (PACS), ma non se fece nulla. Insomma, sono dieci legislature che viene detto ai cittadini italiani, che aspettano questa riforma, che non si tratta di una priorità. Credo quindi che ora sia venuto il momento di votare questa riforma.

Sappiamo bene che una fetta di maggioranza, più sensibile alla stabilità del Governo, che al riconoscimento dei diritti civili, approfitterà del voto segreto, per cercare di sabotarne il percorso in Assemblea. Non dimentichiamo infatti che in Commissione giustizia il Governo si è rimesso alla Commissione su tutti gli emendamenti, tanto su quelli favorevoli, quanto su quelli evidentemente contrari al provvedimento. Non dimentichiamo anche che, per nove volte, in ben nove voti, la maggioranza si è espressa in maniera contraria – Partito Democratico compreso – alla calendarizzazione del provvedimento sulle unioni civili, che poteva quindi essere discusso già da tempo in Assemblea, al Senato. In un’occasione in particolare il suo esame è stato fatto slittare addirittura per dare precedenza alla cosiddetta legge Boccadutri. Per la maggioranza dei partiti rappresentati in quest’Aula è stato più importante assicurarsi l’incasso di cospicui finanziamenti elettorali, piuttosto che avviare la discussione sul disegno di legge sulle unioni civili.

Avviandomi alla conclusione, per questi motivi faccio dunque un appello per il voto palese, perché ciascun senatore possa assumersi le proprie responsabilità di fronte alla propria coscienza e, soprattutto, di fronte al Paese, per scongiurare che ancora una volta possa essere fatta prevalere la necessità di non scontentare un partner di Governo, a scapito del riconoscimento dei diritti civili fondamentali, rispetto ai quali, peraltro, si sono impegnate, ripetutamente e formalmente, sia le forze di maggioranza sia quelle di opposizione. Il momento di approvare questa riforma è infatti arrivato ed è ora. (Applausi dal Gruppo M5S e della senatrice Cirinnà).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Orrù. Ne ha facoltà.

 

ORRU’ (PD). Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, avrei voluto iniziare il mio intervento leggendo integralmente gli articoli 2 e 29 della Costituzione e anche l’articolo 3, ma per ragioni di tempo non lo farò. È proprio su questi tre articoli della nostra Carta Costituzionale che si basa la nostra discussione. Colleghi, è la stessa Costituzione che all’articolo 21 sancisce il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero ed è sempre la stessa Costituzione che all’articolo 67 sancisce che i membri del Parlamento rappresentano la Nazione, senza vincolo di mandato.

Dico subito a scanso di ulteriori, pretestuosi e spiacevoli equivoci che, come ho sempre dichiarato, voterò convintamente a favore del disegno di legge, tenendo fede anche al voto espresso al termine di una assemblea del mio gruppo politico, il Partito Democratico, relativo al voto finale del disegno di legge, recante «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze».

Ciò premesso, vorrei fare alcune considerazioni e valutazioni in merito al testo di cui discutiamo.

Ribadisco che sono assolutamente favorevole all’impianto del provvedimento ed al riconoscimento dei diritti alle coppie dello stesso sesso, e non solo, che troppo tardi arriva nel nostro Paese e bene ha fatto il collega Lo Giudice a ripercorrere e ricordare gli ultimi trent’anni e le tappe raggiunte dai diversi Paesi che prima di noi hanno affrontato questo tema.

Condivido la scelta compiuta, anche a seguito di autorevoli sollecitazioni, di provvedere alla creazione di un istituto giuridico nuovo, distinto e differente dal matrimonio proprio per evitare equivoci e confusione con l’articolo 29 della Costituzione. Non credo però che questo testo sia un compromesso al ribasso; ritengo piuttosto che stiamo assolvendo egregiamente al nostro dovere di legislatori in linea con quanto disposto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010.

Ho invece molte perplessità sull’articolo 5 ed è su questo che mi soffermerò. Colleghi, le parole che maggiormente in questi giorni sono risuonate in quest’Aula sono: «eguaglianza» e «discriminazione» ma purtroppo l’esasperazione del dibattito ha nei fatti posto in essere e creato, da parte di chi in questi giorni ha fatto dell’eguaglianza la propria bandiera, una vera e propria discriminazione nei confronti di chi la pensa legittimamente in modo differente su alcuni punti del disegno di legge e nella fattispecie sull’articolo 5.

Colleghi, troppo di frequente a mio avviso dimentichiamo di rappresentare la Nazione, oltre ad essere espressione dei territori, e come probabilmente vi sarete accorti i cittadini sul tema della stepchild adoption sono divisi ed è quindi naturale che anche in Parlamento siano riportate le stesse divisioni.

Qualche collega, intervenendo in Aula, ha posto una domanda: cosa fareste se si trattasse di vostro figlio o di vostro nipote? Rispondo che rientra nei miei doveri di madre insegnare a mio figlio che non si può avere tutto ciò che si desidera, così come è mio dovere di madre insegnare e far comprendere a mio figlio che a fronte di un grande desiderio di essere genitore è indispensabile la capacità di procreare, che i figli non si comprano e che non si ricorre alla maternità surrogata; come donna invece ho la responsabilità di insegnargli che il corpo di una donna non deve essere mai usato né abusato!

Colleghi, dobbiamo avere l’onestà intellettuale di riconoscere a noi stessi (oltre che ai cittadini italiani) che pure se il testo del disegno di legge sulle unioni civili non cita mai in nessuna parte la maternità surrogata e/o la legge n. 40 ne autorizza tacitamente, o comunque non ne esclude la pratica, altrimenti di quali bambini futuri stiamo parlando?

Sappiamo bene tutti – e dico tutti – che in Italia tale pratica è vietata dalla legge n. 40 e tutti indistintamente abbiamo affermato a gran voce che è una pratica aberrante, salvo poi voltarci dall’altra parte o rimanere in silenzio o addirittura giustificare il fatto dicendo: «In Italia è vietato», quando ascoltiamo storie di coppie omosessuali, ed eterosessuali (maggiormente), che candidamente raccontano di essere andate oltreoceano per beneficiare, con un costo elevato, di una pratica che nel nostro Paese è vietata e severamente punita.

Probabilmente, anzi sicuramente, questo non è il provvedimento idoneo per affrontare a pieno l’argomento, ma certamente è questo il testo attraverso il quale possiamo dare seguito a quanto detto ed estendere la condanna in Italia se il reato viene commesso all’estero.

Lungi da me il voler discriminare i bambini tra loro e non credo sia necessario lanciare slogan per dimostrarlo perché la tutela dei bambini sta a cuore a tutti e proprio per questo una sorta di sanatoria in questo senso deve essere fatta e diversi emendamenti sono stati presentati in tal senso anche se, per i figli già nati, la legge n. 184 sulle adozioni all’articolo 44, lettera d), contempla le adozioni speciali che rientrano nella fattispecie di cui ci stiamo occupando. Su questo articolo, infatti, è stata estesa in via interpretativa (ed è proprio di qualche giorno fa l’ultima sentenza) la possibilità per le coppie dello stesso sesso di adottare il figlio biologico del partner.

Di certo non possiamo far passare il messaggio che essere genitori è un diritto e non possiamo nemmeno fare finta di non sapere che ciò che in Italia è vietato lo si può fare all’estero serenamente. Non voglio soffermarmi ad immaginare quali domande saranno poste dal bambino ai genitori quando gli spiegheranno che la sua mamma naturale lo ha portato in grembo per esaudire un loro grande desiderio, ma soprattutto non immagino quale concetto è quale idea il bambino avrà di quella donna che sicuramente non potrà chiamare mamma né sentirla come tale. Tutti gli studi citati in quest’Aula non sono stati espletati nel nostro Paese e – a mio avviso – non siamo ancora sufficientemente informati per dare una reale risposta in questo senso.

Ecco, questa è la mia grande perplessità. Giusta? Sbagliata? Non saprei. Colleghi, io al contrario di voi non ho tutte queste certezze, ma non ci sto a fare passare il messaggio che un grande desiderio di genitorialità, ossia un desiderio individuale, possa diventare unico elemento giuridico al fine di acquisire lo status di genitori. Di una cosa invece sono certa: che una mediazione è ancora possibile. Se c’è la volontà, non è mai troppo tardi per mediare. Basta dimostrare con i fatti ciò che a gran voce è stato più volte ripetuto anche in Assemblea. Tra gli emendamenti presentati, infatti, ce n’è uno che prevede che la pratica della maternità surrogata venga condannata in Italia anche quando compiuta all’estero.

Bene colleghi, concludendo, voglio dire che resto dell’idea che la soluzione ottimale sarebbe quella di non affrontare in questo provvedimento il tema delle adozioni o, comunque, di modificare il testo inserendo come reato la maternità surrogata anche nel caso in cui venga compiuta all’estero, impegnando al contempo il Governo a voler affrontare nel più breve tempo possibile il delicato tema della riforma delle adozioni e della modifica della legge n. 40.

Solo così, a mio avviso, assolveremo pienamente al nostro ruolo di legislatori senza avere il timore, come è stato detto in quest’Aula, che qualcuno tra trent’anni rileggendo i Resoconti di seduta possa avere vergogna di noi! (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore D’Anna. Ne ha facoltà.

 

D’ANNA (AL-A). Signora Presidente, il dibattito che si svolge in quest’Aula può essere riassunto in vari argomenti: il primo si riferisce a coloro che sono speciosi e che denunciano qualcosa che nel disegno di legge Cirinnà non c’è, attraverso alcuni paradigmi illogici. Mi riferisco a certi ambienti, che non mi permetto di definire clericali, ma che guardano, in linea di principio, in maniera più fideistica che razionale alla questione dell’omosessualità come ad un evento contro natura, che vedono nel disegno di legge Cirinnà il suggello di una omologazione tra coppie omosessuali e coppie eterosessuali.

 

Presidenza della vice presidente LANZILLOTTA(ore 16,56)

 

(Segue D’ANNA). Tutto questo appartiene a un dibattito che è legittimo, ma che non promana dalla lettera degli articoli del disegno di legge Cirinnà. È una considerazione allarmistica, per quanto legittima, ma che non trova alcun fondamento nella parificazione tra le coppie omosessuali e quelle eterosessuali, cioè nella parificazione tra le unioni civili e il matrimonio, che nel testo al nostro esame non c’è.

Come nella legge non c’è la questione dell’utero in affitto, perché il disegno di legge Cirinnà (lo ripeterò forse per la centesima volta in quest’Aula) altro non modifica che una piccola parte della legge n. 184 del 1983 che disciplina le adozioni prevedendo, oltre che per i coniugi, così come è scritto nella lettera b) dell’articolo 44, la possibilità di fare la richiesta di adozione anche per una delle due parti dell’unione civile, quando viene meno il padre biologico.

Dovremmo allora domandarci se questi sono esattamente i termini della questione, premesso che la lettera a) del medesimo articolo della citata legge che disciplina le adozioni prevede che i minori possono essere adottati da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado.

Se questo non è, quelli che sono critici rispetto all’articolo 5 (io sono critico, ma per un altro aspetto) dovrebbero spiegarci se questo bambino, affettivamente legato a uno dei due componenti dell’unione civile, dovrebbe essere eradicato affettivamente dall’altra persona, avendo perso il padre biologico, e affidato al brefotrofio.

Queste sono le cose che ci si parano davanti. Se allora è vero, come è vero, che è preminente la tutela del bambino, la previsione che il bambino possa essere adottato dall’altro componente dell’unione civile mi sembra un principio di buon senso. E affronto da laico la situazione.

Tuttavia devo dire – ringraziando la senatrice Cirinnà per essersi presa tutte le invettive e per aver subito tutte le strumentalizzazioni che il Padre eterno poteva inventare per dir male di cose che non sono contenute nel testo, perché a me sono simpatici coloro che pagano il prezzo e ci mettono la faccia – che dobbiamo fare una riflessione, che forse non c’entra con il disegno di legge.

Chi pensoso ritiene che il desiderio di maternità o di paternità non possa essere elevato pedissequamente a diritto da un’osservazione giusta: se così non fosse, mi sentirei autorizzato a fare una petizione sin d’ora alla senatrice Cirinnà affinché predisponga un altro disegno di legge nel quale sia garantito a tutti gli ex senatori di vivere almeno fino a 150 anni ed elevo questo mio desiderio ad un diritto. Ho fatto questo esempio per dimostrare in maniera pedissequa e chiara che non tutti i desideri possono diventare diritti, anche perché in questo caso c’è un elemento che molti trascurano, che si chiama natura, evoluzione, e che non è nella disponibilità della politica né dei legislatori.

Mi interrogo pensoso allora su cosa vogliamo fare dei 30.000 embrioni fecondati che giacciono nei tubi di acciaio criogenici, pieni di azoto, e che prima o poi dovrebbero trovare una soluzione legislativa. Da cattolico ritengo che siano bambini: bisogna dare loro solo l’opportunità di potersi sviluppare, ma biologicamente non hanno niente di diverso da tutti quanti gli esseri umani. Sono microscopici, non sono alti 150 centimetri, non hanno ancora caratterizzati gli occhi, ma li hanno in potenza, perché tutto è già codificato all’interno di quell’ovocita fecondato. Sarebbe stato bene prevedere che chi ha questo desiderio di maternità, trattandosi di una coppia omosessuale di due donne, potesse adottare uno di questi embrioni, che si deterioreranno e ci sarà una strage degli innocenti, perché prenderemo 30.000 bambini e li butteremo in uno scarico di fognatura, dato che non possono stare là indefinitamente.

E mi domando se sia possibile, anche se non è nelle intenzioni del relatore né di quanto è scritto nel disegno di legge, come ha detto poc’anzi la collega Orrù, che questo disegno di legge, surrettiziamente, consentendo questo tipo di adozioni a coppie omosessuali, possa incentivare la pratica dell’utero in affitto. Mi domando se abbiamo elevato il desiderio a diritto e se consentiamo questo, come è giusto che sia sotto il profilo del riconoscimento dei diritti perché i gusti sessuali non rappresentano una discriminante; gli uomini sono uomini e le donne restano donne, nel loro portato biologico e nel loro portato giuridico, dei diritti di cui sono depositari.

Ci dobbiamo rendere conto che se incentivassimo, nostro malgrado, la pratica dell’utero in affitto, staremmo avviando l’umanità – quindi non è neanche un fatto che ci possa riguardare come Parlamento o come Nazione – a sovvertire quello che nella chimica e nella fisica è equivalente alla conservazione della specie. Cioè, è come se volessimo modificare la legge di gravità, che è l’equivalente universale di quello che è il principio di conservazione della specie negli esseri viventi. Chi potrebbe, qui dentro o fuori da questo contesto, prevedere qual è la fine dell’universo, se noi modificassimo la legge di gravità? Io sfido anche i più intemerati, quelli irriflessivi, a riflettere, al di là dell’aberrazione della predazione di un organo, anzi della predazione di una persona, perché la gravidanza modifica in toto la condizione fisiologica della donna, e non si tratta di affittare un utero, bensì di affittare una persona. E poiché questo è soggetto a contratto, qual è il controllo dello Stato, dell’entità collettiva, su questi contratti che avvengono fuori della Nazione e per pattuizioni che noi non possiamo conoscere?

Mi avvio alla conclusione. Cosa succede se la pattuizione tra chi affitta l’utero e chi lo mette a disposizione prevede che, dopo dieci anni, questa donna lo reclami di nuovo o chi lo ha preso non lo voglia più, avendo soddisfatto il proprio desidero? Vi segnalo allora un emendamento del senatore Giovanardi, che pure non è la panacea, ma che comunque stabilisce, creando una restrizione, che i bambini concepiti con pratiche illegali nel territorio italiano non possano essere iscritti all’ufficio di stato civile, perché sono il frutto di una pratica che è ritenuta illecita in Italia. È come se noi portassimo della refurtiva, avendo rubato in un Paese dove il furto non è reato. Il punto di mediazione credo sia questo. Onde per cui invito un po’ tutti i fideisti abrogazionisti e i fideisti lassisti a fare questa riflessione su questo emendamento. (Applausi dal Gruppo AL-A. Congratulazioni).

 

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Simeoni. Ne ha facoltà.

 

SIMEONI (Misto). Signora Presidente, onorevoli colleghi, sono mesi che in Senato si discute dell’approvazione del disegno di legge Cirinnà. Non solo qui si discute: nelle TV, nei giornali, nella Chiesa, nei comitati pro e contro, sui treni, nei bar e sui social si è scatenato l’inferno. Alcuni, in quest’Assemblea, sono stati capaci solo di dire menzogne, forse sotto la pressione di lobby religiose o di moralisti e perbenisti che pensano di avere sempre la verità assoluta dalla loro parte. È falso dire che l’adozione del figlio del partner sia un apripista per rendere legale l’utero in affitto. È falso ed è anche un messaggio terroristico, che non ha lo scopo di tutelare nessuno, se non coloro che vogliono orientare le coscienze. Ogni volta si trova un motivo per negare l’apertura dei diritti, soprattutto alle minoranze, che stanno chiedendo solo la possibilità di formare un nucleo familiare riconosciuto.

Sono almeno trent’anni che in questo Paese incivile si sarebbe dovuto legiferare sulle unioni civili. Gli altri Paesi, che come al solito hanno già adottato leggi simili al disegno di legge Cirinnà, ci ridono dietro e si sentono autorizzati a dirci quello che dobbiamo o non dobbiamo fare.

È vergognosa la strumentalizzazione che viene fatta di concetti come l’utero in affitto o l’equiparazione al matrimonio. Per quale motivo si insulta l’intelligenza degli italiani? Nel disegno di legge Cirinnà questi argomenti non ci sono. Ci sono solo unioni civili tra persone che si amano, etero o omosessuali; esseri umani, nonché cittadini italiani, che hanno deciso di condividere la loro vita, in piena libertà e coscienza, e che voi in quest’Aula state denigrando. Non sono mancate neanche clamorose marce indietro da parte di politici dell’ultima ora, che, dopo aver pubblicamente osannato il disegno di legge in tutti i canali di comunicazione, ora, con una bella posizione da voltagabbana, promuovono la libertà di coscienza. Ma loro ce l’hanno una coscienza? O la vendono per una manciata di voti alle prossime elezioni? Io mi chiedo: cosa sconvolge della stepchild adoption, che altro non è che l’adozione del figliastro, che da molti anni e in alcuni casi i giudici già concedono?

Non stiamo parlando di pedofilia o di abusi sessuali, pratiche peraltro conosciute, come testimonia la cronaca, da molte brave persone come alcuni preti o alcuni bravi mariti e padri di famiglia, che poi vanno a fare turismo sessuale nei Paesi del Terzo mondo. Io dico che è ora di finirla con questo teatro; è ora di votare, di farlo palesemente e di lasciare che i cittadini abbiano la possibilità di vivere le loro scelte sentimentali con dignità. A proposito di teatro, cito una frase di Totò che mi viene spontanea: «In questo manicomio succedono cose da pazzi». (Applausi della senatrice Mussini).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Verducci. Ne ha facoltà.

 

VERDUCCI (PD). Signora Presidente, colleghi, in quest’Aula, nel dibattito di questi giorni, abbiamo tutti la consapevolezza di essere protagonisti di un passaggio di grande importanza, innanzitutto perché esso mette al primo posto le persone: ansie, aspettative, speranze che alla politica chiedono risposte. Hanno trovato voce in quest’Aula, nel dibattito di questi giorni, i sentimenti di donne e uomini che da troppo tempo vedono negate prerogative basilari, come quelle di vedere riconosciuti a pieno titolo legami affettivi duraturi, progetti di vita tra due persone che si amano, e dunque hanno il diritto di unirsi in matrimonio, qualunque sia il proprio orientamento sessuale, da persone libere che aspirano al benessere e alla felicità.

È su questa base che sono fermamente convinto le coppie gay e lesbiche abbiano, al pari delle altre, pieno diritto al matrimonio senza alcuna differenza o diminutio, perché non c’è alcuna ragione valida che possa ancora oggi discriminare migliaia di persone di fronte alla legge alimentando pregiudizi e costringendo ad una condizione di minorità, di mancata cittadinanza, molte coppie in nome di una presunta normalità. Ma che cosa è la normalità? Me lo chiedo da legislatore e lo chiedo a tutti voi in quest’Aula che, come me, siete chiamati a fare scelte che riguardano il modo in cui ciascuno vede la vita, i suoi valori più profondi, l’etica quotidiana. Allora tornano in mente le bellissime parole di Papa Francesco: «chi sono io per giudicare».

Io penso, da legislatore, che là dove ci sia amore tra due persone e – se ci sono – i loro figli, lì ci sia una famiglia. E questa traccia l’ho ritrovata anche nella lettura della sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti, che nel giugno scorso ha dichiarato incostituzionali le leggi statali che vietavano i matrimoni gay perché violano il principio di eguaglianza sancito dalla Costituzione americana. Quella sentenza è un vero inno al matrimonio come il diritto essenziale di ognuno a realizzarsi in qualcosa più grande di se stessi, un’aspirazione che a nessuno può essere preclusa. A leggere quella sentenza si avverte fortissimo il connubio fra libertà ed eguaglianza, che è la molla più potente per una coscienza politica dei diritti, per costruire una società più avanzata, più inclusiva.

Ancora oggi, nelle ore in cui il Senato può varare una delle riforme che segneranno la storia repubblicana, dimostrando, questo Senato, questo Parlamento, il suo valore, la sua maturità, facendo di questa una legislatura costituente anche sul terreno dei diritti, la questione sta nei termini usati da John Kennedy molti anni fa, nel 1963 nel suo discorso sui diritti civili all’indomani dei fatti in Alabama: «Il problema fondamentale è stabilire se tutti (…) debbano ottenere gli stessi diritti e pari opportunità; se intendiamo trattare i nostri concittadini (…) come noi stessi desidereremmo essere trattati».

Allora voterò il disegno di legge sulle unioni civili come un passo decisivo verso il matrimonio egualitario, come già esiste in gran parte d’Europa. A me non sfugge l’importanza enorme di questo provvedimento, e voglio ringraziare la senatrice Monica Cirinnà, tutti i senatori del PD e quelli di tutti i Gruppi che hanno sostenuto questo testo in Commissione, nel suo iter parlamentare, arrivando ad una mediazione alta. Adesso ci aspetta un confronto serrato in Assemblea e io penso che, per rispetto di tutti i cittadini, di tutte le opinioni, della trasparenza che dobbiamo all’opinione pubblica, sarebbe giusto che in quest’Aula non ci fossero voti segreti, che ognuno si pronunciasse a viso aperto (Applausi dal Gruppo PDe del senatore Santangelo), prendendo le sue responsabilità, come nel corso di questo dibattito: sarebbe un modo ulteriore per colmare il ritardo della nostra legislazione sui diritti. È un’anomalia insostenibile che separa il nostro dagli altri Paesi occidentali, ma soprattutto che separa la nostra classe politica dalla società italiana.

C’è ancora chi si ostina a non vedere i mutamenti sociali che in questi decenni hanno trasformato la famiglia, facendola diventare plurale, modificando costumi, opinioni, senso comune. In tanti, troppi, sono ancora esclusi da tutele e protezioni. Si tratta di diritti individuali che sono insieme anche diritti sociali e non di capricci egoistici o narcisisti. Sono legami sociali che rendono più forte e solidale una società che è resa fragile dalla crisi.

Per questo va colmato questo vuoto legislativo e soprattutto va riparata un’attitudine ipocrita e vigliacca di una certa politica, quella che “tanto poi decidono i giudici”. Vanno abbattuti muri e discriminazioni, quelli per cui a luglio l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per mancata protezione legale delle coppie dello stesso sesso.

Per questo sono convinto dell’urgenza del presente disegno di legge, che per me si lega direttamente all’impegno che in quest’Aula abbiamo di attuare i primi articoli della Costituzione: in questo caso certamente l’articolo 2, ma soprattutto l’articolo 3 della nostra Carta, che afferma che tutti i cittadini sono uguali senza distinzioni davanti alla legge e che è compito della Repubblica – e dunque nostro – rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno sviluppo. Sono i diritti fondativi della cittadinanza.

Approvare il presente disegno di legge significa tornare a dare contenuti a una democrazia, la nostra, che è malandata perché è stata svuotata; significa rigenerare fiducia tra cittadini e istituzioni; significa tenere insieme crescita civile e crescita economica, perché le società con troppe diseguaglianze, con troppe ingiustizie, non funzionano (come sappiamo), non sono dinamiche, non producono benessere; invece, quando si estendono i diritti, tutti sono più forti e la nascita di famiglie gay e lesbiche non toglierà nulla a quelle etero.

Il cambiamento che vogliamo sancire è già ampiamente metabolizzato nella Costituzione materiale della nostra società, nei suoi comportamenti, ed è un bene che questo disegno di legge tenga insieme unioni civili e adozione del figlio del partner: avviene così ovunque in Europa dove ci sia una legge simile a questa. È un punto irrinunciabile che dà grande valore all’intero provvedimento ed è irrinunciabile per una ragione semplice, che non ammette repliche: proteggere i soggetti più deboli, i bambini, far prevalere il preminente interesse e diritto del minore ad avere una famiglia e non viceversa. È uno strumento che tutela i bambini, tutti, senza differenze, comunque essi siano nati. Si tratta di bambine e di bambini che esistono, quindi chiedo a me stesso e a tutti noi in quest’Aula se queste bambine e questi bambini che già esistono possano essere ignorati. La risposta è no. Non possono essere ignorati. Hanno diritto alla continuità affettiva e famigliare che solo l’adozione può garantire; hanno diritto di vedere riconosciuti il diritto di cura, di mantenimento, il diritto ereditario, e anche di essere messi al riparo nel caso malaugurato di separazione o di morte del genitore biologico. Allora, la cosiddetta stepchild adoption riconosce una situazione familiare già esistente (una coppia può adottare un bambino che è già cresciuto all’interno della famiglia), ma mette al centro il bambino (sta qui la sua importanza fondamentale), i suoi legami, i suoi affetti. Si colloca in questo senso anche l’appello di centinaia di giuristi a favore di questa norma, perché senza avremmo una legge che si occupa solo degli adulti e che volta le spalle al destino dei minori.

C’è chi mette in discussione, signora Presidente, questa adozione parentale con l’argomento della maternità surrogata, ma io penso che sappia bene che è del tutto estraneo a questo provvedimento. La maternità surrogata è vietata duramente dalla legge italiana e continuerà ad esserlo. Deve essere combattuta strenuamente e il primo modo per farlo è riformare l’istituto dell’adozione; renderla accessibile a tanti che oggi non possono accedervi; permettere a tanti bambini, finalmente, di avere una famiglia. Tutte le statistiche dimostrano che la maternità surrogata è una pratica a cui ricorrono, per la quasi totalità, le coppie eterosessuali. Dunque, questo divieto, che noi dobbiamo rimarcare, riguarda tutta la società, e non solo il mondo LGBT.

Sul tema della donna, in conclusione, signora Presidente, voglio aggiungere una considerazione. Le parole che hanno caratterizzato la battaglia sul riconoscimento dei diritti per le coppie dello stesso sesso sono molto simili a quelle che, per anni, hanno segnato le battaglie femminili. Sono la contestazione di un ordine patriarcale; la rivendicazione di poter pianificare e gestire la propria vita familiare al di fuori di modelli che altri vogliono imporre; la consapevolezza che il proprio privato deve diventare pubblico per scardinare vecchi modelli di potere. Tutto questo, signora Presidente, noi lo abbiamo sentito riecheggiare con forza negli ultimi giorni.

