Giu 25, 2022
Ieri la Corte Suprema ha giudicato – nella causa Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization[1] – la costituzionalità della legge Gestational Age Act, del 2018 dello Stato del Mississippi che vieta l’interruzione della gravidanza dopo la quindicesima settimana di gestazione, a esclusione dei casi di emergenza e di gravi anormalità fetali. Tale proibizione contrasta con le due sentenze della stessa Corte Suprema Roe v. Wade (410 U.S. 113) del 22 gennaio 1973[2], e Planned Parenthood of Southeastern Pennsylvania v. Casey (505 U.S. 833) del 22 aprile 1992[3]. Questo primo commento, del prof. Ermanno Pavesi, componente del direttivo della FIAMC -Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici, pone a confronto i passaggi essenziali della sentenza della Corte con le sue precedenti pronunce: la decisione riconosce che non esiste un diritto costituzionale all’aborto, rimettendo la questione alle scelte dei parlamentari democraticamente eletti. Si tratta di un passo avanti molto importante nella direzione della piena tutela del diritto alla vita del concepito, e del corretto rapporto fra giurisdizione e potere legislativo.
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Mar 22, 2021
Ricorre in questi giorni il primo anniversario della scomparsa terrena di Carlo Casini, che per l’intera esistenza è stato fermo custode e promotore instancabile della dignità della vita umana nascente.
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Mar 5, 2021
Il can. 915 a margine delle recenti polemiche in USA
1. “Quando l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità. […] È questo il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia […], che devono tutelare il diritto primario alla vita a partire dal suo concepimento fino al suo termine naturale”. Con queste parole, nel 2002 la Congregazione per la dottrina della fede identificava uno dei punti nodali della partecipazione dei fedeli al dibattito politico nelle società democratiche: tema nei confronti del quale l’insorgere di “orientamenti ambigui e posizioni discutibili” aveva dimostrato l’opportunità di dedicare alcune chiarificazioni, sostanziate nell’apposita Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica.
Nonostante il tempo trascorso, i problemi denunciati dalla Congregazione sono tutt’altro che superati: circostanza non certo limitata al solo contesto italiano, ma comune a molte realtà politiche. Com’è noto, dibattiti particolarmente accesi sono sorti in ambito statunitense, sia in conseguenza dell’approvazione di legislazioni estremamente permissive nei confronti delle pratiche abortive con il sostegno di politici cattolici, sia in seguito all’elezione alla Presidenza di un candidato cattolico che ha ugualmente sostenuto posizioni in contrasto con tale Magistero. Al centro delle discussioni dell’Episcopato locale si è quindi posta la questione relativa alla non ammissione di questi soggetti alla Sacra Comunione, che il can. 915 del Codex Iuris Canonici prevede non solo per gli scomunicati e gli interdetti, ma pure per “gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto”.
2. Il significato di tale norma è tuttavia oggetto di molti fraintendimenti. Alcuni riguardano la natura stessa del divieto, spesso erroneamente qualificato come sanzione: al contrario, come spiega Giovanni Paolo II al n. 84 di Familiaris Consortio (con riferimento ai fedeli divorziati e risposati, ma enunciando un principio comune a tutti i casi analoghi), il mancato accesso alla Comunione eucaristica dei soggetti indicati al can. 915 discende dal fatto che “sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”. Altri derivano dalla commistione tra la norma in parola e il successivo can. 916, il quale ricorda come siano tenuti ad astenersi dal ricevere la Sacra Comunione coloro che sono consapevoli di essere in peccato grave.