È vero: un grande cambiamento antropologico sta attraversando le relazioni tra i sessi, ma penso non si debba necessariamente avere paura di questo. È un’evoluzione dei valori che non contraddice affatto l’umanesimo cristiano, che è radice essenziale della nostra cultura.

Questa riforma, signora Presidente, è spinta dal pensiero della differenza, dell’emancipazione, oggi come quarant’anni fa, come un secolo fa e, io penso, oggi come in futuro. Se saremo in grado di dare riconoscimento politico e veste giuridica a uno spazio familiare nuovo, più inclusivo, avremo consegnato ai nostri figli, a tutti i nostri figli, un Paese che sta dalla loro parte. (Applausi dai Gruppi PD e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE). Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Lumia. Ne ha facoltà.

 

LUMIA (PD). Signora Presidente, colleghi, dobbiamo compiere l’ultimo miglio. Siamo a pochi passi dal lavoro che il Senato è chiamato a compiere nel merito degli emendamenti e siamo nella condizione di scrivere una bella pagina di storia, consapevoli che anche i diritti civili sono una risorsa preziosa che contribuisce a far grande il nostro Paese, e di recuperare finalmente lo storico ritardo che abbiamo accumulato su questo tema rispetto ad altri Paesi avanzati in ambito europeo e internazionale; un ritardo che ha delegato la tutela dei diritti di coppia delle persone dello stesso sesso ai giudici, in sede sia europea che nazionale; un ritardo che i nostri giovani, nel tempo della globalizzazione, non comprendono, perché vorrebbero vivere in un Paese aperto, accogliente, che non si chiude e non ha paura del cambiamento.

Il Parlamento, per fare quest’ultimo miglio, non ha bisogno del voto segreto. Il voto segreto rischia di diventare un espediente per coprire altre manovre, altri giochi, che non hanno niente a che spartire con il merito delle questioni che stiamo discutendo qui e nel Paese, alla luce del sole, con il contributo di tutti, senza steccati, senza pregiudizi e senza conflitti inutili, che spesso non sono in grado di dar conto delle proprie ragioni.

Penso che gli emendamenti che abbiamo offerto e offriremo alla valutazione dell’Assemblea siano capaci di migliorare il testo della senatrice Cirinnà; un testo che è già il frutto di un dialogo continuo, di un’apertura, di un ascolto realizzatosi nella società, nella politica, tra i Gruppi parlamentari e i singoli senatori. E, proprio per questo, colleghi, proponiamo di compiere l’ultimo miglio in modo trasparente, ascoltandoci ancora, utilizzando il dialogo fino all’ultimo secondo e facendo in modo che l’Assemblea possa migliorare il testo Cirinnà e scrivere una bella pagina di storia.

Colleghi, dico subito che da cattolico non mi convince la riproposizione della vecchia e superata contrapposizione tra laici e cattolici. Le unioni civili, come è nel testo Cirinnà, si pongono oltre questo sterile conflitto. Naturalmente, ne presentano un altro più moderno e comprensibile, tra quelli che hanno un approccio un po’ più conservatore e quelli che ne hanno uno un po’ più progressista.

Mi preme sottolineare, naturalmente, che ogni parlamentare è portatore di idee e motivazioni che non possono essere del tutto lasciate fuori dalle decisioni, dal voto, soprattutto quando sono in gioco questioni così particolari e sensibili, come le unioni civili e l’adozione dei figli della stessa coppia. Ma in un confronto virtuoso e produttivo deve prevalere la responsabilità al bene comune del Paese, al fine di trovare soluzioni normative che definiscono un campo di regole per chi ha deciso di vivere un’unione stabile e impegnativa.

Mutuando il pensiero di Max Weber, sappiamo che in ognuno di noi convivono l’etica della convinzione e l’etica della responsabilità. L’etica della convinzione, fatta di principi, ideologie, riferimenti religiosi, concezioni filosofiche, risiede nel cuore e nella cultura della persona, ma nel parlamentare alla fine deve sempre prevalere l’etica della responsabilità.

Dico, non sempre per paradosso, che anche se alcuni deputati, secondo la propria etica della convinzione, non condividono il fatto che si può essere coppia tra persone dello stesso sesso, l’etica della responsabilità chiede anche a loro il compito di fornire a quelle coppie una cornice giuridica di riferimento, cioè disegnare un quadro di diritti e doveri dentro cui esse possono vivere la propria vita. Secondo l’etica della convinzione si può anche negare legittimità giuridica alla coppia tra persone dello stesso sesso. Ma, secondo l’etica della responsabilità, è giusto e doveroso regolare il fenomeno e non lasciarlo in un contesto di marginalità, disordine o addirittura – come ci rimprovera tutto il diritto comunitario – di discriminazione secondo l’orientamento sessuale. Insomma, l’etica della responsabilità aiuta a dare un orientamento sui propri compiti a chi vuole essere classe dirigente e accompagna le democrazie a fare un bel salto di qualità, quando nei Parlamenti bisogna prendere decisioni complesse che dividono per le convinzioni morali e religiose, che giustamente ognuno di noi possiede, difende e promuove.

Esiste una parte della società italiana che vuole vivere alla luce del sole la propria condizione di coppia omosessuale e assumersi tutte le responsabilità che ciò comporta. I trattati, la Costituzione europea, la Costituzione italiana, le numerose sentenze dei tribunali ci dicono che ormai non è più possibile discriminare le persone – come dicevo – secondo il loro orientamento sessuale.

Di fronte a questa istanza presente, matura e condivisa nella società, cosa deve fare un parlamentare? Di fronte alla giurisprudenza dei magistrati, che avanza e si impone nella vita quotidiana dei cittadini, come deve comportarsi il legislatore? Voltare le spalle, chiudere gli occhi, scatenare un vetusto conflitto ideologico? No, sarebbe un tragico errore. Non è possibile lasciare scadere il dibattito verso tale condizione. Bisogna, in sostanza, comprendere che fornire regole è un compito a cui il Parlamento non può sottrarsi. Ma, attenzione, provo anch’io a ragionare intorno alle unioni civili secondo l’etica della convinzione e non deve apparirvi in contraddizione con quanto ho detto. So che è un rischio. So che le criticità aumentano e si può facilmente uscire fuori strada e scatenare conflitti a somma zero, ma voglio provarci lo stesso. Anche da questo punto di vista, nonostante comprenda rilievi e perplessità, non trovo validi motivi per dire no alle unioni civili e alla stessa stepchild adoption.

Negli anni Sessanta e Settanta le coppie omosessuali venivano discriminate più di oggi e reagivano mettendo in discussione, frontalmente, l’istituto della famiglia. Ritenevano che l’affermazione dei loro legittimi diritti si ponesse in contrapposizione con questa importante e insostituibile cellula della società. Oggi, grazio a Dio – mi permetto di aggiungere – non è più così. Le persone dello stesso sesso chiedono allo Stato di poter essere riconosciute come famiglia, senza sovvertirne regole e responsabilità. Insomma, c’è una domanda di non discriminazione, di uguaglianza e di pieno riconoscimento del ruolo della famiglia. Non è un segno dei tempi? Non è una evoluzione positiva da guardare e accogliere con interesse? Non è un’apertura su cui esercitare – diremmo in termini religiosi – un sano discernimento?

Sbattere la porta in faccia a questa nuova realtà è un tragico errore. Oggi è maturo il tempo affinché la spinta progressista sia sostenuta per consentire – ad esempio – ai cittadini omosessuali di non avvertire ostilità o emarginazione quando vivono la loro condizione di coppia. La società, nel difficile cambiamento nel tempo della secolarizzazione, trasuda di domanda di famiglia. Questa bella espressione è contenuta nella sentenza della Corte suprema americana, dove emerge che non è vero che l’avanzata di nuove forme di famiglia è una pietra di inciampo, un attentato alla famiglia tradizionale. Famiglie tradizionali e nuove famiglie possono stare insieme; possono darsi la mano e combattere insieme le battaglie che devono affrontare per essere pienamente riconosciute nei loro diritti sociali, spesso negati, su cui abbiamo una difficoltà a dare risposte corali e sistemiche (Applausi dal Gruppo PD).

Ecco perché contrapporre famiglie tradizionali a nuove forme di famiglia e alle famiglie arcobaleno è un errore tragico. Ecco perché nella società dobbiamo proporre una sintesi, un collegamento e forme nuove di solidarietà. E nelle proposte che ho sentito, anche in quelle che si sono opposte, questo punto c’è e può essere di unità da raccogliere, elaborare e proporre insieme al Parlamento, nella valutazione degli emendamenti, e nella società per continuare quel dibattito che è bene che ci sia e che continuerà nei prossimi mesi.

Cari colleghi, in sostanza l’unione civile può essere un’opportunità in più per la stessa famiglia. Ecco perché penso che anche con questo sguardo possiamo dare una lettura alla stessa stepchild adoption. Chi l’affronta dal punto di vista dell’interesse preminente del bambino e dell’interesse della famiglia ad avere un ruolo genitoriale più responsabile con più doveri, che corrispondono a più diritti per i diritti, alla fine studiando bene, confrontandosi senza pregiudizio e steccati, scoprirà che la stessa è la migliore soluzione; è quella che più si accosta all’incontro tra più diritti dei bambini e più doveri dei genitori. È una soluzione che può tenere insieme etica della responsabilità di un Parlamento, che deve anche al riguardo dare un segnale, e le convinzioni personali di ognuno di noi che, intorno all’interesse preminente dei bambini, trova unità e accoglienza in tutto il Parlamento. Queste sono, insomma, ore importanti.

Ringrazio la senatrice Cirinnà perché, con la sua caparbietà e determinazione, ha consentito a tutti noi, oggi, di essere qui e di confrontarci pienamente e liberamente. Ringrazio, poi, anche quelli che si sono opposti, quelli che hanno avanzato dubbi o altre soluzioni, perché hanno costretto me e altri – in questo caso ringrazio i componenti della Commissione giustizia del PD e degli altri Gruppi che, per ore e ore, in settanta sedute, hanno discusso continuamente, anche in regime di ostruzionismo, il testo – a non perdere di vista il merito. La nostra responsabilità è il compito che abbiamo. Ringrazio anche chi, nella Commissione affari costituzionali, ci ha aiutato a superare tutti gli ostacoli e i limiti, come ha fatto la nostra Capogruppo.

Presidente, è una bella pagina di storia. Siamo pronti a scriverla, e la scriveremo insieme, e le unioni civili diventeranno, insieme alla stepchild adoption, norme del nostro ordinamento e anche risorse del nostro Paese. (Applausi dal Gruppo PD).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Bernini. Ne ha facoltà.

 

BERNINI (FI-PdL XVII). Signora Presidente, prendo la parola a titolo personale. Mi scuso con i colleghi ma, di fronte a temi così straordinariamente sensibili, hanno un peso le parole, le virgole, le pause e anche i respiri e, quindi, per non essere tradita dall’emozione, leggerò.

Forza Italia, in ottemperanza alla tradizione liberale che da sempre ne ispira l’azione, ha stabilito di riconoscere la libertà di coscienza, proprio in virtù degli aspetti sensibili del disegno di legge in esame; aspetti che devono interrogare le coscienze, prima ancora che i partiti politici e le loro discipline.

Vedete, colleghi, nei Paesi moderni e avanzati il dibattito sugli argomenti su cui siamo chiamati a decidere in quest’Aula rappresenta un punto altissimo del confronto pubblico, perché proprio i diritti civili qualificano un Paese come moderno e avanzato. In tutte le Nazioni nate e segnate dalle rivoluzioni borghesi dell’Ottocento, la genesi dello Stato di diritto e la crescita delle libertà sono transitate su un doppio binario: quello dei diritti politici e quello dei diritti civili e sociali.

Attraverso la parola «diritti», cari colleghi, si legge la storia della nostra Europa geografica, prima ancora che politica, e attraverso i conflitti sui diritti si leggono gli snodi drammatici degli ultimi due secoli: la conquista dei diritti politici, come il voto, nell’epoca dell’irresistibile protagonismo dei popoli sul terreno della storia; la lotta per i diritti sociali da cui origina il compromesso del welfare state; la battaglia per i diritti civili che, nell’Italia del miracolo economico, arriva per ultima, come frutto – finalmente! – della secolarizzazione dei costumi, vero ossigeno dello spirito liberale. Si tratta di temi altissimi, che dovrebbero essere per noi un’eredità responsabilizzante, per spingere il legislatore – quindi tutti noi – a rappresentare con attenzione e sensibilità la società e i suoi cambiamenti. I diritti di libertà, come quelli con cui oggi ci misuriamo, noi legislatori non li inventiamo, non li scopriamo, ma dobbiamo avere la capacità di riconoscerli, nella loro pienezza e al momento giusto.

Sui diritti di libertà abbiamo il dovere di aprire, come nei momenti migliori della nostra storia, una discussione chiara negli intenti e nei contenuti di fronte al Paese.

Signori della maggioranza, signori del Governo, non sarei sincera se non vi dicessi che il vostro modo di operare, mi rende difficile, in questo caso, rimanere fedele anche nell’attuale momento alle mie profonde convinzioni liberali. Avete, infatti, condotto questo passaggio con un raro mix di sciatteria intellettuale e opportunismo politico, e non lo meritano, prima ancora che questa Assemblea, quelle coppie omoaffettive, quelle nuove famiglie che attendono da anni che la nostra legislazione riconosca i loro giusti diritti, al pari delle legislazioni dei principali Paesi europei: le unioni civili, appunto. Questa è infatti una norma che, nei suoi contenuti, distrae e inganna molto più di quanto non conceda e riconosca diritti di libertà, perché ha una genesi molto confusa nei testi e opaca nelle motivazioni politiche.

Il dibattito sarebbe stato ben più equilibrato e mirato – a mio avviso – se si fosse partiti dal testo del disegno di legge presentato dal senatore Caliendo, che casualmente è seduto vicino a me, che ha certamente fornito un contributo di spessore sul tema del riconoscimento dei diritti. Si è scelta, purtroppo, tutt’altra strada. Il legittimo sospetto, che nasce dal modo di operare del Governo, questo furor, qui e ora, sui diritti civili, alla vigilia delle elezioni amministrative, che ci fa correre troppo e troppo spesso inciampare su aspetti sensibili ed estremamente importanti di questa norma, è che il Presidente del Consiglio, pungolato da sinistra dal dibattito sul partito della Nazione, stia facendo braccio di ferro proprio sui diritti – colleghi: proprio sui diritti! – nascondendo le contraddizioni delle sue politiche di Governo sotto il tappeto del morettiano approccio: «Facciamo qualcosa di sinistra». I diritti, colleghi, non sono però una partita che vada giocata in modo tattico, non sono né di destra, né di sinistra, ma incidono profondamente la carne viva del Paese, toccano situazioni che già esistono intorno a noi, vicinissimo a noi, e vanno trattate con molto più rispetto di quello attuale. Servono meno slogan e più rispetto.

Sarebbe stato coerente e comprensibile se il Presidente del Consiglio avesse detto: «Io sono il Premier di un Governo non eletto dal popolo, ma frutto di un compromesso parlamentare. Di fronte a temi importanti e divisivi, diamo al Paese un testo dai contenuti efficaci e chiari sulle unioni civili, seguito da una riforma completa e soddisfacente della disciplina sulle adozioni», sulle adozioni e non sulle adozioni non legittimanti, sulla stepchild adoption e sull’adozione del figliastro. Sarebbe stato limpido e avrebbe prodotto meno esasperazioni e più diritti. Ve lo dice chi, come me, è assolutamente favorevole al riconoscimento delle unioni civili ed è altrettanto favorevole alla regolamentazione della disciplina sulle adozioni. Invece no: il Presidente del Consiglio non ha voluto fermarsi ad ascoltare la voce del Paese. Chissà dove sono finite le consultazioni pubbliche, che gli sono state e gli sono tanto care. Anche i tempi, colleghi, hanno un significato politico, anche il metodo è indicativo di una cultura.

Sono certa che se il centrodestra avesse – perdonatemi la digressione – tra un passaggio parlamentare sulle riforme costituzionali ed un voto sui diritti civili, prodotto un rimpasto di Governo, qualcuno non avrebbe mancato di ululare al mercimonio ed alla compravendita. E magari qualche occhiuto riflettore di qualche occhiuta procura della Repubblica si sarebbe magicamente acceso su di noi; altri misteri dolorosi della recente storia politica.

In questa legislatura ho sentito citare spesso, quasi come genius loci, Amintore Fanfani che, proprio sul divorzio, in nome della coerenza, si dimise, mettendo così fine alla sua carriera politica. Qualcuno a caso tra chi, oggi, qui sostiene la maggioranza, ma anche tra chi in questi giorni sta molto legittimamente manifestando vigoroso dissenso sulle unioni civili e soprattutto sulle adozioni, è disposto sin d’ora ad annunciare che, se i suoi saldi principi non trionferanno, rinuncerà ai posti di Governo che attualmente ricopre? Francamente questo spettacolo non è all’altezza della discussione che il Paese si aspetta da noi.

Le imperfezioni e le criticità, anche sotto il profilo costituzionale, alle quali questo testo ci espone non sono trascurabili. Così come non sono trascurabili le forzature politiche e la superficialità che ne hanno in parte accompagnato l’iter. E non hanno giovato – devo dire – nelle ultime settimane gli eccessi guasconi del Presidente del Consiglio, così alieno alle prerogative parlamentari da non riuscire a cogliere la differenza tra i provvedimenti per i quali il Governo può e deve mettere in campo tutta la sua forza muscolare e quelli che, al contrario, richiederebbero invece ben altre qualità: confronto, ascolto, mediazione.

Tuttavia, personalmente – lo ribadisco – il bisogno di affermare un punto di avanzamento liberale sui diritti prevale rispetto al dissenso e all’opposizione nei confronti di queste pratiche. Siamo chiamati ad esprimere un orientamento che investe insieme le nostre convinzioni e la percezione che quotidianamente abbiamo del nostro Paese. Ignorare la realtà, le dinamiche sociali che esistono e che investono direttamente la vita di molti, per quanto mi riguarda non è più possibile.

Non mi appassiona il balletto delle cifre: 500, 1.000, 100.000 bambini. Le famiglie omoaffettive esistono, hanno diritti non riconosciuti – o riconosciuti in parte giudizialmente, ma finora sostanzialmente ignorati dal legislatore – hanno figli che non possono essere discriminati. Tali diritti non sono una minaccia alle famiglie tradizionali, né lo saranno mai, ma corrispondono ad un’altra scelta di vita altrettanto legittima e meritevole di tutela.

In queste settimane molti media hanno mostrato, con dovizia di grafici e riproduzioni, quale sia lo stato dell’arte della legislazione dei vari Paesi, europei e non solo, rispetto alle unioni civili, ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, alle adozioni tout court, ovvero quelle che noi chiamiamo adozioni legittimanti, e alla stepchild adoption, cioè all’adozione del figliastro. Quale che sia la convinzione di ognuno di noi, non possiamo far finta che l’Italia non registri un ritardo inaccettabile su questi temi, in evidente dicotomia con il ruolo che la storia ha assegnato alla nostra Nazione; un ritardo – lo dobbiamo ricordare anche sotto il profilo giuridico, noi che siamo legislatori – che la firma dei trattati europei, del Trattato di Lisbona e della Carta dei diritti dell’Unione europea ci impone di colmare, per non parlare del cammino giurisprudenziale crescente della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Da costituzionalista, prima ancora che da parlamentare, confesso che avrei preferito un diverso percorso normativo, forse più avanzato. Modificare, aggiornandolo, l’articolo 29 della Costituzione avrebbe non solo significato riconoscere le unioni civili in quanto forma familiare «consentita», «accettata», «possibile», ma avrebbe fatto fare anche un vero, e non solo promesso, balzo in avanti all’intera società italiana, modernizzando un Paese che troppo spesso si specchia nel passato, nascondendo sotto la polvere non tanto e non solo i problemi, quanto soprattutto, purtroppo, i processi evolutivi.

Nessuna sovrapposizione tra istituti; solo estensione dei diritti nei confronti di chi, per troppo tempo, ne ha avuti troppo pochi.

Il tema è divisivo, non possiamo e non dobbiamo nascondercelo. Pensare che le ragioni possano trovarsi interamente in una posizione piuttosto che in un’altra significa non voler comprendere le ragioni degli altri.

Sul punto non posso, però, non segnalare due aspetti critici dei quali ho parlato anche con la relatrice e lo farò anche in sede di percorso emendativo, che il legislatore, cioè noi, non potrà non considerare a partire da domani.

Il primo aspetto riguarda i matrimoni di comodo finalizzati all’acquisizione fraudolenta della cittadinanza, ai quali, se questo disegno di legge diventerà legge, si aggiungeranno quindi le unioni civili di comodo. È un fenomeno che, in tempi di flussi migratori senza precedenti, non può essere trascurato o addirittura favorito -ovviamente non in maniera non voluta – dal legislatore, neanche implicitamente o subliminalmente, a causa di una legislazione non adeguatamente aggiornata.

Il secondo aspetto serissimo, che forse la Ragioneria generale ha un po’ disconfermato, è la revisione, basata su nuovi e realistici calcoli di sostenibilità, del nostro sistema previdenziale. Sulla regolamentazione dei trattamenti pensionistici ai superstiti è da tempo aperto un dibattito – lo sappiamo tutti – anche frutto delle sostanziali differenze di sistema che l’entrata in vigore del metodo contributivo contempera.

Per evitare che la questione possa essere affrontata esclusivamente sotto il profilo della quantificazione materiale della platea degli aventi diritto e della aggiunta automatica alla platea degli attuali aventi diritto dei nuovi, annuncio la prossima presentazione di un disegno di legge per aggiornare e rendere sostenibile questa reversibilità.

In conclusione, con tutti i limiti segnalati, con una attenzione particolare subordinata all’apertura che il Governo vorrà fare sul percorso emendativo, con specifico ma non esclusivo riferimento alla confusa regolazione dell’adozione del figliastro, anticipo un mio orientamento di voto favorevole a questo disegno di legge, che intendo come un primo abbozzo di risposta, pur se non completamente condivisibile e molto pasticciato, per contenere un gap europeo ed un vuoto normativo suscettibili di produrre sulla nostra comunità nazionale riflessi giuridici e sociali senza rete di protezione. È intollerabile.

Tutti i cittadini italiani fanno parte, a pieno titolo e senza distinzioni, di quel perimetro all’interno del quale agisce il nostro contratto sociale, sulla base del quale i diritti di ognuno di noi devono trovare come limite invalicabile solo ed esclusivamente i diritti dell’altro. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Falanga e Romani Paolo. Congratulazioni).

 

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Lepri. Ne ha facoltà.

 

LEPRI (PD). Signora Presidente, colleghi senatori, siamo finalmente giunti a discutere e – io spero – a votare un provvedimento atteso da troppo tempo. La responsabilità del ritardo è certamente del centrodestra, ma anche il centrosinistra non seppe farcela. Ed è stato un errore, in questa legislatura, aver condotto uno sterile ostruzionismo in Commissione, di fronte a un testo che richiedeva miglioramenti e, quindi, un vero primo dibattito.

Comunque, ora ci siamo, e guardiamo ai contenuti: quelli positivi e già acquisiti, ma anche quelli da migliorare o correggere, anche radicalmente. Poi dedicherò qualche minuto, prima di concludere, al metodo e al percorso parlamentare che ci aspettano nei prossimi giorni.

Quanto al metodo, anzitutto voglio dire che tutto il Partito Democratico condivide la necessità di dare un pubblico riconoscimento alla coppia di persone omosessuali. Non bastano i diritti e i doveri delle persone. Noi intendiamo approvare un nuovo negozio giuridico, innestato nel solco dell’articolo 2 della Costituzione. Il senso è chiaro: lo Stato deve riconoscere (in quanto esistono) e deve promuovere (in quanto è interesse della collettività) le forme di relazione affettiva orientate alla continuità, alla stabilità, al mutuo aiuto morale e materiale.

Da questo punto di vista, l’orientamento sessuale non è rilevante: è un bene che due persone si impegnino pubblicamente a sostenersi reciprocamente, alla coabitazione, alla fedeltà. Anche questa forma di stabilità affettiva è meritevole di un pubblico riconoscimento, in quanto capace di costruire legami tra le parti e i parenti, di assicurare un pronto aiuto nei tanti casi di difficoltà, di rompere la solitudine.

L’altra questione – e qui sta la differenza rispetto al matrimonio tra eterosessuali – riguarda la genitorialità. La coppia omosessuale è diversa perché la natura (non le leggi) esclude che essa possa generare. La coppia eterosessuale unita in matrimonio è anche orientata alla riproduzione e alla crescita dei figli che nascono in famiglia. La coppia omosessuale può solo desiderare di crescere dei bambini.

Quel desiderio di generare e crescere dei figli è veramente umanissimo, ma occorre domandarci se tale attesa possa trasformarsi in diritto. Detto diversamente, quel desiderio si scontra con le attese dei futuri bambini che, con la maternità surrogata e, in misura minore, con la fecondazione eterologa, vedono ridursi o cancellati i diritti primi, essenziali e indiscutibili.

Un bambino che cresce in una coppia omosessuale, e con la stepchild adoption, potrà essere riempito di affetto ed educato al meglio, ma non avrà la certezza della sua identità biologica; non avrà entrambi i genitori biologici come genitori legittimi; non avrà un padre e una madre che lo crescono, bensì due padri o due madri; non avrà, se vivrà con due padri, il conforto della madre che l’ha generato.

Non si può allora, volendo comunque occuparci di come assicurare la migliore tutela a quei bambini, dimenticarci dei torti che essi subiscono nei modi in cui sono concepiti, vengono al mondo e sono cresciuti. Insomma, la pretesa di non discriminare gli adulti rispetto al desiderio di genitorialità porta a discriminare i bambini.

Si obietterà che fecondazione eterologa e maternità surrogata sono praticate anche dagli eterosessuali ed è vero, ma si tratta di un’eccezione, non di una condizione.

E arriviamo allora all’affido rafforzato. Alle obiezioni di chi dice che le tutele sono insufficienti, rispondiamo che la proposta, sottoscritta da una trentina di colleghi ma che trova un consenso ben più ampio, assicura la piena funzione genitoriale in capo all’affidatario e prevede la continuità affettiva. Adozione o affido rafforzato non sono, quindi, due proposte agli antipodi.

I vantaggi dell’affido sono diversi, invece. Non si legittimano le forzature utilizzate per procreare; il minore continua ad avere, dal punto di vista anagrafico, un padre e una madre. Si consente di intervenire più facilmente nei possibili casi di inadeguatezza genitoriale. In ultimo, ma non meno importante, con l’affido rafforzato viene esclusa anche in futuro la possibilità di adottare il figlio di terzi. Oggi questa facoltà è preclusa nel disegno di legge in discussione, ma l’esperienza austriaca ci porta a ritenere che la stepchild adoption possa essere solo il primo passo per arrivare a quell’esito.

Al dibattito di questi giorni, sui media e in Aula, non sono poi mancate contraddizioni e ipocrisie. Ne ricordo alcune, che credo la discussione stia ormai svelando, con buona pace di chi si ostina a ripeterle.

Anzitutto, si è detto: «Il tema della maternità surrogata non si pone, essendo già vietata in Italia», ma così si continua a chiudere gli occhi sul fatto che si va a farla all’estero. Delle due l’una: se si è contrari, vanno votati gli emendamenti che propongono di applicare la pena già prevista per chi viola tale divieto in Italia anche a chi fruisce od organizza la maternità surrogata all’estero; se invece si è favorevoli, bisogna arrivare alla conclusione: si proponga di depenalizzare la pratica.

Si è poi detto: «Sono contro la maternità surrogata e insieme per la stepchild adoption», argomentazione più volte sostenuta, a me pare con grande contraddizione. Il ragionamento non tiene, semplicemente perché la maternità surrogata, nel caso della coppia composta da due maschi, è la condizione necessaria per avere un figlio, e l’avere il figlio in quel modo è la condizione necessaria per adottare il figlio del partner.

E poi si è ancora ripetuto: «Se si consentisse di adottare i figli di terzi, non si porrebbe il problema», ma è facile rispondere che oggi, in Italia, per ogni bambino in stato di adottabilità ci sono almeno otto coppie sposate da almeno tre anni che si candidano ad adottarlo. Informo gli strappalacrime – mi consentirete la piccola ironia – che gli orfanotrofi non ci sono più da un pezzo e che, pur nei casi particolari previsti dalla legge n. 184 del 1993, già oggi i single e le coppie non sposate possono adottare.

Si è infine detto, e questa forse è stata la maggiore delle contraddizioni: «Non possiamo discriminare rispetto agli eterosessuali». Lo si è detto fino al punto di affermare che la proposta di affido rafforzato sarebbe incostituzionale. Rispondo: sono d’accordo a non discriminare, ma il rischio è al contrario. Facciamo il caso di due uomini sessantenni che contraggano l’unione civile. Appena dopo, con la maternità surrogata, ottengono il bambino e il partner lo adotta, con diverse differenze, in effetti, rispetto agli eterosessuali. Infatti, possono adottare il minore anche se nato durante l’unione civile, mentre per gli etero, nell’adozione per casi particolari, il figlio deve essere frutto di una precedente relazione; non è prevista una distanza massima di anni tra i genitori e il bambino e neanche una durata di convivenza minima, entrambe richieste invece per l’adozione del figlio di terzi; non è previsto un anno di affido preadottivo, cioè di prova. Alla faccia delle discriminazioni.

E arriviamo alla terza grande questione: la disciplina delle convivenze. Sono d’accordo sul fatto che vadano riconosciuti diritti come – ad esempio – quello della visita in caso di malattia o altro. Sono meno d’accordo sull’impianto complessivo: disciplinare le convivenze significa riconoscere un nuovo negozio giuridico a realtà che, per la loro stessa volontà – lo dichiarano praticamente tutti – non richiedono di essere pubblicamente riconosciute, come dimostra peraltro la scarsissima adesione agli albi comunali. Si consideri che gli eterosessuali dispongono già del matrimonio e che il divorzio breve facilita il suo scioglimento.

Vi sono poi evidenti contraddizioni nel testo in discussione. Ad esempio, il previsto mutuo aiuto morale e materiale può – sottolineo può, non deve – definirsi attraverso un contratto di convivenza, mentre un vero e proprio obbligo di mantenimento e alimentare è previsto solo in caso di cessazione della convivenza di fatto. È un po’ come dire che il convivente debole, che non ha reddito, può essere lasciato alla fame, salvo quando la convivenza finisce. Queste e molte altre contraddizioni, se confermate, faranno la gioia degli avvocati, con un contenzioso che inevitabilmente porterà a cavillare sulle contraddizioni di una parte del testo di legge mal scritta e mai approfondita.

Se si riconosce la convivenza come un vero negozio giuridico, si rischia di rendere il matrimonio meno attrattivo rispetto a scelte, a quel punto legittimate, orientate alla precarietà affettiva e si rischia, quindi, di non tutelare a sufficienza l’eventuale contraente debole, che trova invece sicure protezioni nel matrimonio. Molto meglio sarebbe parlare nel testo di diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi, affiancandovi la possibilità di stipulare contratti tipo sugli aspetti materiali e patrimoniali.

In conclusione, non posso dimenticare, arrivando al metodo che ci ha portato fin qua, alcune ripetute dichiarazioni per le quali solo qualche cattolico del PD con il mal di pancia stava continuando a mantenere dubbi rispetto alle magnifiche e progressive sorti del disegno di legge. Quelle dichiarazioni si commentano da sole e, comunque, ci hanno stimolato a batterci per dimostrare che non si trattava dell’ennesimo scontro tra laici e cattolici, che non si doveva riaprire il bipolarismo etico e che i buoni argomenti possono prevalere o, almeno, trovare ascolto.

Annoto un’ultima questione. Abbiamo preso atto, studiando il testo, che già con l’approvazione dell’articolo 3 verrebbe approvata la stepchild adoption. Al proposito è stato, quindi, formulato un emendamento. Osservo che nessuno degli estensori e dei firmatari del disegno di legge ha smentito finora quanto ha affermato. Io credo alla bontà dell’interlocutore, per cui mi aspetto, prima del voto, che la buona fede sulla vicenda venga pubblicamente assicurata.

Per concludere, queste convinzioni, condivise da molti colleghi, non sono riconducibili ad un disegno oscurantista o integralista. Conosciamo le miserie umane, perché non ne siamo esenti. Sappiamo che la tolleranza e il rispetto delle opinioni altrui valgono almeno quanto la difesa delle proprie. Non ci piacciono i politically correct, né chi interpreta sulla materia il genere trash; non abbiamo usato la tattica per trattare. Si tratta piuttosto di convinzioni equilibrate che, in sintesi, intendono dare piena cittadinanza alle unioni civili omosessuali; che vogliono riconoscere una funzione genitoriale al partner non genitore senza legittimare forzature; che ritengono opportuno dare diritti e doveri alle persone stabilmente conviventi, ma senza costringerli in forme giuridiche non richieste dai più e insidiose rispetto alla tutela matrimoniale. Questo, sì, sarebbe davvero un disegno riformista.

Spero e lavorerò perché questa sintesi alta e giusta possa ancora essere raggiunta. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Gasparri. Ne ha facoltà.

 

GASPARRI (FI-PdL XVII). Signora Presidente, onorevoli colleghi, il Gruppo di Forza Italia ha espresso chiaramente – e gli interventi lo hanno dimostrato – una contrarietà al testo Cirinnà. Le eventuali differenziazioni di taluni non tolgono nulla alla nostra obiezione sostanziale e alla nostra contrarietà a un testo che noi riteniamo sbagliato per le equiparazioni, di cui già altri colleghi hanno parlato, tra unioni civili e matrimonio e per tutta la questione delle adozioni che sta diventando la parte centrale di questa discussione nel Parlamento e nel Paese (perché lo è).

Noi riteniamo quindi che il Parlamento debba riflettere seriamente, anche alla luce del dibattito che c’è fuori dal Palazzo. Noi infatti registriamo una dicotomia tra la rappresentazione mediatica e anche il dibattito parlamentare e la sensibilità del Paese. Sulle adozioni (si parla del 68, del 70, dell’80 per cento) i sondaggi sono variabili ma univoci nell’indicare una netta prevalenza degli italiani contrari alle adozioni, sia nella forma dell’adozione del figliastro (la stepchild adoption) o anche nella eventualità ancora più ampia di altri tipi di pratiche. Se invece si guarda la rappresentazione mediatica e anche la discussione nel mondo politico questa idea del Paese viene trattata in maniera assolutamente distorta e difforme.

Vogliamo anche contestare l’errore che ha fatto il presidente Grasso quando ha definito azzeccagarbugli i parlamentari (io sono tra questi) che hanno sollevato un conflitto di attribuzione, rilevando che è stato violato l’articolo 72 della Costituzione in riferimento all’esame in Commissione che non c’è stato. Il presidente Grasso avrebbe dovuto accorgersi, prima di fare battute che lo hanno fatto sembrare un aspirante don Rodrigo che però si è rivelato un don Abbondio, che il testo che noi adesso emendiamo non è quello che era stato in Commissione per un periodo prolungato, ma è un altro testo che in Commissione di fatto non c’è mai stato. Pertanto, quando da Presidente del Senato si fanno alcuni rilievi, bisogna stare attenti a non dire cose sbagliate e false.

Ci sono tanti temi che affiorano; ne citerò alcuni in questa discussione, poi negli emendamenti entreremo nel merito. Quanti sono i bambini interessati da questa adozione del figliastro? Io ho sentito numeri spaventosi: sarebbero 100.000. Poi, se si vedono i dati dell’ISTAT, le famiglie sono oltre 14 milioni, mentre quelle che nell’ultimo censimento hanno dichiarato di essere delle convivenze gay sono circa 7.000 e questi minori sono stati quantificati dall’ISTAT in 500. Non è che si fa la legislazione per dei casi estremi, che peraltro anche con la legge sulle adozioni (che potremmo anche approfondire e riprendere) possono essere esaminati per trovare delle soluzioni. Nessuno vuole che soggetti esistenti soffrano e siano emarginati, tuttavia non si fa la legislazione sul caso estremo: essa deve affrontare i temi fondamentali e poi per i casi estremi ci devono essere delle salvaguardie affidate, come può avvenire, alla magistratura.

Io ho sentito delle colleghe parlare di Medioevo. La volete smettere di parlare con questo linguaggio? C’è un’intolleranza di quelli che si atteggiano a esclusivi sostenitori di unioni, che peraltro anche noi riteniamo si debbano regolamentare. Infatti, da molti anni i nostri Gruppi e il centrodestra affermano che le convivenze tra persone omosessuali devono trovare delle loro definizioni dei diritti, molti dei quali sono già garantiti. Quanto all’eredità, ma lo sapete che la parte legittima, che va riservata al coniuge se si è sposati e si hanno dei figli, è solo un terzo? Oggi chiunque può dare gran parte del suo patrimonio a chiunque e non solo a un convivente omosessuale. Lo stesso discorso vale per altre questioni che sono state sbandierate alimentando bugie e menzogne. Noi non siamo i fautori del Medioevo e non è che la modernità è una travisazione antropologica della vita e della famiglia. Mi rivolgo anche a chi è in quest’Aula: vi comunico che siamo tutti nati dall’incontro di un uomo e una donna, quindi non si è nati diversamente. Se qualcuno è stato portato dalla cicogna ce lo racconti e noi, che da bambini abbiamo sperato che quella fosse la verità, ne prenderemo atto, ma così è. Il diritto naturale non è il Medioevo: chiamasi diritto naturale quella parte in cui il diritto riprende dalla natura una realtà che la norma non può modificare. Noi possiamo modificare una sanzione penale, possiamo varare una legge urbanistica, possiamo fare molte cose; il diritto naturale è quella parte del diritto che riprende ciò che è immodificabile dalla norma, quindi il diritto la assorbe.

Anche la nascita della vita non è un fatto religioso. Io sono credente e rivendico il diritto di esserlo. Ringrazio Antonio Polito che l’altro giorno, distinguendosi dal coro, sull’inserto «Sette» del 29 gennaio del «Corriere della Sera» ha detto che un punto di vista anche di cattolici, di un’altra parte, di piazze che hanno manifestato pacificamente, è un punto di vista importante, perché – come dice Polito – la società discute, il Parlamento ascolta, ma poi decide liberamente. Così si procede in una democrazia matura, non si mette il bavaglio a nessuno.

Non è poi lecito fare tutto ciò che si può fare. Oggi la scienza consente di fare clonazioni: che facciamo, cloniamo quelli belli, intelligenti, forti e robusti e gli altri che non lo sono li buttiamo dalla rupe Tarpea? È ovvio che si apre all’eugenetica, con alcune forme di aberrazione. È questo che stiamo denunciando anche con questo dibattito.

Ci sono una serie di menzogne. Si dice che questa legge non implica l’utero in affitto; in realtà, partendo dalla stepchild adoption e incoraggiando coppie che non sono in condizione di generare vita, si alimenterà questa pratica. Il fatto che poi lo facciano gli eterosessuali non rende questo meno grave: va punito. Anzi, mi chiedo: se le sanzioni ci sono nella legge n. 40 del 2004, citatemi un caso di gente che è stata sanzionata. Vuol dire che quelle norme non sono sufficienti; rafforziamole allora, se riteniamo che l’utero in affitto sia un’aberrazione. O qualcuno lo ritiene normale?

C’è, infatti, qualcuno che ritiene che si possa manipolare la vita, che si possa realizzare, come ha detto il ministro Lorenzin, una forma di prostituzione estrema, con la compravendita di vite. Se un bambino si compra, poi si può anche vendere. Questi occhiali li compro e li posso vendere, questa penna la compro e la posso vendere; se compro un bambino e mi stanco o il bambino si comporta male, che faccio, lo vendo? Stiamo sfiorando aspetti veramente aberranti.

Non condividiamo, quindi, l’incoraggiamento di questa assimilazione al matrimonio. La normativa deve essere corretta; lo dicono anche membri del Partito Democratico. Quando diciamo che c’è equiparazione tra matrimonio e unione civile non è un punto di vista del Medioevo, come dice qualche persona astiosa e faziosa: anche colleghi del Partito Democratico hanno presentato emendamenti per cancellare dal testo cosiddetto Cirinnà i riferimenti al codice civile che creano questa sovrapposizione e questa confusione. Non siamo solo noi, quindi, a dire questo. Il senatore Caliendo ha presentato un altro disegno di legge, molto migliore e molto più maturo, ma evidentemente si è scelta un’altra strada.

È quindi una menzogna dire che non si implica l’utero in affitto. Oggi la senatrice Finocchiaro ha proposto di fare una mozione per impegnarsi nella lotta contro l’utero in affitto: quindi il problema c’è. C’è stata una riunione internazionale, c’è una carta mondiale contro l’utero in affitto, l’associazione «Se non ora quando» di femministe di sinistra ha lanciato qualche mese fa un appello molto forte. Una regista, credo si chiami Comencini, ha detto: «Una madre non è un forno». Se lo avessi detto io avrebbero detto: «Gasparri, come parla?»; ma l’ha detto una regista di sinistra, quindi si può dire. Non è un forno in cui si programma la nascita di qualcosa che si vende.

Quindi, se anche la senatrice Finocchiaro propone una mozione, allora, scusate, facciamo un emendamento invece della mozione. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Giovanardi e Liuzzi). Siamo tutti d’accordo, rafforziamo il divieto. Si dice che c’è già scritto, ma non vedo le sanzioni, non vedo come venga perseguita la cosa, poi quante cose sono richiamate in più leggi in Italia? Se questa cosa, così importante (impedire la compravendita di bambini), la scriviamo anche in un’altra legge – forse meglio – non vedo una superfetazione legislativa in un Paese che di leggi e di ripetizioni, meno nobili di questa, ne ha tante.

L’altra menzogna, che tante volte mi capita di sentire, è quella di chi dice: «Vuoi lasciare un bambino abbandonato in orfanotrofio? Non è meglio che stia con una coppia gay piuttosto che in orfanotrofio?». Il rapporto tra domande di adozione di coppie eterosessuali e bambini da adottare è di sette a uno, secondo alcuni rilevamenti statistici: vi è una domanda da parte di coppie eterosessuali di adozioni superiore al numero di bambini che vivono in una condizione di emarginazione. Acceleriamo le norme, vediamo come funziona, cerchiamo di fare quella che si chiama la imitatio naturae, come dice il diritto, ossia l’adozione da parte di una coppia eterosessuale, perché si riproduce la condizione naturale della natalità.

Sono stati citati già da colleghi opinioni di pediatri e di psicologi che nei giorni scorsi hanno fatto ampiamente discutere, i quali hanno ribadito la necessità di una crescita con un padre e una madre. Non sto qui a ripetere cose che ritengo scontate; se la natura è fatta così ci sarà una ragione. C’è tutto un aspetto pedagogico che tanti studi hanno affrontato e che nei giorni scorsi il presidente della Società italiana di pediatria ha ribadito; lo hanno subito attaccato e allora si è detto che ha fatto marcia indietro: non ha fatto marcia indietro, ma è stato sommerso dalla solita campagna mediatica ostile, che impedisce di difendere principi di diritto naturale con un’intolleranza di minoranza che diventa prevaricazione.

Per quanto riguarda le adozioni, quindi, non è vero che ci sono bambini che sarebbero abbandonati: facilitiamo le procedure di adozione. In merito il collega Giovanardi ha sollevato tante volte il problema della gestione attuale degli uffici competenti.

Si dice, poi, che ci sono donazioni del proprio corpo che si fanno per amicizia, per pura generosità: una persona decide di mettere al mondo un figlio per una coppia omosessuale. A parte che è poco credibile la cosa, ma è pure peggio, perché se una donna povera o in difficoltà facesse una cosa del genere dovrebbe essere soccorsa e aiutata, perché sarebbe talmente disperata da fare una cosa contro natura e contro se stessa. Quindi probabilmente la sua disperazione merita non il carcere, ma il soccorso umanitario; l’acquirente, semmai, merita il carcere. Peggio è quando lo si fa perché il figlio è una cosa: si partorisce e si dà. Non è un oggetto, lo abbiamo detto più volte: non c’è il diritto alla maternità; è il bambino che ha diritto ad una famiglia, dopodiché se una persona non può avere figli non li avrà. Oppure se si avverte un bisogno di assistere e di aiutare (penso a tanti grandi artisti, di cui si è parlato in questi giorni) si faccia beneficienza, il mondo – soprattutto interi villaggi del Terzo mondo – è pieno di bambini poveri: spendano qualche milione di euro che guadagnano per rendere più sorridente la vita di tanti bambini disperati invece che comprarne uno o due in California a pagamento perché le vie della generosità possono essere tante per chi può. (Applausi ironici della senatrice Saggese). Quindi, di menzogne ce ne sono tantissime.

Sul tema si sono espressi tanti presidente della Corte costituzionale, di vario orientamento. Flick ha ribadito anche l’importanza della più volta citata sentenza del 2010; Ugo De Siervo ha detto questa frase, che cito: «Diciamocelo chiaramente: con la “stepchild adoption” si concede il diritto a un padre naturale di estendere la genitorialità a chi desidera lui. Non vedo proprio la tutela di un diritto del bambino». Un altro presidente della Corte, Cesare Mirabelli, che ha fatto tante dichiarazioni e osservazioni sulla rilevanza della sentenza del 2010 della Corte costituzionale, afferma che un conto è il matrimonio, altro conto sono altri tipi di unioni che si possono regolamentare, ma che non sono il matrimonio e non possono implicare la genitorialità. Questo dice la sentenza; rileggiamola, riflettiamoci nel momento in cui andiamo a legiferare. Di Cesare Mirabelli potrei fare tante ampie citazioni riguardanti richiami alla Costituzione. Tutto ciò per dire che c’è un pluralismo culturale con richiami di giuristi importantissimi. Gaetano Silvestri, che non appartiene alla sfera culturale cui appartiene Mirabelli, ha detto chiaramente che un conto sono le unioni civili, altro è il matrimonio, facendo riferimenti all’articolo 3 della Costituzione. Poi però ha parlato di altre questioni, dicendo testualmente: «Eviterei riferimenti specifici agli articoli del codice civile che riguardano il matrimonio per evitare che in sede interpretativa questo diverso istituto giuridico possa essere del tutto parificato al matrimonio. Le unioni civili devono avere una loro disciplina autonoma, e non per mero rinvio alle norme che regolano il matrimonio»; e continua dicendo che i principi cui bisogna riferirsi sono in primo luogo quelli della Costituzione italiana (articoli 29 e 2). Lo dice Gaetano Silvestri e altri esponenti insigni della nostra cultura del diritto costituzionale.

Sulla maternità e sulla natura dei figli ci sono dichiarazioni internazionali: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 afferma che nel campo della maternità e dell’infanzia ci sono diritti speciali da tutelare; la Convenzione dei diritti del fanciullo del 1989 afferma che entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per l’educazione del fanciullo. Un’altra dichiarazione internazionale del 1959 afferma che, salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre.

Il Parlamento europeo il 17 dicembre 2015 (quindi recentemente) è intervenuto ulteriormente per condannare la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come merce, e prosegue con una risoluzione che – immagino – sia stata approvata con grande rilevanza.

Si sta discutendo – c’è stato un convegno a Parigi alcuni giorni fa – su questi temi per la Carta mondiale che vuole abolire la piaga della maternità surrogata. Quindi, non è vero che questo non c’entra con ciò che stiamo facendo, e se davvero non c’entra, allora ripeto quello che ho detto prima: che difficoltà c’è a ribadire divieti e posizioni chiare e nette che sono soprattutto a tutela della donna, che è il soggetto debole di questo mercato? Se non lo si vuol fare, si è un po’ in malafede. Certo, le mozioni non si negano a nessuno. Decidiamo qui ed ora; se non ora quando – mi verrebbe voglia di dire, facendo mio il nome dell’associazione – decidere su queste cose?

Colleghi, abbiamo da chiarire l’articolo 3 per una serie di richiami al diritto di famiglia, che va corretto. Non c’è solo l’articolo 5 sulle adozioni, ci sono una serie di richiami all’articolo 3; ne discuteremo quando arriveremo agli emendamenti. Quindi adesso non voglio entrare in una descrizione puntuale e precisa, ma ci sono una serie di richiami nell’articolo 3 che vanno chiariti, e che mi pare che anche altri Gruppi – non solo Forza Italia – intendano modificare per evitare tutto ciò.

Noi abbiamo a cuore l’interesse del minore che non può essere trascurato. Poi si dirà che ci sono altri diritti: riconosciamoli, regolamentiamoli, procediamo in questa direzione, ma l’idea che sia moderno lo stravolgimento dell’origine della vita è qualcosa che dobbiamo respingere in termini culturali. Moderno che cosa poi? L’ho detto prima, allora si arriva all’eugenetica: bello, sano, forte e si riproduce.

Oggi la scienza ha creato tante innovazioni, ma non è che tutto ciò che si può fare teoricamente poi si possa fare. Il dibattito non dico tra scienza e fede, ma tra scienza e diritto – mettiamola su un piano più laico – è importante. Non ci sono quelli che vogliono condannare Galileo e i portatori della modernità. Attenzione! Giorni fa ho visto che in Inghilterra hanno autorizzato degli esperimenti sugli embrioni. È una questione che si discute sempre: fino a dove deve arrivare la scienza per combattere il male, che è un qualcosa di indispensabile, e dove poi si arriva a forme di aberrazione. Noi dobbiamo accettare la vita per quello che è e non dobbiamo pensare a manipolazioni. Nei giorni scorsi alcuni hanno ribadito che la modernità non è questa forma di rivoluzione antropologica e di stravolgimento. Mi auguro che da questa discussione si possa uscire con delle modifiche mirate a questo testo, con l’accantonamento totale della questione delle adozioni, con la cancellazione dell’equiparazione tra matrimonio e unione civile che, come hanno detto tanti insigni giuristi ed ex presidenti della Corte costituzionale di ogni orientamento, creerebbe una lesione dell’articolo 29 della Costituzione. Non richiamo – lo hanno già fatto altri colleghi prima di me – il dibattito dei tempi della Costituente. Alcuni dicono che adesso siamo in un’altra fase e che la famiglia è dove c’è l’amore; allora se si amano in cinque, sei o sette, cos’è? Attenzione, amici miei. Nessuno va in giro a perseguire unioni di fatto, convivenze e quant’altro, però credo che da qui a trasformare il diritto e dei principi dei fondamentali ce ne corra. È quello che noi dobbiamo assolutamente evitare. Riflettano i colleghi in quest’Aula sulla reazione di opinione che c’è stata nel Paese. Ci sono state iniziative che hanno fatto discutere tanti. Non credo che alcuni partiti abbiano detto a caso di lasciare libertà di coscienza. Hanno forse visto che i propri elettori hanno idee diverse. Abbiamo fatto una scelta chiara: siamo contro questo testo; vogliamo modificare l’equiparazione tra matrimonio e unione civile; vogliamo eliminare tutte le parti che riguardano le adozioni; siamo favorevoli a una regolamentazione di diritti delle convivenze delle persone omosessuali perché non vogliamo discriminazioni, ma nemmeno discriminazioni al contrario o forzature del dibattito per cui chi sostiene questi aspetti è un oscurantista e un ignorante che viene dal Medioevo. La modernità non è la manipolazione genetica e scientista, l’alterazione del rapporto tra madre, padre e figlio. Certo, ci sono le eccezioni come i bambini orfani. Ci sono i bambini che perdono i genitori, ma sono traumi ed eccezioni. Non dobbiamo trasformare la genitorialità in qualcosa che si commercia e si può acquisire comunque: non è un’automobile, un frigorifero o qualcosa che si deve ostentare. Apprezzo molto le posizioni di numerose persone di orientamento omosessuale; sono state loro le prime a dire che un conto sono i diritti che rivendicano e altro sono le pretese di genitorialità, che le persone più sagge e responsabili non rivendicano.

Non abbiamo assunto un atteggiamento ostruzionistico perché vogliamo che ognuno si assuma le proprie responsabilità. Il Gruppo di Forza Italia aveva presentato inizialmente 260 emendamenti. Se c’è da ridurne il numero non abbiamo nessun problema purché la discussione sia, come si sta facendo finora, seria, approfondita e fatta ascoltando anche il Paese e le sua sensibilità. Non è solo un problema di tradizioni: è l’interpretazione del diritto reale, di cos’è una famiglia, la nascita di una vita. Credo che la vera modernità consista nel difendere questo tipo di valori.

C’è anche un’altra modernità. Ho visto molta modernità positiva nel Family Day. Noi abbiamo un problema di crescita zero, di insufficienti politiche per la famiglia, di difficoltà di tutti i Governi nel fare politiche fiscali adeguate e sufficienti per le famiglie con figli. Marcello Veneziani diceva recentemente che noi dovremmo incoraggiare la nascita e fare un movimento culturale che favorisca la nascita di persone, di vita e imprese e non essere così cupi nel pensare alla crescita zero, al fatto che non ci sono più bambini che nascono, che chiudono le aziende e che non c’è lavoro. Anche la discussione di questa legge deve essere un motivo di riflessione per far sì che vinca l’idea della nascita, di una Nazione che non scompaia, perché, alla fine, se si adottano certi modelli, non ci sarà la crescita zero, ma la fine della vita: il mondo non esisterebbe. Lo Stato ha introdotto in Costituzione la tutela della famiglia; senza la famiglia orientata alla nascita di figli, che possono arrivare o no, senza il futuro e le nuove generazioni non c’è più lo Stato e anche quella Costituzione non riguarderebbe più nessuno perché non esisterebbero più le persone cui quella Costituzione parla.

Affrontiamo quindi questa discussione con serietà e maturità, nel merito, perché da essa dipende il futuro della nostra Nazione. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII e del senatore Giovanardi).

 

BERGER (Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE). Domando di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

BERGER (Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE). Signora Presidente, ero iscritto a parlare in precedenza, ma purtroppo, per questioni istituzionali, mi sono dovuto assentare dall’Aula. Dunque, associandomi totalmente a quanto detto dal collega senatore Lepri nel suo intervento, le chiedo la cortesia di autorizzarmi a depositare il testo scritto del mio intervento, affinché venga pubblicato in allegato al Resoconto della seduta odierna.