Per non cadere in simili equivoci, conviene fare riferimento ad altri due testi che su questi profili hanno insistito con chiarezza: la Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i testi legislativi del 2000 e il n. 37 della Lettera Enciclica Ecclesia de Eucharistia del 2003. In quest’ultimo documento, dopo avere ricordato che “il giudizio sullo stato di grazia, ovviamente, spetta soltanto all’interessato, trattandosi di una valutazione di coscienza” – precisazione relativa al principio enunciato al can. 916 –, Giovanni Paolo II prosegue affermando: “nei casi però di un comportamento esterno gravemente, manifestamente e stabilmente contrario alla norma morale, la Chiesa, nella sua cura pastorale del buon ordine comunitario e per il rispetto del Sacramento, non può non sentirsi chiamata in causa. A questa situazione di manifesta indisposizione morale fa riferimento la norma del Codice di Diritto Canonico sulla non ammissione alla comunione eucaristica di quanti ‘ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto’ ”. Allo stesso modo, il Pontificio Consiglio individua gli elementi dell’ultimo caso di cui al can. 915 in tre condizioni: “a) il peccato grave, inteso oggettivamente, perché dell’imputabilità soggettiva il ministro della Comunione non potrebbe giudicare; b) l’ostinata perseveranza, che significa l’esistenza di una situazione oggettiva di peccato che dura nel tempo e a cui la volontà del fedele non mette fine, non essendo necessari altri requisiti (atteggiamento di sfida, ammonizione previa, ecc.) perché si verifichi la situazione nella sua fondamentale gravità ecclesiale; c) il carattere manifesto della situazione di peccato grave abituale”.
3. Si rende così più comprensibile la distinzione tra le due norme. Il can. 916 si rivolge infatti direttamente a tutti quei soggetti che siano consapevoli di trovarsi essi stessi in peccato mortale, ricordando loro il conseguente divieto di comunicarsi al Corpo del Signore senza avere premesso la confessione sacramentale. Il can. 915, pur producendo ovviamente i propri effetti nei confronti dei fedeli, è invece indirizzato in primo luogo ai ministri del Sacramento, che sono fatti destinatari del divieto di ammettere i primi alla Sacra Comunione secondo una valutazione che ha per oggetto esclusivamente un comportamento esterno gravemente, manifestamente e stabilmente contrario alla norma morale, prescindendo quindi da qualsiasi considerazione circa l’imputabilità soggettiva.
La rilevanza di tale diversità di prospettive emerge anche con riguardo ai ‘beni’ tutelati dal can. 915, tra i quali lo stesso n. 37 di Ecclesia de Eucharistia menziona la cura pastorale del buon ordine comunitario. Quest’ultimo profilo si riferisce alla necessità di prevenire i rischi di ‘scandalo’ nella comunità dei fedeli: termine utilizzato, secondo il senso proprio illustrato al n. 2284 del Catechismo, per indicare “l’atteggiamento o il comportamento che induce altri a compiere il male”. Tale accezione è confermata dalla Dichiarazione del Pontificio Consiglio, che spiega come lo scandalo continui a sussistere anche nel caso in cui “siffatto comportamento non destasse più meraviglia: anzi è appunto dinanzi alla deformazione delle coscienze, che si rende più necessaria nei Pastori un’azione, paziente quanto ferma, a tutela della santità dei sacramenti, a difesa della moralità cristiana e per la retta formazione dei fedeli”.
4. Alla luce di tali elementi, è perciò possibile trarre alcune considerazioni in merito al caso in esame. Quanto alla gravità del comportamento, se l’inequivocabile condanna dell’aborto nel magistero della Chiesa non richiede specificazioni, indicazioni sufficientemente chiare si riscontrano anche riguardo alla sua promozione per via legislativa: non solo da parte della Congregazione per la dottrina della fede nella Nota dottrinale – che al riguardo cita il n. 73 di Evangelium Vitae – e nella precedente Dichiarazione De abortu procurato del 1974, ma anche nello stesso Catechismo, in modo particolare al n. 2273 e, con riferimento al tema dello scandalo, al n. 2286. Ancora più esplicite le osservazioni contenute nel memorandum Worthiness to Receive Holy Communion del 2004 dell’allora Cardinale Prefetto Joseph Ratzinger, nel quale il caso di “a Catholic politician […] consistently campaigning and voting for permissive abortion and euthanasia laws” viene indicato espressamente come un’ipotesi di applicazione del can. 915.
Quest’ultima precisazione, riferendosi alla stabilità della condotta, fornisce informazioni utili anche a proposito del carattere della ‘perseveranza ostinata’, che nel caso di specie deve sostanziarsi in una posizione politica portata avanti in modo sistematico: circostanza che, pur complicando molto il compito del sacerdote sul piano pastorale, rende amaramente più semplice la sua valutazione su quello giuridico. Circa l’ultima condizione di cui al can. 915, nessun problema interpretativo sembra essere sollevato dal caso dei fedeli impegnati in contesti istituzionali ed elettorali, essendo il primo per sua natura manifesto e il secondo attivamente indirizzato a raggiungere il più ampio pubblico possibile: cosicché si potrebbe dire che maggiore è la fortuna politica del soggetto in questione, minori sono i dubbi che si pongono riguardo a questo requisito (per una più completa trattazione cf. https://www.statoechiese.it/images/uploads/articoli_pdf/Tomer.M_Ad_sacram.pdf?pdf=ad-sacram-communionem-ne-admittantur-il-can.-915-e-la-promozione-dellaborto ).