 

PRESIDENTE. La Presidenza l’autorizza in tal senso.

È iscritto a parlare il senatore Liuzzi. Ne ha facoltà.

 

LIUZZI (CoR). Signora Presidente, onorevoli colleghi, ministro Orlando, desidero esternare una sensazione, che nutro dall’inizio del dibattito sulle unioni civili, ovvero che, a mio parere, si conferma lo iato tra Paese reale e Paese legale. Ciò che andiamo dicendo in questa Assemblea appare distante dal sentimento dei corpi sociali, in parte impegnati nei social network, in parte distratti da altre preoccupazioni, in parte timorosi di esprimere un’opinione, essendo assorbiti dalla complessità della materia. Il ceto politico ha dunque l’opportunità di riscattarsi, potendo legiferare bene e meglio. Il disegno di legge Cirinnà rappresenta per il nostro Paese una vera e propria rivoluzione legale e sociale. Per la prima volta, non soltanto viene indebolita l’idea stessa del matrimonio su cui si fonda la nostra civiltà – tale indebolimento, peraltro, è già in atto da alcuni decenni – ma si introduce una nuova forma legale e un nuovo criterio essenziale nella definizione pubblica del rapporto tra due persone.

Sebbene il disegno di legge Cirinnà, nella sua nuova stesura abbia cancellato quasi tutti i riferimenti espliciti al matrimonio, sono invece conservati tutti i rimandi agli articoli del codice civile, che regolano il matrimonio stesso, ivi incluso quello concernente la stessa disciplina della separazione e del divorzio, pensata per sciogliere un vincolo matrimoniale e non diverse formazioni sociali. La sostanziale equiparazione delle unioni civili all’istituto del matrimonio espone il provvedimento a censure di legittimità costituzionale, in quanto, nonostante la formale proclamazione dell’unione civile, quale specifica formazione sociale, esso è sostanzialmente un simil-matrimonio. Nel procedere per sovrapposizione con l’istituto del matrimonio, il disegno di legge si spinge oltre, sancendo anche l’obbligo di coabitazione tra le parti dell’unione civile. Non solo: mi preme sottolineare che nell’ultima stesura del disegno di legge in oggetto risulta insolitamente assente qualsiasi riferimento alla presenza di uno specifico e qualificante legame affettivo, che dovrebbe caratterizzare l’unione tra persone dello stesso sesso. Intendo dire che, se due persone che si vogliono bene vogliono essere messe in condizione di avere tutele e assistenza reciproca, è assurdo impedirlo: uno Stato laico non può e non deve farlo. Se poi vogliamo chiamare «matrimonio» questa unione civile, per quanto contrasti intuitivamente con il concetto che ne abbiamo storicamente e antropologicamente e che la Costituzione indica, diciamo che si potrebbe soprassedere senza particolari problemi.

Ora, mi sia concesso dire che il paradosso del confronto corrente è quello di vedere contrapporsi su questa linea due atteggiamenti che sono, in ambo i casi, ideologici e sbagliati: uno è quello di chi ritiene di dover difendere, attraverso una concezione univoca del matrimonio tradizionale, l’idea naturale di famiglia; l’altro è quello di chi, in nome di diritti individuali legittimi, vuole ampliare il concetto di famiglia, facendolo rientrare surrettiziamente nel concetto di matrimonio allargato alle unioni civili. È chiaro quindi che ci inerpichiamo su due sentieri diversi per definire il matrimonio: da un lato, si punta a separare il concetto di matrimonio da quello di famiglia naturale, dove con questa espressione si fa riferimento ad un’unione che sancisce a livello sociale la condizione giuridica della genitorialità (un padre e una madre), ma dall’altro si introduce la possibilità che due persone che per oggettiva condizione biologica ed antropologica non possono generare figli, siano in condizione, se decidono di impegnarsi pubblicamente, di avere gli stessi reciproci diritti e gli stessi reciproci doveri di due coniugi eterosessuali.

Per poter ovviare ai divieti italiani, da qualche anno si è sviluppato un vero e proprio turismo procreativo verso quei Paesi, in particolare verso la Spagna, ove l’accesso a queste tecniche è libero e consentito. In tali casi, il minore verrà registrato dalla madre biologica o dal padre biologico, avrà un genitore sconosciuto in quanto donatore di seme o madre surrogata che ha rinunciato al bambino e vi sarà un terzo soggetto, coniuge o convivente del genitore biologico, che provvede alla registrazione, biologicamente estraneo al minore e che, in forza alla modifica introdotta con l’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà, potrà vantare il riconoscimento formale del suo essere genitore.

Il problema, però, è che si parla di adozione come se fosse una condizione ideale mentre quella dell’abbandono da parte della genitrice è una situazione di sofferenza per la quale uomini e donne offrono la loro vita cercando di porvi rimedio e donando coraggiosamente e generosamente il loro amore materno e paterno.

Don Antonio Iapicca, in una lettera ai partecipanti al Family Day, ha scritto: «Un figlio non è solo il frutto misterioso del piacere; spesso appare quando meno te lo aspetti, tra le pieghe lise di un rapporto che sembra sciuparsi nell’aridità. Un figlio è l’esito di un cammino di sacrifici, sconfitte e perdono, sul quale i coniugi sperimentano la bellezza dell’amore. Ogni madre, partorendo, ha gridato il dolore dell’amore; e anche una donna che partorendo si guadagna da vivere, o, se preferite, che dona il suo utero a chi non lo ha, porterà per sempre la memoria di quel dolore al quale non saprà dare senso, e prima o poi le strariperà dal cuore inondando la sua vita».

Elisa Anna Gomez, ad esempio, una delle tantissime testimonianze che ho avuto modo di ascoltare in questi giorni, nel 2006, trovandosi in una situazione economicamente difficile, ha accettato di diventare madre surrogata per 8.000 dollari per una coppia gay desiderosa di avere un bambino; una decisione difficile e della quale si è tremendamente pentita. Lei stessa ha ammesso di avere preso una decisione sbagliata che la segnerà per sempre. Questo è ciò che non dovremmo permettere ed a cui si riferisce il richiamo iniziale alla politica a legiferare bene.

Papa Francesco, qualche giorno fa, ha spiegato che la famiglia è una forma metafisica permanente e suprema di realizzazione della vita umana la quale richiede un matrimonio stabile e indissolubile; venuto meno, tuttavia, un concetto giuridico univoco, è inutile radicalizzare lo scontro in ambito politico, magari sacrificandoci sopra il valore stesso della famiglia e le sue necessità. Il Papa ha inoltre affermato di credere fermamente che se la famiglia tornerà ad essere forte, tornerà ad essere forte anche il matrimonio naturale e costituzionale. È di questo che oggi la politica dovrebbe occuparsi, della famiglia senza sterili ideologie di conservazione e senza devastarne in modo rivoluzionario e contraddittorio il significato in nome di diritti di adulti che finiscono per diventare abusi sull’infanzia motivati unicamente dal puro e semplice egoismo personale.

È questione di ottica: in primis, i diritti dell’infanzia, secondariamente i diritti degli adulti. Avere una visione etica e sociale della famiglia oggi richiede la garanzia di uno statuto che, oltre il matrimonio, guardi all’aspetto demografico ed economico. Bisogna sostenere le nascite e per farlo occorre garantire che i matrimoni siano salvaguardati e sostenuti.

In tal senso, il gruppo dei Conservatori e Riformisti ha presentato degli emendamenti che puntano alla promozione e alla difesa economica della famiglia e della maternità, come l’esenzione IVA e la deducibilità totale ai fini IRPEF delle spese sostenute dalle famiglie.

La Francia ha scelto di investire sulla natalità, la Germania ha fatto lo stesso e allo stesso modo tanti altri Paesi lo fanno; perché, quando facciamo ricorso ai cosiddetti Paesi civili in tema di unione civile, non ci riferiamo anche alle buone prassi in favore della famiglia che all’estero praticano?

Onorevoli colleghi, un grande uomo una volta ha detto: «Quando l’istituzione del matrimonio è abbandonata all’egoismo umano e ridotta ad un accordo contemporaneo e condizionale, che si può rescindere facilmente, noi reagiremo affermando l’indissolubilità del vincolo matrimoniale. Quando il valore della famiglia è minacciato da pressioni sociali ed economiche, noi reagiremo riaffermando che la famiglia è necessaria non solo per il bene privato di ogni persona, ma anche per il bene comune di ogni società, nazione e Stato». Parlava così il pontefice Giovanni Paolo II.

Mi consenta, signora Presidente, di fare un’ultima considerazione. Tornando sulla questione delle adozioni, ovvero dellastepchild adoption, prendo ad esempio i beni culturali. Onorevoli colleghi, vi chiederete cosa c’entrano. I blocchi sociali progressisti usano spesso egemonicamente le tematiche ambientali della tutela del paesaggio come discrimine delle politiche di sinistra e di destra. Francamente, io non do valore alcuno a questa assurda divisione. Ebbene, alla base della tutela dei beni materiali e immateriali pubblici e privati, definiti beni culturali e patrimonio dell’umanità c’è il riconoscimento delle radici come fondamentale elemento di identità. Ora, appare assurdo che decennali battaglie a favore della ricerca delle radici storiche, etniche, antropologiche ed artistiche siano un valore da salvaguardare per lo sviluppo delle comunità e degli individui e vengano sottovalutati gli enormi interrogativi, i vuoti esistenziali, l’enigma dell’origine della vita e di chi ci ha dato la vita. Ciò avverrà quando favoriremo, surrettiziamente, l’adozione di un essere da parte di genitori classificati A e B, con il massimo disprezzo della genitrice biologica, relegata alla mera funzione di surrogato e con buona pace di quelle radici estirpate e i pesanti interrogativi che accompagneranno per sempre un bambino, quell’adulto, quell’anziano, che vivrà spaesato drammaticamente alla ricerca delle radici e di se stesso. (Applausi dei senatori Giovanardi e Milo).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Davico. Ne ha facoltà.

 

DAVICO (GAL (GS, PpI, M, MBI, Id, E-E)). Signora Presidente, onorevoli colleghi, penso sia addirittura superfluo sottolineare che tutte le possibili opzioni di vita meritano uguale rispetto e considerazione.

Ciò premesso, le decisioni della politica debbono laicamente, così come ci accingiamo a fare, tenere conto delle diverse sensibilità, ma in primis stabilire i principi generali omogenei che scaturiscano da un dibattito aperto e rispettoso dei diritti di tutti, indipendente da sesso, censo, orientamento sessuale, orientamento religioso, ma parimenti indipendente da rivendicazioni lobbistiche di questo o quel gruppo di pressione.

Quello che invece oggi stiamo esaminando qui è un provvedimento che ingenera confusione e male dispone per il futuro della nostra legislazione. In sostanza, le tematiche affrontate dal disegno di legge Cirinnà appaiono troppe e troppo differenti tra loro per essere tutte inserite in unico testo, che rischierebbe di legiferare solo parzialmente e di lasciare quindi ancora nel limbo dell’incertezza numerose, troppe famiglie e affettività di ogni tipo e forma.

È certamente fuor di dubbio che la materia delle unioni affettive vada normata.

Di seguito illustrerò però le ragioni per le quali noi Moderati per Renzi riteniamo che si debba trovare la maniera per legiferare sulle sole unioni civili, e rimandare ad una diversa formulazione legislativa sia la normazione di riforme organiche e strutturate che riguardino le adozioni di minori sia il riconoscimento delle coppie di fatto.

Spiegherò perché sarebbe una censurabile aberrazione che si facesse passare questa formulazione legislativa così com’è attualmente scritta e sulla quale, a quanto pare, la maggioranza di cui il Governo è espressione (Governo al quale noi moderati non abbiamo fatto mancare il nostro sostegno su altre e disparate proposte) non desidera confrontarsi.

Ma il talento, diceva qualcuno, sta nelle scelte e noi scegliamo di non farci sedurre dal prevalente punto di vista dei media, proprio perché il politicamente corretto non deve spingerci a creare una sorta di discriminazione al contrario. In alcuni interventi svolti in quest’Aula ho ascoltato colleghi affermare che stiamo legiferando per consentire a due individui di costituire un nucleo familiare e regolarizzare il loro affetto. Così non è!

Cari colleghi, così non è: all’articolo 1 di questo disegno di legge, infatti, è proprio ben specificato che «le disposizioni» del primo capo «istituiscono l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale», quindi non sono assolutamente, in alcun modo, unioni civili tra persone di sesso diverso.

Solo all’articolo 11 si legifera a proposito delle convivenze di fatto, che, come appare cristallino, avrebbero una forza diversa già nel diritto che stiamo formando in queste ore.

Non è forse questa una discriminazione al contrario?

Detto questo, che già dà il segno della pericolosa fuga in avanti generata dalla presente legge per la sua cattiva e confusa formulazione, ciò che davvero non trova luogo e a nostro modo di vedere non deve trovare luogo, pena il nostro convinto respingimento dell’intera legge, è la previsione dell’articolo 5 del disegno di legge.

Innanzitutto, la legge n. 184 del 1983 ha avuto come scopo quello di consentire ai soggetti in stato di adottabilità di trovare posto in un ambiente familiare in grado di garantire loro protezione, educazione, crescita e cura. In particolare, l’articolo 44, comma 1, è stato pensato come una vera e propria eccezione alla vigente disciplina in tema di adozione. Applicare oggi questa eccezione alle nuove unioni civili omosessuali senza riordinare in maniera organica l’intera disciplina appare semplicemente inopportuno, oltre che foriero di ulteriori discriminazioni e disuguaglianze.

A questo si aggiunga che, non potendo fisicamente esistere una filiazione naturale all’interno della coppia omosessuale, è evidente che il figlio del partner dovrebbe provenire da una precedente relazione di tipo eterosessuale, oppure dall’inseminazione artificiale con impianto nell’utero di una delle due partner, se non attraverso la pratica illecita dell’utero in affitto con donazione di un gamete maschile.

Abbiamo raccolto le sollecitazioni espresse questa mattina dalla senatrice Finocchiaro ed è proprio per la doverosa attenzione da riservare all’adozione del minore e al divieto assoluto che deve riguardare la pratica dell’utero in affitto che riteniamo inconcepibile l’approvazione di questo disegno di legge, che rischierebbe di aprire inevitabilmente la porta a situazioni borderline, per non dire pericolose, senza che vi sia un’adeguata normativa in merito, in grado di scongiurare abusi di ogni sorta.

È evidente che consentire l’adozione da parte di un soggetto terzo rispetto al figlio del partner potrebbe “dare il la” ad una serie di problematiche di carattere giuridico ed etico, che si riverserebbero interamente sul tavolo di chi sarà chiamato in futuro ad applicare quotidianamente la disciplina delle unioni civili, ponendo diverse questioni di legittimità con decisioni, tra l’altro, e non è un dettaglio da poco, potenzialmente differenti e discordanti da un foro ad un altro.

Di più, colleghi: in assenza di una precisa normativa in tema di regolamentazione delle fattispecie di inseminazione artificiale e della pratica di utero in affitto, aprire all’adozione da parte delle coppie omosessuali significherebbe ratificare e accettare queste pratiche, senza fornire neppure dei princìpi guida in una materia così delicata.

Riguardo a tale esecrabile pratica è esplicativo il quesito relativo al caso di una coppia omosessuale che si rivolga ad una donna terza per ottenere un figlio e chieda ed ottenga l’adozione in Italia; quale diritto si applicherà a tutela della madre naturale qualora questa rivendicasse la propria genitorialità?

La pratica dell’utero in affitto, non essendo regolata in maniera specifica dal nostro ordinamento non si pone né come vietata, né come ammessa: nell’uno o nell’altro caso le conseguenze potrebbero essere molto diverse sia per i genitori, sia per i minori interessati.

Vorrei infine, colleghi, farmi confortare in questo mio intervento, dalle parole di un amico, monsignor Fisichella, che per tanti anni ci ha seguiti ed accompagnati con attenzione e rispetto nel nostro ruolo di parlamentari. Egli obiettava – cito pedissequamente – che: «Quando il soggetto o l’individuo si trova a vivere in una società, deve essere capace di rinunciare a propri diritti ed immettersi nell’alveo di una relazionalità in cui i propri diritti sono legiferati dal legislatore, a cui viene dato il diritto di farlo. Chi fa le leggi gode di una legittimazione. Noi ci siamo dati un sistema democratico che consente alla rappresentanza parlamentare di decidere per tutti. Se non ci fossimo dati questo sistema, saremmo in una tirannide o in una monarchia o addirittura in un totalitarismo e via dicendo. (…) Nessuno di noi decide per se stesso. Questo è il grande problema. Decideremmo per noi stessi soltanto se vivessimo nelle quattro mura di casa. Ma non è così. Questa è una visione utopica del vivere civile. Noi viviamo all’interno di una continua relazionalità con le persone, viviamo all’interno di una famiglia, che non è solo la nostra, piccola e personale – cioè quella che ci siamo costituiti – bensì è quella più grande, quella di una società all’interno della quale ognuno di noi si trova».

Conclusa la citazione di un prelato che molto aveva a che vedere con il secolo, cari colleghi, devo forse ricordarvi che è questa società che oggi ci chiede, su temi come questo, una rivoluzionaria cautela ed una laica, egualitaria, pluralista e rispettosa chiarezza? (Applausi del senatore Giovanardi).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Scavone. Ne ha facoltà.

 

SCAVONE (AL-A). Signora Presidente, onorevoli colleghi, continua una lunga discussione generale, che ci impegna già da qualche giorno. Abbiamo sentito tante voci e tanti buoni argomenti. Ovviamente vorrei tentare di aggiungere stasera il mio pensiero, facendo trasparire il travaglio della coscienza, la coscienza di un uomo che vive una vita reale nel XXI secolo, la coscienza di chi ha la responsabilità, parlando in quest’Aula, di votare una legge importante e, per quanto possibile, rispettosa dei desideri di persone che hanno un cuore e un’anima e fondamentalmente rispettosa dell’umanità più importante cui dobbiamo guardare: i bambini.

Tentare di trovare la strada legislativa giusta su temi sociali ed etici fa emergere in ciascuno di noi sentimenti contraddittori, dubbi, difficoltà, che aumentano all’ascolto degli argomenti e delle ragioni contrapposte. Spesso si ascolta in quest’Aula l’elenco di richiami a fatti concreti e a situazioni di vita reale, che caratterizzano la gran parte dei dibattiti nei temi di tipo etico e che ci portano comunque ad approvare e ad ascoltare una parte di ragione in ciascuno di essi. Alla fine, ciascuno di noi in coscienza dovrà dare un voto giusto.

Per essere più concreto, mi rendo conto che le unioni omosessuali costituiscono una realtà nel quotidiano della nostra società, con o senza figli biologici di uno o di entrambi i partner. Alcune di esse fanno parte anche del mio mondo relazionale, che vivo con assoluta serenità, senza pregiudizi o meraviglia. Rendersi conto di ciò che accade nella società, però, non vuol dire sic et simpliciter acquiescenza normativa, non vuol dire trovare una coperta che sia a misura della realtà che si è comunque determinata, ma piuttosto vuol dire comprensione dei mutamenti e dei costumi, nel tentativo di prevederne gli effetti nel lungo e nel medio periodo.

Le relazioni omosessuali, peraltro, non sono certo una novità della nostra epoca, ma ci sono sempre state. Nel mondo antico e nell’antichità classica costituivano spesso una iniziazione alla vita adulta (ne abbiamo tanti riscontri), all’avvio e all’addestramento culturale e militare.

Esistevano unioni omosessuali a fini didattici oltre che a fini affettivi. Basta ricordare Achille e Patroclo, Alessandro Magno ed Efestione, nonché la poetessa Saffo, istruttrice che venne nella nostra Sicilia, ad Akragas, a formare tante ragazze con cui aveva l’abitudine dell’iniziazione di tipo omosessuale.

Però, mentre questo ci ricorda la storia (siamo in una fase precristiana), nessuno, nemmeno a quell’epoca, pensò mai di stravolgere l’ordine naturale presente nel cosmo. Infatti, la coppia formata da un uomo e da una donna, piaccia o non piaccia, è depositaria solo questa della capacità procreativa. Gli stessi greci consideravano il matrimonio così importante che avevano all’epoca leggi penali che addirittura colpivano coloro che erano arrivati al matrimonio troppo tardi o quello che chiameremmo oggi una scelta di tanti, il celibato.

Il matrimonio, sin da allora, era un’altra cosa. Infatti, lo ricordo a me stesso, conformità all’ordine naturale non è ciò che accade semplicemente in natura, ma fondamentalmente ciò che corrisponde alle finalità intrinseche della natura. L’esistenza innegabile di attrazioni omosessuali, come anche di amori omosessuali, con tutto ciò che comporta come progetto di vita, convivenza stabile, aiuto, assistenza reciproca, desideri e aspirazioni, e anche il desiderio di avere ed accudire figli, non determina solo per questo la conformità all’ordine naturale.

Qualche autorevole voce in quest’Assemblea ha affermato che, con l’evolversi della società e il mutare dei costumi, il matrimonio civile ha perduto la connotazione di essere funzionale alla procreazione, diventando di fatto un’associazione al servizio della felicità individuale, e per questa ragione negli ultimi decenni le unioni eterosessuali di carattere stabile si sono moltiplicate, superando secondo l’ISTAT il milione nel 2014, mentre si sono ridotti i matrimoni celebrati (per la verità, un calo di poco più di 4.300 matrimoni).

Se questo è vero, una società che vuole proiettarsi in avanti con una propria identità non può rinunciare a punti fermi e chiari nella terminologia giuridica. La domanda è sempre quella: tutti i fenomeni sociali sono di per se stessi meritevoli di tutela giuridica? Quali di questi possono esserlo e con quali modalità? Tutte le aggregazioni affettive che si riscontrano nella società sono da tutelare? Gli individui che le determinano sono da considerare sempre centri di imputazione di diritti?

Esistono nella nostra società aggregazioni affettive formate non soltanto da due persone, ma anche da tre o quattro persone, eterosessuali ed omosessuali, e tutti, anche loro, condividono progetti di vita, desideri e aspirazioni, compresa quella di avere o di occuparsi di bambini. Ovviamente non giudico, non mi posso permettere e non intendo farlo, ma prendo atto e sono consapevole dell’esistenza di queste altre realtà; le accolgo e le rispetto. Sono altresì certo che alla base del nostro agire deve esserci prima di tutto la persona, l’individuo con tutta la sua ricchezza e la sua diversità, i suoi problemi, le sue angosce, le sue ferite, le sue gioie, i suoi desideri. Prima di tutto la persona, ma sarebbe un guaio come legislatori pensare che, in forza di questo, ogni cosa meriti una tutela giuridica.

La nostra società sta rischiando di diventare davvero eccessivamente liquida, priva di ancoraggi stabili, una società dove è possibile tutto anche in nome di valori eccellenti, quale l’amore, amore tra gli individui, amore dei genitori per i figli. Forse in nome dell’amore è possibile comprendere tutto, nella sua forma più dilatata peraltro, che è la caritas. È possibile comprendere tutto, ma certamente non tutto può assurgere a diritto dell’individuo da regolare e da tutelare. D’altra parte ritengo che il bene, se fatto male, non sia bene. L’aspirazione di una coppia omosessuale ad avere figli, non prevista in natura, può forse arrivare a travalicare la categoria di un’aspirazione che certamente è legittima ed invadere il terreno del diritto a diventare genitori, pur nella forma dell’adozione del figlio del partner?

Per quanto riguarda le unioni tra gli individui, si può parlare di matrimonio solo ed esclusivamente nella misura in cui esista una differenza sessuale tra le persone. Qualunque altra ipotesi è un’altra cosa. Tuttavia questo concetto, come abbiamo già sentito in quest’Aula, perché è stato ricordato stamattina da un collega autorevolissimo (che per la verità, diversamente da me, lo ha considerato stiracchiato), è stato ribadito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010, laddove afferma che l’articolo 3 della Costituzione (uguaglianza dei cittadini) risulta rispettato, poiché l’intera disciplina del matrimonio contenuta nel codice civile e nella legislazione speciale postula la diversità di sesso dei coniugi nel quadro di una consolidata ed ultramillenaria nozione di matrimonio.

Si è anche detto, citando alcuni titoli giornalistici, che l’Europa ha condannato l’Italia a riconoscere i diritti matrimoniali degli omosessuali. Non è vero, l’Europa ha fatto un’altra cosa. La notizia della condanna è vera, ma è di risarcimento. La Corte non afferma, come qualcuno ha riferito (probabilmente in buona fede), che occorre riconoscere anche in Italia il matrimonio tra persone dello stesso sesso. La Corte di Strasburgo ha solo constatato che un ritardo nell’adozione di una legge che assicuri una qualsiasi forma di tutela produce danni alle persone. La Corte ha detto questo e non altro.

Ritengo non sfugga a nessuno che il disegno di legge Cirinnà si è mosso in una direzione giusta ed opportuna, proprio per le ragioni ricordate dalla Corte di Strasburgo, ovvero quella di riconoscere le unioni civili tra persone dello stesso sesso, ma ha utilizzato un metodo errato. Infatti, anziché elaborare una normativa a sé stante, diversa dall’istituto matrimoniale, ha introdotto una fictio iuris: da un lato identifica le unioni civili tra persone dello stesso sesso come una formazione sociale, poi per analogia, ma contraddittoriamente, richiama in maniera esplicita tutti i riferimenti del codice civile previsti per la famiglia, che ha come base l’accoppiamento uomo-donna.

Anche per quanto attiene alla stepchild adoption, di cui all’articolo 5, di cui tanto continuiamo a parlare, non dobbiamo cedere alla tentazione di considerare casi singoli che già hanno ricevuto dai tribunali idonea attenzione. Una cosa è il caso concreto, magari di nostra conoscenza diretta, un’altra cosa è introdurre nell’ordinamento una norma che, per definizione, deve essere generale ed astratta e che potrebbe aprire varchi all’incentivazione (al di là di ciò che pensiamo e che dobbiamo ancora fare per completare il percorso giuridico di questi aspetti) di pratiche vietate in Italia come la più volte richiamata maternità surrogata. Se questa norma rimanesse priva di filtri e di argini, purtroppo non si avrebbe nessuna garanzia che una disposizione di legge, che nasce con la migliore intenzione di fornire un altro genitore (e quindi la continuità affettiva) ad un minore rimasto privo del genitore naturale, potrebbe essere utilizzata per altri fini certamente meno nobili.

Mi chiedo: esiste un diritto assoluto ad essere genitori? Dal mio punto di vista, la risposta è no. Esiste il diritto del minore ad avere una famiglia, che lo riscaldi, lo ami e lo educhi.

Per concludere, cari colleghi, penso che abbiamo il dovere di regolamentare e tutelare le unioni omosessuali, ma credo anche che il disegno di legge Cirinnà, nella sua attuale formulazione, non adempia allo scopo, perché utilizza criteri interpretativi per equiparare istituti che non possono essere omogenei (matrimonio e unioni omosessuali), quando invece si richiede una legislazione distinta dal matrimonio. Diversamente, questo disegno di legge si pone come un’autentica forzatura ontologica e giuridica.