Alberto Tomer
Dottorando in Scienze Giuridiche – Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Nov 28, 2020
A margine delle recenti risoluzioni e proposte di risoluzione del Parlamento Europeo
1. Con la risoluzione n. 2790 del 13/11/2020, il Parlamento Europeo si proponeva un utile obiettivo: vagliare le misure intraprese dai Governi nazionali in periodo di pandemia, e verificarne la compatibilità con le clausole dei Trattati Europei. Limitate le libertà di spostamento, non solo tra diversi Paesi UE, ma addirittura sui singoli territori nazionali, avviati sistemi di tracciamento, derogato in molte forme il divieto di aiuti di Stato, è comprensibile l’interessamento del Parlamento Europeo al tema.
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Ott 26, 2020
Nel dichiarare illegittima la norma che autorizza l’aborto in caso di malformazioni del feto[1], il Tribunale Costituzionale polacco ha scatenato un diluvio di polemiche.
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Ott 15, 2020
1. La determina del Direttore Generale dell’Aifa-Agenzia Italiana del Farmaco n. 998/2020 dell’8 ottobre 2020 ha modificato il regime di fornitura del farmaco per uso umano EllaOne (ulipristal) classificandolo ai fini della fornitura da Medicinale soggetto a prescrizione medica da rinnovare volta per volta (RNR) per le pazienti di età inferiore ai 18 anni e Medicinale non soggetto a prescrizione medica, ma non da banco (SOP) per le pazienti maggiorenni, a Medicinale non soggetto a prescrizione medica ma non da banco (SOP). Le disposizioni di vendita stabiliscono che “la dispensazione del farmaco deve avvenire contemporaneamente alla consegna di un opportuno materiale informativo sulla contraccezione, il cui modello è allegato alla presente determina. Detto materiale informativo deve essere allegato alle singole confezioni di Ellaone e deve essere consegnato alle pazienti, da parte del farmacista, in formato cartaceo al momento della dispensazione delle singole confezioni del medicinale”.
2. La Direttiva 2001/83/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano “all’art. 70, paragrafo 1, prevede che, quando autorizzano l’immissione in commercio di un medicinale, le autorità competenti devono precisare se quest’ultimo rientri nella categoria dei medicinali soggetti a prescrizione medica o in quella dei medicinali non soggetti a prescrizione. Per quanto riguarda i medicinali soggetti a prescrizione medica, i criteri ai quali essi rispondono, quali elencati all’articolo 71, paragrafo 1, della direttiva 2001/83, esprimono l’idea che tali medicinali non possano essere utilizzati senza controllo medico tenuto conto del pericolo che presenta il loro uso o l’incertezza quanto ai loro effetti. Dal canto loro, come precisa l’articolo 72 di tale direttiva, i medicinali non soggetti a prescrizione sono quelli che non soddisfano i criteri elencati all’articolo 71, paragrafo 1, della medesima direttiva, in quanto il loro uso non presenta, in linea di principio, rischi analoghi a quelli dei medicinali soggetti a prescrizione medica. Una siffatta distinzione tra i medicinali soggetti a prescrizione medica e i medicinali non soggetti a prescrizione implica che i primi debbano necessariamente, come sottolineato ripetutamente dalla direttiva 2001/83, nei suoi considerando e nelle sue disposizioni, in particolare al suo articolo 1, punto 19, essere prescritti da persone debitamente “autorizzate a prescrivere”, vale a dire da medici formati al fine di essere in grado di controllare i rischi inerenti al loro utilizzo da parte di un determinato paziente. Per contro, nei limiti in cui non sono legalmente autorizzati a prescrivere medicinali, i farmacisti rientrano non nella categoria delle “persone autorizzate a prescrivere”, ai sensi della direttiva 2001/83, bensì in quella delle “persone autorizzate a fornire” medicinali, ai sensi di tale direttiva” (Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 11/06/2020, n. 786/18).
“La tutela della salute è presidiata a monte attraverso il sistema di classificazione dei medicinali e la scelta di favorire non già l’accesso, indiscriminato dei cittadini a tutti i farmaci, ma solo a quelli senza obbligo di prescrizione medica ed a quelli di automedicazione” ( T.A.R. Liguria Genova Sez. II, 20/01/2006, n. 216).
3. In assenza di prescrizione medica viene meno il rapporto medico paziente essendo affidata l’informazione al foglietto illustrativo del farmaco. Al di là di ogni considerazione sulla scelta di modificare il regime di fornitura del farmaco, sussistendo dubbi sulla effettiva carenza dei presupposti di cui all’art. 71 comma 1 direttiva 2001/83/CE, in considerazione degli importanti effetti collaterali derivanti dalla assunzione di elleone quali risultano dal foglietto illustrativo https://www.ellaone.it/foglietto-illustrativo/, si ritengono violate le prescrizioni della Direttiva Europea 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE, 2002/65/CE, e il Regolamento (CE) n. 2006/2004, attuata in Italia con il Decreto Legislativo 2 agosto 2007, n. 146 c.d. Codice del Consumo.
È infatti prescritto che l’informazione all’utenza sia corretta e in nessun modo ingannevole, che non contenga informazioni false, né tali da ingannare il consumatore medio nella sua presentazione complessiva (anche se l’informazione sia di fatto corretta) riguardo all’esistenza o alla natura del prodotto, cioè alle sue caratteristiche principali, fra cui la composizione, l’idoneità allo scopo ed i risultati che si possono attendere dal suo uso.
4. Nel foglietto illustrativo si legge “EllaOne contiene la sostanza ulipristal acetato, che agisce modificando l’attività dell’ormone naturale progesterone, necessario perché si verifichi l’ovulazione. Di conseguenza, questo medicinale agisce ritardando l’ovulazione”. Nessuna informazione è fornita quanto a un ulteriore e invero principale effetto, riconosciuto univocamente nella letteratura medica, costituito dal meccanismo d’azione antinidatorio, così che l’ovulo fecondato non potrà annidarsi nell’utero materno, avendo quindi il farmaco effetto non solo contraccettivo ma anche eventualmente abortivo. È infatti riconosciuta l’esistenza dell’embrione umano sin dalla fase della fecondazione. Sul punto si richiama la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 18 ottobre 2011, secondo cui “la scienza ci insegna in modo universalmente acquisto ai nostri giorni, almeno negli Stati membri, che l’evoluzione a partire dal concepimento comincia con alcune cellule, poco numerose e che esistono allo stato originario solo per qualche giorno. Si tratta delle cellule totipotenti, la cui caratteristica essenziale è che ciascuna di esse ha la capacità di evolversi in un essere completo. Esse racchiudono in se stesse ogni capacità di ulteriore di divisione, poi di specializzazione che condurrà, alla fine, alla nascita di un essere umano. In una cellula si trova dunque concentrata tutta la capacità dell’evoluzione successiva. Pertanto, le cellule totipotenti costituiscono (…), il primo stadio del corpo umano. Di conseguenza, esse devono essere qualificate come embrioni”.
Se affidata l’informazione, e quindi la tutela della salute, al foglietto illustrativo, il consenso all’assunzione del farmaco, che si sia formato in forza delle indicazioni fornite, non può che ritenersi viziato e non liberamente prestato, poiché la paziente non è posta a conoscenza del possibile effetto abortivo.
5. È in questo contesto che si deve evidenziare avere il Direttore dell’Aifa con la determina 998 completamente disatteso la normativa nazionale, in particolare l’art. 3 comma 1 legge 219/2017, prevedendo la possibilità di fornire EllaOne senza prescrizione medica a pazienti di età inferiore ai 18 anni. La norma in esame stabilisce che “la persona minore di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all’articolo 1, comma 1. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà”.