Credo quindi che la discussione non debba e non possa terminare rapidamente, cedendo velocemente il posto al braccio di ferro delle votazioni finali. Occorre uno sforzo di comprensione reciproca, alla luce del fatto che il muro contro muro non serve a nessuno.

La soluzione per rispondere alle aspettative delle coppie omosessuali c’è, ma è una soluzione diversa, che non guarda per analogia alle norme sul matrimonio. E io voglio essere positivo e ottimista. Credo che questo disegno di legge possa rappresentare un’opportunità per tutti noi di intervenire bene su questa materia. Sono stati presentati ottimi emendamenti da tutte le parti politiche che, opportunamente introdotti nel testo, potranno porre rimedio al vizio originale della previsione di automatismi stiracchiati.

Auspico quindi che la fase di esame degli emendamenti sia proficua e ci induca a sottrarre una materia così delicata al mero conteggio dei numeri, senza il complesso di apparire oscurantisti e retrivi agli occhi dell’Europa; una fase scevra da prove di forza, da riservare ad altri provvedimenti anche rifondativi della nostra democrazia, ma obbligandoci ad una rigorosa e responsabile rilettura per ribadire la bellezza e la linearità di un testo degno della grande tradizione di giustizia del nostro Paese.

La battaglia su cui ci stiamo confrontando è quella delle vere libertà e non quella di una frettolosa illusione di libertà. (Applausi del senatore Compagnone).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Romano. Ne ha facoltà.

 

ROMANO (Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE). Signora Presidente, colleghe senatrici, colleghi senatori, la discussione sulla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze è ampia e articolata, per la dialettica etico-sociale-politica, certo complicata nonché conflittuale, per la copiosità della disciplina legislativa, per l’elaborazione in dottrina e giurisprudenza, per la varie richieste all’autorità giurisdizionale da coppie di persone dello stesso sesso.

Ad esempio, basti ricordare le istanze di trascrizione di nozze celebrate al di fuori dell’Italia, trascrizioni di certificati di nascita formati all’estero di bambini nati a seguito di tecniche di fecondazione artificiale, riconoscimento di sentenze straniere di adozione pronunciate a favore del coniuge del genitore del minore e, non ultima, l’ammissione di uniformità di situazioni giuridiche tra unioni omosessuali e unioni eterosessuali, fino a ipotizzare un matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Escludendo le scontate contrapposizioni progressisti-conservatori, laici-cattolici, illuminati-oscurantisti, usiamo parole chiare e rispettose di tutti e di ognuno, secondo un umanesimo concreto, senza escludere umanità impropriamente ritenute periferiche, senza intolleranze o pregiudizi. Intolleranze, quale rifiuto del dialogo con preconcette ostilità. Pregiudizi, come opinioni che la ragione non vuole esaminare. Allora un’argomentazione aperta, solidale, corresponsabile, riconoscendosi nel comune orizzonte di senso della connaturata complessità della esistenza umana, perché c’è laicità se si sa riconoscere ciò che è realmente universale.

Argomentazioni, mi è caro sottolineare, suggerite da una cura per l’umano nella visione integrale che non comprende affatto il lessico delle discriminazioni.

In ogni persona, qualsiasi sia l’orientamento sessuale, è inscritta una ontologica dignità. Nessuno si arroghi il diritto di negare niente di fondamentale a nessuno; e altrettanto, nessuno sostenga diritti sugli altri, tanto meno su un minore.

A noi senatori il gravoso compito, il complicato incarico, forse il temerario onere della definizione di norme che abbiano come guida equilibrio e ragionevolezza; norme rispondenti ai diritti di ogni cittadino nonché ai suoi doveri verso ogni altro cittadino.

È assolutamente necessario un supplemento di impegno al dialogo e al confronto, però portando solo e soltanto ragioni, perché usare il tema delle unioni civili come strumento per attestarsi su posizioni ideologiche o marcare limiti di appartenenza non aiuta per niente a legiferare, appunto, con equilibrio, obiettività ed equità.

Ricorrere alla libertà di coscienza, com’è stato già sottolineato da alcune settimane, favorisce una parlamentare apertura al confronto e il superamento delle vincolanti discipline di partito, a riprova che non c’è un vincolo assoluto di maggioranza ma è ancora di più un’assunzione manifesta di responsabilità nell’organizzare la convivenza. Il Parlamento, soprattutto su questa materia, è sovrano.

Mi auguro che la libertà di coscienza possa manifestarsi maggiormente con voto palese, limitando il ricorso al voto segreto che potrebbe prestarsi ad altre convenienze, vuoi strumentali, vuoi opportunistiche.

È stato richiamato in alcuni interventi che mi hanno preceduto un principio di responsabilità (il principio di responsabilità che fu codificato e definito nelle sue caratteristiche da Hans Jonas), ma non dimentichiamo che quel principio di responsabilità, nell’etimologia stessa della parola, si richiama ad una presa in carico, appunto, ad un farsi carico di ognuno e di tutti, nessuno escluso. E tuttavia, un principio di responsabilità può essere il solo principio etico che può uniformare il nostro legiferare? A me non sembra, perché il principio di responsabilità, affinché sia tale, deve coniugarsi con l’altro, che è il principio della ragionevolezza.

Come è legittimo definire forme di garanzia per persone conviventi dello stesso sesso e di sesso diverso, attribuendo sotto il profilo pubblico consistenza giuridica, è altrettanto legittimo e doveroso approfondire i temi della genitorialità, della generatività e delle adozioni, nonché della proposta assimilazione delle unioni civili all’istituto del matrimonio.

Com’è ben noto, e ripetutamente richiamato in quest’Aula, il fondamento costituzionale della famiglia legittima è scritto nell’articolo 29, primo comma. La famiglia, forma primaria di convivenza umana, è una società naturale che si configura come nucleo spontaneo che nasce dal legame di coppia al fine di realizzare, nella complementarietà, il superamento delle rispettive dimensioni individuali; si qualifica su principi naturali ancor prima che giuridici: la definizione di società naturale non indica un indistinto riferimento a concezioni giusnaturalistiche, ma, come emerge chiaramente dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, è diretta a sottolineare che l’istituto familiare è pregiuridico, sussiste, cioè, prima e indipendentemente da interventi legislativi.

Il principio che la famiglia è fondata sul matrimonio, che si costituisce con l’unione tra un uomo e una donna, è messo in discussione per cambiamenti nei costumi e nelle relazioni sociali, dai quali ne deriverebbe il superamento della diversità di genere come elemento essenziale per l’esistenza del vincolo matrimoniale.

Premesso il pieno e logico riguardo per coloro che vivono una condizione di coppia, spesso sofferta e marginalizzata, di persone con lo stesso orientamento sessuale, spetta al legislatore la discrezionalità di interpretare le trasformazioni sociali e introdurre le riforme di sistema che da queste conseguono, modulando le indispensabili discipline legislative di dettaglio.

È evidente che bisogna richiamarsi anzitutto alla giurisprudenza italiana. Punto di partenza è la giurisprudenza costituzionale, in particolare le due sentenze fondamentali sulle unioni omosessuali: la n. 138 del 2010 e la n. 170 del 2014. Con la sentenza n. 138 del 2010 si legittima per la prima volta le unioni omosessuali come tali dentro le formazioni sociali (articolo 2 della Costituzione) e ne esclude l’accesso al matrimonio (articolo 29 della Costituzione). Una sentenza, questa, di cui riporto una citazione del presidente Criscuolo il quale ha affermato che, premesso che l’intera disciplina dell’istituto matrimoniale postula la diversità di sesso dei coniugi, per formazione sociale, ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione, è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso. Tuttavia, ha escluso che l’aspirazione a tale riconoscimento possa essere realizzata soltanto attraverso un’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. Criscuolo continua dicendo che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono tenere cristallizzati con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, ma vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi. Questo significato del precetto costituzionale non può essere oltrepassato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere a una interpretazione creativa.

La prima sezione civile della Corte di cassazione, con la sentenza n. 2400 del 9 febbraio 2015, ricorda che non costituisce discriminazione il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso. Nella stessa sentenza si richiama altresì l’opportunità di creare per le coppie omosessuali, come per tutte le coppie di fatto, «un nucleo comune di diritti e doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni di coppia». Un pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare quella del 24 giugno 2010, ricorda che non esiste «un diritto al matrimonio per coppie dello stesso sesso». Altresì la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo, con un pronunciamento del 7 novembre del 2013, ricorda che, nel caso in cui gli Stati emanino una legge volta a riconoscere le unioni civili per coppie eterosessuali, gli stessi non possono prevedere un’esclusione per coppie dello stesso sesso. Pertanto, si rinvia ripetutamente alla discrezionalità del legislatore per una quanto più possibile condivisione e per un riconoscimento dei diritti sociali e patrimoniali delle convivenze.

Il disegno di legge in oggetto mira a fornire una disciplina legislativa statale tanto per le unioni omosessuali quanto per le coppie di fatto, cercando un bilanciamento tra unioni civili e matrimonio paritario. Tuttavia, si pongono sullo stesso piano elementi differenti: una cosa sono le unioni stabili tra uomo e donna che, seppur non fondate sul vincolo di coniugio, ne ricalcano sostanzialmente il modello; altra cosa sono, invece, le unioni tra persone dello stesso sesso. La disciplina proposta nel disegno di legge agli articoli 2 e 3, pur non rinviando integralmente a quella sul matrimonio, utilizza una tecnica legislativa che, attraverso parziali regolamentazioni ad hoc, permette alle unioni civili di raggiungere l’ampiezza dei diritti e dei doveri che le coppie sposate acquisiscono per legge. In particolare, l’articolo 3 richiama espressamente alcuni articoli della disciplina del matrimonio. È insomma una clausola generale di equivalenza matrimonio-unioni civili. Tale estensione si applica, pertanto, anche all’articolo 44 lettera b), titolo IV della legge n. 184 del 1983, anticipando quanto scritto espressamente nel successivo articolo 5 e introducendo, così, già l’adozione del figlio del partner (cosiddetta stepchild adoption). Se così è, non sarebbe stato meglio procedere con la tecnica del cosiddetto rinvio esterno alla normativa vigente in materia di matrimonio? Si sarebbe evitato, per tale via, di sottolineare un’alterità tra le unioni civili e il matrimonio che, in realtà, nell’intenzione del legislatore del disegno di legge, è soltanto apparente in quanto, per diritti e doveri in esso previsti, è perfettamente equiparabile. A questo punto, perché poi non parlare nettamente di matrimonio, risolvendo anche il problema dell’articolo 29 della Costituzione?

Veniamo all’articolo 5 che, nel modificare l’articolo 44 della legge n. 184 del 1983, indirettamente prevede la stepchild adoption, così come quella non legittimante in alcuni Paesi quali la Germania, al fine di garantire la continuità affettiva ai minori che vivono già all’interno di coppie omosessuali.

Mi pongo un interrogativo: esiste altra possibilità per tutelare i minori? Per il vero, già nel titolo IV della legge n. 184 del 1983 si richiamano «forme di adozione in casi particolari». Tale legge potrebbe essere modificata per includere, in determinati contesti, anche questi casi. È facilmente intuibile come la previsione del disegno di legge in discussione porti a ricorrere, per quanto già vietata in Italia con la legge n. 40 del 2004, alla maternità surrogata, altresì definita, attraverso il vocabolario dell’antilingua, “gestazione per altri” o “gestazione di sostegno”.

Col diritto alla genitorialità da parte di coppie dello stesso sesso, inevitabilmente e logicamente è necessario il ricorso a procedure che umiliano la dignità del corpo femminile, con la cosificazione e la commercializzazione della gestazione, che invece, per intrinseche e connaturate qualità, si radica nel profondo umano della singola, unica, irripetibile relazione madre-figlio, che non potrà mai annullarsi, né contrattualizzarsi, né tantomeno giustificarsi per una cosiddetta finalità altruistica o solidaristica, ovunque avvenga, in qualunque area del mondo, che siano gli Stati Uniti o il Canada, la Russia o l’Ucraina, l’India o altro, anche sfruttando disagi e povertà. Auspico che a questo non si voglia aspirare, né si voglia arrivare, nell’istituire le unioni civili.

Convintamente sostengo quanto, giustamente, ricordato pochi giorni or sono da alcune colleghe senatrici – e non solo da loro – ovvero che l’utero in affitto è pratica inaccettabile, che riguarda sicuramente anche le coppie eterosessuali, ma che ha implicazioni nella versione attuale della stepchild adoption, contenuta nel disegno di legge in discussione. Come ricordavano le colleghe, non vogliamo ci sia alcuna strumentalità, ma neppure nessuna ipocrisia. I diritti delle coppie dello stesso sesso non devono confliggere con quelli delle donne, né tantomeno con quelli dei minori. Per questi motivi ho sottoscritto emendamento, che applica le stesse pene già previste in Italia a chi pratica la surrogazione di maternità all’estero, sia per le coppie omosessuali, che per quelle eterosessuali. Inoltre, con lo stesso emendamento si definisce una procedura che cerca di disincentivarla.

È in parte condivisibile l’articolo 11 del disegno di legge, che meriterebbe un ulteriore approfondimento e che si riferisce tanto alle coppie di eterosessuali quanto a quelle di omosessuali, prevedendo giustamente per i conviventi gli stessi diritti dei coniugi in caso di malattia, di carcere o di morte di uno dei coniugi, nonché la possibilità di stipulare un contratto di convivenza per regolare le questioni patrimoniali tra di loro. Del resto, già nel febbraio 2015, avevo depositato come primo firmatario un disegno di legge in cui si prevedeva l’istituzione di un registro delle stabili convivenze, che derivava dall’esigenza, diffusamente avvertita, di riconoscere i diritti di coloro che si trovano ad instaurare una stabile convivenza tra persone di sesso diverso o dello stesso sesso, legate da vincoli di affettività, di parentela o anche semplicemente da intenti di mutuo sostegno a fini solidaristici.

In conclusione, risulta evidente che si richiede un supplemento di approfondimento e di dialogo, nella necessaria fase emendativa del disegno di legge che, su peculiari diritti e doveri da regolamentare, risponda in definitiva ai criteri della ragionevolezza. Pertanto, apportare miglioramenti e correttivi in Assemblea è possibile e necessario. Al fine anche di una chiara «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso» e della «disciplina delle convivenze», premessa la competenza del Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, a individuare forme di garanzia e riconoscimento per persone dello stesso orientamento sessuale, rilevo che ci sia l’opportunità di promuovere una legge che consenta alle relazioni diverse dal matrimonio di acquisire dei diritti giuridicamente tutelati, che non è lesiva della parità dei diritti una diversa situazione giuridica tra coppie con persone dello stesso orientamento sessuale e coppie eterosessuali, con mancata estensione del modello matrimoniale alle coppie omosessuali e, infine (ultimo, ma non ultimo per importanza), che un conto è la disciplina dei rapporti patrimoniali e personali, altro è surrogare il rapporto di filiazione naturale.

Brevemente, davvero in conclusione, voglio rivolgere un invito ai colleghi senatori ad accogliere il mio intervento come un contributo per superare due concezioni, che sono state in un certo qual modo o esplicitate o indirettamente richiamate negli interventi che mi hanno preceduto. Una sorta di conflitto, di diversità di posizione, quello che è stato definito da alcuni il pensiero forte e da altri un pensiero debole. Ma quando si dà luogo a questa sorta di differenziazione tra pensiero forte e pensiero debole non si fa altro che richiamare una terza possibilità che sarebbe quella del superamento: un pensiero ragionante e raziocinante, che richiamandosi appunto a quella laicità e a quell’argomentazione secondo verità, ci darà la possibilità di superare entrambe queste posizioni che annullano, vanificano e cancellano del tutto quel principio di ragionevolezza che, insieme al principio di responsabilità, ci dà la possibilità di motivare in maniera profonda quella che potrebbe essere una legge sicuramente conflittuale e dialetticamente forte, ma che ci potrebbe dare la possibilità di riconoscere dei diritti senza travalicarne e cancellarne altri. (Applausi dai Gruppi Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE e PD).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice De Petris. Ne ha facoltà.

 

DE PETRIS (Misto-SEL). Signora Presidente, la recente presa di posizione del commissario per i diritti umani di Strasburgo ha, a mio avviso, dato un contributo notevole al nostro dibattito, perché ci ha riportato con esattezza alle finalità del disegno di legge Cirinnà attualmente al nostro esame. Quali sono tali finalità? Eliminare le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale delle persone e riconoscere i diritti alle coppie omosessuali, oltre che alle coppie etero.

Vi invito a riflettere su questo passaggio, perché nel dibattito che si è sviluppato in questi giorni, in quest’Aula ma anche al di fuori, si è generata molta confusione. Sono state immesse artatamente in campo argomentazioni che giudico di natura strumentale oppure prettamente etico-valoriale. Invece, la finalità della nostra discussione e del disegno di legge è esattamente quella di eliminare un’ingiustizia e le discriminazioni e introdurre parità di diritti.

Ora, in materia di diritti civili, il punto di riferimento necessario e imprescindibile per noi è la nostra Costituzione, ed è proprio dal dettato costituzionale che deriva con forza l’esigenza di riconoscere e garantire che nuove forme di unione abbiano parità di diritti e non siano oggetto di discriminazioni. Ed è per questo che mentre il legislatore – ricordiamo, infatti, tutto ciò che è avvenuto in questi anni – è stato latitante, e tutti i tentativi fatti di legiferare non hanno avuto esito positivo (vorrei ricordare i Dico, ad esempio) vi è invece stata una forte evoluzione giurisprudenziale che è partita proprio dalle indicazioni, chiare a mio avviso, della Parte prima della nostra Costituzione e dunque saldamente ancorate alla Carta costituzionale. Molti tribunali nazionali ed europei si sono pronunciati dando, di fatto, una legittimazione giuridica a nuovi assetti familiari.

La maggior parte di tale evoluzione giurisprudenziale parte dall’articolo 3 della nostra Costituzione, che molti hanno richiamato ma che io vorrei ricordare perché è forse uno degli articoli più belli della nostra Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali» – sottolineo personali – «e sociali. È compito della Repubblica» – ed è qui l’altra chiave fortissima – «rimuovere gli ostacoli (…), che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, (…)».

È da qui che dovrebbe partire un ragionamento serio di tutti quanti noi per dire con forza che è arrivato il momento che finalmente il legislatore si assuma questo compito. Non lasciamolo fare ai giudici. Ancora un volta, infatti, noi abbiamo fatto in modo che ci fosse una supplenza da parte della evoluzione giurisprudenziale, senza assumerci la responsabilità, intanto, di dare attuazione alle norme proprio a partire dall’articolo 3. È quindi arrivato il momento che il legislatore dia a tutti gli stessi diritti e doveri, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale. Non è più tollerabile perseverare nelle discriminazioni da parte dello Stato e continuare a non riconoscere i diritti delle coppie dello stesso sesso, di quelle etero e dei conviventi.

Anche questo è il presupposto da cui muove la sentenza che ho sentito citare da tutti (poi, certo, ognuno la interpreta come vuole), la n. 138 del 2010 della Corte costituzionale. Moltissimi, anche in quest’Aula, hanno voluto interpretarla come un divieto posto dal giudice costituzionale all’introduzione, nel nostro ordinamento, del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Il mio modesto parere (ma non sono sola in questo e voglio citare qui l’autorevole collega Doris Lo Moro, che questa mattina ha svolto con ancora più argomentazioni questo stesso ragionamento) è che la sentenza non giunga affatto ad affermare l’incompatibilità del matrimonio egalitario con la Carta. A mio avviso, essa dice semplicemente che una siffatta introduzione non può derivare da una interpretazione storica del precetto costituzionale e che sia per l’istituto delle unioni che per quello del matrimonio occorre un intervento del legislatore, indicando certamente l’articolo 2 come presupposto per le persone omosessuali a vivere liberamente una condizione di coppia con i connessi diritti e doveri. Essa dice anche che sarà la stessa Corte a garantire, attraverso il controllo di ragionevolezza, la necessità di un trattamento omogeneo tra coppie omosessuali ed eterosessuali.

Ma la sentenza, che è stata citata anche nell’ultimo intervento dal senatore Romano, magari con finalità diverse, dice anche che la definizione dell’istituto matrimoniale non è cristallizzata e che può, appunto, mutare evidentemente nel tempo. La stessa pronuncia della Cassazione del 2012 va sempre in questa direzione, indicando a chiare lettere la necessità di un tempestivo intervento legislativo in materia.

Sempre ritornando a quella sentenza, è evidente a tutti che in essa non si rinviene nessun ostacolo al riconoscimento del matrimonio egalitario. L’articolo 29 si limita a riconoscere i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, senza indicare quale debba essere a tal fine il genere dei coniugi. Questioni di genere sono affrontate, giustamente, nelle leggi ordinarie che, come tali, sono modificabili liberamente e ampliabili dal legislatore ordinario, senza dover ricorrere a una revisione costituzionale.

Ho messo l’accento sul fatto che dobbiamo assumerci la nostra responsabilità come legislatori. Come dare diritti a chi è discriminato e non ne ha? Ma come, nel dare questi diritti, qualcuno si può sentire in pericolo? Come si può pensare che, nel momento in cui si eliminano discriminazioni e si danno diritti, in base al principio dell’uguaglianza di fronte alla legge contro le discriminazioni, questo possa essere vissuto come un attentato ai diritti degli altri, come un attentato alla famiglia tradizionale? Ma poi su questo concetto tornerò.

Cosa si toglie alle famiglie? In cosa ciò costituisce una limitazione per tutti gli altri? Proprio per il ragionamento che ho fatto, anche sull’articolo 29 e sulla citata sentenza n. 138, abbiamo sempre pensato – e non solo noi, perché oltre ai tantissimi interventi dei senatori di SEL, anche quello della relatrice va in tal senso – che, proprio in virtù del principio di uguaglianza e di parità, la via maestra sarebbe stata quella di riconoscere i diritti ed eliminare le disparità di trattamento, attraverso la strada seguita da altri 14 Paesi europei, cioè attraverso il cosiddetto matrimonio egalitario. Abbiamo presentato emendamenti in tal senso, anche per sottolineare, per render chiaro e smontare alcuni ragionamenti che ho ascoltato in quest’Aula, secondo i quali il testo, soprattutto per quanto riguarda l’articolo 3, tratta di un matrimonio mascherato.

Non è così e lo sappiamo tutti perfettamente. Se siamo onesti intellettualmente sappiamo che non è così, tant’è che c’è stata una discussione, animata da un dibattito molto ampio, chiaro e lungo su se scegliere la strada del matrimonio egalitario o quella dell’istituto delle unioni civili.

Ora siamo arrivati a questo punto, ad un testo frutto di questo dibattito e di mediazioni che esprime una scelta che non è quella del matrimonio egalitario, ma quella dell’istituto delle unioni civili, che è giuridicamente altro dal matrimonio. Tale istituto certamente riconosce diritti, ma sappiamo anche che mantiene in parte una discriminazione nell’accesso all’istituto matrimoniale.

Invito ancora tutti, se finalmente come legislatori ci vogliamo assumere le nostre responsabilità, ad essere onesti intellettualmente: le unioni civili non sono un matrimonio mascherato.

E dico con chiarezza, proprio perché si è deciso attraverso una serie di mediazioni, di percorrere questa strada, che non è possibile accettare di introdurre nel testo ulteriori modifiche peggiorative, che indeboliscano ulteriormente la parte del riconoscimento dei diritti.

Arriviamo poi all’altro elemento che è stato il centro di tutta la nostra discussione, ossia all’articolo 5. Anche in questo caso, cerchiamo dietro le mille polemiche e le travisazioni, di precisare il senso di questa norma. E qui l’aspetto del superamento e dell’eliminazione delle discriminazioni è ancora più forte, perché riguarda bambini e bambine. Fuori da tutte le ipocrisie di questo stiamo parlando: la finalità dell’articolo 5 è esattamente quella di riconoscere diritti e tutele a bambini che spesso già esistono, che vivono una situazione all’interno di famiglie in cui c’è affetto, reciproca collaborazione ed il lavoro faticoso di chi è genitore.

E cosa prevede esattamente questo articolo 5? Prevede la possibilità di estendere anche ai bambini delle coppie omosessuali le norme che dal 1983, con il famoso articolo 44, comma 1, titolo b), esistono per le coppie eterosessuali e che peraltro molti tribunali stanno già applicando a coppie dello stesso sesso. Anche in questo caso, i giudici si stanno sostituendo all’inerzia del legislatore e non sto qui a citare l’elenco di tutti i pronunciamenti in tal senso. (Commenti del senatore Caliendo). Questo avviene perché, quando ci si ripropone il fine della tutela e dell’interesse del minore, principio che come sapete, per fortuna, informa molto spesso i pronunciamenti del tribunale dei minori, si deve guardare alla situazione affettiva ed alla possibilità di proseguire nei loro rapporti. Si tratta quindi di una norma che serve a proteggere giuridicamente i bambini. Biologicamente sono figli di uno solo, ma affettivamente sono legati a tutti e due i membri della coppia. Se dovesse accadere qualcosa al padre o alla madre naturale, debbono avere il diritto di poter continuare a vivere con l’altro; e così anche in caso di separazione. Ma si tratta esclusivamente di questo. Ed è un adozione limitata, un’adozione speciale – ce lo siamo detti 50.000 volte – ben diversa da quella legittimante. Sapete perfettamente che il minore non acquista alcun legame di parentela con i familiari dell’adottante, comprese le questioni della successione ereditaria.

Si è invece creata la discussione sul tema generale dell’adozione, che è un tema molto serio. Noi tutti ci dovremmo impegnare ad affrontare subito, immediatamente, la modifica della legge sull’adozione, perché è un calvario per le coppie, è un percorso ad ostacoli. Ma, anche in questo caso, io non accetto chi ipocritamente dice di rinviare tutto alla rivisitazione della legge sulle adozioni. Penso che sia giusto intervenire su di essa per permettere l’adozione alle coppie omosessuali e ai single, che possono dare affetto, sempre nell’interesse del minore, del bambino. Non sto qui a parlare degli orfanotrofi, ma dico soltanto che questa dovrebbe essere la finalità con cui affrontiamo la questione dell’adozione.

Quindi non parliamo, per quanto riguarda l’articolo 5, di un espediente per dare il via libera alla maternità surrogata, che è e resta vietata. Vedo qui alcuni senatori – c’ero anch’io – che hanno partecipato alla lunghissima discussione sulla legge 40; ricordo benissimo quell’articolo e quel passaggio. Non è un espediente per dare il via libera alla maternità surrogata, che è e resta vietata nella nostra legislazione. Aggiungo anche che non bisogna nascondersi, perché si tratta di una questione molto seria e delicata con risvolti, questi sì, etici molto complessi, che richiama ad un dibattito e a questioni a me molto care, che riguardano il rapporto tra libertà e senso del limite. È un dibattito, che riguarda anche la scienza, che abbiamo svolto molte volte in quest’Aula e che dovremo affrontare nuovamente, magari nell’ambito dell’ormai necessaria revisione della legge n. 40, visto che è stata demolita quasi tutta, per fortuna, dalla Consulta.