Si esclude che la mera lettura del foglietto illustrativo costituisca mezzo consono per trasmettere al minore le informazioni necessarie alla tutela della sua salute, tale da consentirgli di esprimere liberamente e consapevolmente la sua volontà. A tali conclusioni si giunge se si considera che non è prevista una età minima a partire dalla quale può essere fornito il farmaco, se non quello dall’essere la minore in età fertile, così che è ben ipotizzabile che anche pazienti molto giovani vogliano assumerlo e chiedano quindi di acquistarlo. Se è vero che il soggetto minore, pur incapace di agire, può avere una capacità naturale che gli consente di assumere determinate decisioni nei diversi ambiti della sua vita, è altrettanto vero che l’accertamento di detta capacità non è demandato ad alcun soggetto, non certamente al farmacista al quale il minore si rivolge per acquistare il farmaco.
6. L’art. 3 comma 1 legge 219/2017 trova la sua ratio nello stato psico-fisico che caratterizza il soggetto minore il quale, in ragione della sua giovane età, si presume non in grado di comprendere in maniera completa ed esaustiva gli effetti giuridici e, nel caso come quello de quo, sanitari, derivanti da determinati atti. Lo stato di incapacità è peraltro ancor più manifesto laddove si tratti di assumere farmaci aventi come effetto quello di inibire – se è avvenuta la fecondazione – il regolare sviluppo della gravidanza; ciò che rappresenta una condizione fisiologica di straordinaria rilevanza, fondamento della vita umana.
Non può inoltre non considerarsi come una siffatta decisione, lasciata unicamente nella disponibilità di soggetti che ex lege sono sforniti della capacità di agire, risulti tanto più lesiva degli interessi su indicati, se si tiene conto dello stato fattuale in cui la minore si troverà ad effettuare la scelta di assunzione di EllaOne. Posto che il farmaco impone, ai fini della produzione dell’effetto utile, l’assunzione entro cinque giorni dalla consumazione del rapporto, è infatti possibile prevedere che la scelta del suo utilizzo sarà concitata, in uno stato di confusione e agitazione; ciò che renderà ancor meno garantito lo sviluppo di un consenso informato, consapevole, pieno e libero da parte della minore.
Il legislatore nazionale è consapevole della necessità di accompagnare la minore nel percorso volto ad assumere decisioni relative alla procreazione responsabile: all’art. 2 legge 194/1978 prevede che “la somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori”. In questo modo essa rende obbligatoria non solo la prescrizione medica, bensì pure la somministrazione avvenga nelle strutture sanitarie e nei consultori, all’evidente fine di garantire una adeguata informazione e supporto anche psicologico alla paziente minore.
La determina n. 998/2020 è dunque illegittima, poiché in contrasto con due disposizioni di legge: l’art. 3 comma 1 legge 219/2017 e l’art. 2 ultimo comma legge 194/1978, nonché con l’art. 12 legge 194/1978, per l’effetto eventualmente abortivo del farmaco, là dove non si prescrive che prima dell’assunzione del farmaco sia effettuato un test di gravidanza al fine di escludere la sussistenza di essa (come già evidenziato su questo sito https://www.centrostudilivatino.it/determina-aifa-su-ellaone-a-minori-senza-prescrizione-illegittima-e-dannosa/).
Michela Fenucci
Magistrato con funzioni anche di Giudice tutelare al Tribunale di Pavia
Ott 12, 2020
1. Nelle due pagine e mezzo di richiami normativi che precedono la parte dispositiva della determina n. 998 dell’8 ottobre 2020 del direttore generale dell’Aifa-agenzia italiana del farmaco sono menzionate leggi dello Stato, decreti legislativi, decreti ministeriali, regolamenti Ue, provvedimenti della medesima Agenzia. Non vi è però un solo cenno alla legge n. 194/1978: eppure la determina, come recita l’intestazione, contiene la “modifica del regime di fornitura del medicinale per uso umano ‘Ellaone (ulipristal)’”, nel senso che, come altro analogo atto ne aveva reso possibile l’acquisto senza prescrizione medica alle donne maggiorenni, estende tale possibilità alle minorenni.
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Set 5, 2020
La sen. Isabella Rauti ha presentato l’interpellanza con procedimento abbreviato sulla recente circolare del ministero della Salute in materia di pillola abortiva, trattata più volte su questo sito ( https://www.centrostudilivatino.it/dal-ministro-speranza-la-definitiva-privatizzazione-dellaborto/ e https://www.centrostudilivatino.it/ru-486-esito-coerente-della-194-e-dellaborto-come-diritto/ ). In base all’art. 156 bis del regolamento del Senato, questi atti di sindacato ispettivo sono posti all’ordine del giorno entro quindici giorni dalla presentazione. Vi aggiorneremo sulla risposta che darà il Governo.