L’articolo 5 è così chiaro proprio perché serve ad eliminare una discriminazione e a garantire una parità di trattamento, riconoscendo per legge quello che alcuni tribunali stanno già sancendo. Si tratta però di una discriminazione ancora più odiosa, perché si vorrebbe far pagare ai bambini il modo in cui sono nati: figli della colpa. Per questo è per noi intollerabile l’idea che tale norma possa essere stralciata o che possano essere introdotte modifiche che producano ulteriori discriminazioni, come alcune di cui ho sentito qui parlare. Tra l’altro, le argomentazioni finora addotte contro l’adozione del figlio del propriopartner, ad esempio quella secondo cui i bambini hanno diritto ad avere un padre e una madre, condite ultimamente anche da prese di posizione pseudo-scientifiche (senza peraltro il supporto di veri studi), sono, a mio avviso, frutto di pregiudizi. Ci dobbiamo parlare fuori da ogni ipocrisia: ho visto cartelli, anche al Family Day, che ripetevano appunto questi concetti e che parlavano di un attentato messo in atto dal disegno di legge contro la famiglia tradizionale e del relativo pericolo per i bambini. Ora, io penso francamente che il primo diritto dei figli e dei bambini sia quello di essere amati, curati, rispettati, protetti, sostenuti nel cammino della vita. Di questo ci dobbiamo occupare e preoccupare, come legislatori e come istituzioni, in un mondo in cui l’infanzia è oggetto troppo spesso di violenza, di maltrattamenti, di abusi sia fisici che psicologici. Parlavo dei pregiudizi che sottendono a questa affermazione. Si tratta certamente di pregiudizi verso l’omosessualità, ma ce n’è un altro ancora più profondo, che tende a ridurre la maternità e la paternità alla biologia e al sangue, come se il legame genetico si traducesse automaticamente nella capacità di essere genitori. Non basta mettere al mondo un figlio per diventare automaticamente bravi genitori, ed è lo stesso pregiudizio sociale che ha fatto sì che la strada dell’adozione fosse così impervia. Per questo, torno a ribadire, bisogna intervenire.

Tra l’altro la modifica della legge sull’adozione sarebbe il vero strumento, nei fatti e non a parole e a chiacchiere, per disincentivare il ricorso alla maternità surrogata o all’accanimento terapeutico, costituito delle volte dalla fecondazione assistita. Ci dobbiamo dire le cose per come sono. Quindi è questo il ragionamento che vorrei fare a chi continua a brandire quest’idea della famiglia tradizionale messa in pericolo dal riconoscimento dei sentimenti, degli affetti delle unioni civili, sacralizzata con furore ideologico, in un mondo in cui si assiste ad un’evoluzione della famiglia, in cui tante solitudini spesso hanno bisogno di reciproca assistenza. E questa famiglia tradizionale veniva brandita nei giorni in cui ci arrivavano le notizie dei fatti di Pozzuoli, dell’uomo che dava fuoco alla propria moglie incinta, e di Catania (anche lì una strage). Come si fa a non comprendere che l’unica vera discriminante oggi è tra famiglie in cui c’è amore, rispetto, reciproca assistenza, e quelle in cui invece si esercita violenza e sopraffazione? Di questo ci dovremmo occupare e preoccupare, e non di dare pagelle e di costruire modelli artificiosi.

Per questo oggi abbiamo la possibilità finalmente, dopo tanti anni, di sanare un’ingiustizia, riconoscere un minimo di diritti, eliminare le discriminazioni, aumentare il grado di tutela. Sono norme di civiltà che uno Stato democratico non può più non riconoscere senza alcuna discriminazione, soprattutto verso i minori.

Nessuno può dubitare – sto parlando proprio io – del fatto che siamo fieri oppositori del Governo Renzi: lo abbiamo dimostrato in tutti questi anni. Ma noi su questo tema non abbiamo fatto alcun calcolo politico e nessun tatticismo, perché, per quanto ci riguarda, sul tema dei diritti non si possono fare calcoli o giochetti politici. (Applausi dal Gruppo Misto-SEL e del senatore Castaldi). E invito tutti ad essere coerenti perché stiamo parlando finalmente di dare diritti a chi non ne ha. (Applausi dai Gruppi Misto-SEL e PD e dei senatori Castaldi e Mussini. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Sacconi. Ne ha facoltà.

 

SACCONI (AP (NCD-UDC)). Signora Presidente, onorevoli colleghe e colleghe, più volte, in modo particolare nel corso di questi giorni, il Presidente del Consiglio è parso invocare una legge, una legge qualsiasi, una legge purché sia, in materia di regolazione dei diritti delle convivenze omosessuali. Eppure di fronte a noi sono possibili due scelte diametralmente opposte. Da un lato, la via che dovrebbe realizzarsi attraverso la ricerca di un comune denominatore, per la quale il ritorno in Commissione appare il modo più idoneo, con la conseguenza di un ulteriore contributo alla coesione nazionale e, con essa, a un clima di assorbimento di residui comportamenti omofobi che nella nostra società purtroppo ancora sussistono. Quindi ricerca paziente del comune denominatore, ascolto reciproco, possibilità di individuarlo, perché è sufficiente considerare i disegni di legge presentati dai diversi Gruppi e, tra di essi, i due presentati dal Gruppo del Nuovo Centrodestra, oggi Area Popolare.

Dall’altro lato, invece, c’è l’altra strada, l’altra via possibile, quella della massima lacerazione della Nazione. In un tempo purtroppo già segnato da molti fattori disgreganti una lacerazione profonda – vi tornerò in conclusione – andrebbe a intaccare la stessa Costituzione materiale sulla base della quale è stata poi redatta la Costituzione formale. Mi riferisco alla massima lacerazione di una Nazione che si è espressa attraverso mobilitazioni straordinarie, senza precedenti soprattutto per le loro caratteristiche di manifestazioni a costo zero, con moltitudini di partecipanti a proprie spese, a differenza di usuali manifestazioni organizzate da forze politiche o sindacali per le quali (comprensibilmente) sono stati messi in campo aiuti affinché i più potessero confluire nel luogo indicato. Lacerazione di una Nazione la quale si esprime attraverso il parere univoco dei sondaggi, che, qualunque sia la fonte, ci parlano di una società aperta ai diritti delle convivenze omosessuali, ma altrettanto in larghissima maggioranza chiusa ad omologare l’istituto del matrimonio e a riconoscere l’adozione, la genitorialità, omosessuale.

Vi è, dunque, coesione nazionale da un lato e lacerazione dall’altro, pertanto ritengo che il Presidente del Consiglio non possa essere indifferente a che si produca l’uno o l’altro esito e, mentre stiamo parlando, entrambi questi esiti sono possibili.

La scelta vede, quindi, da un lato un corpo di norme che diano certezza ai diritti degli stabili conviventi, come sono stati definiti dalla sentenza della Consulta del 2010 e ovviamente tra tali diritti non abbiamo mai compreso quello alla genitorialità. Chi parla (ma credo ciascuno di noi) può umanamente comprendere il desidero di genitorialità di una coppia omosessuale ed io per primo – ripeto – lo comprendo, ma non tutti i desideri si fanno diritti: i desideri sono infiniti, i diritti sono finiti, soprattutto quando, rispetto a un desiderio quale quello di una coppia omosessuale di esercitare la funzione della genitorialità, prevale inesorabimente il diritto di un minore di poter crescere in quella complementarietà genitoriale che è ritenuta necessaria per uno sviluppo equilibrato della persona dalla grandissima maggioranza della pedagogia.

La scelta, quindi, è tra questa possibile codifica di diritti di conviventi stabili e una legislazione che si inserisca in quella rivoluzione antropologica che si è manifestata nella dimensione occidentale (non globale, nella sola dimensione occidentale) e che ripropone quella ricerca dell’uomo nuovo che abbiamo già conosciuto con i grandi e tristi fenomeni politici del Novecento. L’uomo nuovo nasce, o meglio viene prodotto, separatamente, indipendentemente, dall’amore, da una relazione affettiva naturale tra un uomo e una donna; l’uomo nuovo può non nascere in modo banale sulla base di una pillola assunta da una minorenne nel bagno di casa; l’uomo nuovo dovrebbe essere educato fin dalla più tenera età all’indifferenza di genere; l’uomo nuovo può crescere in una famiglia omogenitoriale non beneficiando dei due diversi modelli genitoriali, come sino ad ora è accaduto; l’uomo nuovo stabilisce relazioni affettive labili, che si definiscono e si sciolgono agevolmente; l’uomo nuovo dovrebbe chiedere di essere assistito nel momento in cui dichiara di aspirare al suicidio.

Questo uomo nuovo, in tutte le sue espressioni, è l’evidente parto di un movimento elitario, non sostenuto, come i grandi movimenti del Novecento, da larghi consensi popolari, almeno nella prima parte della loro storia. Viviamo un tempo nel quale le reti elitarie, grazie anche alla rivoluzione tecnologica che è in corso, hanno la pretesa di imporsi sui popoli e, in alcune circostanze, riescono anche nel loro intento.

Queste preoccupazioni – diceva questa mattina il collega D’Ascola – le ha espresse quello che ai miei tempi sarebbe stato chiamato un intellettuale organico della sinistra italiana, come il filosofo Giuseppe Vacca, che d’altronde, insieme al collega Tronti e a Pietro Barcellona, ebbe a firmare un manifesto proprio a difesa dall’antropologia naturale. In quanto non credenti, sottoscrissero un manifesto dedicato alla difesa dell’antropologia naturale ed egli, anche nei giorni scorsi, si è preoccupato di sottolineare il confine tra il naturale e l’artificiale e i pericoli derivanti dalla contaminazione tra la dimensione naturale e quella artificiale.

Quindi, come non considerare queste preoccupazioni? Come non considerare la conseguenza che la rivoluzione antropologica avrebbe sulla nostra coesione nazionale?

Le scelte tra le due vie si realizzeranno nell’esame parlamentare nei primi tre articoli: articolo 1, articolo 2 e articolo 3; onestamente ciò che verrà dopo avrà poca importanza, soprattutto se le scelte compiute nei primi tre articoli dovessero essere nel segno della conferma del disegno di legge che è posto a base del nostro esame parlamentare.

Noi, dal canto nostro, riproporremo una regolazione dei diritti di tutti i conviventi – omosessuali ed eterosessuali – contrapposta alla promozione volontaristica da parte di persone dello stesso sesso di un istituto pubblicisticamente rilevante e, già per questo, prossimo all’istituto matrimoniale.

 

Presidenza del vice presidente GASPARRI (ore 19,47)

 

(Segue SACCONI). Preoccupazione questa che nei giorni scorsi hanno espresso i cattolici impegnati nel Partito Democratico (definizione, quella di cattolico impegnato in politica, che non mi appartiene perché, al di là del mio personale rapporto con la fede, ho un approccio laico alla funzione pubblica). La preoccupazione che questi colleghi hanno espresso a proposito del capo II di questo disegno di legge onestamente mi convince relativamente; ma mi ha colpito l’argomentazione utilizzata. I colleghi che si preoccupano che la regolazione delle convivenze eterosessuali, al capo II, sia così prossima all’istituto matrimoniale hanno chiesto che, lì dove si parla di convivenze, si parli di conviventi, di diritti delle persone e non di diritti della coppia. Mi pare strano che non si preoccupino a proposito del capo I, lì dove si disciplinano i rapporti tra persone dello stesso sesso, e accettino, invece, addirittura un istituto pubblicisticamente rilevante.

Pertanto, la scelta che si compie all’articolo 1 è tra diritti dei conviventi o, invece, istituzione di una unione pubblicisticamente rilevante, che si determina per volontà di due attori, con un rito che ricorda quello del matrimonio, a partire dalla presenza dei testimoni, con l’assunzione di un cognome comune, con un obbligo di fedeltà (che invero non è più considerato nella famiglia naturale), con un comune indirizzo familiare, con una quota di legittima (propria, cioè, degli eredi legittimari) e, addirittura, qualora non bastasse, con una clausola generale di equivalenza tra coniugi e parti dell’unione in ogni fonte del diritto, con la sola esclusione del titolo II della legge n. 184 del 1983, cioè con la sola esclusione delle adozioni nazionali, non di quelle internazionali, e dei casi speciali di adozione previsti dalla citata legge del 1983.

Ebbene, in questi primi tre articoli, quindi, il disegno di legge che è alla base del nostro lavoro disegna dei simil-matrimoni, con la conseguenza inesorabile, in ogni Corte nazionale o europea, di una ragionevolmente probabile estensione di tutto ciò che è attribuito al matrimonio, a partire dalle adozioni in generale, quindi non solo l’adozione del figlio biologico del convivente, ma tutte le adozioni.

L’articolo 3 in modo particolare, come abbiamo ricordato prima, risolve già l’adozione del cosiddetto figliastro, del figlio biologico del convivente (stepchild adoption, come si è voluto dire) perché il mancato riferimento al III e al IV titolo della legge n. 184 determinerebbe implicitamente l’applicazione anche a questa fattispecie di quella clausola di equivalenza di cui prima dicevo. Quindi, tutto si gioca nei primi tre articoli.

È inutile discutere dell’articolo 5; è inutile concentrare sull’articolo 5 l’attenzione, come si è erroneamente fatto. Dovremo valutare come questa Assemblea deciderà in merito agli articoli 1, 2 e 3 perché dalle scelte qui compiute si dipanerà quel filo rosso – di cui parlava ancora questa mattina molto opportunamente il collega D’Ascola – che conduce alle adozioni e all’utero in affitto. A proposito dell’utero in affitto, vedo che abbiamo fatto scuola.

Nei primi giorni fummo in pochi, molto pochi a parlarne. Per il lungo tempo di gestazione di questo provvedimento siamo stati in pochi a parlarne. Oggi anche il Presidente del Consiglio si preoccupa della pratica dell’utero in affitto, e la stigmatizza con decisione: benvenuti ai molti che oggi riconoscono la pratica perversa dell’utero in affitto per coppie omosessuali o eterosessuali – senza distinzione, ovviamente – ma la scelta del reato universale è possibile, care colleghe e cari colleghi. Quindi, tutti coloro che in questo momento si preoccupano legittimamente di questa pratica e vogliono creare deterrenze a che essa ulteriormente si diffonda, almeno nel nostro Paese, da parte di persone che agevolmente oggi la praticano altrove e poi trovano facilmente la possibilità di dare anche una regolazione formale a questo rapporto «genitoriale», possono convergere sull’emendamento a prima firma del collega D’Ascola, in cui è contenuta l’indicazione di un reato universale. È il caso ad esempio del turismo sessuale, cioè di un reato che il nostro ordinamento dovrebbe perseguire ovunque esso sia stato realizzato, anche se in Paesi che lo considerano lecito. Questa scelta è a portata di mano. È l’unica che ancora ci rimarrebbe dopo l’articolo 3, ove i primi articoli, come ho detto, fossero approvati nei termini ben noti.

Concludo con una considerazione sul tema che ho posto sin dall’inizio: quello della lacerazione della Nazione.

Questo provvedimento non fa parte del programma di Governo e questo Governo è nato dall’incontro anomalo tra forze politiche molto diverse. Potremo dire che è nato dall’incontro tra guelfi e ghibellini, data una prevalente cifra ghibellina nel Partito Democratico e una prevalente cifra guelfa nell’area politica cui appartengo e, fortunatamente, più in generale nel centrodestra, come constato ora alla luce delle posizioni che più recentemente ha ritenuto di assumere in materia. Quindi, era evidente l’assenza di un comune impegno a questo proposito, anche se una coalizione anomala avrebbe implicato la ricerca di quel comune denominatore che ho più volte invocato. Si produrranno effetti sulla coesione di Governo? Non so se, ma soprattutto non so quando o come. Credo che ci sarà inesorabilmente una lacerazione della Nazione. Preferisco chiamare così la società italiana perché la Nazione si è formata prima dello Stato unitario. La Nazione si è forgiata su principi lungamente condivisi. È evidente che una lacerazione siffatta non potrebbe che riverberarsi anche nella dimensione istituzionale. Non so quando; non so come, ma è inesorabile la ripercussione sul Palazzo. È inevitabile che, ad un certo punto, tanta disgregazione nella società si riverberi nella dimensione politica e istituzionale.

Mi chiedo anche qual potrà essere il riverbero sullo stesso referendum dedicato alla riforma costituzionale. Nel momento in cui saremo chiamati infatti ad apprezzare o meno una riforma della Costituzione formale, ferma restando la prima parte dedicata ai principi generali, assisteremo ad una lacerazione della Costituzione materiale e ad un atto manifestamente contrario alla Costituzione formale che abbiamo, cioè ad un atto incostituzionale per l’evidente violazione, se non altro, dell’articolo 29, ma anche di quelli successivi a questo connessi. Che ne sarà di quel referendum? Nella manifestazione di piazza dei giorni scorsi, partecipata da un grande popolo – che credo in misura non contenuta abbia votato per il primo partito italiano, il PD – c’era un manifesto che diceva al Presidente del Consiglio: se non ci ascolti, ce ne ricorderemo. (Commenti della senatrice Cardinali). Si può ridere di quella moltitudine di persone. Non è una mia minaccia, perché di sicuro non ho mai votato per il Partito Democratico né per il Partito Comunista prima, ma è la minaccia di elettori dello stesso Partito Democratico che leggono nell’eventuale approvazione del testo posto a base dei nostri lavori quella lacerazione della nostra società sulla quale ho così voluto insistere con sincera preoccupazione. (Applausi dal Gruppo AP (NCD-UDC e del senatore Caliendo. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Airola. Ne ha facoltà.

 

AIROLA (M5S). Signor Presidente, colleghi, siamo qua oggi a combattere una battaglia di civiltà che dura da troppo tempo e che ha una portata ben più ampia di quella che potete immaginare. Il fatto che siamo ancora qua a parlare di temi risolvibili venti anni fa non è casuale. Non è casuale che non ci sia stato nessun dibattito adeguato; non è casuale che siano caduti dei Governi su questi diritti. Il fatto più vergognoso è che non ci sia stato un confronto civile in uno spazio laico neutro quale un moderno Paese democratico avrebbe dovuto garantire sia nelle istituzioni, ma anche nella TV. Per l’ennesima volta sono state raccontate delle gravissime bugie agli italiani.

Cominciamo dal fatto che i diritti di cui stiamo parlando – e lo sapete bene, colleghi – sono quelli sanciti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione: ossia, siamo uguali davanti alla legge e con pari dignità sociale, senza distinzioni di sesso, razza, religione, lingua, opinione politica e di condizioni personali e sociali. Il sesso viene per primo e c’è una ragione ben specifica. Tutto ciò che si doveva dire in quest’Aula doveva partire proprio dai principi di uguaglianza e pari dignità sociale, e invece no: si è andati esattamente in senso opposto, costruendo una cittadinanza di serie B, perché gli omosessuali non possono sposarsi, non possono essere troppo congiunti, ma neanche troppo disgiunti. Si può esistere, ma solo in uno spazio legislativo ridotto e ipocrita, uno spazio in cui si è costretti a riconoscere gli stessi diritti, ma a chiamarli con un nome diverso.

Va bene, però, se adesso non si può fare altro per riconoscere l’esistenza degli omosessuali e dei transessuali, in un Paese come l’Italia, il nostro Paese, nelle cui leggi non compaiono neanche le definizioni di orientamento sessuale e identità di genere – pensate un po’ – un Paese che è ultimo tra gli ultimi, senza una legislazione in merito e sanzionato dalla Corte europea dei diritti umani, come abbiamo già detto. Se è per ottenere almeno questo, va bene: possiamo anche accettare l’umiliazione di definirla una «formazione sociale specifica», tanto per chiamare in modo diverso le stesse cose che affrontano due persone che vivono una vita quotidiana identica a quella di tutte le altre famiglie, tra mutuo, lavoro, figli, scuola e spesa. (Applausi dal Gruppo M5S e delle senatrici Cirinnà e Simeoni). Una vita identica e problemi identici, per cittadini uguali davanti alla legge, ma senza gli stessi diritti. Magari potete scrivere una Costituzione a parte per loro, con diritti più contenuti, striminziti, calati dall’alto.

Anche questo, però, non basta: chi si oppone non è mai contento e anzi arriva a dire che boccia in toto questo provvedimento. Insomma, è così che siamo sprofondati in questa notte della ragione, senza possibilità di dibattere e discutere, e abbiamo sentito ogni sorta di bestialità.

Voi dell’NCD e di Forza Italia, voi detrattori dei diritti – parlo anche dei cattodem – non è vero che non avete avuto occasione di parlare: siete stati per settantatre sedute in Commissione ad argomentare (Applausi dal Gruppo M5S e delle senatrici Cirinnà, Mussini e Simeoni), delirando, che chi si unisce «deve avere i genitori», oppure «deve presentarsi munito di patente», o ancora che l’unione è preclusa «in presenza di figli». Siete voi che avete preso in giro tutti e avete buttato all’aria il dibattito. Avete dispiegato un armamentario di argomentazioni farlocche, di penose paccottiglie concettuali, fino all’ingiuria, dalle citazioni sui regolamenti per cani, all’obbligo di controllare che fosse consumata l’unione tra gay – ci andava Giovanardi, in persona – fino a sostenere che i transessuali avrebbero cambiato sesso tutti i week-end. No, non lo cambiano come voi cambiate le poltrone: è una roba seria quella. (Applausi dal Gruppo M5S e della senatrice Simeoni).

La mistificata stepchild adoption, una norma tecnica, che tra l’altro ci chiedono 600 tra giudici, giuristi e avvocati, per tutelare i minori già presenti nella coppia, viene trasformata in un Armageddon della specie umana. Invece di sentire il parere di esperti, come il giudice Melita Cavallo, ora in pensione, che per prima se ne è occupata, e ha difeso l’infanzia violata e abusata nei tribunali di Milano, Napoli e Roma o di altri esperti accreditati, ci siamo sorbiti ore di pollaio televisivo, affidato a ciarlatani d’ogni sorta. (Applausi dal Gruppo M5S e delle senatrici Simeoni e De Petris).

Sono i giudici a decidere nell’interesse del minore, che viene prima di chiunque altro. Lo dovete dire chiaramente ai cittadini: sono i giudici e i tribunali a decidere, nell’interesse supremo e unico del minore e nessun altro. Soffrite forse entrambe le parole: «giudici» e «omosessuali»? (Applausi della senatrice Bottici). Lo sappiamo! O preferite non tutelare un bambino, prenderlo per mano, dirgli «Guarda, quelli non sono veramente il tuo papà e la tua mamma» e portarlo in un istituto o in una casa famiglia e, se gli va veramente male, finisce al Forteto. (Applausi dal Gruppo M5S). Come potete fare questo a dei bambini che già esistono, che hanno diritto di essere tutelati oggi, adesso, e a cui non possiamo voltare le spalle?

Al contrario, i cittadini hanno subito una disinformazione massiccia. A chi dovete credere, cittadini italiani? Mi rivolgo direttamente a voi. A chi ha votato la legge Fornero o il jobs act? Provate a chiedere un mutuo in banca col jobs act. A chi congela e taglia le pensioni? A chi privatizza sanità e scuole? Oppure a chi di famiglie se ne occupa con competenza, all’appello di giuristi del calibro di Zagrebelsky o di Livio Pepino?

Il senatore Sacconi, che tiene ferma la legge del reddito di cittadinanza nella Commissione che presiede, paladino della famiglia, avrà veramente a cuore la famiglia? Lo sa che 9 milioni di cittadini ne avrebbero giovato? Come dire 3 milioni di famiglie in gravi difficoltà col reddito sarebbero risorte? Lo sapeva? (Applausi dal Gruppo M5S e della senatrice De Petris).

Chi qui dentro ha fatto parte di Governi che hanno tagliato, dal 2008 ad oggi, il 60 per cento delle risorse per il sociale avrà a cuore la famiglia? Dobbiamo credere a chi difende la famiglia ma ci ha consegnato un Paese con 20 milioni di persone a rischio povertà, una disoccupazione giovanile di oltre il 40 per cento e un Sud Italia dove lavora una donna su cinque? (Applausi dal Gruppo M5S).

Dobbiamo credere a partiti indagati per lo sfruttamento dei migranti, degli ultimi, dei più poveri? Fare soldi con esseri umani, arricchendo le Coop dei cattolici di CL o di Legacoop e sfruttando lavoratori a 2,50 euro l’ora? Bel rispetto della famiglia! (Applausi dal Gruppo M5S).

Dobbiamo credere a chi, in NCD, ha scritto norme per diffondere le macchinette del gioco d’azzardo, e l’avete fatto anche Sottosegretario? Diaboliche distruttrici di famiglie.

Abbiamo in quest’Aula senatori con tre famiglie “naturali” – pensate: tre – che legiferano per proibire a qualcuno di averne una.

Lasciate che parli per milioni di italiani che ora ci guardano: tutto ciò è disgustoso. Ma il peggio deve ancora arrivare. Ho detto che la questione aveva una portata più ampia ed è così. Mi sono domandato: perché tanta ostinata caparbietà a negare questi diritti a dei cittadini come gli altri? Perché tanta disumana malvagità? Non ve la siete fatta anche voi questa domanda? Per me resta la domanda!

La risposta l’hanno già data in molti: sociologi, studiosi, filosofi, storici, giuristi, tutte persone che non abbiamo visto nei dibattiti nazionali e in TV, occupati ventiquattro ore al giorno dai Gasparri – scusi, Presidente – e dagli Adinolfi di turno.

La risposta – dicevo – è ferocemente banale: accogliere una trasformazione dei modelli di genere e famiglia o meglio riconoscere i cambiamenti già in atto nel Paese intacca i rapporti di potere tra uomini e donne. (Applausi dal Gruppo M5S e delle senatrici Mussini e Simeoni). E questo è il punto centrale.

Per dirla più semplicemente: riconoscere gli omosessuali e i transessuali significa mettere in crisi il modello non di famiglia, ma di superiorità dell’uomo sulla donna; mettere in crisi il maschilismo imperante che ancora appesta profondamente la nostra società, dove «un uomo può essere tutto ciò che vuole e una donna solo ciò che gli uomini hanno deciso per lei». (Applausi dal Gruppo M5S e delle senatrici Cirinnà, Mussini e Simeoni).

Manca il Ministero delle pari opportunità, sarà un caso? Non lo so: ditemelo voi. L’UNAR non esiste più. Non esiste una politica antidiscriminatoria nazionale. Le poche iniziative che sono state attuate sono state abbandonate, insabbiate.

Tanti di quelli che qui fanno i moralisti hanno votato che una minorenne fosse la nipote di Mubarak – ricordiamocelo – per scagionare il loro Presidente (Applausi dal Gruppo M5S e della senatrice Simeoni), coinvolto in cene e festini con tanto di baci saffici, che non disturbavano, e questo a voi va bene perché forse, a proposito di “naturalità”, rispetta il modello naturale del branco: il maschio alfa si accoppia e gli altri stanno a guardare.

Come può farci la morale un “pio” Lorenzo Cesa dell’UDC, che minaccia di lasciare il Governo se passano le unioni, in strenua difesa della famiglia quando, per difendere il collega di partito e deputato Cosimo Mele, beccato con cocaina e due prostitute (di cui una lasciata in overdose), lo giustificava balbettando che la vita del parlamentare è dura se fatta seriamente, ricca di impegni fuori casa, con tanti giorni da solo a Roma (due o tre), e quindi che c’è di male? Qualche vizietto, ma solo per la casta. Per i cittadini, invece, il tetro ammonimento di Gandolfini «Il sesso non è un piacere». (Applausi dal Gruppo M5S e delle senatrici De Petris, Mussini e Simeoni).