Legislatura 18 Atto di Sindacato Ispettivo n° 2-00070
Atto n. 2-00070 (procedura abbreviata)
Pubblicato il 3 settembre 2020, nella seduta n. 253
CIRIANI , RAUTI – Al Ministro della salute. –
Premesso che:
nel mese di agosto 2020, il Ministero della salute, mediante la circolare della Direzione generale della prevenzione sanitaria (DGPRE.9/I.4.d.a.1 7/2019/1), ha comunicato l’aggiornamento delle “Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine”;
il 12 agosto l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), coerentemente con le nuove indicazioni ministeriali, ha modificato le procedure fino a quel momento vigenti per l’uso dei farmaci abortivi, con la determina n. 865/2020 (20A04486) (Gazzetta Ufficiale n. 203 del 14 agosto 2020), recante “Modifica delle modalità di impiego del medicinale per uso umano ‘Mifegyne’ a base di mifepristone (RU486)”;
tra le principali e più controverse novità introdotte dalle nuove linee di indirizzo, vi è la possibilità di effettuare le interruzioni volontarie di gravidanza farmacologiche (IVG) “presso strutture ambulatoriali/consultori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati all’ospedale ed autorizzati dalla Regione”;
in particolare, si legge che “L’équipe del consultorio familiare, dove sia possibile effettuare un percorso ambulatoriale, provvederà a somministrare il trattamento farmacologico in autonomia, garantendo gli spazi idonei e il personale dedicato. In alternativa, il consultorio si deve raccordare con la struttura ospedaliera che prenderà in carico la donna (…). La prima somministrazione farmacologica di mifepristone (RU486) potrebbe essere comunque compito del consultorio”;
nel testo viene poi indicata la possibilità di rivolgersi al consultorio anche nel corso della terza giornata, vale a dire, con riferimento alla fase “espulsiva”;
considerato che:
sebbene la vigente legge n. 194 del 1978 abbia inteso affidare al consultorio un ruolo di sostegno alla maternità difficile, tale ruolo è diretto (coerentemente alla ratio della normativa e come si evince segnatamente dall’articolo 5) al perseguimento della finalità (mediante azioni di sostegno alla rimozione delle cause che porterebbero all’interruzione di gravidanza e alla promozione di ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna) di evitare, ove possibile, di ricorrere all’aborto: non certo, dunque, come proposto dalle nuove linee d’indirizzo ministeriali, a quello di effettuare gli interventi di interruzione di gravidanza;
al di là degli aspetti di carattere normativo, e segnatamente, alla dubbia compatibilità tra le nuove linee guida e la normativa vigente, e senza in questa sede volersi soffermare sulle implicazioni di carattere etico, sussistono, e non possono essere trascurati, ulteriori e prioritari elementi di preoccupazione in ordine ai profili di sicurezza e ai rischi per la salute delle donne, insiti nelle nuove procedure di accesso e somministrazione dei farmaci mifepristone e prostaglandine;
al riguardo si evidenzia come il medesimo documento con cui il Consiglio superiore di sanità, il 4 agosto, ha reso un parere favorevole alle linee guida, non ha tuttavia rinnegato (ma anzi ha riproposto e confermato) il precedente orientamento con il quale si ammette l’impossibilità di prevedere le tempistiche abortive in relazione alla somministrazione farmacologica;
in particolare, il parere fa rinvio alla nota del 6 luglio 2020, che costituisce parte integrante del medesimo documento, trasmessa dalla SIGO (Società italiana di ginecologia e ostetricia), nel quale si legge che “non esiste tuttavia la possibilità di prevedere quando l’effetto del mifepristone inizia e soprattutto di avere certezza dell’efficacia. Per tale motivo non è prevedibile la tempistica reale dell’aborto, che può variare significativamente sul piano della risposta individuale e anche in base ad altri fattori (…). Il tempo di efficacia può quindi variare significativamente da poche ora a qualche giorno”, e che “la donna deve sapere che non è possibile stimare a priori il momento dell’espulsione dell’embrione”;