I governanti godono già di diritti estesi persino alla convivente more uxorio – noi godiamo già di questo diritto – gli stessi diritti che si intende negare ai governati, ai nostri cittadini. Qui ce li abbiamo già! E persino per i partner omosessuali, potenza della casta! Ma con che faccia adesso, cari colleghi, venite qua a dirci cosa è giusto e cosa non lo è? E perché ciò che è giusto per i parlamentari, non lo sarebbe per i cittadini? Questa è una domanda basilare, a cui non so se risponderete.

Siamo al 69° posto su 142 Paesi indagati per parità di genere. Siamo un Paese che discrimina ancora moltissimo le donne, in famiglia, sul lavoro, nella vita di tutti i giorni e cosa fa Adinolfi, che avete eletto vostro portavoce? Va in giro in TV a dire che la moglie deve essere sottomessa al marito. Ma, insomma, si può accettare oggi una affermazione del genere?

Come possono questi stessi politici, dopo dette affermazioni, sembrare credibili quando poi ci vengono a parlare di “invasioni di uteri in affitto”. Non avete mai fatto nessuna protesta per il 90 per cento delle coppie eterosessuali che vanno a comprarseli in Russia. Nessuno ha mai detto una parola in quest’Aula. Non vi siete mai indignati. (Applausi dal Gruppo M5S e delle senatrici Mussini e Simeoni).

Vi indignate non perché esistono degli schiavi, ma perché gli schiavi si vendono i figli. È questo il problema. E, se se li compra una famiglia “naturale”, va pure bene.

Le relazioni omosessuali esistono da quando esiste il mondo, ma non così le idee di pari diritti, doveri, opportunità, cittadinanza e regolamentazione sociale e giuridica.

E noi a che punto siamo? La questione della parità scuote i fondamenti di una società laica, democratica e libera. Per condurre un’esistenza degna, la condizione minima è disporre di libertà di scelta. Con questa legge noi stiamo decidendo quale Paese stiamo contribuendo a costruire, quale democrazia e quale libertà vogliamo. La legge deve riflettere i valori di alcuni, o garantire, nel rispetto reciproco, la pluralità dei valori di tutti?

Ho lottato con tutto me stesso, forte dei diritti della nostra Carta costituzionale, forte del sostegno dei cittadini e degli attivisti che ringrazio. E ho lottato sia per chi è discriminato sia per chi non lo è (Applausi dal Gruppo M5S e delle senatrici Mussini e Simeoni), perché credo ancora che l’Italia davanti a questa prova possa dimostrare di essere un Paese democratico, forse o tutti gli Italiani saranno uguali e liberi oppure non lo sarà nessuno, né oggi né mai. (Applausi dal Gruppo M5S e dei senatori De Petris, Lo Giudice, Mussini e Simeoni. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Caliendo. Ne ha facoltà.

 

CALIENDO (FI-PdL XVII). Signor Presidente, signor Sottosegretario, onorevoli colleghi, ancorché io abbia sentito in questo dibattito varie affermazioni non corrispondenti ai principi del nostro Stato democratico, farò uno sforzo per tentare di riportare a raziocinio la discussione, con l’inguaribile ottimismo che mi contraddistingue, e nella speranza di creare parità di trattamento nel nostro Paese, per realizzare unioni civili che garantiscano uguali diritti. Ma non intendo le unioni civili del testo Cirinnà, che crea discriminazioni e porta a una non tutela degli stessi omosessuali, perché li ghettizza e ne fa una specie di circolo chiuso, mentre gli stessi diritti non sono riconosciuti a coppie di fatto eterosessuali.

Vorrei ricordare, signor Sottosegretario, che ho combattuto accanto ad alcuni esponenti della sinistra la battaglia per il divorzio e ho operato in questi anni per l’affermazione dei principi di effettività del diritto, rimuovendo quelle condizioni di fatto che, a volte, non garantiscono il diritto.

Bisogna però partire da dati di fatto. Io stimo molto la senatrice De Petris, che ha però fatto un’affermazione che è contraddetta non da me, ma dalla Corte costituzionale. Il Senato della Repubblica, quando fa una legge, non è un giudice, senatrice De Petris. Il giudice può solo avanzare una diversa interpretazione, perché è giudice delle leggi. Mi rivolgo al ministro Orlando, che saluto, per ribadire che qualsiasi giudice può avanzare una diversa interpretazione e rivolgersi alla Corte costituzionale per averne una interpretazione corretta, mentre il Parlamento è vincolato dalla Costituzione e dalla interpretazione data dalla Corte costituzionale. Può solo modificare la Costituzione, ma, nel fare le leggi, è tenuto ad osservare la Costituzione.

Pertanto, emendamenti come quelli richiamati dalla senatrice De Petris, ex articolo 3, sul matrimonio egalitario sono inammissibili. Quanto dice la senatrice De Petris è vero, e la Corte costituzionale lo ha detto a chiare lettere: i concetti di matrimonio e di famiglia sono mutevoli e hanno anche necessità di tener conto dei mutamenti della società. Ma, dopo aver ricostruito il quadro, la Corte costituzionale dice che in esso, proprio con riferimento all’articolo 3, la censurata normativa del codice civile, che contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, non può considerarsi costituzionalmente illegittima, sia perché trova fondamento nell’articolo 29 della Costituzione, sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, non potendo le unioni omosessuali essere ritenute omogenee al matrimonio.

La Corte, però, non l’ha detto nel 2010 obiter dictum, ma l’ha ripetuto nel 2014 e con maggiore forza, quando si è trovata a valutare la posizione di un coniuge che aveva mutato sesso ed entrambi i coniugi non volevano il cosiddetto divorzio imposto o necessitato. La Corte ha detto allora che non era possibile seguire la tesi dei due coniugi, perché si veniva a proporre un divorzio non automatico ma a domanda, e ciò equivarrebbe a rendere possibile il perdurare del vincolo matrimoniale tra soggetti del medesimo sesso, in contrasto con l’articolo 29 della Costituzione.

Di fronte a questa situazione, signor Ministro, proprio per quell’ottimismo cui ho fatto riferimento, ho ancora fiducia che lei faccia capire al Presidente del Consiglio che è necessario un approfondimento della questione.

Noi del Gruppo Forza Italia non siamo contro le unioni civili, siamo favorevolissimi. Ma riteniamo si debba costruire una legge come ha detto la Corte costituzionale: diritti diversi, in qualche caso gli stessi del coniuge, ma diritti e doveri diversi, che però non possono valere solo per gli omosessuali, perché qui c’è la discriminazione. Devono valere per forza per etero e omosessuali.

Lei che è sempre stato legato ai princìpi di libertà della nostra Costituzione non può ignorare un principio fondamentale che è caratteristico della Costituzione: la libertà di non sposarsi. E se c’è la libertà di non sposarsi – mi dispiace per tutte voi della sinistra, a cominciare da Ersilia Salvato che, trovandoci insieme in viaggio in treno, nel 1986 mi illustrò il primo documento che propose poi in Parlamento per le coppie di fatto – normare le coppie di fatto significa garantire agli etero e agli omosessuali gli stessi diritti, perché una cosa è il matrimonio e un’altra cosa sono i diritti di chi vive una condizione di coppia.

E su questo punto cosa è avvenuto? In Commissione abbiamo discusso con un muro di gomma. Sono stati formulati vari testi fino all’ultimo, che non abbiamo discusso. Ma abbiamo parlato solo noi dell’opposizione, che volevamo affermare gli stessi diritti, con alcune condizioni, per gli etero e gli omosessuali. Vada a leggerli, signor Ministro, e vedrà che sono corretti, dal punto di vista costituzionale, e garantiscono l’effettività.

Si è voluta scegliere una posizione che privilegia, sì e no, 35.000 persone (a volere esagerare, ho moltiplicato per cinque) rispetto a 2.442.000 cittadini italiani che vivono in coppie di fatto e, di questi, 1.142.000 sono cittadini che non hanno mai contratto, nella loro vita, un matrimonio, e quindi, non provengono da un divorzio. Ebbene, rispetto a questa situazione, mi volete dire per quale motivo – laddove si introduca la possibilità di accesso alla pensione di reversibilità – dopo trent’anni di vita in comune una famiglia di eterosessuali non sposati, con figli, dovrà essere trattata diversamente dagli omosessuali? Vogliamo affermare dei diritti o vogliamo creare una discriminazione?

Vede, signor Ministro, la mia speranza è che possa ancora subentrare la logica di vedere quali sono le norme. Io non ragiono né da cattolico, né da laico; ho sentito gente che diceva di essere cattolico o di essere laico. Io ho fatto per quarant’anni il magistrato e non penso di interpretare le norme in base al mio credo, altrimenti avrei perso il lume della ragione. Io non devo creare discriminazioni in base al sesso. Lei si trova di fronte a cittadini che, per la legge e per la Costituzione, non possono sposarsi e ad altri cittadini che, per principio di libertà, decidono di non sposarsi. Un qualsiasi testo o manuale di diritto costituzionale le direbbe che entrambe le posizioni, quella delle persone che non possono e quella di coloro che non vogliono sposarsi, entrano a far parte delle formazioni sociali. Ricorderanno tutti che in Commissione ho proposto io il richiamo specifico alle formazioni sociali. Anche Moro, nell’Assemblea costituente, diceva che la famiglia non è solo quella che deriva dal matrimonio, perché ci sono anche le formazioni basate sull’affetto comune. E lei vuole che io faccia distinzioni tra l’amore eterosessuale e l’amore omosessuale? Non faccio queste distinzioni, perché per me l’amore è unico e si distingue, a seconda delle sue forme, in amore filiale, amore paterno, amore dell’amante, amore della moglie. Non si può dire, però, che si tratta di amori diversi che hanno necessità di una disciplina diversa.

Potrei anche non parlare delle adozioni. Forse la sensibilità che abbiamo sempre avuto, in questi quarant’anni, la presidente Finocchiaro e io nei confronti dei minori mi porterebbe a ripetere quella che ella ha detto prima sulla possibilità di riconoscere l’adozione di un bambino nato grazie all’utero in affitto. Noi andiamo a favorire lo sfruttamento del corpo della donna dietro compenso e, dietro compenso, consentiremo che venga preso il frutto, il prodotto di quello sfruttamento e allontanato dalla madre o dal padre. Si tratta, come il sottosegretario Migliore sa meglio di me, di quello che avveniva nel Sud, e cioè l’acquisto del bambino nel corpo della madre. E quando i giudici arrivavano, con ritardo, a scoprire qual era stata l’origine di quel bambino, si aveva l’alterazione di stato, il processo e solo dopo la dichiarazione di stato di adottabilità. E questo, come lei sa meglio di me, signor Ministro, sta avvenendo negli ultimi giorni con la questione relativa alle madri surrogate in Ucraina o nei Paesi dell’Est, dove si spende poco. Ormai con 5.000 euro si ottiene il viaggio e tutto il pacchetto per ottenere dei figli. Non è questa l’Italia che vogliamo. Sono i valori.

La senatrice Finocchiaro ha invitato gli esponenti della sinistra a fare una riflessione, perché non si può accettare un fatto del genere. E allora io dico alla senatrice Finocchiaro che, se proprio volete inserire questo (anche se non è necessario), allora introduciamo il reato, ma non quello previsto dalla legge n. 40, bensì un reato più forte, che abbia applicazione anche all’estero, se vogliamo portare nel mondo quei valori di diritto e di dignità che abbiamo come Paese.

Il disegno di legge Cirinnà fa un’operazione che, all’ultimo periodo dell’articolo 3, attribuisce alle coppie omosessuali tutti i casi dell’adozione in casi particolari. Quindi, tratta in quel momento alla pari sia i figli degli eterosessuali non sposati, sia i figli delle coppie omosessuali delle unioni civili. Poi improvvisamente trasforma e modifica l’articolo 5. Io non devo ricordare a lei che la lettera b) non si applica agli eterosessuali, checché ne pensi la senatrice De Petris. In tutta Italia sono stati finora nove i casi di adozioni, con l’applicazione della lettera d) o della lettera a), che riguardano anche eterosessuali, e non solo gli omosessuali. Le disposizioni della lettera b) non sono mai state applicate nemmeno agli eterosessuali. La Corte di cassazione nel 2013, in occasione della morte di una donna che aveva avuto un figlio prima del matrimonio, ha respinto la domanda di adozione presentata dal vedovo. Ha detto che si potevano applicare le disposizioni della lettera a); secondo le lettere c) e d) possono essere fatte anche adozioni dai singoli, non necessariamente dai coniugati. E quanto alla lettera b), ha risposto negativamente, perché si trattava di un vedevo e non di un coniuge; il vedovo non ha potuto usufruire di quell’articolo.

E voi volete allargare l’ipotesi alle unioni civili? E perché? Dite che questa è una tutela dell’interesse del minore. Il presidente Zanda sa meglio di me che non è una tutela dell’interesse del minore. Se vi preoccupaste dell’interesse del minore, sapreste che sono cinquecento, a voler esagerare, i bambini di coppie omosessuali, mentre sono decine di migliaia i bambini figli di eterosessuali. E di questi perché non vi preoccupate? Su questo, se garantite parità, noi potremmo anche rivedere la nostra posizione. Ma, se non garantite parità, non possiamo rivederla.

Per quanto riguarda l’utero in affitto, devo ricordare quanto ha affermato il 17 dicembre 2015 l’Assemblea plenaria del Parlamento europeo all’interno del rapporto annuale sui diritti umani. Il Parlamento europeo «Condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come un bene di lusso;» – e l’ha detto anche la relatrice Finocchiaro a cui mi richiamavo – e «ritiene che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento della riproduzione e l’uso del corpo umano per guadagno finanziario o di altro tipo, in particolare nel caso di donne vulnerabili in paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e considerata come una questione urgente fra gli strumenti in materia di diritti dell’uomo».

Signor Ministro, si adoperi in questi giorni nell’esaminare gli emendamenti. E al presidente Zanda, come Capogruppo del Gruppo di maggioranza relativa, dico di trovare la soluzione che garantisca parità di diritti. Trovate la soluzione che garantisca che tutti i minori siano garantiti e sia protetto l’interesse del figlio dell’omosessuale e del figlio dell’eterosessuale. E credo che così potremo anche noi rivedere la nostra posizione. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Martini. Ne ha facoltà.

 

MARTINI (PD). Signor Presidente, colleghe e colleghi, è giusto approvare la legge sulle unioni civili perché essa traccia la prospettiva di una generale modernizzazione del Paese, della sua cultura, della sua legislazione. Questo segnale di svecchiamento, di disincrostazione di vecchi pregiudizi, di apertura di nuovi campi di dibattito e di azione è per me dirimente.

Non mi sogno di dividere i sostenitori e i detrattori del disegno di legge in moderni e conservatori. Rispetto la critica che i contrari e i perplessi fanno a una certa visione della modernità, considerata forse troppo azzardata o tecnologica.

Il cardinal Ruini ha, peraltro, detto che ci sono più modi di essere moderni. Sarebbe bello spostare il confronto sul cambiamento culturale e antropologico in corso, accettando il salto verso la modernità e concentrandosi sul come essa si esprima meglio.

Resta comunque il fatto che la cultura che permea il disegno di legge e l’impegno di chi lo sostiene sono un manifesto e un’indicazione di percorso per la modernizzazione del Paese, che non sta solo nell’adeguare finalmente le norme a una società che è più avanti. La vera modernizzazione è nell’incoraggiare la società ad esprimere pienamente la sua ricchezza, la sua vitalità, il suo dinamismo. È così che l’Italia sarà più attiva e talentuosa. Modernità non è imporre tesi, concezioni, parole e gesti nuovi, ma liberare il campo per tutte le espressioni, favorire l’autorealizzazione, crescere tutti insieme. Qui sta il cuore della legge, il messaggio positivo che è anche di rasserenamento, perché, liberati dalla tensione fin qui creata dalla cultura della discriminazione e dell’esclusione, potremmo dedicarci con più tranquillità alla costruzione di cose positive.

La modernizzazione della legislazione sulle unioni civili è parte dello sforzo in atto per svecchiare e dinamizzare l’Italia ed esprime l’idea di un Paese più libero ed eguale, dove la soddisfazione di ciascuno e il riconoscimento dell’autonomia del suo progetto di vita producono più partecipazione, più adesione agli obiettivi corali, più disponibilità verso gli obblighi sociali e nazionali. È strano che alcuni teorici della cultura politica liberale si schierino oggi contro, perché c’è un nesso chiaro tra le riforme economiche e sociali e la modernizzazione culturale e morale del Paese.

Un’opera grande di riforma, che riguardi la scuola, l’università, il lavoro, il fisco, la giustizia, non si realizza senza una partecipazione vasta, senza una mobilitazione consapevole di tutte le energie, senza un’innovazione che tratti anche la cultura, il costume, le relazioni umane e sociali. Non capirei un programma di Governo che voglia cambiare nel profondo il Paese e non chiami a un contributo fattivo tutti i cittadini, liberi e uguali, attivi e partecipi, forti della loro dignità e del loro riconoscimento. È questo anche l’antidoto più sicuro contro il populismo.

Nei mesi scorsi, molti anche in quest’Aula hanno colto il segnale di svecchiamento, di liberazione, contenuto – ad esempio – nel jobs act o nella riforma della scuola. Mi chiedo perché ora non vedono l’analogo e più profondo segnale di apertura, di superamento di tante sclerosi che viene su questo tema o la spinta innovatrice che sta nell’accettare tutte le forme di contributo della società e della cultura contemporanea.

Noi dobbiamo approvare il disegno di legge in esame perché così aiutiamo tutte le riforme (quelle costituzionali, economiche e sociali) che hanno bisogno di un motore culturale, etico e morale: in questa legge c’è, così come ci sarà sullo ius soli, quando lo affronteremo.

La modernizzazione etica e culturale è far convergere le istanze innovatrici, sociali ed istituzionali, perché si aiutino a vicenda, perché nessuno può farcela da solo, né la politica né il Paese.

La politica gioca dunque il suo ruolo, non lascia ai giudici il compito di gestire il problema, ma non pensa di poter risolvere tutto da sola. Oggi la politica dice che, per riformare l’Italia, ha bisogno di tutti i suoi cittadini ugualmente riconosciuti, valorizzati, motivati e chiamati a dare il meglio di sé. Questo è un punto nuovo.

Negli ultimi due anni non ho nascosto interrogativi e riserve sul nuovo corso del PD e del Governo, sulla qualità del rinnovamento proposto e realizzato. Oggi sottolineo che, per questa via, può affermarsi una concezione meno verticistica del processo di riforme, meno calata dall’alto e che l’esaltazione della politica può non scadere nel suo limite intrinseco, quel politicismo che tanti danni ha recato alle istituzioni e alla politica stessa.

Il provvedimento in esame può dare luce nuova all’intera fase di rinnovamento. Può dare più qualità, più profondità e più prestigio in Europa. Al riguardo, non condivido i toni di vari colleghi (della Lega e di Forza Italia in particolare) che gridano all’intromissione di un’Europa matrigna. Vedo, invece, lo spazio per un apporto autonomo dell’Italia, che non sia puro accodamento o burocratico recepimento di sanzioni, peraltro motivate. Portiamo, dunque, in Europa la nostra originalità, la nostra particolare sensibilità. C’è una nostra storia, prendiamola tutta, senza complessi o reticenze.

Ma la nostra originalità sia propositiva, dinamica, non fondata sull’immobilismo o sul movimento minimo. Si possono capire la prudenza, la gradualità, l’attenzione alla più elevata qualità, a quelli che io chiamo i nessi sottili. Non si può, invece, comprendere la logica del continuo rinvio, delle eterne timidezze, né la riproposizione di paure apocalittiche.

Sento talora prevedere, quasi con i medesimi argomenti, gli stessi sfracelli e disastri del 1974 e del 1981. Anche allora si gridò: il Paese si spaccherà, si scasserà la famiglia, avremo bambini abbandonati e donne umiliate. Non è poi successo nulla di quanto preconizzato. Il Paese non si è inabissato, la famiglia non è morta, anzi. E gli attacchi non sono venuti dall’assalto della cultura modernizzatrice o dal riconoscimento delle diversità, ma dal degrado civico e morale, dalla corruzione dell’etica prodotta dalla mercificazione e dall’individualismo, dal logoramento dell’idea di Stato sociale, universale e solidale.

Sono temi che andrebbero assunti pienamente, perché saranno il terreno utile per il dopo disegno di legge, perché ci sarà un dopo, e bisognerà trovare nuovi terreni di condivisione e di lavoro culturale e politico comune.

lo non vivo questo come un passaggio divisivo. Non lo è ciò che mette in luce diverse opinioni e proposte. Questo è semplicemente democratico. È divisivo ciò che deliberatamente scava solchi e crea conflitti dove ci può essere una soluzione positiva, dinamica. È più divisivo lo status quo, il mantenere discriminazioni, anacronismi, legislazioni non più aggiornate. Non è divisivo approvare una legge che ci offrirà un terreno più avanzato per confrontare le diverse e legittime visioni del mondo.

Affrontiamo, dunque, questo passaggio senza paura e con mente aperta. Non ne potrà venire alcun male al Paese ed alla politica. (Applausi dal Gruppo PD).

 

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, è stata presentata dal senatore Calderoli e da altri senatori una proposta di non passare all’esame degli articoli, che si intende illustrata.

Dichiaro chiusa la discussione generale.

Rinvio il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.

 

 

 

Allegato B

 

 

Testo integrale dell’intervento della senatrice Lo Moro nella discussione generale dei disegni di legge nn. 2081, 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763, 2069 e 2084

 

La discussione generale sul disegno di legge n. 2081 (e connessi) in materia di unioni civili ha già registrato numerosi interventi, in molti dei quali mi ritrovo pienamente.

Sono stati richiamati vari articoli della Costituzione, a partire dall’articolo 2 in materia di “diritti inviolabili dell’uomo”, indicato dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 138 del 2010, come fondamento dell’auspicato riconoscimento giuridico dell’unione omosessuale. Altri principi costituzionali già richiamati in più interventi sono quello dell’eguaglianza dei cittadini, senza distinzioni di sesso (ancorato all’articolo 3 della Costituzione che bandisce ogni tipo di discriminazione) e quello della centralità del matrimonio ex articolo 29 della Costituzione, che, al primo comma, recita “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.

Si è detto che sarebbe discriminatorio riservare l’istituto giuridico delle unioni civili alle coppie dello stesso sesso e non estenderlo alle coppie eterosessuali. Non è così. Si parte da una situazione, quella attuale, che esclude le coppie omosessuali dal matrimonio. Si ricorre ad un istituto giuridico ad hoc per queste ultime perché, nell’ordinamento giuridico italiano, il matrimonio come disciplinato dal codice civile è riservato espressamente a persone di sesso diverso (articolo 143, primo comma, codice civile: “Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri”). Con l’istituto dell’unione civile si colma un deficit di tutela delle coppie omosessuali, peraltro in adempimento di un obbligo positivo del legislatore, più volte segnalato dalla giurisprudenza costituzionale. Estendere il nuovo istituto alle coppie di sesso diverso, che in quanto tali possono scegliere se sposarsi o meno, avrebbe significato porre il nuovo istituto in concorrenza con il matrimonio, mettendo in discussione quella centralità dell’istituto matrimoniale che il nostro ordinamento garantisce.

Nel mio intervento sulle pregiudiziali, al quale rimando sul punto, mi sono soffermata sulla giurisprudenza della Corte costituzionale, e segnatamente sulla definizione dell’unione omosessuale contenuta nella sentenza 138/2010, già richiamata (“stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia”), i cui principi sono stati confermati e ribaditi dalla successiva sentenza n. 170 del 2014 che ha ancor di più declinato l’invito al legislatore a provvedere (l’obbligo positivo, di cui parlavo poco prima). Mi sono soffermata anche sulla ragione per cui alle coppie (omo ed eterosessuali) dell’unione civile e del matrimonio non possono che essere date tutele, almeno in parte, assimilabili, trattandosi in entrambi i casi di due persone legate da una relazione affettiva duratura. La stessa Corte costituzionale, del resto, nel ribadire che competono al legislatore le scelte di merito, ha avvertito che sulla disciplina può sempre operare “con il controllo di ragionevolezza” (sentenza n. 138 del 2010), con ciò ribadendo la necessità che non si introducano discriminazioni e trattamenti differenziati irragionevoli. Ho anche fatto cenno alla giurisprudenza della Corte europea per il concetto di vita familiare (nel mio intervento, più precisamente mi sono riferita ad una sentenza della Cassazione, la n. 4184 del 2012 che richiama ampiamente la giurisprudenza della Corte europea). E a proposito di vita familiare, a quanti auspicherebbero lo stralcio dell’articolo 5 del disegno di legge n. 2081, voglio fare osservare che con una siffatta operazione si lascerebbero senza un’adeguata tutela i figli, venendo meno ad un obbligo di legiferare che riguarda tutti gli aspetti della vita familiare e lasciando alla magistratura – che lo sta già facendo – il compito di evitare discriminazioni e di garantire l’interesse superiore dei bambini ad avere riconosciuto giuridicamente un legame che di fatto già esiste.

Oggi vorrei soffermarmi, in particolare, sulla giurisprudenza internazionale della Corte europea dei diritti dell’uomo, con un richiamo anche alla giurisprudenza della Corte di giustizia del Lussemburgo. Si tratta di un aspetto non adeguatamente valorizzato che merita un approfondimento, anche in considerazione del valore che alla CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), che vincola 47 Stati, tra cui l’Italia, viene attribuita soprattutto a seguito delle cosiddette sentenze gemelle (nn. 348 e 349) della Corte costituzionale. La cogenza della normativa CEDU è oramai un dato acquisito e ne è prova, con riferimento specifico alla materia delle unioni omosessuali, la sentenza della Cassazione n. 4184 del 15 marzo 2012, cui farò specifico riferimento nella parte conclusiva.

Voglio richiamare innanzitutto le norme della Convenzione su cui si è sviluppata la discussione:

articolo 8 (Vita privata e familiare): “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”;

articolo 12 (Diritto al matrimonio): “A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto”;

articolo 14 (Divieto di discriminazione): “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione”.

A queste norme occorre aggiungere l’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: “Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”, di cui la Corte europea ha ampiamente tenuto conto in una delle sentenze più innovative in materia di diritto di matrimonio (Schalk and Kopf c/ Austria del 24 giugno 2010).

Passando alla giurisprudenza della Corte, con riferimento alle coppie omosessuali e ai loro diritti, particolarmente importanti sono le sentenze che di seguito si richiamano, insieme ad alcuni significativi stralci (tradotti dal francese o dall’inglese).

Causa Schalk c. Kopf c/ Austria (24 giugno 2010): due cittadini austriaci di sesso maschile avevano chiesto all’ufficio dello stato civile di adempiere alle formalità richieste per contrarre matrimonio e, a fronte della reiezione della richiesta, avevano dedotto di essere stati discriminati in violazione degli articoli 12 e 14, in relazione all’articolo 8 della Convenzione, in quanto, essendo una coppia omosessuale, era stata loro negata la possibilità di contrarre matrimonio o di far riconoscere la loro relazione dalla legge in altro modo.