proprio in considerazione di queste valutazioni del Consiglio superiore di sanità (contenute peraltro anche in tre precedenti pareri resi nelle sedute del 2004, 2005 e 2010 e confermate e ribadite da quest’ultimo), le precedenti linee di indirizzo del Ministero prevedevano il ricovero ordinario per tre giorni, al fine di garantire che l’aborto avvenisse in una struttura pubblica (come previsto dalla legge n. 194 del 1978) a garanzia e tutela della salute della donna;
le nuove linee di indirizzo, dunque, pur in presenza di comprovati dei gravi elementi di incertezza, sia in ordine alle tempistiche che all’efficacia del trattamento farmacologico che vengono espressamente richiamati dal parere del Consiglio superiore di sanità, esplicitamente ed in diversi punti ammettono comunque la possibilità di abortire al di fuori delle strutture ospedaliere;
si tratta, in particolare, di una possibilità prevista e ammessa, anzitutto, fra i criteri non clinici di accesso alla procedura, laddove si escludono le donne con “condizioni abitative troppo precarie, con impossibilità di raggiungere il Pronto Soccorso Ostetrico-Ginecologico entro 1 ora”;
inoltre e analogamente, nella parte relativa alla procedura farmacologica, tra le prescrizioni relative: a) al primo giorno della procedura, laddove si prevede l'”invio a domicilio della paziente dopo 30 minuti dalla somministrazione del mifepristone”; b) al secondo giorno di procedura, laddove si specifica che “la donna è a domicilio”; c) tra le prescrizioni relative al terzo giorno, laddove, paradossalmente, trapela proprio la preoccupazione per la frequenza con cui l’espulsione si verificherà in ambiente domiciliare: “per ridurre i casi di espulsione a domicilio il protocollo prevede la somministrazione distanziata di 2-3 dosi di prostaglandine”;
è utile ricordare come ai sensi e per gli effetti della legge n. 194 del 1978, costituisce reato (ed è dunque punibile ai sensi del successivo articolo 19) effettuare interventi IVG al di fuori di specifiche strutture del Sistema sanitario nazionale, elencate dall’articolo 8, e tra tali strutture non è previsto il domicilio della paziente;
si evidenzia come la legge n. 194, relativamente alle strutture autorizzate a praticare l’interruzione di gravidanza non sia cambiata, mentre nell’ultimo parere del Consiglio superiore di sanità ammette che la fase espulsiva, che è la più delicata, potrà con le nuove indicazioni avvenire fuori dalla struttura sanitaria ed anche in strutture diverse da quelle indicate dalla legge,
si chiede di sapere:
come il Ministro in indirizzo ritenga di poter conciliare la legge n. 194 del 1978 con le indicazioni contenute nelle nuove linee guida, che prevedono esplicitamente che l’aborto, nelle sue fasi più delicate, possa avvenire fuori dalle strutture sanitarie pubbliche citate espressamente dall’art. 8 della legge n. 194 ed in carenza di condizioni strutturali tali da garantire un’adeguata tutela per la salute delle donne;
se, in ragione dei dubbi relativi alla compatibilità tra le nuove linee di indirizzo ministeriali con la normativa vigente, nonché e prioritariamente, dei profili di rischio per la salute delle donne connesse alla riconosciuta e accertata imprevedibilità delle tempistiche di efficacia dei trattamenti farmacologici oggetto delle medesime linee di indirizzo, non valuti l’opportunità di procedere al ritiro delle stesse linee guida.
Ago 14, 2020
Quando fu approvata la legge 194, il tenore letterale dei suoi articoli e gli intenti dei suoi promotori individuavano nell’intervento abortivo l’extrema ratio: si sarebbe proceduto a esso solo se la fase della prevenzione/dissuasione non fosse riuscita a far recedere la gestante dall’ivg grazie alla prospettazione da parte del medico o del consultorio di “concrete alternative all’aborto”.
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Ago 12, 2020
1. Il “caso Umbria” ha costituito l’occasione perché il ministro della Salute Speranza abbia modificato le linee guida ministeriali sull’aborto farmacologico: come è già stato illustrato su questo sito (https://www.centrostudilivatino.it/dal-ministro-speranza-la-definitiva-privatizzazione-dellaborto/), ora la pillola abortiva RU486 potrà essere somministrata fino alla nona settimana senza ricovero ospedaliero.
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