La Corte, dopo aver richiamato l’interpretazione tradizionale dell’articolo 12 della Convenzione (diritto al matrimonio), fondata sul dato letterale (la norma si riferisce a “l’uomo e la donna”), opera una comparazione tra il predetto articolo 12 e l’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (che “ha deliberatamente evitato il riferimento agli uomini e alle donne”). Osserva la Corte: “Il commentario alla Carta, che è divenuta giuridicamente vincolante nel dicembre 2009, conferma che l’articolo 9 vuole avere un campo di applicazione più ampio dei corrispondenti articoli contenuti in altri strumenti di tutela dei diritti umani. Allo stesso tempo, il riferimento alla legislazione nazionale riflette la diversità delle regolazioni nazionali che spaziano dal riconoscimento dei matrimoni omosessuali al loro divieto esplicito. Facendo riferimento alla legislazione nazionale, l’articolo 9 della Carta lascia decidere agli Stati se permettere o meno i matrimoni omosessuali. Nelle parole del Commentario: “Si può affermare che non vi è ostacolo al riconoscimento delle relazioni omosessuali nel contesto del matrimonio. Tuttavia, non vi è alcuna disposizione esplicita che preveda che le legislazioni nazionali siano tenute a favorire tali matrimoni”. E su tale presupposto afferma: ”Tenuto conto dell’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la Corte non ritiene più, che il diritto al matrimonio di cui all’articolo 12 (della CEDU) debba essere limitato in tutti i casi al matrimonio tra persone di sesso opposto. Conseguentemente non si può affermare che l’articolo 12 sia inapplicabile alle richieste dei ricorrenti. Tuttavia, allo stato attuale, la questione se permettere o meno il matrimonio omosessuale è lasciata alla legislazione nazionale dello Stato contraente” (pagine 255 e 256 della rassegna giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo predisposta dall’ufficio di segreteria della Commissione giustizia nel febbraio 2015).

In un altro punto della stessa sentenza si legge: “La Corte considera artificioso mantenere il punto di vista in base al quale, a differenza delle coppie eterosessuali, una coppia omosessuale non possa godere di una vita familiare ai sensi all’articolo 8. Conseguentemente, l’unione dei ricorrenti – una coppia dello stesso sesso che coabita e vive in una stabile unione di fatto – rientra nella nozione di “vita familiare”, così come l’unione di due persone di sesso diverso che si trovano nella stessa situazione. La Corte conclude quindi che le vicende del presente caso rientrano sia nella nozione di “vita privata” sia in quella di “vita familiare”, ai sensi dell’articolo 8. Conseguentemente, trovano applicazione, in combinato disposto, gli articoli 8 e 14 della Convenzione”.

Arriva a tale conclusione la Corte partendo “dalla premessa che le coppie dello stesso sesso hanno la medesima capacità di quelle di sesso diverso di entrare in una stabile e seria relazione. Pertanto, esse si trovano in una situazione molto simile a quella delle coppie eterosessuali per quanto riguarda il bisogno di riconoscimento legale e di protezione del loro rapporto” (pagine 261 e 262 della rassegna giurisprudenziale).

Causa Vallianatos c. Grecia (7 novembre 2013): la Corte riprende le medesime questioni ribadendo quanto precedentemente affermato.

Causa Oliari e altri c. Italia (21 luglio 2015): le coppie omosessuali ricorrenti lamentavano che la legislazione italiana non permetteva loro di sposarsi o di contrarre alcun altro tipo di unione civile ed essi erano pertanto discriminati in conseguenza del loro orientamento sessuale. Nei ricorsi venivano citati gli articoli 8, 12 e 14 della Convenzione.

Nella sentenza si legge “La Corte ritiene che la necessità di ricorrere ripetutamente ai tribunali interni per sollecitare parità di trattamento in relazione a ciascuno dei molteplici aspetti che riguardano i diritti e i doveri di una coppia, specialmente in un sistema giudiziario oberato come quello italiano, costituisca già un ostacolo non irrilevante agli sforzi dei ricorrenti volti a ottenere il rispetto della propria vita privata e familiare”.

Ed ancora: “La Corte ritiene che, in assenza di matrimonio, le coppie omosessuali quali i ricorrenti abbiano particolare interesse a ottenere la possibilità di contrarre una forma di unione civile o di unione registrata, dato che questo sarebbe il modo più appropriato per poter far riconoscere giuridicamente la loro relazione e garantirebbe loro la relativa tutela – sotto forma di diritti fondamentali relativi a una coppia che ha una relazione stabile – senza ostacoli superflui” (estratti della sentenza nella traduzione in italiano a cura del Ministero della giustizia – Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani).

In sintesi, dalle sentenze della Corte citate, si evince che:

– le unioni omosessuali sono protette dagli articoli 8 e 14 della Convenzione;

– alle coppie omosessuali può in astratto essere riferito anche l’articolo 12 della Convenzione, salva la competenza dei singoli Stati a legiferare in materia di diritto di matrimonio;

– non vi è l’obbligo di estendere il matrimonio alle coppie omosessuali, vi è però un obbligo positivo per il legislatore di intervenire per disciplinare le unioni omosessuali, con una regolazione non discriminatoria.

La giurisprudenza della Corte europea converge con i desiderata e i moniti della Corte costituzionale italiana (sentenza n. 138 del 2010 e sentenza n. 170 del 2014).

Quanto alla giurisprudenza della Corte di giustizia di Lussemburgo, occorre ricordare come essa, in tutti i casi in cui sia stata investita delle questioni di disparità di trattamento fra il matrimonio e le unioni civili, abbia sempre ritenuto l’insussistenza di irragionevoli motivi che giustificassero tali disparità di trattamento.

In particolare, fino ad oggi, è stata ritenuta illegittima la disparità di trattamento con riguardo alla materia fiscale, alle imposte di successione al trattamento dei lavoratori (sussidio di malattia), al trattamento pensionistico, con particolare riguardo all’accesso alla pensione di reversibilità.

Con riferimento al tema della “Stepchild adoption” e dell’adozione, va segnalato che nella giurisprudenza della Corte europea non emerge un obbligo di garantire l’adozione agli omosessuali (singoli o in coppia) ma:

– se l’adozione è prevista per i single, questa deve essere garantita indipendentemente dall’orientamento sessuale – sentenza E.B. c. Francia (22 gennaio 2008): “Malgrado le precauzioni della corte amministrativa d’appello di Nancy, e poi del Consiglio di Stato, per giustificare il fatto che siano state prese in considerazione le condizioni di vita della ricorrente, è d’obbligo constatare che l’orientamento sessuale di quest’ultima non ha mai smesso di essere al centro della discussione che l’ha riguardata. Esso è stato sempre presente in tutte le fasi delle procedure amministrative e giurisdizionali. La Corte considera che il riferimento alla omosessualità della ricorrente era, se non esplicito, quanto meno implicito. L’influenza dell’omosessualità dichiarata della ricorrente sull’apprezzamento della sua domanda (di adozione) è innegabile e, tenuto conto di quanto constatato, l’orientamento sessuale ha rivestito un carattere determinante, portando alla decisione di rifiutare la domanda di adozione. La ricorrente è stata dunque oggetto di una differenza di trattamento di cui occorre verificare la ragione. Se tale differenza era legittima, occorre verificare altresì l’esistenza di una giustificazione per un tale trattamento differenziato.

Ad avviso della Corte, se le ragioni avanzate per una tale differenziazione sono unicamente riconducibili a valutazioni circa l’orientamento sessuale della ricorrente, tale differenza di trattamento rappresenta, in base alla Convenzione, una discriminazione. La Corte ricorda che il diritto francese permette l’adozione di un bambino da parte di un single, consentendo quindi l’adozione da parte di un single omosessuale.

Tenuto conto del regime giuridico interno, la Corte considera che le ragioni avanzate dal Governo non possono essere considerate di particolare gravità e suscettibili di giustificare il rifiuto opposto alla ricorrente.

E d’obbligo dunque constatare che le autorità interne, per rigettare la domanda di adozione presentata dalla ricorrente, hanno operato una distinzione basata su considerazioni riguardanti l’orientamento sessuale, distinzione che non può essere tollerata in base alla Convenzione. Vi è quindi violazione del combinato disposto degli articoli 8 e 14 della CEDU” (pagine 329 e 330 della rassegna giurisprudenziale).

– Se è consentita l’adozione per le coppie conviventi di sesso diverso, deve esserlo anche per le coppie dello stesso sesso – sentenza X e a. c. Austria (19 febbraio 2013):

“La Corte ribadisce che il divieto di discriminazione fondato sull’articolo 14 si estende oltre il godimento dei diritti e delle libertà che la Convenzione e i Protocolli richiedono ad uno Stato di garantire. Il principio si applica anche a quei diritti ulteriori rientranti nelle finalità generali di ogni articolo della Convenzione.

Mentre l’articolo 8 non garantisce un diritto all’adozione, la Corte ha però stabilito che rispetto all’adozione da parte di un single omosessuale, uno Stato che crea un diritto, andando anche oltre quanto previsto dall’articolo 8 della Convenzione, non può applicare quel diritto in un modo che sia discriminatorio ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione stessa.

La Corte è consapevole che operare un bilanciamento tra la protezione della famiglia intesa in senso tradizionale e i diritti che la Convenzione riconosce per tutelare l’orientamento sessuale, è oggettivamente un’operazione difficile e delicata, che richiede allo Stato di conciliare visioni confliggenti e interessi tra loro in radicale opposizione. Comunque la Corte trova che il Governo abbia agito erroneamente nell’addurre la necessità di proteggere la famiglia tradizionale o l’interesse del bambino come ragione sufficiente per giustificare l’esclusione dell’adozione del figlio naturale del partner (di una coppia omosessuale), mentre permette quella possibilità ad una coppia non sposata eterosessuale.

Tale distinzione è incompatibile con la Convenzione.

La Corte evidenzia ancora una volta che il caso all’esame non concerne la questione se la richiesta di adozione da parte dei ricorrenti debba essere garantita in tali circostanze. Esso concerne piuttosto la questione se i ricorrenti siano stati discriminati, dal momento che i tribunali non hanno avuto l’opportunità di esaminare in modo pieno se l’adozione richiesta rispondeva agli interessi del richiedente, poiché in ogni caso (quell’azione) era legalmente impossibile. In questo contesto, la Corte richiama alcune recenti sentenze, nelle quali è stata affermata la violazione del combinato disposto dagli articoli 8 e 14 della CEDU, nel caso di un padre di un bambino nato fuori dal matrimonio che non ha potuto ottenere un esame dai tribunali nazionali per valutare se la decisione della custodia ad entrambi i genitori o ad uno di essi fosse nell’interesse del bambino.

In conclusione la Corte ritiene che vi sia stata una violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione, poiché la situazione del ricorrente è equiparabile a quella di una coppia eterosessuale non coniugata nella quale uno dei partner desidera adottare il figlio dell’altro” (pagine 135 e 139 della rassegna giurisprudenziale).

Inoltre, c’è sempre attenzione all’interesse del minore, che deve prevalere su ogni altra considerazione. Nello stesso senso si era d’altra parte orientata la Corte costituzionale in materia di riconoscimento dello status filiationis dei figli incestuosi (sentenza n. 494 del 2002).

In sintesi, i principi che se ne ricavano sono quello di non discriminazione degli omosessuali e quello dell’interesse superiore del bambino.

Ci sono state polemiche negli ultimi giorni, a seguito di un messaggio pubblicato su Twitter dal segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland («Incoraggio l’Italia a garantire il riconoscimento legale alle coppie dello stesso sesso così come stabilito dalla sentenza della Corte europea dei diritti umani del 21 luglio 2015 e come accade nella maggior parte degli Stati membri del Consiglio d’Europa») e di un’intervista all’ANSA del commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks (“l’Italia non sta creando nuovi diritti ma semplicemente eliminando la discriminazione basata sull’orientamento sessuale”, ha sostenuto il commissario che ha anche precisato “se le coppie etero non sposate possono adottare i figli del partner, lo stesso devono poter fare le coppie dello stesso sesso”, concludendo “Spero quindi che il parlamento italiano farà la cosa giusta e adotterà la legge sulle unioni civili permettendo le adozioni”. C’è chi ha vissuto questi interventi come un’interferenza. In realtà, il commissario dei diritti umani e il segretario generale del Consiglio d’Europa non hanno fatto altro che richiamare la giurisprudenza della Corte europea, e l’interpretazione dalla stessa fornita delle norme CEDU di riferimento nelle sentenze emesse su ricorso di singoli contro vari Stati, Italia compresa.

Se solo si legge per intero la sentenza Oliari ed altri c. Italia del 21 luglio 2015 si comprende come non sia più possibile mantenere in un contesto europeo ed internazionale l’atteggiamento che l’Italia ha mantenuto in questa causa. In questo caso il ritardo è del legislatore più che dell’Esecutivo. Resta il fatto che l’Italia ha prospettato le sue difficoltà su un piano molto delicato, quello del riconoscimento dei diritti, che incide sul grado di civiltà e di democrazia di un Paese. Per dirla con le parole della Corte: “In conclusione non avendo il Governo italiano dedotto un interesse collettivo prevalente in rapporto al quale bilanciare gli importantissimi interessi dei ricorrenti… e alla luce del fatto che le conclusioni dei tribunali interni in materia sono rimaste lettera morta, la Corte conclude che il Governo italiano ha ecceduto il suo margine di discrezionalità e non ha ottemperato all’obbligo positivo di garantire che i ricorrenti disponessero di uno specifico quadro giuridico che prevedesse il riconoscimento e la tutela delle loro unioni omosessuali”.

Mi avvio alle conclusioni richiamando la sentenza della Cassazione n. 4184 del 15 marzo 2012. Si tratta di una sentenza importante che, a riprova dell’incidenza che va riconosciuta alla giurisprudenza della Corte europea, ha, in particolare, il merito di ricostruire e mettere in relazione la giurisprudenza della Corte costituzionale e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Nello specifico, la Corte, chiamata a decidere “se due cittadini italiani dello stesso sesso, i quali abbiano contratto matrimonio all’estero… siano, o no, titolari del diritto alla trascrizione del relativo atto nel corrispondente registro dello stato civile italiano”, nega tale diritto ma sulla base di “ragioni diverse da quella, finora ripetutamente affermata, della “inesistenza” di un matrimonio siffatto per l’ordinamento italiano”. Dice letteralmente la Corte: “Infatti, se nel nostro ordinamento è compresa una norma – l’articolo 12 della CEDU appunto, come interpretato dalla Corte europea -, che ha privato di rilevanza giuridica la diversità di sesso dei nubendi nel senso dinanzi specificato (cfr., supra, n. 4.1), ne segue che la giurisprudenza di questa Corte – secondo la quale la diversità di sesso dei nubendi è, unitamente alla manifestazione di volontà matrimoniale dagli stessi espressa in presenza dell’ufficiale dello stato civile celebrante, requisito minimo indispensabile per la stessa “esistenza” del matrimonio civile, come atto giuridicamente rilevante – non si dimostra più adeguata alla attuale realtà giuridica, essendo stata radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per cosi dire “naturalistico”, della stessa “esistenza” del matrimonio. Per tutte le ragioni ora dette, l’intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende – non più dalla loro “inesistenza” (cfr., supra, n. 2.2.2.), e neppure dalla loro “invalidità”, ma – dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio appunto, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano”.

Questa sentenza testimonia due cose importanti: che l’interpretazione delle norme può evolversi nel tempo (e, in tale senso, potremmo richiamare esempi interni importanti, a partire dalla sentenza della Corte costituzionale n. 494 del 2002 in materia di dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali per i figli incestuosi) e che le innovazioni introdotte dalla giurisprudenza internazionale della Corte europea, se rappresentano una risposta a singoli casi, non possono non incidere sul sistema giuridico dei singoli Stati.

Concludo. Siamo in grave ritardo sui temi affrontati dal disegno di legge n. 2081. Dobbiamo procedere senza pregiudizi, ricordando che, come si legge nella sentenza della Corte costituzionale che ho richiamato qualche minuto fa, la n. 494 del 2002, “la Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti”. Ben venga dunque il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, con connessi diritti e doveri. Ben venga una normativa che tenga distinti unioni civili e matrimonio, anche se personalmente la trovo fuori tempo. Evitiamo però mediazioni al ribasso che portino a soluzioni irragionevoli e discriminatorie. Non riconoscere l’adozione del figlio del partner dell’unione civile mentre per via giudiziaria la si sta riconoscendo per le coppie omosessuali, ancor prima della normativa sulle unioni civili, sarebbe discriminatorio e soprattutto lesivo dell’interesse superiore del bambino al riconoscimento formale di un vincolo familiare che già esiste nella realtà.

 

 

 

Testo integrale dell’intervento del senatore Manconi nella discussione generale dei disegni di legge nn. 2081, 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763, 2069 e 2084

 

Presidente, senatrici e senatori, sono ritornato in Parlamento nel 2013 dopo un lungo intervallo di tempo. Già ero stato senatore tra il 1994 e il 2001 e, in quel periodo, ebbi la fortunata opportunità di presentare uno dei primissimi disegni di legge (forse il secondo dopo quello di Alma Cappiello) in materia di unioni civili. E ciò mi permette oggi di misurare meglio la distanza tra il clima culturale e politico di venti anni fa e quello attuale: e tra la società italiana della metà degli anni ’90 e quella odierna. Oggi, senza dubbio, c’è una consapevolezza nuova e più matura e, tuttavia, scorgo un rischio persistente. Il rischio di una falsa rappresentazione. Un conflitto simulato tra due schieramenti fittizi. Lo schieramento di coloro che si propongono come titolari esclusivi di valori forti, di una concezione morale e di principi irrinunciabili; e, all’opposto, lo schieramento di quanti, al più, tutelerebbero interessi circoscritti e parziali, propri di una minoranza, o, comunque, di una somma di minoranze. E ancora: un’aspra controversia tra una concezione ad alta intensità valoriale e una tutta concentrata sull’acquisizione di diritti. In altre parole, le argomentazioni dei sostenitori dei diritti e, in particolare, dei diritti per le minoranze sessuali, vengono raffigurate come espressione di una opzione egoisticamente individualistica, ispirata da un’idea edonista, consumista e libertaria/libertina della vita e dei rapporti umani. Un’opzione che troverebbe il suo fondamento nell’assolutizzazione del desiderio, nella sua retorica e nella sua ideologia, come criterio supremo e pulsione dominante la vita sociale. All’opposto i critici di un’interpretazione espansiva e paritaria delle unioni civili e, in generale, del sistema dei diritti, farebbero riferimento a valori alti e non negoziabili, a una morale comprensiva ma rigorosa, a una concezione severa dell’etica pubblica destinata a combinarsi virtuosamente con quella privata. In questo schema, naturale e morale sono categorie che si alimenterebbero a vicenda, totalmente indifferenti alle enormi trasformazioni che hanno conosciuto le società umane e, al loro interno, le forme di vita e le concezioni dei rapporti tra i sessi, tra le generazioni e tra genitori e figli. Il che spiega anche il reiterato ricorso, all’interno della discussione pubblica in questa circostanza e in altre, al concetto di “antropologia”. Quando una persona intelligente come il presidente della CEI, cardinale Angelo Bagnasco, afferma che “la famiglia è un fatto antropologico, non ideologico”, si avverte la sensazione che si tratti in realtà di una semplice interpretazione culturale, motivata da preoccupazioni di ordine generale, che esulano dal tema trattato. E che ha come esito la trasformazione della stessa categoria di antropologia e del suo paradigma scientifico, in una sorta sistema chiuso, connotato da rigidità e incapace di registrare le trasformazioni avvenute e quelle in atto, e destinato, a sua volta, a farsi dispositivo ideologico.

D’altra parte il risultato di quella che ho definito una falsa rappresentazione è rovinoso. Intanto perché toglie alla mobilitazione per l’affermazione dei diritti la sua ispirazione più profonda e la sua base più robusta, quella che si affida in ogni caso a principi morali e a valori condivisi: ancorché differenti da quelli, di origine religiosa, nei quali si riconosceva, fino a qualche decennio fa, la maggioranza della società nazionale. E, infatti, come non vedere che, a ispirare la richiesta di riconoscimento delle unioni civili possa essere un’istanza morale altrettanto intensa? Cos’altro è, se non questo, quella ricerca di reciprocità, mutualità, affidamento, stabilità, continuità nel tempo, coniugalità, genitorialità e quella stessa aspirazione al pezzo di felicità condivisa possibile nel nostro mondo? Non costituisce tutto ciò il fondamento morale di una relazione? In caso contrario, la morale si ridurrebbe a una sorta di lettura rinsecchita e rattrappita della precettistica autoritaria più convenzionale. Sia chiaro: non dico, con ciò, che lo schieramento di quanti si oppongono alle unioni civili sia privo, per converso, di una sua ispirazione morale. Affermo, e con grande convinzione, che non ne ha certamente l’esclusiva.

Non solo. Da quella falsa rappresentazione discende direttamente una falsa risposta e un approccio che definirei economicistico alle aspettative in questione. Una sorta di neutralizzazione del rapporto di coppia omosessuale e una sua riduzione a mero contratto privato. Un’impostazione che prevede esclusivamente la concessione – il termine è appropriato – delle garanzie materiali e sociali. Ovvero quelle previdenziali, patrimoniali, ereditarie, assicurative e amministrative: diritti primari legittimi, addirittura sacrosanti, che vanno tutelati, ma che non soddisfano certo tutte le domande sollevate e tutte le problematiche poste. E che, soprattutto, tradiscono un’idea gravemente riduttiva delle esigenze proprie della condizione dell’omosessuale. Egli non viene visto, in quella concezione economicistica, come un cittadino intero e come una persona intera, pienamente titolare di una dignità senza deroghe e senza eccezioni. Al contrario, viene considerato come una persona parziale e dimidiata: un cittadino al quale non sono ancora riconosciuti, a pieno titolo, diritti, garanzie e prerogative. In altre parole, è come se a quel quasi – cittadino si proponesse uno scambio: diritti materiali e garanzie sociali versus la rinuncia al pieno riconoscimento giuridico – morale: e a quei diritti che costituiscono il tratto saliente della irripetibile personalità umana e della sua unicità. Ovvero il diritto al sentimento e all’affettività, alla pienezza emotiva e alla sessualità, alla condizione di coniuge e di genitore.

Da tutto ciò discende che, quello delle unioni civili, è certamente un tema di notevole e delicata rilevanza, che richiama dilemmi etici e visioni del mondo: ma è, in primo luogo, una grande questione di uguaglianza e di pari dignità. E quella che può apparire come una problematica di pochi – pressoché insignificante sotto il profilo statistico – si rivela, infine, come un’importante questione di libertà per tutti. Siamo in presenza, in altre parole, di una classica controversia sul diritto ad avere diritti. Ovvero sul fondamento stesso dell’idea di democrazia.

 

 

Intervento del senatore Berger nella discussione generale dei disegni di legge nn. 2081, 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763, 2069 e 2084

 

Grazie Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, è mia convinzione che al di là delle contrapposizioni pregiudiziali sia indispensabile ragionare con obiettività sul testo proposto dalla senatrice Cirinnà. Per questa ragione intervengo in discussione generale.

Devo e voglio anticipare che sono convinto della necessità di legiferare e legalizzare le unioni civili! Ma ho l’impressione che vi sia una costante impostazione da parte della relatrice e di chi sostiene questo disegno di legge nel suo testo attuale: quella di voler rassicurare ciò che il testo in realtà non è.

Al contrario, a mio giudizio, una interpretazione obiettiva delle disposizioni in esso contenute, dimostra come tali rassicurazioni non abbiano fondamento.

Si sostiene che non sia una legge che equipara le unioni civili al matrimonio. E, invece, è così perché non soltanto riconosce alcuni diritti, ma introduce scelte legislative che portano ad una sostanziale identicità fra matrimoni e unioni omossessuali. Si sostiene che non sia una legge che attraverso la stepchild adoption pone in discussione la normativa vigente che vieta la maternità surrogata. In realtà, è così, perché una volta riconosciuta la legittimità della potestà genitoriale da parte dei membri di unioni omossessuali, si delinea un quadro normativo destinato a condizionare, sia il ruolo che il disegno di legge riserva al giudice, sia eventuali contenziosi fra ciò che la legge sulle unioni stabilisce ed altre leggi che possano essere in conflitto con essa.

Viene affermato, da parte dei sostenitori di questo disegno di legge, che non vi sono alternative credibili e che ogni altra ipotesi è destinata ad essere contraddetta dalle sentenze della magistratura o da ricorsi alla Corte costituzionale. In altri termini non sarebbe possibile un percorso legislativo differente da questo testo né possibilità di modifiche. O Cirinnà o niente! Non credo sia così.

Una legge differente non è soltanto possibile ma doverosa, e ritengo che sia dovere della politica non rinunciare a tale opportunità! La base per una mediazione c’è! In primo luogo è necessario giungere ad una definizione dell’unione civile che rispetti l’articolo 29 della Costituzione. La concezione della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio è un principio costituzionale, naturale e sorretto dai valori cristiani. È necessario essere attenti e prudenti, perché corriamo il rischio di prendere decisioni irrevocabili che rischiano di far cadere qualsiasi limite.

In secondo luogo, è possibile definire un testo legislativo che contempli una normativa per le situazioni già esistenti e preveda, ad esempio, al posto della stepchild adoption un affido rafforzato che garantisca al partner non genitoriale tutte le funzioni genitoriali, senza riconoscere la genitorialità legittima. Si potrebbe prevedere l’affidamento rafforzato dei figli naturali o adottivi di uno dei due partner, se sono privi dell’altro genitore naturale, ad uno dei partner di una coppia unita dal vincolo di un’unione civile. Sempre nell’interesse dei bambini!

Deve tuttavia essere chiaro che ogni altra ipotesi non è consentita proprio per non privare il minore dal punto di vista anagrafico di un padre e una madre. È, a mio avviso, la via migliore da percorrere perché una tale riformulazione dell’articolo non lascerebbe margine ad ipotesi discrezionali e interpretative.

Tuttavia, giacché la mia preoccupazione è ricercare un punto di incontro piuttosto che una sterile contrapposizione, in via subordinata appare condivisibile la proposta avanzata sia dal collega Tonini che dal gruppo NCD dello stralcio della stepchild adoption e il suo rinvio ad una legge delega di riforma organica delle adozioni. Purché, è evidente, le linee guida di tale legge delega definiscano un quadro equilibrato in cui i diritti dell’infanzia risultino decisivi.

In terzo luogo è doveroso associare ad una legge sulle unioni civili il rafforzamento del divieto della maternità surrogata, con l’estensione del divieto anche a quella praticata all’estero. Su questo punto non ci dovrebbero essere mediazioni. La pratica dell’utero in affitto richiama una concezione della donna che implica una negazione della libera scelta della madre, del suo diritto inalienabile alla maternità e del figlio che da persona rischia di diventare prodotto, oggetto fino a prefigurare una selezione delle sue caratteristiche, perché così concepito non vi sono più vincoli morali ed etici.

Il mio appello è dunque di fermarsi un attimo, riflettere, e ragionare con la massima cautela possibile e necessaria. Non chiedo di non legiferare. Non chiedo di abbandonare. Chiedo, semmai, l’opposto. C’è sempre un punto di intesa possibile, anche se più impegnativo, ed esso coincide con scelte legislative che sanno riconoscere e rispettare un limite oltre il quale non è possibile portare il Paese.

 

 

 

 

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